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LA LEGGINA SULLE MICROINVALIDITÀ: UNA SOLUZIONE INADEGUATA DA RIVEDERE

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Academic year: 2022

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Errata Corrige - Pubblichiamo di seguito l’articolo del Dr.

Antonio Nannipieri “La leggina sulle microinvalidità: una soluzione inadeguata da rivedere” erroneamente attribuito, nel numero 4 di Tagete 2001, al Dr. Giovanbattista Petti.

Con l’occasione porgiamo le nostre più sentite scuse.

LA LEGGINA SULLE MICROINVALIDITÀ: UNA SOLUZIONE INADEGUATA DA RIVEDERE

Dr. Antonio Nannipieri *

1. UNA “RATIO LEGIS” SBILANCIATA.

L’intervento del legislatore per disciplinare il risarcimento del

“danno biologico” o “danno alla salute” era stato auspicato da più parti muovendo dal presupposto che lo stesso fosse finalizzato ad arricchire la normativa codicistica con una riforma generale di carattere organico pienamente aderente ai princìpi costituzionali (art. 2, 3, 32, 24) ed agli orientamenti delineati dal “diritto vivente” suscettibili di modifiche per i soli aspetti non uniformi, non consolidati e non convincenti.

In particolare, l’obiettivo della nuova normativa codicistica – da sempre ispirata al principio di uguaglianza – doveva corrispondere alla esigenza di assicurare certezza e prevedibilità alle liquidazioni risarcitorie secondo parametri uniformi di base, garantire una piena tutela del danneggiato in conformità alla norma fondamentale dell’art. 1223 cod. civ., considerata espressione del contenzioso da responsabilità extracontrattuale e da R.C.A. in particolare ed, al contempo, ricondurre ad equilibrio il rapporto tra liquidazioni delle “micropermanenti” e le medie e macroinvalidità, con i conseguenti riflessi positivi sui costi dei sinistri stradali e sulla correlazione tra costi e premi per le polizze r.c.a. “bloccate”

fino al marzo 2001 dal D.L. 70/2000 convertito dalla L. 26-5-2000 n. 137.

Quest’ultimo obiettivo, però, era ed è da tenere distinto dagli altri sia perché finisce per rientrare più propriamente in una ottica economica settoriale (pur di grande rilevanza) piuttosto che in un’ottica di tutela risarcitoria generale della persona aderente alle prospettive comunitarie, sia perché la soluzione dello specifico problema non può prescindere da una analisi preventiva, completa, rigorosa e trasparente di tutti i molteplici fattori che – anche secondo l’ISVAP e l’ANIA – contribuiscono ad elevare

* Presidente II Sezione Civile Corte d’Appello, Firenze

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il costo finale dei sinistri stradali con una rincorsa all’aumento delle tariffe che si è riproposto in termini di dati e conti non univoci e spesso contraddittori.

Tra tali fattori deve essere certamente ricompresa l’elevazione del costo finale e globale dei sinistri dovuta alla liquidazione del danno biologico o danno alla salute, ma è da ritenere che l’incidenza di tale liquidazione non possa essere confusa o sommata con le altre componenti passive ma verificate in via autonoma e poi comparata con le stesse; solo dopo tale procedimento analitico e specifico – e non viceversa – sembra corretto determinare e chiarire quale è l’esatta misura dell’incidenza di tale voce di danno sui premi rispetto a tutti gli altri fattori. Pur non potendosi qui soffermare in una analisi particolareggiata ed esaustiva di tali fattori per la quale è necessario rinviare agli esperti del settore, ci sia consentito porre l’interrogativo se – ferma restando la accresciuta sinistrosità – la liquidazione delle micropermanenti (pari al 70% circa delle fattispecie risarcitorie) con il sistema tradizionale sia stata realmente più contenuta nel

“quantum” rispetto all’attuale. Ciò in considerazione del fatto che, di frequente, le micropermanenti vennero considerate riconducibili anche alla riduzione della “capacità lavorativa specifica” oltre che alla “capacità lavorativa generica”, parametrata al reddito reale o virtuale e quantificata con calcolo tabellare mentre, attualmente, sono risarcite solo come danno biologico, salvo casi eccezionali di cumulo con il danno patrimoniale.

Va anche rilevato che, prima della scelta legislativa, il problema del costo delle micropermanenti poteva, in gran parte, trovare una sua soluzione con il ricorso a procedure conciliative e transattive di natura convenzionale (CID) rimesse alla responsabilità ed alla gestione diretta delle Compagnie di Assicurazione con la prospettiva di calmierare gradualmente il “quantum” e ridurre il contenzioso.

Ma quanto sopra detto è solo una necessaria ed insistita premessa per comprendere come gli scopi prioritari e primari dell’intervento legislativo siano stati trascurati od elusi a vantaggio di una finalità di natura economico-assicurativa meritevole di approfondimento e di verifica.

E il riscontro di tale conclusione è chiaramente offerto sia dalla impostazione e dal contenuto del D.L. 70/2000 convertito dalla L. 26-5- 2000 n. 137, sia dal modo con cui il 25 ottobre 2000 si è giunti al protocollo di intesa raggiunto al tavolo della concertazione tra Ministro dell’Industria, ANIA, ISVAP e Associazioni dei consumatori.

Basta allora registrare la “storia” delle vicende collocabili tra i mesi di marzo ed ottobre 2000 – come è stato fatto con puntualità ed incisività dalla dottrina – per rendersi facilmente conto che, malgrado l’intento manifestato nel corso dei lavori parlamentari, con l’attuale legge 5 marzo 2001 n. 57, pubblicata in Gazz. Uff. n. 66 del 20 marzo 2001, il complesso dei fini che con la nuova normativa si intendeva perseguire non è stato raggiunto poiché è prevalsa la volontà di approvare, in ogni caso, una legge

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– elaborata senza il contributo determinante della dottrina giuridica e medico-legale della magistratura e dell’avvocatura – che potesse portare ad una soluzione del solo profilo economico-assicurativo; ma anche su questo punto i dubbi non mancano e si impone una seria riflessione.

2. LE PECULIARITA’ DELLA “NOVELLA”

L’intervento del legislatore in tema di danno biologico o danno alla salute è stato attuato mediante una novella della c.d. miniriforma e cioè attraverso un inserimento delle nuove disposizioni nella legge n. 39/77 che, a sua volta, costituisce parte novellistica rispetto alla legge 990/69.

Quindi il rapporto tra la normativa precedente sull’assicurazione obbligatoria da R.C.A. e quella recata dalla attuale novella conferma la natura di legge speciale. E, nell’àmbito delle leggi speciali, quanto in precedenza detto ed il contesto del corpus normativo in cui la novella è stata inserita (“Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati”), rendono evidente la tipologia di “legge negoziata”, cioè di una legge che costituisce il risultato di un compromesso tra le rappresentanze politiche e sociali da un lato ed economico-assicurative dall’altro, in assenza di un apporto tecnico-scientifico di giuristi, medici legali ed attuari che è stato e resta fondamentale nella creazione ed elaborazione della nuova categoria di danno biologico o danno alla salute e del criterio liquidativo di tale danno in particolare.

Ed allora, anche in relazione a questa seconda parte novellistica, si ripropone anzitutto il problema dei dubbi di costituzionalità e dei limiti applicativi. È infatti indubbio che non può essere ragionevolmente giustificato in relazione agli artt. 3 e 32 Cost. che i criteri di determinazione e quantificazione del danno biologico di lieve entità disciplinato dalla novella siano diversi da quelli applicabili in tutte le altre numerose fattispecie risarcitorie quale che sia il fatto generale delle stesse e la natura contrattuale o extracontrattuale dell’illecito.

Ma, anche con riferimento al danno avente la stessa origine e natura perché derivante da circolazione di veicoli, possiamo avere un trattamento risarcitorio commisurato ai parametri della “novella” nel caso di sinistro verificatosi in area di uso pubblico ed a parametri non normativi ma giurisprudenziali collegati alle norme codicistiche nell’ipotesi in cui il sinistro si è verificato su “strada privata”. Peraltro la Corte di Cassazione è ferma nel ritenere che i criteri liquidatori della legge 39/77, previsti dall’art.

4, sono applicabili solo in caso di azione diretta contemplata dall’art. 18 L.

990/69, la quale configura un’ipotesi eccezionale introdotta da una legge speciale con la quale, in caso di azione promossa contro i soli responsabili (ex art. 2054 cod. civ.) il giudice sarebbe vincolato dalla applicazione dei criteri previsti dalla “novella”. Inoltre non si tratta di una legge speciale transitoria avente lo scopo di collegare, per un arco di tempo definito, un gruppo di disposizioni alle norme codicistiche, ma piuttosto di una legge

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“sperimentale”, concepita in funzione ed in “attesa” di una legge futura di carattere generale.

Però la natura sperimentale di qualsiasi normativa richiede necessariamente una verifica attendibile della sua interpretazione da parte del “diritto vivente”, ma, dati i tempi particolarmente dilatati per la formazione di indirizzi giurisprudenziali consolidati (così proprio in tema di danno biologico), tale verifica si prospetta lunga ed incerta, specie se dovesse intervenire una probabile pronuncia della Corte Costituzionale.

La novella, poi – contrariamente all’art. 1 della legge 990/69 che richiama l’art. 2054 cod. civ. ed all’art. 17 del disegno di legge Amabile – non opera alcun rinvio alle norme del codice civile sulla valutazione del danno (artt. 1223, 1226, 2056 cod. civ.); ciò non esclude che l’interprete possa ritenere applicabili – anche in assenza di rinvio – le norme codicistiche con coordinamento possibile tra legge speciale e legislazione codicistica.

Ma il mancato inserimento delle nuove disposizioni sulla R.C.A.

per quanto attiene al danno biologico o danno alla salute nell’ambito codicistico e la recente normativa sul danno INAIL, di cui al D.L. 23-2- 2000 n. 38, rendono difficile e problematica anche quella convergenza applicativa parziale che si dovrebbe realizzare in tema di surroga prevista dall’art. 1916 cod. civ., perché tra le due normative permangono profili sostanziali di rilevante diversità non egualmente compatibili fra loro in sede interpretativa.

Nei limiti connessi alla settorialità come sopra delineata, la novella si presenta frammentata e lacunosa, in quanto ha ad oggetto solo il danno biologico temporaneo e permanente relativo alle microinvalidità, mentre lascia aperti tutti i problemi concernenti le medie e le macroinvalidità. Da un punto di vista concettuale ed applicativo tale scissione appare difficilmente giustificabile ove si consideri che il diritto vivente e la stessa Corte Costituzionale nel paragrafo 16 della motivazione della sentenza n.

184/86 hanno sottolineato che “le ipotesi di piccole invalidità permanenti non influenti sul reddito del soggetto” hanno costituito l’immediato

“precedente” giurisprudenziale del danno biologico e che proprio dalla analisi di tali precedenti ha tratto origine la quantificazione del metodo pisano del “calcolo a punto”.

Infine, la novella si caratterizza per la sua parziale applicazione differita, in quanto per il danno biologico di natura permanente rinvia al decreto del Ministero della Sanità, di concerto con il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e con il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato “la predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità”. Ed anche tale rinvio suscita ulteriori interrogativi non esclusi quelli di legittimità costituzionale, come sarà successivamente accennato.

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“I CONTENUTI ESSENZIALI: ASPETTI NEGATIVI E POSITIVI”

Dal punto di vista definitorio, la novella ha voluto riprodurre quanto già contenuto nell’art. 13 comma 1° del D.L. 23-2-2000, intendendo per danno biologico “la lesione all’integrità fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione del reddito del danneggiato”.

Poiché il concetto di lesione per i riferimenti giurisprudenziali rilevabili dalle sentenze della corte di Cassazione e per quelli normativi contenuti nel D.L. n. 38 del 23/2/2000 e nella stessa legge in esame deve considerarsi sostanzialmente equipollente a quello di menomazione e poiché, sul piano probatorio, occorre fornire la “dimostrazione del tipo, natura ed entità delle menomazioni determinate dalle lesioni, nonché i riflessi pratici di tali menomazioni” (ossia ciò che il fatto illecito ha sottratto alla vita del danneggiato), la definizione o anche in relazione alla puntualizzazione della sentenza n. 372/1994 – appare condivisa e accettabile; e ciò perché consente di salvaguardare tutte le peculiarità del danno alla salute delineato dal diritto vivente, e cioè indefettibilità, a- redditualità, unitarietà, autonomia e priorità, onnicomprensività rilevabilità medico-legale, capacità di assorbimento di altre figure di danno, capacità di espansione soggettiva ed oggettiva.

Il danno biologico viene giustamente preso in considerazione come danno biologico con effetti temporanei e come danno biologico con effetti permanenti. Relativamente al danno biologico temporaneo, la previsione della novella è sicuramente positiva, sia perché conferma la conclusione cui era pervenuto il diritto vivente sull’autonomia di tale forma di pregiudizio o voce di danno, sia perché anche il valore pecuniario di base trova un suo riscontro negli orientamenti della giurisprudenza di merito sul punto.

Infatti, pur emergendo dai lavori parlamentari che tale valore non era ancorato ad una preventiva e mirata analisi dei dati giurisprudenziali e ad un parametro predeterminato, tuttavia l’indagine empirica condotta sulle tabelle dei vari tribunali, rapportate ad un importo medio, ha finito per far coincidere il “quantum” uniforme di base con quello già proposto prima della novella e fissato in £. 70.000 (settantamila) per ogni giorno di invalidità temporanea assoluta.

Dovendosi considerare come valore di base, lo stesso è poi suscettibile di maggiorazione in virtù del disposto del comma 4° e della esigenza di personalizzazione e flessibilità da cui non è dato prescindere e che è stata prospettata in particolare dalla dottrina medico-legale in relazione alla maggiore intensità del danno nel periodo iniziale ed altre circostanze del caso.

Ma la possibilità di maggiorare in via equitativa ed in misura equilibrata il danno biologico temporaneo assume particolare rilevanza nell’ipotesi di danno biologico da morte iure hereditatis nel periodo

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limitato intercorrente tra la lesione e la morte; periodo per il quale, tenuto conto della accertata natura irreversibile della menomazione, della estrema gravità della stessa e di ogni altro elemento rilevante, potrà operarsi una maggiorazione correlata ad un multiplo di tale importo, valutando anche un sol giorno come tempo apprezzabile.

Poiché la nuova normativa ha volutamente ed opportunamente escluso ogni riferimento al danno morale, sembra che la novella non legittimi alcuna correlazione tra danno biologico temporaneo e danno morale come invece era dato rilevare dall’esame di alcune tabelle dei tribunali.

Per quanto concerne il danno biologico permanente, la novella accoglie il valore del punto tabellare come parametro uniforme di base e anche tale scelta è da condividere perché si tratta di criterio ormai accolto da tutta la giurisprudenza per la valutazione dell'aspetto statico del danno alla salute e per il quale non occorre ripetere e richiamare le argomentazioni già sviluppate da giurisprudenza e dottrina.

In proposito è però necessario formulare due rilievi che presentano una loro importanza anche dal punto di vista operativo.

Il primo di questi attiene alla determinazione del valore di base del primo punto di invalidità fissato in una somma pari a £. 1.200.000; poiché si tratta di un valore pecuniario più basso non solo rispetto a quello previsto in molte delle tabelle in uso presso i tribunali, ma anche rispetto ad un valore medio ricavabile dalle stesse tabelle e da altre analisi, risulta evidente il rischio di elusione del parametro legislativo da parte del danneggiato, ove ciò sia giuridicamente possibile. E una tale possibilità, per quanto sopra detto, ricorre in concreto nella ipotesi in cui il danneggiato eserciti la sola azione ordinaria ex art. 2054 cod. civ. con richiesta di liquidazione del danno secondo i parametri giurisprudenziali attualmente utilizzati o secondo valutazione equitativa codicistica.

Il secondo rilievo attiene alla compenetrazione inscindibile che sussiste tra valutazione medico-legale del danno biologico e quantificazione dello stesso da parte del giudice.

Infatti, la liquidazione dell’aspetto statico del danno biologico è legato non solo al valore del punto predeterminato in via tabellare, ma è concretamente possibile e giustificata solo se preceduta da una corretta e mirata (C.T.U. con quesiti appropriati) stima percentualizzata dell’entità del danno biologico.

E nel caso delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità, il necessario collegamento è con la tabella valutativa prevista dal quarto comma dell’art. 5 sopra richiamata.

Ma trascurando la inscindibile connessione tra valutazione medico- legale del danno biologico e determinazione del quantum dovuto, la legge non stabilisce alcuna indicazione sulla costruzione ed articolazione del Barème e si limita a rinviare al decreto ministeriale.

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Ed allora sembra proprio riprodursi quella stessa situazione per la quale il Capo dello Stato con messaggio alle Camere del 28-2-1998 (doc. I n. 25 Senato della Repubblica) rifiutò di promulgare la legge sulle modifiche alla disciplina dell’assicurazione obbligatoria per la R.C.A. (c.d.

disegno o progetto Amabile) rilevando, fra l’altro, che l’art. 19 del testo rinviava ad un atto amministrativo (tabelle predisposte dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato) la regolamentazione dei diritti soggettivi perfetti, quali sono quelli relativi alla liquidazione del danno alla persona.

Ora, avendo la nuova legge omesso del tutto di orientare e disciplinare il potere attribuito all’esecutivo in punto di principi, criteri e direttive delle tabelle di valutazione medico-legale ministeriale, il controllo sulla legge in relazione alla quale il regolamento è emanato può essere esercitato e, nel caso, non soddisfa le esigenze di completezza imposte dal principio di legalità sostanziale (artt. 2, 32, 113 Cost.) e della riserva di legge (assoluta o relativa).

Fin dalla sentenza n. 150/1982 la Corte Costituzionale ha chiarito i seguenti punti e cioè: a) che il principio di legalità non va inteso in senso formale; b) che la legge, quindi, non può limitarsi alla mera attribuzione di un potere al governo o alla P.A., ma deve disciplinare il contenuto per dirigerne le scelte; c) che una attribuzione generica non è sufficiente, poiché il vincolo delle scelte deve essere posto specificamente in apposita considerazione della legge; d) che il principio di legalità sostanziale ha valore costituzionale.

Passando ad esaminare il criterio liquidativo previsto dalla novella, va subito osservato che non sarebbe stato ammissibile un criterio tabellare automatico rigido vincolante, perché contrario ai noti principi posti dalla sentenza n. 184/86 della Corte Costituzionale e da tutta la giurisprudenza di legittimità e di merito successiva, ed il contrasto con la Costituzione sarebbe stato rilevato non solo in relazione agli artt. 2, 3 e 32 Cost., ma anche con riferimento all’art. 24 Cost., che conferisce rilevanza costituzionale non solo al diritto di azione e di difesa, ma anche al diritto di prova che “di entrambe costituisce irrimediabile complemento”.

In particolare, il criterio liquidativo del diritto vivente sarebbe rimasto mutilato di una sua connotazione fondamentale e cioè della flessibilità ed elasticità caratterizzante il profilo dinamico e personalizzato del danno biologico, ma il legislatore – come risulta dai lavori parlamentari – ha colmato tale lacuna, prevedendo col comma 4° dell’art. 5 che “fatto salvo quanto previsto dal comma 2, il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato”.

Ora, se teniamo presenti i punti fermi raggiunti dal diritto vivente al momento dell’approvazione della novella, dobbiamo e possiamo interpretare la disposizione in senso estensivo.

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Ed invero, anche se ad una prima lettura testuale il richiamo alle

“condizioni soggettive” sembra limitativo e riduttivo in quanto riferibile alle condizioni attinenti il soggetto leso, cioè alle sole situazioni di natura personale legittimanti un aumento del punto di valore del punto tabellare, un esame più attento e ponderato porta ad una interpretazione diversa della disposizione in esame perché, per quanto sopra detto, attraverso la stessa si è voluta, in effetti, recuperare la valutazione da parte del giudice di tutte le specificità del caso concreto che – strettamente connesse alla accertata menomazione – danno origine a situazioni differenziate in peggio della qualità della vita quotidiana del danneggiato.

E del resto tra più possibili interpretazioni della norma, il giudice deve scegliere l’interpretazione conforme alla Costituzione (c.d.

interpretazione adeguatrice, per cui vedi Corte Cost. sent. n. 63 del 23/2/89) e una scelta diversa da quella proposta si porrebbe in contrasto con l’art. 24 Cost., in quanto il danneggiato vedrebbe impedito o limitato il proprio diritto di prova sulla effettiva entità ed intensità del danno biologico subìto.

Si può, quindi, ritenere che il giudice, in base alle peculiarità delle singole fattispecie, possa e debba tener conto, ai fini della maggioranza del quantum tabellare, di tutte le circostanze sia di natura soggettiva che di natura oggettiva comprese quelle derivanti da una corretta valutazione e/o constatazione medico-legale (ad es. danno non, o difficilmente, percentualizzabile, danni composti, menomazioni concorrenti, danno psichico derivante da danno fisico).

I soli limiti che la novella impone al giudice di rispettare sono, a mio parere, costituiti dai seguenti vincoli:

a) un primo vincolo per l’ulteriore risarcimento costituito dalla impossibilità di sconfinare dalla categoria del danno biologico o danno alla salute – come delineata – in altre e diverse categorie prive di presupposti medico-legali (danno patrimoniale, danno morale e danno esistenziale);

b) un secondo vincolo quantitativo, nel senso che la maggiorazione del danno biologico non può investire e riguardare il valore pecuniario minimo di base predeterminato per il primo punto di invalidità e pari all’importo di £. 1.200.000;

c) un terzo vincolo di proporzionalità tra il quantum del punto tabellare ed il quid pluris equitativo;

d) un quarto vincolo correlato con la necessità di supportare l’aumento del quantum ad una motivazione adeguata e specifica ed alla considerazione di circostanze provate, anche se apprezzate con valutazione equitativa.

Tale interpretazione ci sembra l’unica in grado di riequilibrare la ratio complessa della legge; di rendere compatibile la novella con i principi del diritto vivente e di contenere la maggioranza risarcitoria, di cui al più volte citato comma 4°, entro i limiti ragionevoli e raccordabili con la valutazione personalizzata del danno biologico.

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Per quanto attiene, invece, all’adesione vincolante o meno del giudice, alle direttive di fondo ed ai parametri della tabella di determinazione del valore del punto (allegato A), ci sembra suscettibile di controllo e di sindacato anche uno sviluppo ed una articolazione tabellare del quantum non sorretta e non in linea con i principi della coerenza, della logicità e della proporzionalità come è già stato rilevato sia a proposito della crescita del valore del punto che “non risulta né più proporzionale, né meno che proporzionale, né lineare, sia con riferimento ad una corretta considerazione del fattore età “svincolato dalle tavole di mortalità non opportunamente differenziato ed “incidente” in misura assai limitata”.

Pur dovendo registrare alcuni importanti aspetti positivi della novella riguardo al recepimento dal diritto vivente dei principi fondamentali su cui è stata costruita la centrale categoria del danno biologico, compreso quello relativo al criterio di liquidazione tabellare differenziato dall’equità circostanziata, appare necessario che la nuova legge sia sottoposta quanto prima al controllo di legittimità costituzionale per i vari profili sopra delineati e per altri che la giurisprudenza non mancherà di individuare.

Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale – che contribuirà sicuramente ad inquadrare e risolvere i problemi di portata interpretativa ed applicativa essenziali – si potrà nuovamente riprendere nella nuova legislatura, con diverso metodo, il cammino interrotto per giungere a considerare in maniera equilibrata e vasta una riforma codicistica di carattere organico, che possa offrire soluzioni il più possibile definitive e complete su tutta la delicata e complessa problematica del risarcimento del danno alla persona.

Il tutto con la consapevolezza che una costituzionale e piena tutela risarcitoria non potrà essere compresa, oltre certi limiti, da condizionamenti o calcoli di carattere economico, perché il diritto vivente saprà (come insegna la storia del danno biologico) colmare spazi non previsti e non prevedibili dal legislatore, ma pur sempre meritevoli di tutela in quanto rispondenti ad una evoluzione inarrestabile di una moderna concezione del diritto giurisprudenziale.

CENNI SU ALCUNI RIFLESSI PROCESSUALI

La nuova normativa sul danno biologico è destinata ad incidere, oltre che su aspetti sostanziali, anche su taluni aspetti processuali.

Infatti, fermi restando gli obblighi e gli adempimenti richiesti dall’art. 22 L. n. 990/69, ai fini dello “spatium deliberandi”, la novella ha ora esteso l’obbligo di proporre al danneggiato una congrua offerta anche ai sinistri che hanno causato lesioni personali o il decesso, dopo aver ricevuto la richiesta risarcitoria corredata dalla descrizione del sinistro e da una serie di dati con l’obbligo di offerta entro novanta giorni dalla ricezione della

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documentazione la quale, se incompleta, fa decorrere il nuovo termine della richiesta di integrazione da parte dell’Assicurazione (art. 5 comma 1).

Con tale estensione è stata colmata una lacuna sottolineata da tempo da tutti, ma le modifiche apportate non appaiono in grado di favorire con celerità la definizione stragiudiziale del risarcimento del danno in caso di lesioni personali.

E ciò sia perché i termini previsti (salvi casi eccezionali di danno biologico temporaneo di breve durata) sono chiaramente incompatibili con i tempi tecnici richiesti per accertare la stabilizzazione di postumi a carattere permanente o la cessazione della malattia di lunga durata, sia perché non è previsto che l’Assicurazione sia tenuta a corrispondere un acconto ed a rinviare il saldo al momento in cui si renda effettivamente possibile valutare in maniera certa e definitiva il danno.

Permangono, quindi, nella procedura stragiudiziale di liquidazione del danno, limiti che avrebbero potuto essere agevolmente superati utilizzando i suggerimenti e le indicazioni contenute nella proposta articolata dalla Commissione Giuridica dell’ACI fin dall’inizio degli anni

’90, con eventuali modifiche migliorative.

In tale proposta si prevedeva, infatti, l’obbligo della offerta di anticipazione nel caso di prolungamento indefinito della temporanea (così come espressamente previsto dall’art. 12 della Legge Badinter), la possibilità di richiesta di acconto da parte del danneggiato dopo un certo tempo, nelle ipotesi sopra ricordate; il ricorso ad un arbitrato irrituale assicurativo affidato ad un collegio di medici e la sanzione privatistica di un ulteriore danno agli aventi diritti ex art. 1218 Cod. Civ., oltre – come nella attuale normativa – le sanzioni per l’assicuratore (art. 3 bis proposta ACI).

Nella ipotesi, non infrequente, di esito negativo della procedura, il danneggiato, dopo la sentenza n. 90/471 della Corte Costituzionale – che ha ritenuto applicabile anche in tema di danno alla persona il procedimento di cui all’art. 696 c.p.c. (accertamento tecnico ed ispezione giudiziale) – potrà ricorrere a tale diverso strumento processuale per puntualizzare l’evoluzione della menomazione subita attraverso una consulenza preventiva poi utilizzabile nel giudizio di merito anche per sostenere l’ipotesi di un colpevole ritardo della Assicurazione e di una sua “mala gestio”.

La riduzione del valore del punto tabellare previsto nella novella rispetto alle tabelle dei tribunali finisce per incidere su due importanti aspetti e cioè la competenza a conoscere sui sinistri produttivi di danni di lieve entità, e l’onere della prova di questi ultimi.

È infatti evidente che la maggior parte dei sinistri rientreranno nella competenza del giudice di pace e che ciò può favorire molto la conciliazione anche in sede non contenziosa (art. 322 c.p.c.) quando il giudice è in grado di utilizzare una corretta e completa valutazione del

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danno da parte non solo del C.T.U., ma anche dei C.T. di parte in fase precontenziosa.

Le probabilità di conciliazione sono ora facilitate dalla considerazione che attraverso la consulenza tecnica sarà possibile subito valutare l’entità del risarcimento tabellare senza ulteriore attività probatoria. Solo ove si ritenga tale valutazione e liquidazione inadeguata ed insufficiente, perché ricorrono le particolari condizioni soggettive legittimanti l’ulteriore risarcimento, il danneggiato dovrà offrire la prova dell’aspetto dinamico del danno.

Ma proprio in considerazione della ridotta entità del danno caratterizzante le microinvalidità è chiaro che i casi potranno essere limitati dal momento che – come rilevato dalla dottrina medico-legale – l’incidenza negativa delle piccole invalidità permanenti sulle attività della vita quotidiana è contenuta e spesso suscettibile di recupero entro un certo periodo di tempo.

Sotto una diversa prospettiva, la riduzione del valore del punto tabellare giurisprudenziale si dimostra, invece, inversamente proporzionale ad una riduzione del contenzioso che sarà alimentato certamente dalla tendenza a superare la soglia percentuale del 90%, per giungere a quella superiore soglia del 10% che svincola dai criteri liquidativi della novella e che pone un problema non sempre facilmente risarcibile in sede di stima medico-legale “al limite”.

Una analoga problematica si pone anche per le ipotesi di microinvalidità per le quali è prevista la franchigia nell’ambito del danno INAIL , la quale non sembra possa sottrarsi ad un sospetto di incostituzionalità che investe anche il mancato indennizzo del danno biologico temporaneo.

Ma ogni considerazione sul tema in esame è destinata ad essere riveduta, approfondita e coordinata alla luce dell’importante recentissima riforma relativa alle “Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999 n. 486” di cui al Decreto Legislativo 28 agosto 2000 n. 274, il quale attribuisce al giudice di pace la competenza per materia in relazione al reato di lesioni colpose da sinistro stradale (art. 590 c.p. e art. 4 D.L. 274/29) delineando un nuovo tipo di procedimento che è, da un lato, finalizzato ad esigenze di celerità, speditezza e semplicità, con innovazioni processuali che riguardano, in particolare, la posizione della persona offesa e, da altro lato, diritto a ricomprendere nell’ambito di tale nuova competenza, tutti i poteri del vecchio Pretore inerenti all’esercizio dell’azione civile nel processo penale da parte del danneggiato con coinvolgimento dell’Assicuratore per la r.c.a.

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