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La tabella valutativa del danno biologico a carattere permanente ed invalidante

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Academic year: 2022

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La tabella valutativa del danno biologico a carattere permanente ed invalidante

di

Pietro Zangani* & Achille Cittadini**

Preliminarmente va detto, anche se può apparire superfluo, che la spinta, la sollecitazione al metodo tabellare ed aritmetico, non è sorta da necessità cliniche. In quasi tutti i Paesi industriali, negli ultimi decenni, il sistema assicurativo sempre più diffuso ha fatto in modo che si concretizzassero due misure operative: una, sulla quale far decorrere l'esplosione delle richieste risarcitorie; e l'altra, diretta al tentativo di collegare le richieste medesime a tassi percentuali, al fine di razionalizzare e rendere più o meno omogenee le valutazioni.

In Italia, le modifiche apportate dalla Legge 12 giugno 1984, n. 222, sulla nuova disciplina dell'Invalidità pensionabile, e le Tabelle dell'Invalidità civile obbligatoriamente adottate dalle commissioni mediche, hanno incentivato l'impegno delle Scuole medico legali ed hanno accentuato l'interesse degli addetti ai lavori sul metodo valutativo tabellare. Ma queste osservazioni sono ormai notorie, e pertanto ripetitive.

Siamo tutti d'accordo, in sostanza, nel ritenere la Guida-Tabella un male necessario, anche se è stato opportunamente rilevato, da parte di diversi autori (Bargagna, Durante Mangani, Fiori, Umani Ronchi, ecc.) che la più razionale delle griglie valutative, basata sui più moderni ed approfonditi accertamenti anche strumentali e di laboratorio, non può sostituirsi all'esperto: le percentuali di danno biologico non possono derivare che da una valutazione integrale che interpreti il dato strumentale-laboratoristico alla luce di quello clinico. Dove l'Esperto, per altro, diciamolo con chiarezza (senza che nessuno abbia ad offendersi), qualche volta non corrisponde necessariamente al medico legale. Se così fosse, saremmo alquanto irriverenti, verso noi stessi e la disciplina che coltiviamo da sempre con impegno e passione. E' inconcepibile la figura del "tuttologo", in un contesto economico-sociale e culturale (di derivazione nordamericana) che continuamente postula la necessità del super-esperto e del super-competente, del medico che sa tutto in campi sempre più ristretti delle scienze biomediche.

A conferma di quanto andiamo affermando, ad esempio in cardiologia sono ben identificati i compiti e le figure professionali del cardiologo di base, del Cardiologo ospedaliero e/o universitario, del cardiologo interventista-emodinamista che spesso pratica anche l'angioplastica, del cardiologo- ecografista pediatrico. Sicuramente non siamo di fronte alla crisi d'identità d'una disciplina nata negli ultimi quarant'anni, ma la situazione diagnostico-terapeutica è composita. E quando notiamo che le Tabelle dell'Invalidità civile, in tale ambito cardiologico, pongono alla base della valutazione la classificazione NYHA, restiamo sconcertati e perplessi. Infatti, siamo profondamente convinti che in cardiologia, una classificazione anamnestico-funzionale occupa un posto secondario, rispetto ai parametri clinico-strumentali (obbiettivi).

La corsa alle tabelle ed alle guide non deve tuttavia trasformarsi in una stigmatizzabile e semplicistica esemplificazione. Peraltro, in discipline (cardiologia, pneumologia, gastroenterologia,

* Ordinario di Medicina Legale, Napoli

** Associato di Medicina Sociale, Napoli

Collana Medico Giuridica ADDITO SALIS GRANO

ed. Acomep, 1998

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urologia, ecc.) dove la diagnosi "compiuta" è di frequente indaginosa e composita, e dove la prognosi non può sempre identificarsi con i trials più aggiornati, le Tabelle necessitano di classi con ampio range, in sostanza trasformando l'indicazione percentuale in suggerimento metodologico- clinico, al fine d'un responso medico legale affidabile.

Le Tabelle hanno una tradizione in campo traumatologico ed i medici legali, anche se non traumatologi ed ortopedici, hanno acquisito una notevole esperienza valutativa, in quanto il binomio esame obiettivo - esame radiologico detta ancora la regola, ai fini della diagnosi, nella grande maggioranza dei casi. Nella minoranza dei casi, invece, rientrano il famigerato "colpo di frusta" (che sembra aver sostituito quegli eventi che quarant'anni fa hanno tanto impegnato la nascente Neuropsichiatria forense, cioè la "sindrome soggettiva dei traumatizzati cranici" e la cosiddetta

"psiconevrosi da indennizzo/risarcimento") e talune lesioni meniscali-legamentarie, in cui si richiedono indagini più approfondite (T.C., RMN, artroscopia, ecc.).

Ma il disagio e le difficoltà valutative sono diventate palesi quando si è passati all'apprezzamento delle infermità e menomazioni cosiddette "internistiche". In proposito, va detto che gli stessi specialisti in medicina interna non trovano sempre agevole la stima percentuale, ad esempio per il dinamismo non del tutto prevedibile della patologia e per la necessità di ricorrere, in una considerevole fascia di casi, ad indagini molto approfondite: taluna delle quali, peraltro, manifestamente "invasiva" (in ipotesi, la biopsia epatica nelle epatiti croniche post-trasfusionali). In materia, comunque, va ricordato il rischio che il non addetto ai lavori assuma il responso strumentale come valore assoluto e categorico.

Volendo esemplificare, poi, citiamo l'esperienza acquisita da uno di noi (Prof. Cittadini) nel corso della verifica peritale di quasi un centinaio di casi d'Invalidità civile. Frequentemente i componenti le Commissioni Sanitarie e spesso anche i Consulenti tecnici di parte confondevano la dizione ecografica di "steatosi epatica" con una grave epatopatia. Così come, per decenni, si è vista formulare la diagnosi di "broncopatia cronica" solo perché il radiologo attribuiva ad alcune forme d'ispessimento della trama perivascolo-bronchiale il correlato anatomo-radiografico dell'infermità bronchitica cronicizzata; o come il Cardiologo definiva "insufficienza coronarica" talune aspecifiche e spesso innocenti anomalie delle fase di ripolarizzazione ventricolare.

Riteniamo che più che di Scuole di pensiero a confronto, si debba parlare del tentativo, anzi della necessità di pervenire ad uno stesso "linguaggio" valutativo. Per far ciò è indispensabile:

A. Stabilire una comune metodologia valutativa. Talvolta, come nel caso del "colpo di frusta", può convenire alla Compagnia assicuratrice di spendere un milione per una RMN e non alimentare il contenzioso, che in genere giova soltanto, in questi casi, al vasto "sottobosco" di

"operatori", non di rado specialisti della nostra disciplina. Abbiamo più volte partecipato a procedure valutative in cui si mirava a risolvere il quesito più in chiave meramente "aritmetica"

che clinico-funzionale. Concedere "qualche punto" per danni evanescenti può costare più di

"molti punti" ma per postumi d'una certa significatività;

B. evitare di ripetere gli aspetti negativi delle Tabelle ufficiali dell'Invalidità civile, che potrebbero anche essere intesi come meri errori di valutazione. Continuiamo a non capire, ad esempio, il significato del ventun per cento d'invalidità permanente nel portatore di calcolosi biliare senza compromissione dello stato generale (e spesso asintomatica);

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C. pretendere dal valutatore (specialista o semplice operatore) un'esperienza clinica di base, così da rendere anche più agevole la scelta delle indagini strumentali e di laboratorio e dell'eventuale esperto cui indirizzare il periziando per le ulteriori ricerche;

D. disattendere nella pratica valutativa corrente quelle tesi estreme che risultano in stridente contrasto persino con il comune buon senso. Quando si leggono menomazioni eccezionalmente gravi, caratterizzate per altro da percentuali invalidanti sorprendentemente basse: la cecità bilaterale totale valutata con tassi oscillanti dal 75 all'85%, la paraplegia flaccida con misure analoghe, la tetraplegia stimata l'80% (sic!), l'emiplegia flaccida con afasia contrassegnata dal 95%; quando si sente affermare, anche in Seminari, Congressi e Convegni qualificati e di "addetti ai lavori", che il cento per cento corrisponderebbe alla morte od al coma dépassé od alla sindrome almeno "apallica", e che perfino il danno biologico più grave ed impressionante non dovrebbe mai superare il tasso del 96-99%; allora è chiaro che s'impone una profonda riflessione concettuale, nell'ambito medico legale, per dirimere la questione di fondo: se il danno biologico debba essere precipuamente proiettato ed inquadrato, come noi riteniamo, nella vita quotidiana del soggetto, nella sua autonomia personale, insomma nella cosiddetta "espansione" individuale-ambientale, familiare e sociale della persona (inclusi naturalmente, nel concetto di "espansione", quegli atti che si rendono necessari per il soddisfacimento dei bisogni "primordiali" dell'esistenza); ovvero se esso debba essere valutato del tutto a prescindere da queste insopprimibili ed ineliminabili "necessità biologiche della persona e della personalità", cioè come puro pregiudizio anatomo-funzionale dell'organismo vivente, come mero deficit clinico-funzionale di apparati ed organi dell'essere umano esaminato sul lettino dell'ambulatorio medico. A nostro parere, non possono sussistere dubbi di sorta:

qualora sia impedito lo svolgimento di molti "atti quotidiani della vita", intesi nei sette

"momenti" primari e classici della "concreta esistenza" (l'igiene e la cura della persona; il controllo degli sfinteri; la vestizione e la svestizione; l'alimentazione; la comunicazione; gli spostamenti autonomi intramurali; gli spostamenti autonomi extramurali), così che il soggetto dipende dal terzo ed ha necessità dell'assistenza personale continuativa, il danno biologico non può essere che il cento per cento. E così ci regoliamo, quando siano interdetti anche soltanto alcuni dei sette momenti elencati, quale che sia la capacità funzionale residua: perché conta certo quanto può residuare (come sostengono Melennec ed i Colleghi statunitensi), ma anzitutto e soprattutto conta ciò che si è perduto (e che non può essere recuperato) e l'importanza "esistenziale" degli atti perduti e non più espletabili in via libera ed autonoma.

Come giustamente ha affermato la Corte Costituzionale, nelle decisioni 14/7/86, n. 184, e 18/7/91, n. 356, il danno va esaminato nelle sue proiezioni sulla vita del danneggiato, per tutti i riflessi pregiudizievoli che può manifestare in ordine a "sfera produttiva, sfera spirituale, sfera culturale, affettiva, sociale, sportiva ed ogni altro ambito o modo in cui il soggetto svolge la sua personalità, cioè tutte le attività realizzatrici della persona umana". In definitiva, "occorre far riferimento al complesso dei rapporti familiari, sociali, alle potenzialità produttive ed alle attività extralavorative in genere per valutare tutti gli impedimenti ed i sacrifici che la menomazione della salute ha prodotto in questi ambiti; che vanno, però, definiti su una certa scala di grandezza, per generali categorie, evitando una eccessiva frammentazione che moltiplicherebbe senza fine le varie "funzioni naturali" ricollegabili al danno biologico e i diritti

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che se ne fanno scaturire, in un panorama caratterizzato da incertezza e confusione e, appunto, da crescite pretorie alluvionali" (Marando e Verrina);

E. infine, e proprio allo scopo precipuo di pervenire ad una Visione unica, uniforme ed univoca, dell'invalidità e quindi del "danno biologico", sarà opportuno e necessario seguire con molta attenzione il "meccanismo" che dovrà essere attivato in questi mesi dal Governo della Repubblica, delegato dal Legislatore (a mezzo della Legge 8 agosto 1995, n. 335: "Riforma del Sistema pensionistico obbligatorio e complementare", pubblicata nel Supplemento ordinario n.101 alla Gazzetta Ufficiale n. 190 del 16 agosto 1995) ad emanare uno o più Decreti Legislativi recanti norme volte a riordinare il sistema delle prestazioni previdenziali ed assistenziali di Invalidità e Inabilità. Aggiunge l'articolo 3 (comma terzo, ultima parte) di tale Legge che, decorsi due anni dalla data d'entrata in vigore dei predetti Decreti Legislativi, il Governo procede ad una verifica dei risultati conseguiti, "anche al fine di valutare l'opportunità di pervenire all'individuazione di un'unica Istituzione competente per l'accertamento delle condizioni di Invalidità civile, di Lavoro o di Servizio".

Si tratterebbe, in altre parole, di istituire quei "Dipartimenti medico legali" inter-istituzionali (INPS-INAIL-ASL), dei quali si parla da qualche tempo (Tursi), in analogia ai "Dipartimenti assistenziali" della Legislazione ospedaliera, ed ai quali verrebbero demandati l'accertamento e la stima, in prima istanza, di tutti gli stati invalidanti, compresi quelli che riguardano la dipendenza da causa di servizio, la pensione privilegiata e l'equo indennizzo (ma esclusi, ovviamente, gli stati invalidanti ricollegabili alla responsabilità civile).

Questo provvedimento non pare peraltro sufficiente, qualora non sia seguito dall'altra, fondamentale modifica e, cioè, dall'unificazione delle varie forme d'invalidità permanente, oggi esistenti nel nostro Paese. Come a dire, insomma, un'unica istituzione valutativa per un unico danno valutabile, del resto come da tempo auspicato da molti autori e segnatamente dal Barni, che nel 1994 ha ribadito l'impegno della medicina legale di forgiare gli uomini e gli strumenti per una valutazione in primo luogo unitaria e oggettiva del danno alla salute e per contribuire dottrinariamente all'affermarsi di un'accezione valida per tutte le categorie di protezione, "dalla responsabilità civile alla pensionistica privilegiata, dall'invalidità civile all'infortunistica ... la categoria unitaria del danno biologico cioè menomativo dell'integrità psicofisica, e inteso pertanto alla stregua del dommage fonctionnel dei francesi, dell’impairment degli americani, impone un approccio valutativo unitario (barème nazionale valevole per ogni tipo di intervento), quale premessa indispensabile almeno operativamente a futuri assetti del sistema assicurativo-previdenziale-assistenziale"; e che del tutto recentemente (settembre-ottobre 1995) ha anche "riesumato" l'art. 75 della Legge 833/1978.

In conclusione, il danno biologico a carattere permanente ed invalidante, ormai dottrinariamente ben prefigurato sul piano medico legale, come danno "basilare" valutabile in ogni ambito medico legale, se del caso con l'opportuno e necessario "correttivo" dell'inquadramento del danno medesimo - per il sistema previdenziale-assistenziale - nel contesto delle cosiddette "occupazioni confacenti alle attitudini" del soggetto e, per la responsabilità civile, nel contesto della capacità lavorativa specifica.

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