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Considerazioni medico-legali sugli aspetti risarcitori delle spese di assistenza ausiliaria nei macrolesi

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Academic year: 2022

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Considerazioni medico-legali sugli aspetti risarcitori delle spese di assistenza ausiliaria nei macrolesi

Dott. Luigi Mastroroberto - Dott. Marco Borgioli

Negli ultimi due decenni l'evoluzione della dottrina e della giurisprudenza in tema di valutazione e ristoro del danno alla persona in Responsabilità Civile ha portato nel nostro Paese ad identificare tre sole voci di danno risarcibile: il danno biologico o danno alla salute, che rappresenta l’essenza stessa del danno alla persona, dal quale, ma solo eventualmente (ricorrendone cioè i presupposti giuridici e medico-legali) possono discendere il danno patrimoniale ed il danno morale.

Ma se questa impostazione giuridica trova oggi, da un punto di vista concettuale e teorico, una applicazione ormai quasi omogenea su tutto il territorio italiano, non altrettanto si può affermare se si analizzano nei dettagli la prassi peritale medico-legale e, soprattutto, i criteri liquidativi utilizzati per monetizzare le sopra citate tre componenti del danno. E ciò vale sia allorquando si discute di piccoli danni (le cosiddette “micropermanenti”), sia (ed è questo senza dubbio il dato più inquietante) se ad oggetto del risarcimento vi è una grave menomazione.

Si verifica dunque un fenomeno del tutto anomalo, che mette in dubbio l’essenza stessa della Giustizia, il registrarsi cioè di risarcimenti che, a fronte di condizioni menomative analoghe, variano in misura significativamente diversa a seconda delle prassi e degli orientamenti seguiti nelle singole sedi giudiziarie.

E’ in tal senso dimostrativa la pubblicazione di uno studio condotto dal Gruppo di Ricerca C.N.R. sul Danno alla Salute, coordinato dai Proff. Bargagna e Busnelli (Ed. CEDAM) che ha raccolto un numero significativo di sentenze emesse da 74 Tribunali italiani nell'ultimo decennio, classificandole per entità delle menomazioni accertate ed analizzando in che misura è stato calcolato il risarcimento ed in base a quali voci di danno.

Di particolare interesse e di stretta attinenza col tema che intendiamo trattare è l’analisi che emerge da questo studio circa i cosiddetti macrodanni.

Nella tabella che segue, tratta appunto dalla pubblicazione dello studio condotto dal Gruppo di Ricerca sul Danno alla Salute, vi è la rappresentazione sinottica di alcune sentenze relative a casi di gravi menomazioni, caratterizzate cioè da valutazioni di danno permanente biologico uguale o superiore al 75%.

Sentenze riguardanti casi con grandi menomazioni (≥70) (importi in migliaia di lire)

(tab.n.1)

Tribunale Anno Età % Metodo Importo DB

Punto Importo LC

Importo DM

Importo SS

Importo SF

Totale

1 Milano 1988 19 85 VEP 286047 3365 182711 321802 0 0 790560

2 Milano 1991 26 75 CAP 1311611 17488 333297 582938 121173 420545 2769564

3 Venezia 1992 17 100 CAP 394070 3941 221130 844437 450366 1294803 3204806

4 Vicenza 1992 18 100 3PS 376764 3768 0 342195 28516 107666 855141

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5 Palermo 1992 19 100 3PS 268053 2881 205317 34219 11406 0 518995

6 Forlì 1992 20 90 CAP 244221 2714 499564 230653 4644 271357 1250440

7 Arezzo 1992 41 85 VEP 896901 10552 369972 896901 112113 224225 2500111

8 Lodi 1993 18 90 CAP 968222 10758 322741 322741 23237 301224 1938164

Analizzando le voci relative alle sentenze emesse da questi Tribunali, risulta chiaro come non sempre ritroviamo una corrispondenza tra le lesioni accertate, i postumi residuati e la valutazione in percentuale del danno permanente biologico riconosciuto in sede peritale.

Rileviamo ad esempio che nelle sentenze di Lodi e di Forlì è stato riconosciuto un danno biologico con percentuali pari al 90% per casi di tetraplegia, mentre in quelle di Palermo, Vicenza e Venezia è stata individuata la percentuale del 100% per casi di paraplegia.

Ci sembra però, a conferma di quanto si diceva sopra, che la maggiore disparità si rilevi soprattutto nel criterio economico seguito nella monetizzazione delle varie voci di danno, cosa che evidentemente porta alla fine ad assegnare risarcimenti così profondamente diversi, anche in casi di menomazioni analoghe verificatesi in soggetti di pari età e senza che in essi tale differenza trovi giustificazione in componenti specifiche dei singoli casi esaminati, quali ad esempio il danno patrimoniale emergente o da lucro cessante.

Entrando poi ulteriormente nei dettagli e riferendoci in particolare a ciò che rappresenta l’oggetto di queste nostre considerazioni, rileviamo che, per quanto attiene le spese di assistenza future (che pure in casi di macroinvalidità rappresentano un elemento di danno di tutto rilievo) alcuni Tribunali le hanno quantificate con un valore annuo di spesa calcolato forfettariamente e moltiplicato per il coefficiente di capitalizzazione relativo all’età, altri le hanno liquidate con criterio equitativo. Ad esempio, le sentenze emesse dal Tribunale di Milano (1988) e dal Tribunale di Venezia (1993) e riportate in tabella non riconoscono le spese future, essendo nella prima sentenza computate nella “serenità familiare”, e nella seconda inserite nel costo unitario già riconosciuto come “coperte da altre voci di danno“. In altre sedi infine le spese future risultano non liquidate a causa di una loro non richiesta da parte dell’attore.

Il fenomeno ripetiamo è inquietante ed è evidente la pressante necessità di porvi riparo con i mezzi più adeguati, al limite anche, come già oggi in discussione, mediante specifici provvedimenti legislativi che, anzitutto, rendano uniformi i parametri economici con cui vanno risarciti i danni alla salute del soggetto, il cui valore – ed è questo il fondamento stesso della teoria del danno biologico - deve essere uguale per tutti.

Necessario però è anche uniformare i criteri medico-legali attraverso cui si giunge ad evidenziare le conseguenze per il soggetto leso. Ed a tale ultimo proposito, se da un lato certamente, con la recente guida alla Valutazione del Danno Permanente Biologico, è stato fatto un significativo passo in avanti nei rispetti della individuazione di omogenei criteri di valutazione medico-legale delle menomazioni alla integrità psico-fisica del soggetto, dall’altro lato però registriamo una quasi totale assenza di criteri uniformi di determinazione delle spese future cui andranno incontro i soggetti che hanno riportato lesioni tali da comportare la perdita o una grave riduzione della loro autonomia di vita e che quindi necessitano di supporti esterni anche solo per provvedere ai più elementari bisogni quotidiani.

Ed è inevitabile che, quando si discute di tali tipologie di danni, l’attenzione ricada sulla casistica in tal senso prevalente, che vede alla base di queste fattispecie i traumi cranici maggiori ed i traumi vertebro-midollari.

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Di seguito, cercheremo, sia pur in estrema sintesi, di descrivere le specifiche problematiche che in tal senso si pongono in pazienti portatori di gravi menomazioni derivanti da questo tipo di lesioni, di come le più moderne ed adeguate tecniche di riabilitazione riescono a raggiungere i migliori risultati possibili nel ridare loro una qualche autonomia di vita e, infine, di come a nostro avviso si debba affrontare quell’aspetto medico-legale che oggi ci sembra sia stato scarsamente affrontato, quello cioè di stabilire di che tipo di assistenza tali soggetti necessitano.

I gravi traumatizzati cranio-encefalici e vertebro-spinali sono soprattutto giovani adulti di età compresa tra i 15 ed i 40 anni, per lo più vittime di incidenti stradali, infortuni del lavoro, incidenti sportivi e domestici. L’incidenza dei traumi cranici è decisamente maggiore rispetto a quella delle mielolesioni. Viceversa, mentre i traumi cranici gravi, che determinano sequele gravemente invalidanti, rappresentano solo il 10% del totale, in caso di traumi midollari la frequenza con la quale si verificano postumi altamente invalidanti è notevolmente maggiore.

I lesi resi disabili da un trauma cranio-encefalico si calcola siano all’incirca fra i 150 e i 300 ogni 100.000 abitanti; sappiamo inoltre che in Italia si rileva approssimativamente la presenza di circa 40.000 soggetti affetti da tetra e paraplegia. La gravità del trauma cranio-encefalico e del trauma vertebro-midollare si basa per il primo sulla sede della lesione encefalica riportata, sulla valutazione delle alterazioni della coscienza e della durata dello stato di coma, per il secondo sulla sede (cervicale, dorsale o lombare) della lesione riportata e sulla funzionalità motoria volontaria ed autonoma lesa.

Le evenienze da considerare fin dal primo momento in caso di gravi traumi neurologici sono l’exitus immediato, l’exitus per complicanze insorte successivamente e, in caso di sopravvivenza, lo strutturarsi di una grave condizione invalidante (c.d. macroinvalidità).

Logica conseguenza di queste prospettive di decorso, è la messa appunto degli

“obiettivi” che deve perseguire un adeguato, moderno e tecnicamente corretto percorso terapeutico e riabilitativo di questi soggetti:

1. Obiettivo sopravvivenza

2. Obiettivo prevenzione di ogni complicanza 3. Obiettivo utilizzo delle risorse residue 4. Obiettivo recupero delle risorse perdute 5. Obiettivo ausili per potenziare l'autonomia

Tali obiettivi possono essere raggiunti solo assicurando al traumatizzato cranio-encefalico e vertebro-spinale:

a) un soccorso tempestivo ed adeguato con servizi di emergenza (118) e suo trasferimento in strutture ospedaliere qualificate quali reparti di Rianimazione e/o di Neurochirurgia;

b) terapie mediche e/o chirurgiche prestate tempestivamente con scopo di assicurare la sopravvivenza del leso, limitando i danni encefalici, vertebrali ed ad altri organi, eventualmente interessati;

c) rieducazione funzionale e psicologica immediata in strutture altamente qualificate con durata variabile in rapportò alla gravità delle lesioni;

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d) recupero delle risorse perdute con l’ausilio di applicazione dei protocolli riabilitativi a lungo termine ed eventuale reinserimento del leso nella società;

e) fornire al leso gli strumenti domestici, tecnologici ed assistenziali necessari per potenziare la propria autonomia.

Come ci dicono gli esperti, gli obiettivi di cui sopra saranno raggiunti solo se verranno eseguite le tappe sotto riportate (tab.n.2).

(tab. n.2)

Tempestività degli interventi riabilitativi

Continuità ed integrazione degli interventi riabilitativi

Multiprofessionale Progetto riabilitativo

Multidisciplinare Informazione ed educazione del paziente

Pubbliche Qualificazione delle strutture sanitarie riabilitative

Private

Quando il grave traumatizzato cranio-encefalico o vertebro-spinale ha superato la fase acuta, con la stabilizzazione delle funzioni vitali, deve andare incontro ad un graduale recupero delle capacità di rispondere e comunicare con l'ambiente che lo circonda seguendo appunto le tappe riportate sopra.

La fase di recupero ha, nei casi più gravi, una durata variabile fino ad alcuni anni.

Studi statistici dimostrano però anche che il recupero maggiore si ha nel primo anno dal trauma; più lento è il recupero, più gravi sono le menomazioni residue.

E’ dunque evidente la estrema importanza di predisporre interventi medico riabilitativi di tipo intensivo ed effettuati presso U.O. di Medicina Riabilitativa qualificata fin dai primi tempi successivi al trauma, possibilmente nell’immediatezza dell’evento.

Al termine di questa prima fase riabilitativa, se il paziente non presenta alterazioni altamente invalidanti, verrà reinserito nel proprio ambiente abituale di vita. Se permangono sequele invalidanti gravi, si renderanno allora necessari ulteriori interventi quali: riabilitazione medica, riabilitazione sociale, interventi assistenziali a lungo termine.

La riabilitazione medica e sociale consiste inizialmente nello stabilizzare le condizioni cliniche del leso, facilitarne l'uscita dal coma, recuperare le capacità di comprensione e di comunicazione. Successivamente si mirerà al recupero delle attività vitali di base: capacità di alimentarsi, di muoversi, di controllare gli sfinteri e via elencando; indi verrà intrapresa una rieducazione atta al recupero di attività più complesse quali la lettura, la scrittura, il controllo dell'umore, delle emozioni ecc. Al termine di questo periodo di rieducazione funzionale il leso potrà essere reinserito nell'ambiente familiare e sociale. In questa fase si renderà necessario unificare la riabilitazione medica con la riabilitazione sociale. Ricerche statistiche hanno evidenziato che a distanza di un anno dal trauma cranio encefalico, il 40-50% dei lesi riprende le proprie attività; il 20-30% dei lesi presenta menomazioni invalidanti residue con ripresa

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autonoma nelle attività di vita quotidiana; i rimanenti presentano lesioni invalidanti gravi e permanenti che richiedono interventi assistenziali a lungo termine per svolgere le attività quotidiane elementari.

E’ lecito dunque affermare che solo la riabilitazione e la rieducazione precoci ed effettuate in ambienti altamente specializzati, permettono in molti casi al soggetto reso disabile da questo tipo di traumi di recuperare almeno in parte una propria autonomia.

A parte quindi che già questa sola considerazione è sufficiente a giustificare l’attuazione di tutto quanto è necessario, nei termini sopra esposti, per cercare di ottenere il maggior recupero possibile dei soggetti vittime di questi gravi traumatismi, riteniamo sia poi opportuno far presente anche un altro dato, che pure ci sembra importante nel completare l’esposizione di queste così complesse problematiche.

Non va infatti dimenticato che, una volta terminato il percorso terapeutico e riabilitativo e raggiunta la stabilizzazione della condizione di disabilità finale, in funzione di quest’ultima vi sarà, in misura ovviamente variabile a seconda delle condizioni del soggetto leso, la necessità, per tutto l’arco della vita residua, di supporti assistenziali volti a sopperire, nei rispetti della autonomia di vita del soggetto macroleso, tutto quanto gli viene impedito dalla sua condizione di disabilità.

Ebbene, è dato acquisito che i costi per la assistenza specialistica sanitaria ed ausiliaria che si renderà necessaria al termine del programma riabilitativo, sono elevati in modo inversamente proporzionale alla tempestività, alla qualità ed alle competenze delle cure che il leso riceve nell'immediatezza e, successivamente, nella riabilitazione ospedaliera e domestica.

Ne consegue che, se è vero che la prospettiva di un corretto e completo trattamento riabilitativo di questi pazienti comporta un notevole impegno economico, è vero però anche che una volta ottenuto il miglior risultato possibile, una volta cioè conseguito il recupero del maggior numero di abilità residue fino a mettere in condizioni il macroleso di recuperare la maggiore autonomia di vita possibile, ovvero addirittura una sua ricollocazione in attività produttive di reddito, minori evidentemente saranno i costi necessari per provvedere alle sue esigenze nell’arco della vita residua.

A questo punto dunque, non resta che affrontare l’ultimo aspetto delle nostre riflessioni, quello cioè riguardante la fase dell’accertamento peritale volta appunto a rilevare, elencare e possibilmente quantificare i parametri attraverso cui dovranno essere calcolate, in sede risarcitoria, le spese che si renderanno necessarie per l’assistenza futura di questi soggetti così gravemente menomati.

In linea di massima, le voci che, in dettaglio, bisogna considerare sono le seguenti:

1. assistenza medica ed infermieristica 2. assistenza medica specialistica 3. acquisto futuro di farmaci;

4. adeguamento dell'ambiente domestico in funzione dello stato del leso ed acquisito dei presidi di supporto;

5. assistenza ausiliaria

E, sempre in linea di massima, ci sembra di poter dire che, nei rispetti delle prime tre voci considerate dalla elencazione, il giudizio medico sulla necessità delle stesse e sulla loro relativa quantificazione è legato essenzialmente agli aspetti strettamente “clinici” del singolo caso da valutare, piuttosto che al tipo ed alla entità della specifica disabilità.

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Ci riferiamo evidentemente alle complicanze urinarie, respiratorie, circolatorie… e via elencando, complicanze che in gran parte dipendono dalla condizione di disabilità motoria e ad essa si sovrappongono, ma che comunque rappresentano, rispetto allo stato di dipendenza, fattori “variabili” che, a parità di macromenomazione, possono o non possono essere presenti, ovvero manifestarsi solo transitoriamente o ciclicamente.

Esclusivamente attinenti al grado di disabilità e dipendenza sono invece la quarta e la quinta delle voci sopra elencate e ci sembra di particolare interesse medico-legale soprattutto l’ultima, quella cioè relativa alla determinazione delle spese per l’assistenza ausiliaria necessaria al leso per l’espletamento delle attività elementari della vita di tutti i giorni.

Come si è detto all’inizio di queste nostre considerazioni, si tratta di una componente di danno che sempre va considerata in caso di risarcimento di soggetti resi gravemente disabili da eventi ascrivibili a responsabilità di terzi, ma che troppo spesso o è scarsamente considerata anche in sede giudiziaria o viene calcolata con criteri del tutto generici, tutt’altro che mirati, se non addirittura frutto di giudizi sommari ed arbitrari.

Per tale motivo ci è sembrato utile proporre ed ovviamente porre ad oggetto di discussione un criterio di giudizio che, pur presentando tutti i limiti di uno schematismo, possa però rappresentare uno strumento utile quanto meno per uniformare il metodo da seguire allorquando il medico-legale è chiamato ad esprimere il suo parere sul tipo e sull’entità delle spese future necessarie appunto per l’assistenza del grave disabile.

Trattandosi dunque anzitutto di definire, il più possibile con criteri oggettivi ed uniformi, il grado di dipendenza del soggetto, ci sono sembrati a tal fine utili ed efficaci alcuni strumenti proposti negli anni scorsi e segnalati nella letteratura internazionale e, fra questi, in particolare la Functonional Independence Measure Scale, il cosiddetto Indice di Barthel ed il Frenchhay Activities Index (cfr. fra gli altri: Mahoney FI, Barthel D., Md State Med J 1965:14:56; Holbrook M et al.. Age Ageing 1983:12:166; Doods TA et al.. Arch. Phys. Med.

Rehabil., 1993:74:531).

Ci sembra in particolare di estremo interesse in tal senso un recente lavoro (Rostagno C., relazione presentata al XIX Congresso nazionale AIMAV, Torino 25-26/9/1998) che, effettuando una rielaborazione dei parametri suggeriti dalla letteratura internazionale, ha messo a punto uno strumento di relativamente semplice utilizzo, ma che, nel contempo, consente una valutazione accurata dello stato di dipendenza del paziente disabile (tabella 3).

VALUTAZIONE DELLE ATTIVITA’ ELEMENTARI (tab. n 3) DELLA VITA QUOTIDIANA

1. Vestirsi e svestirsi

2. Farsi il bagno o la doccia 3. Igiene del corpo

4. Bere e mangiare 5. Mobilità

6. Continenza

1. Vestirsi e svestirsi:

a –Nessuno: il soggetto è in grado di vestirsi e svestirsi in modo completamente autonomo

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b – Parziale: il soggetto necessita di assistenza per vestirsi e svestirsi o per la parte superiore o per la parte inferiore del corpo

c – Completo: il soggetto necessita di assistenza per vestirsi e svestirsi per la parte superiore e inferiore del corpo

2. Farsi il bagno o la doccia:

a –Nessuno: il soggetto è in grado di farsi il bagno in modo completamente autonomo b – Parziale: il soggetto necessita di assistenza per entrare nella vasca da bagno

c – Completo: il soggetto necessita di assistenza per entrare nella vasca da bagno e per lavarsi

3. Igiene del corpo:

a – Nessuno: il soggetto è in grado di svolgere in modo completamente autonomo le seguenti attività (andare in bagno, lavarsi i denti, radersi, eseguire atti di igiene personale)

b – Parziale: il soggetto necessita di assistenza per almeno una o al massimo due delle suddette attività

c – Completo: il soggetto necessita di assistenza per tutte le suddette attività

4. Bere e mangiare:

a –Nessuno: il soggetto è in grado di consumare bevande e cibi in modo completamente autonomo b – Parziale: il soggetto necessita di assistenza per una o più delle seguenti attività preparatorie:

- sminuzzare e tagliare il cibo - sbucciare la frutta

- aprire un contenitore o una scatola - versare bevande nel bicchiere

c – Completo: il soggetto non è in grado di bere o mangiare nel piatto da solo

5. Mobilità:

a – Nessuno: il soggetto è in grado di alzarsi autonomamente dalla sedia e dal letto e di muoversi senza assistenza

b – Parziale: il soggetto necessita di assistenza per muoversi, eventualmente anche di apparecchi ausiliari tecnici come ad esempio sedie a rotelle, stampelle, arti artificiali. E’ però in grado di alzarsi autonomamente dalla sedia e dal letto

c – Completo: il soggetto necessita di assistenza per alzarsi dalla sedia e dal letto e per muoversi

6. Continenza:

a – Nessuno: il soggetto è completamente continente

b – Parziale: il soggetto presenta incontinenza de feci o urine al massimo una volta al giorno c – Completo: il soggetto è completamente incontinente vengono utilizzati aiuti tecnici come il

catetere o colostomia

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L’esecuzione autonoma delle attività della vita quotidiana dà punteggio 0, la dipendenza parziale punteggio 5, la dipendenza totale 10

La applicazione di questo criterio di valutazione, proprio perché strutturato in riferimento alla specifica analisi delle singole attività quotidiane “elementari”, quelle che si rendono necessarie per una accettabile sopravvivenza del soggetto disabile, consente alla fine di definire il grado di dipendenza attraverso un punteggio in relazione al quale, a nostro avviso, sia pur, ripetiamo, con tutti i limiti degli schematismi tabellari, è anche possibile fornire una indicazione orientativa sul numero di ore giornaliere di assistenza ausiliaria, di assistenza cioè prestata da personale non specializzato, collaboratore esterno o familiare che sia.

A tal proposito, riportiamo nella tabella 4 che segue una nostra proposta per rapportare appunto, al punteggio ottenuto mediante la valutazione del grado di dipendenza, il numero di ore quotidiane necessarie per l’assistenza all’invalido.

IPOTESI DI VALUTAZIONE DEL NUMERO DI ORE/DIE DI ASSISTENZA NON SPECIALISTICA

(tab.4)

Punteggio N. ore

0 0 5-30 2-6 31-60 6-18

Si tratta, come già più volte scritto, di una semplice proposta, che non vuole certo avere la presunzione di essere esaustiva o risolutiva, ma che tuttavia ci sembra utile quanto meno per promuovere una discussione che nasce dalla ormai ineludibile necessità di individuare un criterio scientifico ed il più possibile omogeneo nella determinazione di un parametro risarcitorio la cui determinazione necessariamente ricade nella competenza dell’accertamento peritale medico-legale, parametro che molto spesso comporta una quota di risarcimento elevata, ma che fino ad oggi ci risulta sia stato il più delle volte quantificato (cosa che peraltro nemmeno è stata sempre fatta) in maniera solo grossolana, a volte arbitraria e comunque mai secondo un metodo rigoroso ed univoco.

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