la cura d i)
Francesca Giuntella
Angela Zucconi
FA BBRICA , C O M U N ITÀ ,
D EM O CRA ZIA
Fabbrica, Comunità, Democrazia
Testimonianze su Adriano Olivetti
e il Movimento Comunità
© 1984, Fondazione Adriano Olivetti, Roma
INDICE
IX Premessa
Apertura dei lavori
Messaggio del Presidente della Repubblica on. Sandro Pertini p. XII; Il perché di un convegno: Sergio Ristuccia p. XIII.
Capitolo Primo
1 LA RIALLOCAZIONE STORICA
Dàlie riforme al progetto: Massimo FICHERA p. 3; L'occasione che abbiamo mancato: Renzo ZORZI p. 9.
Capitolo Secondo
13 TESTIMONIANZE PER UN RITRATTO
Un ricordo molto particolare: Cesare MUSATTI p. 15; Gli anni della Formazione: Gino MARTINOLI p. 21, Piero CRAVERI p. 27; Impegno imprenditoriale e impegno politico: Geno PAMPALONI p. 29; Negli Stati Uniti per la Underwood: Renzo ZORZI p. 32; La dimensione religiosa: Geno PAMPALONI p. 35, Renzo ZORZI p. 36, Ludovico QUARONI p. 38; Il rispetto per le opinioni altrui: Eduardo VITTORIA p. 39, Piero RAMELLA p. 40; Testimonianza per un
ritratto: Ludovico QUARONI p. 42.
Capitolo Terzo
47 LA FABBRICA
Dagli archivi della famiglia Olivetti: Giovanni MAGGIA p. 49; Per una cultura industriale: Valerio CASTRONOVO p. 59; Adriano Olivetti imprenditore: Bruno VISENTINI p. 66; Organizzazione del lavoro e scienze sociali: Roberto GABETTI p. 71; Adriano Olivetti imprenditore: Giulio SAPELLI p. 75; Le condizioni di lavoro di allora: Gianfranco EDDONE p. 79; Il sindacato di Comunità: Donatella RONCI p. 83, Piero CRAVERI p. 90; Il giornale di fabbrica: Carlo DOGLIO p. 92; L'autoge stione: Albert MEISTER p. 93; La questio ne dei cottimi: Emanuele T0RT0RET0 p. 96, Cesare MUSATTI p. 97; Attualità di Adriano Olivetti : Valerio CASTRONOVO p. 99; L'industriai design: Renzo ZORZI p. 102.
Capitolo Quarto
107 IL MOVIMENTO COMUNITÀ': POLITICA DEL TERRITORIO
Dagli archivi della famiglia Olivetti: la continuità di un interesse politico: Giovanni MAGGIA p. 109; L'Ordine politico delle comunità: Geno PAMPALONI p. 114;
Il Movimento Comunità nel Canavese: prima e dopo: Augusto TODISCO p. 116; L'apporto
delle scienze sociali: Luciano GALLINO p. 125; Altre "isole" del Movimento Comuni tà: Gabriele PANIZZI p. 127; Comunità negli enti pubblici e nella "diaspora": Giorgio GUGLIORMELLA p. 132; Organizzazione territoriale e partecipazione democratica: Marcello FABBRI p. 135; Organizzazione del territorio e organizzazione produttiva: Roberto GABETTI p. 140; Olivetti e Le Corbusier: Giorgio CIUCCI p. 145; La dimensione socio-economica: Franco KARRER p. 155; Gli architetti e la felicità umana: Marco ROMANO p. 158; Si è chiesto troppo all'urbanistica: Franco KARRER p. 163; La comunità come unità amministra tiva: Alberto LACAVA p. 165; Gli anni di lavoro con Adriano Olivetti : Ludovico QUARONI p. 169.
Capitolo Quinto
173 IL MOVIMENTO COMUNITÀ': L'AZIONE POLITICA
I centri comunitari: Piero RAMELLA p. 175; La Lega, dei comuni del Canavese: Augusto TODISCO p. 179; Un esempio di governo del territorio: Geno PAMPALONI p. 184; L'Istituto per la ricostruzione urbana e industriale (I-Rur): Augusto TODISCO p. 186; Community Development e I-Rur: Albert MEISTER p. 195; Sull'I-Rur: Emanuele T0RT0RET0 p. 199.
Capitolo Sesto
201 L'ATTEGGIAMENTO DELLA SINISTRA E DELLA DESTRA
Critiche al riformismo: Valerio CASTRONOVO p. 203; Critiche dei partiti al riformismo di Adriano Olivetti : Gianfranco EDDONE p. 208; Movimento Comunità e partiti: una ricerca da fare : Emanuele T0RT0RET0 p. 210; Altri elementi di valutazione: Mario REY p. 213; L'incontro e lo scontro con i sindacati: Augusto TODISCO p. 218.
Capitolo Settimo •
223 "CONCLUSIONI" DI UN CONVEGNO
Un aspetto del miracolo italiano: Albert MEISTER p. 225; "Che farebbe oggi Adriano Olivetti?": Eduardo VITTORIA p. 226; Che cosa lascia Adriano Olivetti : Geno PAMPALONI p. 230; Memorie ingrate: Renzo ZORZI p. 232; Gli ultimi progetti: Augusto TODISCO p. 236; L'ultimo saluto: Ludovico QUARONI p. 243.
Capitolo Ottavo
245 UNA TESTIMONIANZA FUORI CONVEGNO
PREMESSA
Per il ventesimo anniversario della morte di Adriano Olivetti (1901-1960) è uscito il libro di Giuseppe Berta, Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la Comunità
(Edizioni di Comunità), quello di Donatella Ronci, Olivetti, anni '50 (Franco Angeli), il libro di Cesare Musatti e altri autori
Psicologi in fabbrica (Einaudi), che utilizza
i materiali del Centro di psicologia impiantato alla Olivetti fin dal 1943, gli articoli raccolti da Geno Pampaioni, Adriano Olivetti: un'idea di democrazia (Edizioni di Comunità). La volumi nosa raccolta di documenti e testimonianze di Umberto Serafini, Adriano Olivetti e il
Movimento Comunità (Officina Edizioni) e,
più recentemente, lo studio di Saverio Santamaita, pubblicato su "Scuola e città" (n. 2/1983),
La pedagogia di Adriano Olivetti che apre
un campo nuovo degli studi sull'Italia uscita dal fascismo e sulla "ricostruzione tradita". Pure recente il volume pubblicato in occasione del convegno su Adriano Olivetti promosso dall'Istituto Universitario Statale di Architettu ra (IUSA) di Reggio Calabria, L'immagine della Comunità (Casa del libro editrice). Dovrebbero uscire tra breve gli atti di questo convegno nonché il voluminoso carteggio che Giovanni Maggia sta curando da alcuni anni e la biogra fia che Valerio Occhetto (autore del documentario su Adriano Olivetti prodotto dalla Rete 2 della RAI) sta completando.
si infila come un invitato giunto in ritardo che cerca di non farsi notare) questa pubblica zione degli Atti del convegno che si tenne a Ivrea nell'ottobre del 1980.
Il convegno di Ivrea, proprio per essere stato "una [non sempre] felice confluenza di riflessione storica e di testimonianza diretta", aveva lasciato dietro di sé una congerie di materiale registrato nella quale è stato difficile mettere ordine. Si è seguita una via nuova rispetto alla tradizionale pubbli cazione degli atti: la scomposizione e il montaggio delle relazioni e degli interventi secondo l'omogeneità degli argomenti.
In base a questo metodo l 'operazione comincia col togliere i convenevoli, le ridondan ze, le improvvisazioni, le ripetizioni, le estemporaneità, le casualità, col rischio naturalmente che, tolto tutto questo, non resti niente.
Non è stato così in questo caso e il molto che è rimasto mi è parso opportuno ordinar
lo in modo che gli Atti fossero più appetibili al lettore, potessero risultare utili alla consultazione e non recassero dispiacere alle persone che hanno preso la parola. Il modo nuovo (e il nuovo è sempre arbitrario) consiste nel non tener in alcun conto la successione cronologica degli interventi; questi, come ho detto, sono stati scomposti, o piuttosto disseccati e poi riaccorpati in una serie di sequenze che formano i capitoli di questa raccolta. Il metodo pare che possa funzionare bene per un convegno come quello di Ivrea, di carattere celebrativo con tendenza di tutti
a parlare di tutto, o comunque per convegni nei quali si affacciano interpretazioni e valutazioni diverse, ma non si ha un vero e proprio dibattito.
L'indice analitico, che può sembrare incongruo per una modesta raccolta degli Atti di un convegno, fa strettamente parte del metodo di lavoro seguito.
Si è cercato con qualche breve nota di sottolineare il nesso che lega un intervento all'altro, in alcuni casi queste note fanno riferimento alle recenti pubblicazioni di cui si è fatto cenno all'inizio.
Si è dato maggiore spazio agli interventi che si richiamano al Canavese perché non si è voluto dimenticare il titolo e lo spirito del convegno dedicato ad "Adriano Olivetti e la Comunità del Canavese".
MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Esprimo fervida adesione alle giornate di studio su Adriano Olivetti. Serbo un ricordo vivissimo della parte che egli ebbe nell'organiz zazione dell'espatrio di Turati nel 1926. Era un uomo coraggioso ed illuminato che come il suo illustre genitore possedeva un grande fascino che ne ha fatto una figura di imprendito re ed intellettuale che ha pochi riscontri nel nostro paese. Non ottenne adeguato ricono scimento quando prospettò quali'ordine politico delle Comunità, visione anticipata e modernissima delle autonomie locali e neppure nel campo a lui tanto caro della pianificazione urbani stica. Ma oggi si colgono appieno i frutti vitali di una originale impostazione e di una visione unitaria e avveniristica della politica del territorio. Rivolgo quindi volentie ri un saluto augurale per i lavori del convegno che gli è stato dedicato auspicando successo all 'importante manifestazione.
Cordialmente
Il tema di queste Giornate di studio, cioè il rapporto fra Adriano Olivetti e la Comunità del Canavese, non è dettato soltanto dalla mozione degli affetti - ficordare Adriano Olivetti nella sua città in mezzo a coloro che lo conobbero più da vicino -, una mozione degli affetti che beninteso sarebbe ed è assolu tamente legittima e naturale, ma è stato scelto in ragione di un dato storico preciso : il legame creativo che c'è stato fra le esperienze olivet- tiane e la sua terra. Un legame creativo che si è realizzato sia sul piano concreto dell'at tività industriale e imprenditoriale sia su quello ideativo della teoria e della proposta politica. Sottolineare questo legame è quindi una vera e propria necessità critica ma è anche per noi, mi sia concesso affermarlo con partico
lare calore, un'occasione felice per rendere un omaggio sincero a tutto ciò che Ivrea e il Canavese rappresentano nella realtà storica industriale e culturale del nostro paese. Un omaggio dunque ad Adriano Olivetti, un omaggio alla sua terra e all 'importanza delle opere che vi sono state realizzate e che vi si realiz zeranno.
(dal discorso di apertura di Sergio Ristuccia Segretario Generale della Fondazione Adriano Olivetti)
Capitolo Primo
DALLE RIFORME AL PROGETTO
Per ritrovare il centro unificatore del pensiero e dell'attività di A.O., obiettivo essenziale del dibattito, Massimo Fichera racco glie l'invito a scegliere come approccio a l l ’in dagine la riallocazione storica della figura di Adriano Olivetti.
Quale era il reale centro unificatore del suo pensiero e della sua attività, un pensie ro e un'attività estremamente complessi e diver sificati? Come poteva accadere che persone anche distanti per formazione culturale, per posizione ideologica (come quelle del resto che portano il loro contributo al Convegno) ritenessero tutte di trovare in lui un punto di riferimento, potessero leggerlo legittima mente (...) ciascuno in un modo che rispondeva alle proprie ispirazioni e posizioni? Questo nucleo centrale, questo motivo ispiratore unifi cante, che lui vivo sembrava ritrovarsi in lui stesso, nella sua stessa personalità, dove dobbiamo individuarli allorché si cerca di in
terpretare e aggiornare - e per certi aspetti, riproporre - l'attualità della sua opera? (...)
Io credo che per ricercare questo centro unificatore occorra riallocare il pensiero e l'opera di Adriano Olivetti, come si suole dire, nella storia, nel preciso e definito momento storico in cui egli si trovò a operare. E non c'è ovviamente, nel fare questo, nessuna riduzione storicistica né di tipo marxista
né di tipo idealistico del suo pensiero, che aveva valenze assai diverse. Si tratta però di riesaminare le relazioni, le interdipendenze, i rapporti che egli ebbe, e profondissimi, con gli uomini e le vicende del suo tempo. Un rapporto che è evidente in tutto ciò che fece, e che colloca esattamente nel suo tempo la sua azione, e anche il suo pensiero, che sono ben lungi dall'essere astorici e astratti: non c'è settore dal quale sia passata la sua riflessione o la sua azione che dopo sia rimasto quello che era, nel quale non sia rimasto un segno. Da questo punto di vista non mi sono mai sentito di condividere il giudizio di "fal limento pratico" che spesso viene dato sulla sua azione politica e culturale : la quale invece in cise, e profondamente, ovunque si sia esplica ta .
Se si approfondisce questa indagine che ho definito di "riallocazione storica", si vedrà - è questa la mia opinione - sempre più chiara la collocazione di Adriano Olivetti nel solco di quell'ampio movimento riformatore che percorre la storia politica e culturale italiana di questo dopoguerra. Quando dico un ampio movimento riformatore naturalmente non mi riferisco in modo riduttivo al riformi smo politico in senso stretto, che è parte importante ma non esaurisce affatto il movimento riformatore. Non vorrei azzardarmi qui in un tentativo di interpretazione storica, troppo ampia per il tempo a disposizione e anche per le mie competenze, ma credo si possa dire che tutta la storia unitaria del nostro paese è percorsa dallo scontro tra una forza di conserva—
zione che oscilla tra moderatismo e reazione e una forza riformatrice che oscilla tra massima lismo e trasformismo subalterno, ma che nei momenti più felici è o aspira a diventare richie sta di progressiva trasformazione strutturale, di modernizzazione, di innovazione culturale, di sprovincializzazione e di apertura non formale alla realtà europea e mondiale.
Ecco, io ritengo che bisogna pensare all'ope ra di Adriano Olivetti come a uno dei momenti più alti e compiuti di questo movimento riforma tore, in cui aspirazioni contingenti è risposte settoriali diventano sistema e progetto globale, in cui il riformismo diventa appunto progetto riformatore.
Tra l'altro, questo problema, anch'esso intrigante, della sistematicità compiuta del pensiero di Adriano Olivetti è forse un falso problema, con cui dovremmo fare i conti senza reticenze. La sistematicità è certo capacità di rendere organica una proposta; è capacità di dargli le intere valenze culturali, morali e spirituali che deve avere; è anche, non dimen tichiamolo, difesa da quel trasformismo spicciolo e da quella tentazione della svendita al minuto delle proprie proposte su cui spesso è caduto il movimento riformista italiano. Ma la sistema ticità con cui il pensiero di Olivetti viene disegnato non è, non deve essere un "prendere o lasciare" di tutta la proposta, "prendere o lasciare" complessivo e totale, irrealistico e imbarazzante.
Credo che se si lavora a sviluppare la ricerca in questa ottica si comprenderanno, oltre tutto, molte cose del Concreto operare
di Adriano Olivetti. Per fare delle esemplifica zioni più direttamente riferite all'attività politica - che è uno dei possibili campi dell'at tività riformatrice - si spiega alla luce di questa interpretazione la collocazione politica concreta che egli assunse sempre con grande coerenza nella sua vita: dallo schierarci assieme a Unità Popolare nel '53 contro la legge truffa,
all'appoggio che diede da parlamentare nel '58 ai primi segni di superamento del centrismo verso un'apertura di centro-sinistra. Si spiega no quelli che sono stati i suoi costanti e reali rapporti con il mondo della politica, rapporti che, volendo personificarli, andarono da La Malfa a Morandi passando per Pannunzio, Parri, Saragat e Nennì. Si spiega, passando al campo delle iniziative pubbliche e culturali, perché nell'opera di Adriano Olivetti si ritrova la promozione della rinascita dell'Istituto Nazionale di Urbanistica (da cui parte la pro posta della pianificazione territoriale come categoria primaria dell'azione di governo), la creazione del CEPAS (la prima moderna scuola laica di servizio sociale, in cui per la prima volta i temi del community development sono visti come la via attraverso cui porre il proble ma della partecipazione e dell'organizzazione dal basso dei momenti decisionali), il sostegno dato alla nascita dell'"Espresso" (il primo significativo esempio di giornalismo "europeo , moderno e spregiudicato, inteso come strumento di controllo democratico della pubblica opinio ne sulle attività pubbliche).
E l'esemplificazione potrebbe continuare, passando al campo di più specifica azione
cultu-rale, con il contributo determinante dato all'in troduzione in Italia delle discipline sociolo giche attraverso l'opera di una casa editrice - Comunità - che rimase per molti anni l'impresa editoriale più culturalmente aggiornata e moder na: un'azione di modernizzazione culturale che è uno dei segni distintivi delle grandi imprese riformatrici.
E' sempre alla luce di questa interpreta zione in chiave di azione politica riformatrice che si spiegano anche le opposizioni che la sua opera incontrò (e che incontra ancora oggi il tentativo di rifletterci sopra e di rilanciar la): dall'opposizione, pur rispettosa e contrad dittoria, di una sinistra tradizionale che egli, stando sempre nel complesso dalla sua parte, metteva di fronte alla sua insufficienza e arretratezza culturale, e quindi alla sua insuf ficienza di strategia politica riformatrice; all'opposizione dichiarata e violenta delle forze conservatrici che agiscono nella società italiana: ricordo per tutti l'opposizione sul piano locale e internazionale della Democrazia Cristiana, che spesso assunse toni e colori di vera lotta dichiarata.
Del resto, se si tenta un indice delle proposte che Adriano Olivetti elaborò, ma anche un indice dei progetti attorno ai quali operò, si scoprirà che esso coincide in larga misura con l'indice dei problemi con cui si è misurato e con cui ancora oggi continua a misurarsi il movimento riformatore, se non lo si riduce a questo o a quel determinato gruppo politico, ma si assume come punto di riferimento di un "partito delle riforme" che passa faticosamente
attraverso le diverse forze politiche della sinistra e laico-democratiche. In un indice siffatto figurava ieri, e figura ancora oggi, il problema di dare una risposta adeguata anche in termini istituzionali, alle contraddizioni create dallo sviluppo di una democrazia indu striale nel nostro paese; siamo stati, e siamo ancora oggi, di fronte al problema della "forma politica" del piano; siamo stati e siamo di fronte al problema di dare una dimensione demo cratica agli interventi di programmazione econo mica; siamo stati e siamo di fronte alla crisi della democrazia dei partiti e, perché non dirlo?, di fronte alla crisi della democrazia rappresentativa tout court, con cui occorrerà bene che le forze riformatrici comincino a misurarsi; siamo stati e siamo di fronte all'as senza di un piano organico per l'intervento nel Mezzogiorno; siamo stati e siamo di fronte al problema del ruolo nuovo del sindacato; siamo stati e siamo di fronte al problema di un rapporto non effimero o strumentale tra metodo laico e cultura e tradizione religiosa in questo paese.
Questi sono i temi attorno a cui Adriano operò e si affaticò, gli stessi con cui il movimento riformatore continua a misurarsi ancora oggi.
L'OCCASIONE CHE ABBIAMO MANCATO
Riconsiderare in profondità le idee centrali dell'esperienza olivettiana significa - secondo Renzo Zorzi - assumere la capacità di misurare 1 'impronta creativa ed innovativa del pensiero e d ell’azione di A.O. nella delicata fase di sviluppo dell'Italia del dopoguerra, non lascian do passare inosservati lo scetticismo e la disattenzione che fecero da ostacolo alle rea lizzazioni concrete e ridussero ad "occasione perduta" i fermenti olivettiani.
Se noi oggi cerchiamo di ricordare Olivetti come fu, se misuriamo il suo fervore, l'entusia smo, la disponibilità, la febbre, vorrei quasi dire in certi momenti la frenesia, con cui nell'immediato dopoguerra e per parecchi anni intraprese alcune iniziative di carattere pubbli co e nazionale, nel campo, per esempio, dell'urba nistica, del servizio sociale, dell'edilizia popolare, l'ampiezza di collaborazioni, italiane e straniere, che sarebbe stato pronto a organiz zare e mettere a disposizione del paese, che chiese e offerse ripetutamente di mettere a disposizione, lo scrupolo intellettuale, il rigore tecnico, un senso, quasi maniaco, di perfezione formale più ancora che di qualità e di bellezza da cui era tormentato, la ricchez za di documentazione, di analisi e di esperien za, con cui si era preparato, andando a vedere di persona e studiando con accanimento quel che era stato fatto in questi settori in paesi
come gli Stati Uniti, prima e dopo la depressio ne, in Scozia, in Russia, in ogni città del continente, incontrandone i protagonisti e discutendo con loro metodologie, processi di analisi, tecniche di esecuzione; e .misuriamo que sta immensa potenzialità usufruibile e spreca ta, sul nulla che è stato possibile, non già portare a termine, ma nemmeno cominciare, sullo scetticismo, il rifiuto, l'ironia, la palese e proterva ignoranza di una classe politica, che pur voleva per sé tutto; ma non solo, dì un ceto intellettuale, di una corporazione universitaria, di un giornalismo che aveva attenzione, basta sfogliare le collezioni del l'epoca, solo per piccola gente senza idee e, diciamolo pure, spesso senza scrupoli; di una gerarchia sindacale che, salvo eccezioni da contare sulle dita di una mano, non ha capi to nessuno dei problemi che la ricostruzione del paese si trovava davanti e domandava solo anch'essa potere per sé, c 'è da chiedersi perché siamo stati così mediocri, perché non gli abbia mo dato almeno una possibilità, perché non abbiamo avuto l'ambizione di fare qualcosa che valesse la pena lasciare come traccia di una generazione che pure era adulta, vitale, con in mano le chiavi del futuro, perché abbia mo via via rinunciato a sempre di più, e infine a tutto; perché invece la fiducia, il consenso, l'applauso, la possibilità di agire e quasi la imperiosa richiesta di agire, l'abbiamo data a chi ci ha ridotto così, in un paese che pure aveva tanta energia inesplorata, tanta voglia di fare, tanto bisogno di redimere antichi mali, e recenti, ignominiose viltà.
Qui sta credo alla fine il nocciolo della questione, la ragione per cui qualcuno di noi ancora si tormenta, non riesce a dimenticare. Sappiamo che una possibilità c'è stata, e che le occasioni, una volta perdute, non possono più essere richiamate. Forse qualche urbanista presente ricorda il fervore di quegli anni, i primi congressi dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, i dibattiti, clamorosi, le speranze più audaci; il congresso di Roma, quello di Venezia, che sembrò assumere la solennità di una carta costitutiva. Che cosa è rimasto di tutto ciò, e che paese lasceremo, quando c'è pur stato un momento in cui credemmo, per una stagione, di essere sulla soglia di una civiltà da fondare (da ri-fondare) e poi improvvisamen te si scoprì che le chiavi erano in mano alla speculazione, e che era tutto finito (con alcuni professori che stavano pomposamente spiegando come in fondo anche questo poteva andare a buon fine).
Mi ha sempre fatto una grande impressione quel passo di Gramsci, in uno dei Quaderni dal carcere, in cui egli, dopo aver ricordato la spiritualità dell'ordine francescano dei primi anni, l'estrema povertà di tutto, i vesti ti ricavati dai sacchi e i piedi nudi, negli assiderati inverni umbri, la felicità di quello spossessamento di ogni bene, si domanda come sia stato possibile che solo una cinquantina d'anni dopo la morte del fondatore dell'ordine i suoi fossero diventati frati gaudenti, aves sero trasformato così radicalmente i conventi da farne luoghi di gozzoviglia, di lussuria, di avidità, di fannullagine, di usura, secondo
la testimonianza che ce ne lasciano le novelle del Boccaccio e degli altri trecentisti, e secondo quello del resto che la storia ci dice.
Ma che cosa d'altro è accaduto in questo dopoguerra, a quali squallide periferie urbane abbiamo dato vita, che tipo di rapporti fra persone di una stessa città siamo riusciti ad instaurare e stabilire, dopo tanta sociolo gia dei gruppi e dell'interrelazione, dopo studi che sulla carta parevano così avanzati e audaci, e che sono serviti solo ad inventare alcune cattedre di materie stravaganti? Che cosa c'è, in questo paese, in cui la bellezza del passato esplode quasi da ogni muro, ed ogni pietra è una testimonianza di rispetto e di grandezza, che possiamo mostrare di aver fatto, che possa avere un valore di esempio, che dica ciò che eravamo, che dicevamo di esse re, quando volevamo portare Wright e Le Corbusier a Venezia, Aalto a Pavia, la migliore architet tura del nostro tempo a dare ordine e gloria alle città, quando pensavamo di disegnare ogni cosa, l'oggetto, e il tavolo su cui doveva posarsi, e la stanza da contenere quel tavolo, e la casa da inglobare quella stanza, e la strada da tener quella casa, e la città percorsa da quella strada e la regione che di quella città viveva? E poi la conclusione è stata di costruire casette ignominiose, o casermoni truculenti, o fabbriche indegne da cui poteva solo scatenarsi il rancore.
Capitolo Secondo
UN RICORDO MOLTO PARTICOLARE
Cesare Musatti ci offre un ricordo molto particolare, una testimonianza che ci pare porti tanta luce nel ritratto di Adriano Olivet ti.
Poiché nel generale quadro della cordialità e gentilezza d'animo che egli dimostrava verso ognuno, ho avuto con lui rapporti in certo modo speciali, mi pare giusto e doveroso per me soffermarmi su questi aspetti delle relazio ni che fra di noi sono intercorse. Io sono stato nell'estate del 1942 psico-analista di Adriano Olivetti, per pochissimo tempo, due o tre sedute soltanto, egli non volle infatti più continuare, ma è bastato quel brevissimo contatto per determinare tra noi tutta una situazione di amicizia e di affettuosa intimità che perdurò fintanto che egli visse. Voglio raccontarvi la storia di questa analisi, perché essa dice molto sul tipo di rapporti che ci sono stati tra noi.
L'analisi si svolgeva in condizioni assolu tamente anormali, data la guerra. Io vivevo ad Ivrea ospite di Adriano, in casa sua e parte cipavo a quello che egli faceva anche in fabbri ca. Cose da fare semplicemente inorridire qualsiasi moderno psico-analista ortodosso, ligio anche solo approssimativamente e parzial mente alle giuste e ferree leggi del settore analitico. Ma come ho detto i tempi erano ecce zionali e bisognava adattarsi ed era proprio
il caso di dire "à la guerre comme à la guerre".
Inoltre fin dall'inizio commisi, sempre in ragione delle condizioni eccezionali nelle quali ci trovavamo, un grave errore tecnico, che buttò tutto all'aria.
Alla seconda seduta mi portò un sogno che aveva fatto la notte precedente. Si era incontrato con un prete e col prete aveva poi litigato: tutto qui. Io stando alle regole avrei dovuto rimandare ogni interpretazione aspettando che emergesse altro materiale e che si fossero prodotti i rapporti, che noi chiamiamo di "transfert", i quali potevano far sopportare l'interpretazione al paziente, invece io gli dissi subito: "Guardi ingegnere che quel prete, colui che riceve le confessioni, sono io, e lei ha semplicemente sognato di litigare con hne. E' del resto abbastanza natura le che il paziente abbia sentimenti ambivalen ti positivi e negativi verso l'analista. Vedre mo più avanti perché". Rimase molto perplesso, l'indomani mattina però mi dichiarò: "Ho pensato lungamente al sogno, e al suo significato, io non voglio assolutamente litigare con lei, quindi ho deciso di interrompere l'anàlisi".
Gli feci osservare che forse avremmo dovuto, prima di giungere a questa conclusione, vedere un po' meglio che cosa questo litigio sognato significasse, ma non ci fu nulla da fare, preferì troncare senz'altro. A tanti anni di distanza io posso chiarire meglio di quanto abbia potuto fare allora, il significato di questo sogno. Adriano sentiva, anche se in modo oscuro, un po' persecutorio, che io avrei potuto esercitare qualche influenza spirituale sulla sua persona
e preferiva sottrarsi a tale influenza avverti ta come minacciosa.
Negli anni successivi Adriano Olivetti fu in analisi a Roma dal professor Ernest Bernhard ottima e cara persona più affine per certi suoi elementi, in certo modo misticheg- gianti, alla mentalità di Adriano, il quale avvertiva invece me come personalità più posi tiva, ma in quanto tale anche, diciamo pure, dogmatica. Ecco la figura • del prete sotto la cui veste ero nel sogno rappresentato, un prete rosso, se vogliamo, ma sempre un prete. Ed io sarò stato effettivamente un poco così, per cui Adriano Olivetti non aveva forse tutti i torti a volersi difendere da me, naturalmente nel puro ambito di questa fantasia onirica. Ma io che conservai dopo la fine di quella brevissima avventura rapporti di profonda amicizia con lui (ci demmo dopo di allora del tu anche come compagni di partito), posso ora qui di fronte a voi, che siete stati di Adriano amici, estimatori e continuatori, testimoniare sulla sua persona e come un prete, appunto, che, dopo tanti anni, per la stessa scomparsa della persona, è liberato dal segreto della confessione, chiarire alcuni aspetti, non dirò segreti, ma degni di essere messi più in rilievo della sua personalità.
Una certa contraddizione sembra esserci fra un giudizio di utopia che serpeggia nei molti discorsi che sono stati fatti qui relati vamente ad Adriano Olivetti, e il fatto che Adriano Olivetti è stato un grande industriale che con spirito realistico ha ingrandito .la
fabbrica ricevuta dal padre portandola ad una condizione di grande industria in Italia.
Questa contraddizione effettivamente esisteva nella personalità di Olivetti. Adriano era un utopista, se per utopia Intendiamo una certa tendenza a distaccarsi dalla realtà effettiva per costruire una realtà fantastica non collegata ai dati immediati di cui noi disponiamo; contemporaneamente, era un indivi duo dalla fantasia fervida che qualche volta si allontanava dalla realtà mantenendo però la capacità di reinserirsi in essa. Io vorrei accennare ad un episodio che può far sorride re. Adriano Olivetti acquistò ampi terreni nella zona di Scarmagno nella convinzione che sarebbe stato costruito lì 1'aeroporto di Ivrea, l'aeroporto del Canavese. Era un'idea solo fantasiosa, ma da questa fantasia l'azien da ha tratto comunque un utile, in quanto su quei terreni sono poi sorti gli stabilimenti di Scarmagno.
Di episodi di questo genere la vita di Olivetti è ricchissima. Spesse volte egli partiva con un disegno che appariva veramente utopistico per poi reinserire ciò che aveva costruito, o solo fantasticato, in un contesto assolutamente reale. E' un atteggiamento, questo, che noi psicologi consideriamo tipico dell'attività artistica; gli artisti infatti svolgono la loro attività staccandosi in un certo modo dalle immediate esigenze del mondo reale, senza peraltro perdersi del tutto fuori della realtà in una dimensione paranoica, ma ricavandone qualcosa di molto concreto e prezioso come le loro opere d'arte.
Ecco, a me sembra che in Adriano Olivetti ci fosse questa componente artistica, questa capacità di allontanarsi dalla realtà per farvi ritorno portandovi quanto di buono ricava va dai suoi voli di fantasia. Alla fantasia, peraltro, Olivetti associava grandi capacità intuitive. Ricordo che quando qui si costruiro no le prime telescriventi gli chiesi quali fossero le sue intenzioni, dal momento che a quel tempo per le telescriventi non sembrava esserci richiesta. La sua risposta, potrei dire, la dà oggi il commercio internazionale, che si svolge tutto per telescriventi: aver introdotto le telescriventi nel mercato dei nuovi prodotti industriali ha rappresentato un avanzamento effettivo di enorme importanza. Allo stesso modo, esser partito dalle macchine da scrivere per inventare una linea di sviluppo che comprende tutta quella che oggi noi chia- fniamo informatica è una forma di antiveggenza che poteva apparire utopistica nel momento in cui Adriano Olivetti la sviluppò; oggi sappiamo bene quale importanza ha nella realtà.
Vorrei dire, a chi vede una sorta di scissione o rottura fra un primo e un secondo periodo dell'attività di Adriano Olivetti, di considerare che nella storia familiare di Adriano fino al 1943 c'è stato il vecchio padre, anche se aveva dovuto lasciare la direzione dell'azien da al figlio per le note leggi razziali. L'inge gner Camillo si aggirava per la fabbrica appog giato al bastone e ancora oggi, quando entro nella fabbrica e vedo la sua statua, mi pare di vederlo come lo si vedeva allora. Adriano aveva il terrore di suo padre e delle scenate
acquistato. nella vita
che gli faceva in presenza degli operai quando trovava qualcosa che considerava fuori posto; fuori posto,. naturalmente, nella concezione della piccola fabbrica che Camillo aveva costrui to ma che non aveva più alcuna importanza nell'azienda nelle dimensioni che ormai aveva C'era, dunque, questa frattura di Adriano Olivetti. Un grande affetto per il padre ma una grande soggezione nei suoi confronti : perché Camillo era un uomo molto più energico di lui e fin tanto che ci fosse stato 1'ingegner Camillo 1'ingegner Adriano si sentiva presidente della società per delega del padre e ogni nuovo assunto importante veniva presentato al padre che lo squadrava dall'alto in basso e dava il suo consenso. Era in una condizione di minorità anche se il padre gli riconosceva qualche merito pure con notevoli riserve.
GLI ANNI DELLA FORMAZIONE
Gino Martinoli, ingegnere, compagno di
studi e di esperienze di Adriano Olivetti parla degli anni della sua formazione.
Il professor Musatti ha ricordato di aver avuto i -suoi . primi contatti con Adriano Olivetti nel 1942; i miei risalgono ad oltre venti anni prima. Eravamo compagni di scuola al Politecnico di Torino, e pressoché insieme siamo entrati nella fabbrica di suo padre nel 1924. Non a caso rivendico questa priorità, perché gli anni dal '20 al '40 furono quelli della sua formazione sul lavoro ed al lavoro; quella formazione che ha contribuito a farne, oltre che un grande imprenditore industriale, un imprenditore sociale e culturale, un urbani sta, un uomo politico, e soprattutto un innova tore audace in ogni ramo di attività in cui si è impegnato.
Alla sua formazione mi sembra abbiano concorso principalmente tre fattori: la famiglia, il Canavese e la "fabbrica". All'influenza che ha avuto su di lui "la fabbrica" per antono masia che è la Olivetti, vorrei accennare oggi come chiave all'interpretazione di una personalità tanto complessa e multiforme come la sua.
Oggi è " difficile , immaginare l'aspetto di un'officina meccanica degli Anni Venti, quella in cui entrammo in qualità di operai, al seguito di Adriano: Pomella, Bersano, Zanetti
ed il sottoscritto, suo compagno d'armi e di. montagna. Nelle officine di allora, spesso tetre, un po' sporche, fumose e maleodoranti, dominate dal rumore delle trasmissioni che rotavano sul capo, regnavano incontrastati gli operai; infatti anche i capi - d'officina e di reparto - provenivano dai quadri operai. E dell'operaio conservavano la mentalità, ne mantenevano il fondo culturale. La loro estrazione sociale, insieme all'autorità derivan te da un'esperienza acquisita sul lavoro, semplificava, in parte almeno, i problemi insiti nel rapporto fra datore di lavoro e maestranze. Questi capi, insieme agli "attrez zisti" - la crema della classe operaia -, si dismostravano molto seri e scrupolosi, rigorosi verso se stessi e verso gli altri; avevano uno spiccato senso delle responsabilità di cui si sentivano investiti, e mantenevano nella fabbrica una disciplina sostanziale, che verrebbe considerata dura, inaccettabile oggi; essa suppliva forse alla mancanza di una organizzazione formale rigida.
La Olivetti, nel 1924, oltre all'ingegner Camillo, contava due soli ingegneri - Modigliani e Mariotti - adibiti pressoché esclusivamente ai calcoli, ai progetti, ai disegni. Raramente essi varcavano la porta che separava gli uffici e l'officina, per consegnare ai capì, con poche sommarie istruzioni, le copie cianografate dei disegni da realizzare.
Nel 1924, Adriano e noi con lui, appena laureati, entrammo nell'azienda dalla porta dell'officina, come apprendisti operai e venimmo a contatto diretto con le maestranze della
prima generazione, con i primi collaboratori che 1'ingegner Camillo aveva reclutato in questa terra canavesana. I Burzio, i Prelle, i Ruffino, i Trompetto, i Ganio, i Giglio- Tos, i Limone, i Moia, i Grassis, i Fornero, i Burbatti, i Bravo, i Quaccia, i Guglielmo, i Ghiringhello, i Cappellano, costituivano una compagine preziosa per un'industria allo stato nascente. Compagine piena di valori morali, di slancio, d'impegno, di dedizione, magari un po' isolata e poco permeabile ai fermenti del mondo del lavoro; mondo che allora stava ancora tentativamente cercando le sue vie, sia come organizzazione, sia come consapevo lezza dei propri diritti nei confronti della società e del padronato.
La preparazione politica e sociale, oltre a quella tecnica specifica, che Adriano aveva assimilato negli anni del Politecnico, e quella maturata al contatto con la realtà dell'offici na, gli fecero intuire assai presto i lati positivi e quelli negativi di un ambiente già allora forse un po' fuori del tempo. Succes sivamente una lunga permanenza in USA gli consentì di assimilare i risultati di esperien ze industriali più avanzate di quelle italiane ed eporediesi, non tanto sul piano tecnologico, quanto su quello dell'organizzazione del lavoro. Egli ben comprese la necessità di rinnovare le strutture dell'azienda del padre, pur condi videndo la sua convinzione di non dover alterare il delicato equilibrio sul piano umano stabili tosi con le maestranze. I neo-ingegneri, finito l'apprendistato alla forgia, al tornio, alla fresa, al banco, dove si erano impegnati in
mansioni non previste nei curricula di studio del Politecnico, si diedero con entusiasmo a diffondere- nella fabbrica le concezioni importate da Adriano dagli Stati Uniti, dopo averle filtrate ed adattate all'ambiente socia le nostrano.
L'estrazione borghese, il diverso livello culturale non ci crearono. grosse difficoltà con i capi e con gli operai, coscienti questi di una propria preminenza come destrezza ed abilità manuale. Familiarizzati con l'ambien te e sulla scia del nuovo "verbo", cercammo di sostituire all'empirismo, sia pure intelli gente; che dominava la cultura della fabbrica di. allora, una razionalità spinta e quanto di sistematico ci sembrava di dover apportare alle operazioni meccaniche, ai cicli di lavora zione, al disegno ed alla costruzione del prodotto, e a quella degli attrezzi e delle macchine speciali con cui fabbricarne le parti.
Una impostazione alle volte troppo rigorosa del nostro modo di affrontare i problemi causò qualche errore. Gli stampi, le maschere, gli attrezzi disegnati a tavolino secondo norme rigide, in alcuni casi, si rivelarono meno efficienti dei "chiodi" ideati e costruiti dai praticoni, il cui solido buon senso ed una lunga esperienza compensavano la loro scarsa preparazione scolastica. La guida oculata e la sensibilità di Adriano valsero ad attutire qualche piccolo contrasto con la "vecchia guardia". L'innesto sul vecchio ceppo effettuato fra il '24 ed il '40, di una concezio ne sistematica, razionale dei problemi tecno logici e di quelli organizzativi, si dimostrò
fecondo. In particolare ricordo il clima di fer vore sul lavoro e di impegno innovativo - si doveva aumentare la produzione, introdurre nuovi prodotti, spingere 1'esportazione , - che dominava l'ambiente della "ditta" in quegli anni. Il nuovo equilibrio tecnico-organizzativo che si cercava di stabilire, puntava sulla "qualità".
I termini "accuratezza e precisione" non s'intendevano limitati alla perfezione delle operazioni meccaniche - di cui forse l'uso della "genevoise", la macchina a traccia re di altissima precisione, costituiva il simbolo - ma estesi ad ogni azione tecnica, commerciale, amministrativa, organizzativa del lavoro quotidiano. La preoccupazione di Adriano di salvaguardare per quanto possibile il vecchio clima sociale, la natura dei primiti vi rapporti col personale, sviluppava nei confronti di questo una politica tendente a razionalizzarli e ad istituzionalizzarli, salvaguardando tutta la carica umana da cui erano stati improntati sin dall'origine; seme di quella componente sociale che doveva rivesti re tutta l'attività successiva di Adriano Olivetti.
Molti altri laureati entrarono nella Olivetti negli Anni Trenta: Maritano, Jervis, Vercellone, Rozzi, Trossarelli, Borello, Sanvene- ro, Magnelli, Enriques, Galassi, Monti, Peyret- ti, Foà, Polese, Levi Riccardo, Levi Cavalieri, Luzzatti, Peroni, ed altri i cui nomi ora mi sfuggono e me ne scuso con loro. Importa qui rilevare come l'insieme di coloro che, laureati o meno, di nuova o vecchia estrazione,
componevano la Olivetti in quell'ormai lontano periodo, possedeva una forte carica vitale e come tale esercitava una profonda influenza anche morale su quanti mano a mano vi affluiva no e ne arricchivano i ranghi. Carica cui ognuno portava un suo contributo, che si riverbe rava su tutti gli altri, con un effetto di risonanza notevolissimo.
Questa fiamma coinvolse lo stesso Adriano, che ne era stato il principale artefice. Il rigore legato al concetto di elevata qualità nei prodotti, ma anche nei rapporti sia con il mondo esterno, sia con quello interno, col personale, lo spirito di lealtà e di fiducia reciproca che caratterizzano tutta l'opera di Adriano, si sono certamente rafforzati in modo potente in lui in quegli anni, in virtù di quel clima.
Gli ideali, di cui Adriano si è fatto propugnatore nella sua maturità, trovano la loro origine prima e più profonda, a mio avviso, nel clima della "fabbrica" degli Anni Trenta, nelle esperienze vissute da lui e dai suoi collaboratori in quel periodo,* in molte iniziati ve originali prese allora. Esperienze queste da lui intimamente assimilate ed iniziative che ha saputo ampliare, estendere e trasfe rire nella sua opera successiva, pur mantenen do sempre un occhio vigile alla "fabbrica", nel cui connubio ed integrazione con il terri torio canavesano egli scorgeva l'immagine ideale della "comunità".
Tanto ho voluto ricordare, e non per un discutibile criterio di giustizia commemorativa degli anni della sua formazione, perché
quanti hanno conosciuto più che altro le ope re e le realizzazioni del periodo della sua maturità, si rendano meglio ragione delle radici a cui si deve far risalire la complessa personalità di Olivetti.
Per una ricostruzione storico-critica della figura di A.O. che risulti quale completa mento alla testimonianza diretta resa da chi come Martinoli gli fu accanto fin dai primi anni di impegno in fabbrica, è necessario - secondo Piero Craveri - dare ampio spazio all'esame del soggiorno giovanile di Adriano negli Stati Uniti.
Credo che nella ricostruzione storico critica della figura di Adriano Olivetti grande importanza vada data al suo soggiorno giovanile negli Stati Uniti. Le esperienze di quel soggior no ebbero modo di tradursi in un insieme compiu to di riflessioni ed in seguito anche nella sua attività industriale. Del resto il "mito americano" è, più in generale, proprio il fattore culturale, insieme utopico e realistico, che informa il dibattito politico ed ideologico delle democrazie occidentali negli Anni Venti e Trenta. Forse il paese in cui quel dibattito fu più povero, o almeno più circoscritto, è stato proprio l'Italia. Gli spunti che trovia mo in Gramsci, in Gobetti, nei fratelli Rosselli andrebbero accostati alle riflessioni di Adriano Olivetti. C'è probabilmente in lui il
tentati-vo, che rimane forse circoscritto nella sua esperienza di industriale prima e in quella di animatore di iniziative culturali e politi che p o i , di saldare i due elementi portanti del "mito americano" tra le due guerre, il taylorismo e il fordismo da un lato, il newdeali- smo dall'altro. Tentativo che in modo compiuto è pressoché . assente nella cultura liberale, democratica e socialista, probabilmente fino ad anni assai recenti.
IMPEGNO IMPRENDITORIALE E IMPEGNO POLITICO
Il contributo dato al Convegno da parte di chi si è accostato ad A.O. in qualità di studioso di una storia recente, si intreccia costantemente con le testimonianze dirette di quanti hanno vissuto in prima persona il periodo olivettiano. Sul tema del rapporto tra impegno politico e impegno imprenditoriale interviene Geno Pampaioni.
La contraddizione che sicuramente 1 1 ingegner Adriano non avrebbe accettato è quella che ogni tanto si sente ripetere, la contraddizione tra l'industriale e il politico. Tra le due attività c'era in lui un'integrazione continua direi a livello esistenziale, oltre che a livello teorico. Io ne conservo un'immagine plastica: talvolta il sabato sera, o la domenica mattina, dopo che si era lavorato a qualche testo, a qualche progetto del Movimento Comuni tà, 1 'ingegner Adriano amava passeggiare attra verso i saloni vuoti della fabbrica e parlare del suo progetto politico tra queste presenze mute e vitali delle macchine silenziose. E devo dire non c'è, almeno per me, immagine più suggestiva di quelle passeggiate tra gli oggetti silenziosi della fabbrica, quasi a chiedere ad essi conferma e ideale corrispon denza con la vitalità del progetto politico.
Una delle parole più frequenti che abbiamo sentito in queste giornate è: contraddizione, le contraddizioni di Adriano Olivetti. In
effetti, se ripenso a quella che era la. giornata di lavoro dell'ingegner Adriano così ricca di diversi interessi, così’ piena di incastri, così contraddittoria nel passare dall'uno all'altro argomento, devo ricordare che egli non aveva paura delle contraddizioni. La giornata dell'ingegner Adriano si apriva normalmente con una sorta di sgarro ai Servizi sociali che egli stesso aveva creato e che sosteneva: si apriva con il ricevere un certo numero di persone che chiedevano un supplemento di attenzione da parte sua, pensando di essere stati emarginati nell'esercizio normale delle pratiche di assistenza, di essere stati in qualche modo sfiorati dall'ingiustizia. Adriano Olivetti li ascoltava senza smentire i propri servizi sociali e cercando peraltro di ricondur re i loro casi nell'alveo di una più generale e comprensiva carità. Allo stesso modo gli Affici del personale, che erano organizzati come tutti sanno secondo i criteri più avanzati e scientifici, venivano spesso, in molti casi, in qualche modo contraddetti e corretti dal suo intervento personale, che - ripeto - anche in questo caso non aveva un valore di violazione
m a aveva semplicemente un valore di compensa-zione. La capacità che dirò "compositiva" dell 'ingegner Adriano, la capacità di ridurre all' unità anche le eccezioni, la capacità di fare convivere e lavorare insieme non soltan to persone diverse, ma atteggiamenti, formazio ne culturale, psicologia di persone le più varie, riconducendole a uno stesso finalismo, era eccezionale. Direi che la cosa che chi lo ha conosciuto ricorda con più stupefazione
è proprio la sua capacità di vivere le contrad dizioni ricomponendole. Ciò avveniva anche nel campo squisitamente industriale. Il mercato, lo studio e la conoscenza del mercato sono fatti essenziali nell'industria; e anche qui gli studi dell'organizzazione commerciale della Olivetti, e tutte le più moderne tecnologie della persuasione e dell'organizzazione delle vendite erano raffinatissimi, sofisticati, facevano scuola in Italia; ma 1'ingegner Adria no non esitava ad intervenire personalmente e profondamente nel mercato imponendo 1'imma gine dell'azienda così come egli voleva che fosse. C'era quindi in lui una sorta di conti nua compensazione o ricomposizione della dottrina e dell'intervento personale.
NEGLI STATI UNITI PER LA UNDERWOOD
Ronzo Zorzi rievoca nel suo intervento
un altro soggiorno di Adriano Olivetti negli Stati Uniti quando nel 1955 come presidente della Olivetti sottoscrisse il contratto di acquisto di 45.000 azioni della Underwood ameri cana.
C'è un episodio, nella sua vita, che forse merita di essere raccontato, perché su di esso è stata fatta molta mitologia e si è scritto spesso il contrario del vero. Tornato in Italia, dopo l'acquisto dell'Underwood, che fu salutato dalla stampa mondiale come un colpo assolutamente imprevedibile, e quasi la rivincita di un piccolo paese sconfitto sul potentissimo vincitore, come un nuovo Graecia capta ferum victorem coepit con quel che segue (qualcuno dei più ditirambici si spinse fino a parlare di un piano Marshall alla rovescia, e, come spesso è delle idee paradossali, andò più vicino al vero di quanto potesse immaginare), dall'aeroporto venne direttamente a Milano, in via Manzoni, dove sono, come erano allora, le Edizioni di Comuni tà. Era molto stanco, e stranamente pallido, con una pelle quasi grigia, lui che di solito aveva un colorito roseo, con due inquieti occhi azzurri, che gli facevano un viso quasi fanciul lesco. I giornali erano pieni della notizia dell'acquisto, e su questo argomento, che anche a me pareva un fatto di straordinario
significato, avviai il discorso. Mi guardò senza compiacimento e senza luce di sorriso, come invece gli avveniva quando un discorso 10 eccitava, e poi disse: "Se l'abbiamo compra ta è un puro caso. Il nostro gruppo, arrivato a New York tutto unito, dopo le prime riunioni con la controparte si è diviso in due. Alcuni di noi, diciamo gli avvocati, ed io con loro, siamo rimasti in città per trattare gli aspetti legali dell'affare, gli ingegneri, i tecnici, 11 abbiamo mandati ad Hartford a visitare la fabbrica, con l'intesa che ci avrebbero telefonato il loro parere, permettendoci, se positivo, di firmare il contratto in giorna ta. E questo parere favorevole è venuto nel tardo pomeriggio. Sì, l'affare si poteva fare. E' stato venerdì e firmammo. La mattina dopo, sabato, ho lasciato gli altri e me rie sono andato da solo in stazione a prendere il treno per Hartford. E così l'ho vista. Una fabbrica di mattoni, vecchissima, non me la ricordavo più così, cinque piani tutti a scale, affastel lati l'uno sull'altro. Che impressione terribi le. Avevamo comprato quella fabbrica. Se inve ce di starmene con gli avvocati fossi andato con gli ingegneri, mai e poi mai avrei dato il mio consenso".
Non sorrideva affatto. Una decina d'anni dopo feci anch'io lo stesso percorso. Hartford era in pieno boom aeronautico, con grandi fabbriche di alluminio, splendenti al sole come hangars sfavillanti. La mole del l 'Underwood, dignitosamente decrepita, era là, con tutti i suoi piani di mattoni nerastri, mezzo sepolta sotto un'edera gigantesca che l'avviluppava
come volesse divorarla. La visitai da cima a fondo, i grandi pavimenti di legno consumato e in certi punti sconnesso, le presse gigante sche al terzo piano che non si sapeva come potesse reggere, corridoi e ambulacri misterio si che sparivano nel nulla. A un certo punto esplosero le sirene. Iniziava la prova di allarme, per il caso di incendio, con tutto quel legno. Credo si trattasse di un'esercita zione che si faceva con frequenza abbastanza ravvicinata. E allora da quelle scale dì legno sonore e quasi verticali, si vide precipitarsi verso il cortile una popolazione, che mi parve vecchissima, quasi tremolante, operai e operaie, i più dai capelli bianchi come la neve, pallidi, veloci, nella loro fragilità efficientissimi. Finché il cortile fu pieno di quella popolazio ne paziente che aspettava un nuovo stridio di sirena per risalire quelle scale. Capii che cosa doveva aver provato, egli che sentiva la fabbrica come il luogo di massima dignità umana, ed esigeva che l'architettura la esprimes se. Era ormai morto da qualche anno, ma rividi quella faccia grigiastra, i due ciuffi laterali dei capelli un po' in disordine. Avevo ancora qualche ora prima di riprendere il treno, e la passai nella casa di Mark Twain, una magione straordinaria, fatta come l'interno di una nave, con stanze e saloni tutto come cabine, foderate di legno e ottone, una costru zione affascinante, massiccia, ormai fitta di .ombre. Sono cominciati quel giorno i rimor si? Povero ingegner Adriano, quanti tradimenti.
LA DIMENSIONE RELIGIOSA
Nel cercare di fare chiarezza sui singoli aspetti dell'attività e dell'impegno complesso di Adriano, non si può prescindere - secondo
Geno Pampaioni - dal ricondurre costantemente
ogni singolo tratto nell'ambito di un inequivo cabile quadro di riferimento i cui connotati, pur non sempre uniformemente condivisi, non devono essere ignorati.
Sarebbe ingiusto dimenticare che tut ta la sua azione sia nel campo industriale, sia nel campo dell'urbanistica, nel campo del design, in quello dei servizi sociali, della formazione professionale, e in tutti i settori in cui si è esplicata la sua persona lità così poliedrica e così unitaria, sarebbe ingiusto - dicevo - dimenticare che la sua azione si collocava in un preciso quadro cultu rale al quale il suo disegno faceva continuo riferimento.
Il primo elemento di tale quadro è il momento spirituale: esso si concretava in Olivetti nell'intuizione (che poi è stata acquisita come fondamentale della nostra cul tura), nell'intuizione dell'essenzialità del momento religioso in qualsiasi coscienza laica, la non contraddizione, in uno spirito liberale pluralista, tra i doveri civili che si esprimo no naturalmente nelle forme laiche e l'esperien za interiore, coscienziale, di tipo religioso. Se noi guardiamo il catalogo delle Edizioni
di Comunità, soprattutto nei. primi anni, vedia mo che alla cultura italiana Olivetti ha propo sto Berdiaev, Buber, Soloviev, Simone Weil oltre a Mounier che partecipava sia del momen to religioso sia del momento laico e comunita rio. Direi che il personalismo socialista e cristiano era lo sfondo necessario al Movimento Comunità; e non c'è dubbio che esso costituisca uno dei filoni della cultura italiana che confluiscono in quella che sarà la cultura del Concilio.
Sul significato dell'esperienza religiosa di Adriano torna ad interrogarsi, nel corso del suo intervento, anche Renzo Zorzi.
Si può essere certi che la conversione cattolica di Olivetti non fu un atto si opportu nismo - che sarebbe del resto comprensibile, come la storia del nicodemìsmo ammonisce, perché che dovere di essere leali si ha con un regime che non tollera la lealtà? - né fu una scappatoia legale per sottrarsi alla discriminazione, così come in tempi non ancora sospetti, nei primi Anni Trenta non lo era stato per Camillo la conversione alla chiesa unitaria. Evidentemente c'era qualcosa di religiosamente inquieto nella famiglia. Ma il morso di quel sospetto è sempre rimasto anche se, nella tradizione ebraica, l'ebraismo si trasmette attraverso la madre che, nel suo caso, era una valdese di Torre Pellice.
Qualcuno, parlando di lui, trovava modo di ricordare che, per esempio, Simone Weil, che ora riposa nel cimitero anglicano di Ashford nel duplice segno delle sue due religioni, convertitasi al cattolicesimo, aveva voluto riproclamarsi ebrea e riaffermare formalmente la perduta fede dei padri, quando era comincia ta la caccia all'uomo. In realtà in Olivetti è difficile distinguere troppo sottilmente. Si trovò alla confluenza di queste tre religio ni, in fondo così strettamente legate e presenti in casa e nel proprio ambito sociale, separate da così poco, e oscillò forse dall'una all'al tra non solo in vari momenti della vita, ma a seconda delle tematiche spirituali a cui esse davano risposta. Gli stessi libri che pubblicò, in anni né ecumenici, né conciliari, vedevano insieme Buber, Schweitzer e Maritain, Soloviev, Eliot e Mounier, Simone Weil, Berdiaev e Journet e molti altri, tutti in zona di frontiera, o di incrocio, di una cultura religio sa non da combattimento, ma di dialogo. Eppure il tipo' di consuetudine che egli mostrava con i testi cattolici, anche con testi rari, fuori di ogni catechismo mnemonico o da oratorio, e interpretati con una sottigliezza teologica che non poteva essere d'accatto, rivelano che il messaggio di questa confessione era penetrato molto a fondo. ... Se dunque appartie ne all'esperienza religiosa moderna, con qualche tentazione verso lo spiritualismo esoterico, Olivetti fu tuttavia parte della cultura catto lica, anche se di un cattolicesimo libero, intellettuale, in interiore homine. In quegli anni si diceva alla francese.
Dall'intervento di Ludovico Quaroni.
La stessa, disprezzata "religiosità" di Olivetti, va vista a mio parere come la necessità di trovare anche una dimensione "outre" ai problemi concreti che rappresenta vano la sua vita. Una dimensione capace, proprio perché oltre l'umanità, di ricondurre quei problemi entro la - sfera concreta, ma misteriosa, dell'essere umano, che non può essere ridotto solo alle dimensioni numeriche dell'economia e della sociologia quali si praticano quando, come si dice, si vogliono tenere i piedi per terra.
Quella di Adriano era la religiosità di un vero uomo, di un vero intellettuale, e per questo ha finito per toccare, per dover toccare, insieme alle religioni del genitore e della genitrice, la terza dimensione della religiosità cattolica.
IL RISPETTO PER LE OPINIONI ALTRUI
Dall'intervento dell'arch. Eduardo Vittoria.
Ho conosciuto Adriano Olivetti nel 1951 a Roma grazie a Ludovico Quaroni, che mi spinse a questo incontro che ebbi in due occasioni, nei vecchi locali della Società a Piazza Barbe rini , al 4° piano - mi sembra - sopra il negozio dove c'era l'affresco di Renato Guttuso (nel 1950 una ditta che si permetteva di avere in negozio un Renato Guttuso) e poi a Via della Purificazione. Non mi chiese niente, avemmo un rapporto di curiosità, mi offrì di venire a Ivrea e nell'ottobre del 1951 sono sbarcato qui con un contratto di consulenza che mi impegnava a stare a Ivrea tre settimane al mese.
A quel tempo ero iscritto al Partito Comunista, ma non mi fu chiesta nessuna abiura. Erano gli Anni Cinquanta, gli anni della guerra fredda e stando a Ivrea molte persone che ho visto seguirmi nell'avventura della parteci pazione all'attività di questa società avevano il mio stesso credo politico. A nessuno ho mai visto chiedere un'abiura o un riconoscimento di altre cose nel conformismo della società italiana che non fa che contrattare tessere, cambiare posto un all'altro in funzione di quello che ha ì ‘ legami con Tizio o Caio o Sempronio. E' un indice del coraggio con cui Adriano Olivetti ha sempre risposto alle pressio ni di un potere' esterno, anche non localizzato,