• Non ci sono risultati.

L'esperienza del Canavese, o meglio, le teorie del Movimento si estesero ip alcune "isole" comunitarie in varie parti d'Italia.

Gabriele Panizzi, ingegnere, oggi consigliere

del PSI al Consiglio della Regione Lazio<, porta la testimonianza di uno dei gruppi più attivi, quello di Terracina (Latina), dove tuttora esiste una bellissima Biblioteca comunale che porta il nome di Adriano Olivetti.

Nonostante mi collochi nell'età di mezzo, ero molto giovane quando nel 1954, insieme ad alcuni amici, in una zona del basso Lazio, fui tra coloro che ebbero un approccio ad Adriano Olivetti percepito non per la sua valenza immediatamente appariscente (il manager, l'uomo di fabbrica), ma per la sua valenza politica. La responsabilità di questo approccio l'hanno Umberto Serafini, Giuseppe Motta, Ludovico Quaroni cioè il gruppo di Roma del Movimento Comunità.

L'Ordine politico delle comunità credo sia uno dei testi di scienza politica raramente apparsi, non solo nel nostro paese; esso non può essere stato il frutto degli ozi svizzeri di Adriano dopo che fu costretto a recarsi colà dalle persecuzioni fasciste. Certamente vi era stata una sedimentazione di pensiero causata dal periodo in cui nella fabbrica si andavano manifestando diverse contraddizioni, probabilmente accentuate dal carattere

mistico-religioso proprio dell'ing. Adriano, il quale cercava di esploderle all'esterno; cioè ricercava all'esterno della fabbrica la compensazione di una serie di contraddizioni che il modo moderno di produrre stava provocando o addirit­ tura nell'Olivetti l'organizzazione scientifi­ ca del lavoro aveva già prodotto.

L'Ordine politico delle comunità credo sia il contributo più originale di Adriano Olivetti perché ha carattere di organicità essendo un progetto dello Stato democratico con valenze sociali (mi si consenta, socialista: la prima edizione del '45 porta come sottotitolo "delle garanzie di libertà di uno Stato sociali­ sta", cambiato nell'edizione successiva) e perché ha ancora una carica di attualità che lascia sconcertati: sono ivi affrontati i problemi dello Stato e della sua organizzazione che tenga contemporaneamente conto delle esigenze di rappresentatività democratica e funzionale, non scadendo nella dimensione corporativa che qualche affrettato lettore, imbattendosi nel concetto di ordini politici funzionali, ha voluto attribuirgli. Questi sono argomenti relativi alla crisi delle istituzioni democrati­ che che stiamo attraversando; la proposta dell'Ordine politico delle comunità ha oggi una rilevanza notevole perché è il tentativo di mettere (se volefe in maniera ingegneristica) insieme una serie di esigenze organiche al territorio, all'economia, alla cultura, alla società dandogli una finalità che Adriano Olivetti riassumeva nel concetto di "vivere più felicemente la propria esistenza". Se non lo si legge c'è il rischio di rinserrare

la dimensione olivettiana nella fabbrica che

è il motore, l'inizio di innovazioni e di sviluppi che comunque vi sarebbero stati. (...)

L'Ordine politico delle comunità deve esse­ re riletto, il concetto degli ordini politici funzionali va approfondito, soprattutto nel momento di crisi dei partiti politici. Ricordo, alla fine degli Anni Cinquanta, una lettera di Umberto Serafini ad Adriano Olivetti e ad altri sulla questione se nel l 'Ordine... fossero o no esclusi i partiti. Sosteneva Serafini la non esclusione ma la canalizzazione dei partiti in maniera tale da non assistere alla situazione di squasso nella quale da molti lustri ci troviamo. Queste cose noi cominciammo a studiare nel '54, quando eravamo giovani, insieme ad un altro documento anch'esso assente in questo dibattito. Tempi nuovi metodi nuovi, un aureo libretto di color viola che porta la data del 1953 ed ha come sottotitolo "Dichiarazione politica del Movimento Comunità" firmata da Adriano Olivetti, Ludovico Quaroni, Umberto Serafini, Rigo Innocenti, forse Zorzi, e mi sfuggono altri nomi. La "Dichiarazione politica del Movimento Comunità" (Tempi nuovi metodi nuovi) ha una dimensione politica che sfugge alla riduzione canavesana o di fabbrica o settoriale nella quale si è voluto rinserra­ re il pensiero dell'ing. Adriano. (...)

L'originalità del pensiero olivettiano sta nella sua organicità. In Città dell'uomo vi sono una serie di saggi ove l'ing. Adriano parla di piano organico nell'approccio alla tematica del Mezzogiorno, anch'essa

sottovalu-tata (...) Voglio qui ricordare oltre all'espe­ rienza materana il tentativo di Adriano Olivet­ ti d'impostare la questione meridionale come problema di ordine non soltanto nazionale ma europeo. Nella concezione olivettiana una sorta di sottolineatura che prima ho definito organica ora la definirei, con parole non mie, di federalismo integrale, cioè non soltanto una dimensione federalista politica, come siamo usi dire, ma anche economica.

Questi argomenti sono nella "Dichiarazione

politica" del 1953. Anche ad essi è necessario riferirsi per una giusta comprensione del pensiero politico di Adriano Olivetti che appunto non può essere rinserrato nella somma di determinate attività e di determinati interes­ si (industriali, culturali, politici) che hanno caratterizzato la sua vita; vi è una organicità di pensiero e di approccio a queste tematiche che naturalmente deve essere riguardata in ordine ai vincoli politici, economici e culturali che caratterizzavano il periodo particolare degli Anni Cinquanta.

Ad esempio, per quanto riguarda il Mezzogior­ no, se non si cita La via del Sud di Riccardo Musatti forse si perde la rilevanza che nel pensiero politico di Olivetti ha avuto la questione meridionale, non riducibile - come ho detto - all'esperienza materana oppure alla fabbrica di Pozzuoli.

Vi sono altre esperienze comunitarie di Adriano Olivetti fuori del Canavese oltre quella materana: ad esempio nell'area laziale, il ricordato gruppo di Roma che aveva sede in Via di Porta Pinciana, forse in quello

stesso edificio dove era stato Giovanni Amendola nei primi Anni Venti ; 1'esperienza toscana della Valdera dove si stampava "L'informatore sociale della Valdera"; l'esperienza della zona pontina, dove si stampò "Il comunitario del Basso Lazio".

Come militante del Movimento Comunità ho partecipato alle elezioni in alcuni centri del Lazio nel 1956 (non avevo ancora l'età per essere nelle liste elettorali) e nel 1958; ho sofferto l'esperienza della trasformazione di Comunità da Movimento metapolitico in partito; ho combattuto battaglie che hanno lasciato segni che abbiamo custodito gelosamente (sono militante socialista, membro della Giunta regio­ nale del Lazio, quindi non ho dubbi sulle mie collocazioni politiche ma proprio per questo abbiamo cercato di custodire gelosamente quei segni), abbiamo voluto mantenere nonostante la milizia nella sinistra storica e tradiziona­ le^ del nostro paese proprio per voler sottoli­ neare l'insufficienza della sinistra storica di fronte ad una serie di temi propri della società contemporanea e non solo quelli della fabbrica. Olivetti parte dalla fabbrica ma si rende conto che il superamento delle contrad­ dizioni non sta nella fabbrica come a volte una cultura tardo cattolica o con altri connotati indugia a fare.

Il problema urbanistico è assente nella sinistra del nostro paese fino agli anni in cui quasi tutti i buoi erano usciti dalla stalla. La consapevolezza del ruolo della cultura (il rapporto tra politica e cultura) generalmente è stato mistificato o avvilito da parte delle forze di sinistra.