Gino Martinoli, ingegnere, compagno di
studi e di esperienze di Adriano Olivetti parla degli anni della sua formazione.
Il professor Musatti ha ricordato di aver avuto i -suoi . primi contatti con Adriano Olivetti nel 1942; i miei risalgono ad oltre venti anni prima. Eravamo compagni di scuola al Politecnico di Torino, e pressoché insieme siamo entrati nella fabbrica di suo padre nel 1924. Non a caso rivendico questa priorità, perché gli anni dal '20 al '40 furono quelli della sua formazione sul lavoro ed al lavoro; quella formazione che ha contribuito a farne, oltre che un grande imprenditore industriale, un imprenditore sociale e culturale, un urbani sta, un uomo politico, e soprattutto un innova tore audace in ogni ramo di attività in cui si è impegnato.
Alla sua formazione mi sembra abbiano concorso principalmente tre fattori: la famiglia, il Canavese e la "fabbrica". All'influenza che ha avuto su di lui "la fabbrica" per antono masia che è la Olivetti, vorrei accennare oggi come chiave all'interpretazione di una personalità tanto complessa e multiforme come la sua.
Oggi è " difficile , immaginare l'aspetto di un'officina meccanica degli Anni Venti, quella in cui entrammo in qualità di operai, al seguito di Adriano: Pomella, Bersano, Zanetti
ed il sottoscritto, suo compagno d'armi e di. montagna. Nelle officine di allora, spesso tetre, un po' sporche, fumose e maleodoranti, dominate dal rumore delle trasmissioni che rotavano sul capo, regnavano incontrastati gli operai; infatti anche i capi - d'officina e di reparto - provenivano dai quadri operai. E dell'operaio conservavano la mentalità, ne mantenevano il fondo culturale. La loro estrazione sociale, insieme all'autorità derivan te da un'esperienza acquisita sul lavoro, semplificava, in parte almeno, i problemi insiti nel rapporto fra datore di lavoro e maestranze. Questi capi, insieme agli "attrez zisti" - la crema della classe operaia -, si dismostravano molto seri e scrupolosi, rigorosi verso se stessi e verso gli altri; avevano uno spiccato senso delle responsabilità di cui si sentivano investiti, e mantenevano nella fabbrica una disciplina sostanziale, che verrebbe considerata dura, inaccettabile oggi; essa suppliva forse alla mancanza di una organizzazione formale rigida.
La Olivetti, nel 1924, oltre all'ingegner Camillo, contava due soli ingegneri - Modigliani e Mariotti - adibiti pressoché esclusivamente ai calcoli, ai progetti, ai disegni. Raramente essi varcavano la porta che separava gli uffici e l'officina, per consegnare ai capì, con poche sommarie istruzioni, le copie cianografate dei disegni da realizzare.
Nel 1924, Adriano e noi con lui, appena laureati, entrammo nell'azienda dalla porta dell'officina, come apprendisti operai e venimmo a contatto diretto con le maestranze della
prima generazione, con i primi collaboratori che 1'ingegner Camillo aveva reclutato in questa terra canavesana. I Burzio, i Prelle, i Ruffino, i Trompetto, i Ganio, i Giglio- Tos, i Limone, i Moia, i Grassis, i Fornero, i Burbatti, i Bravo, i Quaccia, i Guglielmo, i Ghiringhello, i Cappellano, costituivano una compagine preziosa per un'industria allo stato nascente. Compagine piena di valori morali, di slancio, d'impegno, di dedizione, magari un po' isolata e poco permeabile ai fermenti del mondo del lavoro; mondo che allora stava ancora tentativamente cercando le sue vie, sia come organizzazione, sia come consapevo lezza dei propri diritti nei confronti della società e del padronato.
La preparazione politica e sociale, oltre a quella tecnica specifica, che Adriano aveva assimilato negli anni del Politecnico, e quella maturata al contatto con la realtà dell'offici na, gli fecero intuire assai presto i lati positivi e quelli negativi di un ambiente già allora forse un po' fuori del tempo. Succes sivamente una lunga permanenza in USA gli consentì di assimilare i risultati di esperien ze industriali più avanzate di quelle italiane ed eporediesi, non tanto sul piano tecnologico, quanto su quello dell'organizzazione del lavoro. Egli ben comprese la necessità di rinnovare le strutture dell'azienda del padre, pur condi videndo la sua convinzione di non dover alterare il delicato equilibrio sul piano umano stabili tosi con le maestranze. I neo-ingegneri, finito l'apprendistato alla forgia, al tornio, alla fresa, al banco, dove si erano impegnati in
mansioni non previste nei curricula di studio del Politecnico, si diedero con entusiasmo a diffondere- nella fabbrica le concezioni importate da Adriano dagli Stati Uniti, dopo averle filtrate ed adattate all'ambiente socia le nostrano.
L'estrazione borghese, il diverso livello culturale non ci crearono. grosse difficoltà con i capi e con gli operai, coscienti questi di una propria preminenza come destrezza ed abilità manuale. Familiarizzati con l'ambien te e sulla scia del nuovo "verbo", cercammo di sostituire all'empirismo, sia pure intelli gente; che dominava la cultura della fabbrica di. allora, una razionalità spinta e quanto di sistematico ci sembrava di dover apportare alle operazioni meccaniche, ai cicli di lavora zione, al disegno ed alla costruzione del prodotto, e a quella degli attrezzi e delle macchine speciali con cui fabbricarne le parti.
Una impostazione alle volte troppo rigorosa del nostro modo di affrontare i problemi causò qualche errore. Gli stampi, le maschere, gli attrezzi disegnati a tavolino secondo norme rigide, in alcuni casi, si rivelarono meno efficienti dei "chiodi" ideati e costruiti dai praticoni, il cui solido buon senso ed una lunga esperienza compensavano la loro scarsa preparazione scolastica. La guida oculata e la sensibilità di Adriano valsero ad attutire qualche piccolo contrasto con la "vecchia guardia". L'innesto sul vecchio ceppo effettuato fra il '24 ed il '40, di una concezio ne sistematica, razionale dei problemi tecno logici e di quelli organizzativi, si dimostrò
fecondo. In particolare ricordo il clima di fer vore sul lavoro e di impegno innovativo - si doveva aumentare la produzione, introdurre nuovi prodotti, spingere 1'esportazione , - che dominava l'ambiente della "ditta" in quegli anni. Il nuovo equilibrio tecnico-organizzativo che si cercava di stabilire, puntava sulla "qualità".
I termini "accuratezza e precisione" non s'intendevano limitati alla perfezione delle operazioni meccaniche - di cui forse l'uso della "genevoise", la macchina a traccia re di altissima precisione, costituiva il simbolo - ma estesi ad ogni azione tecnica, commerciale, amministrativa, organizzativa del lavoro quotidiano. La preoccupazione di Adriano di salvaguardare per quanto possibile il vecchio clima sociale, la natura dei primiti vi rapporti col personale, sviluppava nei confronti di questo una politica tendente a razionalizzarli e ad istituzionalizzarli, salvaguardando tutta la carica umana da cui erano stati improntati sin dall'origine; seme di quella componente sociale che doveva rivesti re tutta l'attività successiva di Adriano Olivetti.
Molti altri laureati entrarono nella Olivetti negli Anni Trenta: Maritano, Jervis, Vercellone, Rozzi, Trossarelli, Borello, Sanvene- ro, Magnelli, Enriques, Galassi, Monti, Peyret- ti, Foà, Polese, Levi Riccardo, Levi Cavalieri, Luzzatti, Peroni, ed altri i cui nomi ora mi sfuggono e me ne scuso con loro. Importa qui rilevare come l'insieme di coloro che, laureati o meno, di nuova o vecchia estrazione,
componevano la Olivetti in quell'ormai lontano periodo, possedeva una forte carica vitale e come tale esercitava una profonda influenza anche morale su quanti mano a mano vi affluiva no e ne arricchivano i ranghi. Carica cui ognuno portava un suo contributo, che si riverbe rava su tutti gli altri, con un effetto di risonanza notevolissimo.
Questa fiamma coinvolse lo stesso Adriano, che ne era stato il principale artefice. Il rigore legato al concetto di elevata qualità nei prodotti, ma anche nei rapporti sia con il mondo esterno, sia con quello interno, col personale, lo spirito di lealtà e di fiducia reciproca che caratterizzano tutta l'opera di Adriano, si sono certamente rafforzati in modo potente in lui in quegli anni, in virtù di quel clima.
Gli ideali, di cui Adriano si è fatto propugnatore nella sua maturità, trovano la loro origine prima e più profonda, a mio avviso, nel clima della "fabbrica" degli Anni Trenta, nelle esperienze vissute da lui e dai suoi collaboratori in quel periodo,* in molte iniziati ve originali prese allora. Esperienze queste da lui intimamente assimilate ed iniziative che ha saputo ampliare, estendere e trasfe rire nella sua opera successiva, pur mantenen do sempre un occhio vigile alla "fabbrica", nel cui connubio ed integrazione con il terri torio canavesano egli scorgeva l'immagine ideale della "comunità".
Tanto ho voluto ricordare, e non per un discutibile criterio di giustizia commemorativa degli anni della sua formazione, perché
quanti hanno conosciuto più che altro le ope re e le realizzazioni del periodo della sua maturità, si rendano meglio ragione delle radici a cui si deve far risalire la complessa personalità di Olivetti.
Per una ricostruzione storico-critica della figura di A.O. che risulti quale completa mento alla testimonianza diretta resa da chi come Martinoli gli fu accanto fin dai primi anni di impegno in fabbrica, è necessario - secondo Piero Craveri - dare ampio spazio all'esame del soggiorno giovanile di Adriano negli Stati Uniti.
Credo che nella ricostruzione storico critica della figura di Adriano Olivetti grande importanza vada data al suo soggiorno giovanile negli Stati Uniti. Le esperienze di quel soggior no ebbero modo di tradursi in un insieme compiu to di riflessioni ed in seguito anche nella sua attività industriale. Del resto il "mito americano" è, più in generale, proprio il fattore culturale, insieme utopico e realistico, che informa il dibattito politico ed ideologico delle democrazie occidentali negli Anni Venti e Trenta. Forse il paese in cui quel dibattito fu più povero, o almeno più circoscritto, è stato proprio l'Italia. Gli spunti che trovia mo in Gramsci, in Gobetti, nei fratelli Rosselli andrebbero accostati alle riflessioni di Adriano Olivetti. C'è probabilmente in lui il
tentati-vo, che rimane forse circoscritto nella sua esperienza di industriale prima e in quella di animatore di iniziative culturali e politi che p o i , di saldare i due elementi portanti del "mito americano" tra le due guerre, il taylorismo e il fordismo da un lato, il newdeali- smo dall'altro. Tentativo che in modo compiuto è pressoché . assente nella cultura liberale, democratica e socialista, probabilmente fino ad anni assai recenti.