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Nel 1955 prendeva il via quello che per Adriano Olivetti doveva essere un esperimento pilota da inserire nell'ambito di un più ambi­

zioso progetto di riforma del sistema delle

autonomie locali fondato sul decentramento

comunitario : nasceva la Lega dei Comuni del

Canavese. Ricostruisce i presupposti dell'inizia­ tiva Augusto Todisco.

Negli Anni Cinquanta, i comuni del Canavese erano privi di capacità funzionale e di autono­ mia finanziaria. Le entrate comunali tributarie annue per abitante erano nel 90% dei casi inferiori alla media nazionale (7 mila lire annue); inesistenti gli introiti da beni patri­ moniali. il 95% dei comuni canavesani aveva, nell'anno 1955, un bilancio irrisorio, impegnato dal 70 al 90% nelle spese generali, pulizia locale, sanità, igiene. Il livello delle infra­ strutture pubbliche era inadeguato, soprattutto nei comuni montani, ove si toccavano i limiti della più sconcertante disorganizzazione civi­ le.

Cause specifiche avevano concorso a determi­ nare questa situazione. Prevalenti anche nel Canavese erano però le cause generali che condizionavano l'intero ordinamento territo­ riale e la vita dei comuni in Italia: la mancan­ za di uno spazio vitale organizzabile per il piccolo comune oppure la vastità incontrol­ labile del territorio delle grandi città;

1'inadeguatezza delle strutture amministrati­ ve (...); occorreva una nuova dimensione del governo locale coincidente con una circoscri­ zione amministrativa comunitaria, entro la quale si sarebbe potuto instaurare un decentra­ mento organico concepito in funzione della persona umana, in un quadro di armonia con la natura.

Fu da queste considerazioni che Adriano Olivetti, nell'anno 1955, prese l'avvio per rivolgere ai sindaci del Canavese, senza distin­ zioni politiche, l'invito a dare vita ad una associazione che ai principi di un moderno autonomismo potesse ispirare la propria attività.

Nacque cosi la Lega dei Comuni del Canavese che per oltre nove anni s'impegnò a coordinare le attività comunali su scala comunitaria, a qualificare, dal punto di vista tecnico, l'azione amministrativa, a rafforzare i vincoli di solidarietà tra i comuni del Canavese perché attraverso un comune sforzo potessero trovare soluzione problemi che altrimenti sarebbero rimasti insoluti.

Il proposito di sperimentare concretamente una struttura istituzionale del governo loca­ le dimensionata su scala comunitaria, urtò pregiudizialmente contro non poche difficoltà.

I limiti della legislazione esistenti erano pressoché insuperabili. Gli istituti di cooperazione intercomunale disciplinati dall'ordinamento del tempo erano insufficienti e inadeguati. Fu così che, dovendosi procedere all'articolazione di uno sforzo collettivo tra i comuni canavesani si pensò alla formula dell'associazione priva di personalità giuridi­

ca, sostenuta dalla volontà dei soci aderenti, strutturata secondo ordini deliberanti, esecu­ tivi e rappresentativi.

La Lega nacque così come "associazione", nel corso di una assise dei sindaci canavesani che fissarono i fini da perseguire, approvarono lo statuto, elessero gli organi. Su questo presupposto volontaristico si inserì, formal­ mente, un elemento di carattere pubblicistico.

L'adesione, infatti, all'associazione era deliberata dal Consiglio Comunale, diveniva operativa solo dopo che fosse intervenuta l'approvazione dell'autorità tutoria; poteva essere revocata o riconfermata dopo il rinnovo dei consigli comunali.

Il complesso "iter" procedurale che, per l'appunto, presentava caratteri volonta­ ristici e pubblicistici, conferiva alla scelta del comune aderente un valore democratico e costituiva un presupposto garantista per la vita interna dell'associazione che, come tale, era esposta ad un periodico atto di verifica "esterna" dei suoi fini e metodi di azione.

I fini che Lega doveva perseguire erano nei dettagli precisati nello Statuto.

A volerli sintetizzare, può dirsi che essi esprimevano l'esigenza di un coordinamento dell'azione amministrativa in vista di una politica di sviluppo a livello della comunità locale. Un'esigenza di coordinamento che richiedeva di poter essere soddisfatta con una programmazione, istituzionalmente articolata e tale da impegnare sul piano operativo forze democratiche, competenze tecniche, ordini

culturali.

Sorsero così i servizi tecnici della Lega dei Comuni, rappresentati da un'équipe di tecnici al servizio della Lega.

La metodologia adottata, fu del tutto "empirica" essendosi rivelata pressoché impossi­ bile una pianificazione "organica" ispirata a rigorose metodologie scientifiche, data l'urgenza dei bisogni e la precarietà degli strumenti.

Costante preoccupazione fu quella di non infrenare lo slancio, il dinamismo, la volontà di fare e l'autonoma capacità organiz­ zativa degli organismi consiliari con operazio­ ni di sapore tecnocratico.

Si rese così possibile configurare e condurre a termine un primo "ciclo" di program­ mazione nell'attività dei comuni aderenti alla Lega, che grosso modo coincise con il periodo 1955-1964. Esso ha consentito di dotare il maggior numero possibile di comuni di una rete di infrastrutture primarie.

In 41 comuni amministrati dai gruppi consigliari comunitari (con esclusione di Ivrea), alla fine del quadriennio 1956-60, il totale degli investimenti effettuati per opere pubbliche ammontava a L. 1.766.750.715 con una media per comune di L. 43.099.480. (...) La spesa pubblica per abitante passò da meno di 5 mila lire a oltre 40 mila lire per abitante, mediante una politica di ottimiz­ zazione delle risorse tributarie e dei mutui ordinari.

Le ragioni dell'incremento della spesa pubblica furono diverse e molteplici. Concor­

sero, innantitutto, ragioni di politica genera­ le di sviluppo e di maggiore operatività delle provvidenze legislative. Vi furono, però, anche motivazioni più particolari che vanno- ricercate nel superiore livello di efficienza tecnica raggiunto da molti dei comuni associa­ ti, nell'accorto utilizzo degli strumenti consortili, nel grado complessivo della pressione politica esercitata sui poteri locali da un'opi­ nione pubblica più vigile ed attenta.

Al di là però di questi risultati, qualcosa di più duraturo è maturato nella coscienza dei canavesani: innanzitutto un più approfondi­ to interesse per la vita dei comuni. Un interesse vigile e critico che ha permesso di individuare alcune esigenze di ristrutturazione democratica della vita interna delle istituzioni locali, di riqualificazione programmatica dell'impegno di governo locale, di rinnovamento metodologi­ co, di riconsiderazione degli obiettivi comuni da conseguire e delle forze morali e politiche da mobilitare intorno ad una prospettiva di sviluppo organico della Comunità del Canavese.

UN ESEMPIO DI GOVERNO DEL TERRITORIO

Alla valorizzazione di un'autonomia funziona­ le dei poteri locali, intrapresa con la creazio­ ne della Lega dei Comuni del Canavese, si annodavano i punti focali della politica economi­ ca comunitaria degli Anni Cinquanta: lotta alla disoccupazione, decentramento delle inizia­ tive industriali, modernizzazione dell'agricol­ tura per limitare 1 'esodo dalle campagne.

Identificando nell'organizzazione decentrata del territorio il mezzo per attuare una forma di pianificazione, Adriano Olivetti andava formulando, in anni difficili, una strategia di riequilibrio territoriale. Contribuisce a dare una valutazione globale dell'esperienza canavesana di governo del territorio Geno Pampaioni.

Il momento cruciale, il momento decisivo per Comunità è stato il 1952, quando la crisi che minacciava molte aree industriali italiane e piemontesi lambì anche la Olivetti e si parlò di licenziamenti, di blocco delle assun­ zioni e di misure restrittive. L 'ingegner Adriano visse con molta intensità, sofferenza e passione questo momento: egli era circondato in fabbrica da persone, come si dice, di buon senso che gli consigliavano prudenza; ma il suo antimaltusianesimo sociale e industriale (anche questa è una delle caratteristiche fondamentali) lo spinse a rovesciare la situa­ zione attraverso vari accorgimenti di tipo