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3 PATOLOGIA TIROIDEA

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3 PATOLOGIA TIROIDEA

La funzionalità tiroidea nel feto e nel neonato può essere alterata durante la gravidanza manifestandosi come un quadro di ipotiroidismo o di tireotossicosi.

Molte sostanze passano facilmente la barriera placentare e possono modificare la funzionalità tiroidea fetale: farmaci antitiroidei come il propiltiuracile o il metimazolo, anticorpi anti-recettore del TSH con azione stimolante (TSAb) o con azione bloccante (TSHBAb).

Le immunoglobuline G (IgG) della madre cominciano ad attraversare la placenta in quantità apprezzabile dalla 22° settimana di gestazione e alla 30° settimana raggiungono nel sangue fetale livelli simili a quelli del sangue materno. Gli anticorpi materni diretti contro il recettore del TSH (TRAb), dopo aver attraversato la placenta, possono alterare la funzione tiroidea del feto e, più frequentemente, del neonato. Il passaggio transplacentare dei TRAb è quindi responsabile di casi di ipertiroidismo o ipotiroidismo fetale-neonatale transitorio in bambini di madri affette da tireopatie autoimmuni (morbo di Basedow o tiroidite autoimmune). La natura transitoria della disfunzione tiroidea neonatale è legata alla progressiva eliminazione dell’anticorpo materno dal sangue del neonato.

Il tipo di disfunzione tiroidea nel feto e nel neonato non dipende dallo stato tiroideo della madre, ma dall’attività biologica dell’anticorpo materno che può essere tireostimolante (TSAb) o bloccante l’azione del TSH (TSHBAb). Alcune madri presentano nel siero sia TSAb che TSHBAb; in questo caso saranno le rispettive concentrazioni, affinità e velocità di clearance metabolica dei due autoanticorpi a determinare la comparsa di ipertiroidismo, ipotiroidismo o ambedue i quadri in successione nel neonato.

Un ritardo nella diagnosi e nel trattamento di tali affezioni può comportare conseguenze gravi e danni irreversibili.

3.1 Ipotiroidismo neonatale

L’ipotiroidismo congenito (IC) è una delle più comuni endocrinopatie dell’età infantile. È una condizione morbosa caratterizzata da un rallentamento generale delle funzioni metaboliche per insufficiente azione degli ormoni tiroidei sui tessuti. Nella maggior parte dei casi è dovuto

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a deficit di produzione da parte della tiroide, solo raramente è conseguenza di un ridotto effetto degli ormoni tiroidei sui tessuti periferici.

L’incidenza dell’ipotiroidismo congenito rilevata allo screening neonatale è di 1 caso su 3200 nati e colpisce con la medesima incidenza tra neonati a termine e quelli pretermine. È la causa più frequente di ritardo mentale prevenibile mediante tempestiva diagnosi e terapia.

Le cause di ipotiroidismo in età neonatale sono numerose e per la maggior parte sono responsabili di ipotiroidismo permanente, altre, invece, provocano un ipotiroidismo transitorio.

• L’ipotiroidismo permanente può essere distinto in:

 Primario (90% dei casi), conseguente a disgenesia tiroidea (aplasia,

ipoplasia,ectopia) o a difetti dell’ormonogenesi o a danneggiamento della ghiandola, per passaggio transplacentare di farmaci, iodio radioattivo, virus o anticorpi antitiroide;

 Secondario, per deficit di TSH (isolato o associato ad altre tropine);  Terziario, per deficit di TRH (isolato o associato ad altri releasing factor);

 Da resistenza periferica agli ormoni tiroidei, per difetto genetico dei recettori (S.di

Di Refetoff).

• L’ipotiroidismo transitorio, caratterizzato da alterazioni della funzione tiroidea che si normalizzano nell’ambito di qualche settimana, indipendentemente dalla terapia, si riscontra nel 10% dei neonati con ipotiroidismo congenito diagnosticati allo screening. Tra le possibili cause ricordiamo:

 Ipertireotropinemia transitoria, da ritardata maturazione del feed-back delle

iodotironine sull’ipofisi;

 Ipotiroxinemia neonatale nel neonato pretermine e/o di basso peso, che interessa il

50% dei soggetti nati pretermine, per difetto di maturazione dell’asse ipotalamo-ipofisario;

 Carenza di iodio, che gioca un ruolo importante soprattutto nel neonato

pretermine, a causa del ridotto intake di iodio soprattutto nelle prime settimane di vita;

 Passaggio transplacentare di farmaci o di anticorpi antitiroide;

 Condizioni di sofferenza perinatale, soprattutto nei neonati pretermine di basso

peso e in quelli con problemi postnatali (asfissia, distress respiratorio), nei quali prevale la produzione di riverse T3 per una lenta maturazione del sistema di monodeiodinazione della T4.

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Nei paesi a sufficiente apporto iodico, come il Nord America, l’ipotiroidismo congenito transitorio è raro, ed è causato principalmente dai farmaci antitiroidei (tionamidi) somministrati alla madre, dalla esposizione a un eccesso di iodio nella vita fetale o perinatale, o dal passaggio transplacentare di anticorpi materni diretti contro il recettore del TSH con attività bloccante il TSH (TSHBAb).

Nelle popolazioni esposte a carenza iodica grave l’ipotiroidismo congenito transitorio è più frequente e può interessare il 10% dei nati vivi. L’ipotiroidismo secondario o terziario è invece molto raro. L’eventuale riscontro di anticorpi antiperossidasi (TPO) anti-tireoglobulina (Tg) non deve destare preoccupazione alcuna dal momento che il loro passaggio transplacentare non influenza la funzionalità tiroidea del feto e del neonato.

3.1.1 Manifestazioni cliniche

I segni dell’ipotiroidismo intrauterino sono spesso rappresentati soltanto dall’aumentata concentrazione del TSH e dalle basse concentrazioni della T4 nel siero. Meno del 5% dei neonati ipotiroidei presenta segni alla nascita: i segni classici si sviluppano dopo le prime settimane o i primi mesi di vita extrauterina. L’assenza di segni e sintomi nella maggioranza dei neonati è in parte legata al passaggio di ormoni tiroidei materni nel circolo fetale che sono sufficienti per prevenire la maggior parte delle manifestazioni cliniche della deficienza tiroidea nel periodo neonatale.

E’ presente ittero fisiologico che si prolunga al di là del 15° giorno di vita (ittero prolungato), per un ritardo nella maturazione dell’enzima glicuronil-transferasi. Le fontanelle anteriore e posteriore sono ampie.

Il neonato ha poco appetito, è sonnolento, pigro, ipotonico, risponde poco agli stimoli; la lingua è grossa e spesso protude dalle labbra (macroglossia). L’addome è batriaciano e l’ernia ombelicale è molto evidente e ampia. Vi è spesso ritardata emissione di meconio e costipazione. La temperatura è bassa , a 35°C, e la pelle è fredda, secca e marezzata.

Il mixedema può essere presente fin dai primi giorni di vita a livello dei genitali e degli arti inferiori. E’ spesso presente cardiomegalia e sono udibili rumori di soffio. Il neonato è bradicardico e ipoteso.

Se non riconosciuti e trattati, questi segni e sintomi progrediscono e portano nei mesi successivi a un evidente ritardo mentale e a uno sviluppo disarmonico del corpo.

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La circonferenza cranica è aumentata, la fontanella anteriore è ampia e la posteriore ancora aperta a qualche mese di vita. Gli occhi appaiono distanti e il naso è a sella. La rima oculare è ristretta e le palpebre edematose.

I capelli sono radi e fragili con inserzione molto bassa a livello della fronte. La muscolatura è in generale ipotrofica. Sta a sedere in ritardo e cammina in ritardo; è in ritardo anche per tutti gli appuntamenti della vita di relazione.

L’ipotiroidismo congenito con gozzo è abbastanza raro: in meno del 5% dei casi. La presenza del gozzo suggerisce l’esistenza di un errore congenito del metabolismo degli ormoni tiroidei o è dovuto al passaggio transplacentare di farmaci antitiroidei.

3.1.2 Ipotiroidismo da anticorpi materni bloccanti l’azione del TSH

Il trasferimento dalla madre al feto di anticorpi anti-recettore del TSH dotati di effetto bloccante l’azione della tireotropina sulla cellula tiroidea (TSHBAb) è responsabile di casi di ipotiroidismo congenito transitorio in neonati di madri affette da tireopatia autoimmune. Si stima che il 2% circa degli ipotiroidei congeniti (1/4.000 nati vivi) abbia un ipotiroidismo congenito transitorio da passaggio transplacentare di TSHBAb materne. Nella quasi totalità dei casi la madre ha una tiroidite autoimmune atrofica ed è ipotiroidea o è in terapia con L-tiroxina. In queste gestanti il rilievo di anticorpi diretti contro il recettore del TSH può far prevedere il rischio di ipotiroidismo congenito transitorio nel neonato.

Come regola pratica tutte le gestanti con ipotiroidismo autoimmune che hanno TRAb chiaramente dosabili dovrebbero essere considerate a rischio. Per distinguere la natura della patologia è necessario effettuare l’esame in coltura. Nei neonati ipotiroidei che hanno una

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madre con tiroidite autoimmune il rilievo di TRAb nel siero consente di confermare il meccanismo eziopatogenetico dell’ipofunzione tiroidea e far prevedere la sua natura transitoria.

L’ipotiroidismo provocato dal passaggio transplacentare dei TSHBAb, a differenza di quello causato da agenesia, si sviluppa di solito nelle ultime settimane della gestazione.

Pertanto, sebbene sia possibile una diagnosi in utero, è accettabile attendere fino alla nascita per confermare la diagnosi e iniziare la terapia. E’invece assolutamente necessario rendere la madre eutiroidea durante la gravidanza per evitare le complicanze sullo sviluppo cerebrale. Nella madre è quindi necessario un trattamento sostitutivo con L-tiroxina; studi indicano che nelle gravide ipotiroidee da tiroidite autoimmune la dose sostitutiva di L-tiroxina è 1,9 µg/Kg/die. Per le pazienti che sono già in terapia sostitutiva prima della gravidanza, la richiesta di tiroxina aumenta durante la gestazione: l’aumento medio della dose di L-tiroxina necessario per mantenere il TSH nella norma è di circa il 25% (28 µg/die).

3.1.2.1 Diagnosi e terapia

La precocità della diagnosi e della terapia nel periodo neonatale sono essenziali per assicurare una buona prognosi neurologica. Nei casi sospetti è necessario richiedere alla nascita il dosaggio del TSH e della T4 sul sangue del cordone senza aspettare la risposta dello screening neonatale dell’ipotiroidismo. Nel centro di Pisa, per i neonati a termine il cut-off del TSH nei primi 2-3 giorni è 15 µg/dl. Nei casi in cui i valori siano superiori, i neonati verranno richiamati per ulteriori controlli.

Indipendentemente dalla presenza delle manifestazioni cliniche dell’ipotiroidismo, che sono rare alla nascita, una T4 bassa e un TSH elevato nel sangue del cordone confermano la diagnosi.

Nei bambini a rischio per ipotiroidismo neonatale da TSHBAb, ma con risultati sul sangue del cordone non dirimenti, è consigliabile ripetere un profilo ormonale tiroideo nella prima settimana di vita. Se la malattia della madre non era nota durante la gravidanza e l’ipotiroidismo del neonato non era stato sospettato, la diagnosi verrà posta in base ai risultati dello screening neonatale che viene ormai effettuato in tutta Italia. I campioni ematici per lo screening neonatale dell’ipotiroidismo vengono prelevati al 3°-5°giorno di vita e la risposta è di solito disponibile entro 1-2 settimane.

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Nei bambini con ipotiroidismo congenito non è sempre necessario eseguire una scintigrafia tiroidea nel periodo neonatale per accertare la causa dell’ipofunzione ghiandolare, soprattutto se l’esecuzione di questo esame dovesse ritardare l’inizio della terapia. Questo consiglio è ancora più valido nei neonati ipotiroidei da TSHBAb materni, poiché questi anticorpi, bloccando la captazione tiroidea del radioiodio o del tecnezio stimolate dal TSH, possono negativizzare la scintigrafia e portare a una falsa diagnosi di agenesia tiroidea.

Il trattamento sostitutivo con L-tiroxina deve essere iniziato con rapidità e a dosi piene in quanto l’ipotiroidismo neonatale, seppur transitorio, può compromettere irreversibilmente lo sviluppo neurologico e mentale del bambino.

Sebbene la vita media dei TSHBAb nel sangue del neonato sia stimata intorno a 2-4 settimane, è preferibile continuare la terapia sostitutiva con Ltiroxina almeno fino al compimento del primo anno di vita. Si eviterà così ogni rischio per lo sviluppo del sistema nervoso del bambino nel periodo più critico.

Dopo l’anno di vita la L-tiroxina può essere ridotta gradualmente fino alla completa sospensione, controllando periodicamente i livelli del TSH sierico che dovranno mantenersi nella norma. Dopo 30- 40 giorni dalla sospensione della terapia si dovrà ripetere il dosaggio del TSH e degli ormoni tiroidei liberi per confermare lo stato di eutiroidismo.

E’ bene sottolineare che i TSAb possono essere anche presenti nel latte materno ma sono privi di significato clinico ed il loro riscontro nel latte non costituisce pertanto una controindicazione all’allattamento al seno.

3.1.3 Ipotiroidismo da terapia antitiroidea materna

Il passaggio transplacentare di tionamidi (propiltiouracile e metimazolo)somministrate in dose eccessiva ad una madre ipertiroidea può provocare ipotiroidismo e gozzo nel feto e/o nel neonato.

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3.1.3.1 Ipotiroidismo da tionamidi nel feto e nel neonato

Il rilievo all’ecografia di routine della presenza di un gozzo nel feto può far sospettare questa condizione. Un gozzo fetale di grandi dimensioni può causare iperestensione del collo con conseguente presentazione patologica al momento del parto e possibile trauma fetale. Gozzi di grandi dimensioni possono anche comprimere la trachea e provocare asfissia e morte nel neonato. Alcuni feti ipotiroidei sono bradicardici o presentano un ritardo della maturazione scheletrica. Il dosaggio della FT4 e del TSH nel siero fetale ottenuto mediante funicolocentesi è il sistema più attendibile per giudicare la funzione tiroidea fetale. La valutazione dello stato tiroideo fetale nel sangue del funicolo è particolarmente utile nei feti di madri basedowiane trattate con tionamidi che presentano un gozzo alla ecografia. In questa condizione clinica si pone infatti il problema di differenziare il gozzo causato dal passaggio transplacentare di TSAb (e quindi associato ad ipertiroidismo) da quello causato da un eccesso di tionamidi (e quindi associato a ipotiroidismo).

La terapia dell’ipotiroidismo fetale prodotto da un eccesso di tionamidi richiede in prima istanza il rapido aggiustamento della terapia antitiroidea della madre che deve essere ridotta alla dose minima che consente di mantenere la FT4 materna ai limiti alti della norma o leggermente superiore. In alcuni casi è stata attuata con successo la terapia in utero dell’ipotiroidismo iniettando L-tiroxina nel liquido amniotico. Le dosi e gli intervalli di somministrazione riportati in letteratura sono variabili, ma è verosimile ritenere che dalla 34° settimana di gestazione il trattamento ideale sia 250 µg di L-tiroxina alla settimana. Questa dose dovrebbe infatti avvicinarsi al fabbisogno di tiroxina di un neonato ipotiroideo (10 µg/kg di peso corporeo). Nei casi descritti in letteratura la terapia aveva successo e alla nascita il bambino era eutiroideo e senza gozzo.

L’emivita plasmatica del propiltiouracile nell’adulto è circa 1-2 ore e quella del metimazolo 6 ore. Pertanto, l’effetto delle tionamidi materne sulla tiroide del neonato si esaurisce nelle prime 24-48 ore dopo il parto e la funzione tiroidea del neonato ritorna alla norma entro una settimana. Quasi mai, quindi, è necessario un trattamento sostitutivo. L’aumento dei valori della T4 e la riduzione dei livelli del TSH nel siero durante i primi giorni di vita preannuncia la completa normalizzazione della funzione tiroidea.

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3.1.3.2 Ipotiroidismo da I 131 e ioduro

In gravidanza è assolutamente controindicato l’utilizzo di iodio radioattivo (I 131) per la terapia dell’ipertiroidismo materno. La somministrazione di iodio radioattivo alla madre dopo la 10° settimana di gestazione può determinare la distruzione della tiroide fetale. Anche l’uso dello ioduro (soluzione di Lugol e soluzione satura di ioduro di potassio) è in genere sconsigliato. Infatti lo ioduro passa liberamente la barriera placentare e a dosi elevate può bloccare il funzionamento della tiroide del feto e del neonato, che ancora non presentano l’attivazione dell’effetto Wolff-Chaikoff, e provocare quindi gozzo e ipotiroidismo fetale e/o neonatale.

3.1.4 Ipotiroidismo da eccesso di iodio nel feto e nel neonato

L’esposizione ad un eccesso di iodio può causare ipotiroidismo transitorio e gozzo fetale-neonatale. Lo iodio può accumularsi nel feto dopo esposizione orale, endovenosa, topica o mucosa della madre. Può inoltre essere assorbito attraverso il liquido amniotico durante l’amniografia. Nella vita neonatale può essere assorbito da preparazioni topiche utilizzate per disinfettare il moncone del cordone ombelicale, o attraverso il latte materno. La somministrazione alla madre di una farmaco antiaritmico (amiodarone) che contiene 75 mg di iodio per compressa da 200 mg può provocare gozzo fetale e neonatale, associati a ipotiroidismo e, in alcuni casi, anche ad ipertiroxinemia.

3.1.5 Ipotiroidismo da carenza di iodio nel feto e nel neonato

Se l’apporto iodico diminuisce, i meccanismi che controllano l’omeostasi degli ormoni tiroidei provocano inizialmente un aumento della captazione tiroidea dello iodio e successivamente una ipertrofia e iperplasia ghiandolare che portano alla formazione del gozzo.

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Se la carenza è grave e prolungata anche questi meccanismi di compenso divengono insufficienti e si può verificare un ipotiroidismo da ridotta produzione di ormoni tiroidei. In condizioni di carenza iodica alcuni neonati, e soprattutto quelli pretermine che hanno una minore riserva tiroidea di iodio, non riescono a produrre la quantità giornaliera adeguata di tiroxina.

Questa difficoltà funzionale si traduce, a seconda dell’entità della carenza iodica, in un aumento delle dimensioni della tiroide, in una ipertireotropinemia transitoria associata a T4 sierica nel range della norma o in un ipotiroidismo neonatale transitorio.

L’entità del deficit neurologico dipende dalla gravità del deficit di iodio in gravidanza e nella vita neonatale, e riflette il grado di compromissione della funzione tiroidea materna, fetale o neonatale. La carenza iodica durante la gravidanza può infatti compromettere lo sviluppo del sistema nervoso ed è responsabile di uno spettro di deficit neurologici e mentali di gravità variabile: quoziente intellettivo medio dei bambini in età scolare ai limiti bassi della norma, difetti selettivi della percezione e dell’attenzione, ritardi nei tempi di reazione fino alla manifestazione più grave che è rappresentata dal cretinismo.

Nel cretinismo endemico le conseguenze dell’ipotiroidismo fetale e neonatale sul sistema nervoso sono più gravi rispetto all’ipotiroidismo congenito sporadico, perché viene a mancare anche la piccola quota di ormoni tiroidei di origine materna.

3.1.6 Ipotiroidismo da resistenza del recettore tiroideo al TSH

L’ipotiroidismo congenito dovuto a resistenza al TSH è un disordine molto raro. La diagnosi si basa sul rilievo di ipotiroidismo congenito a trasmissione autosomica recessiva, ghiandola tiroidea di dimensioni e posizione nella norma con bassa captazione di radio iodio, normale bioattività in vitro del TSH o assente risposta in vivo al TSH esogeno e assenza di anticorpi antitiroide. La causa della resistenza al TSH è rappresentata da una mutazione a carico del gene codificante per il recettore del TSH che determina una perdita della funzionalità. In alcuni casi però, non è stata identificata nessuna alterazione strutturale a livello del recettore del TSH e la modalità di trasmissione è risultata essere dominante. In caso di resistenza completa, la tiroide è ipoplasica e incapace di sintetizzare e secernere sufficienti quantità di ormoni tiroidei. In caso di resistenza parziale, la ghiandola tiroidea ha dimensioni normali a spese di un elevato TSH. In ogni caso, è necessaria la terapia sostitutiva.

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3.2 Tireotossicosi fetale e neonatale

Per tireotossicosi si intende la sindrome clinica causata dall’eccesso di ormoni tiroidei circolanti; quando la tireotossicosi è dovuta ad iperfunzione tiroidea si definisce ipertiroidismo. L’ipertiroidismo fetale e/o neonatale è una malattia molto rara con un’ incidenza variabile da 1:4000 a 1:40000, secondo i vari autori, ma potenzialmente pericolosa. La causa della tireotossicosi fetale-neonatale è il passaggio transplacentare di immunoglobuline stimolanti la tiroide nella malattia di Graves ( o Basedow).Il morbo di Basedow è la causa più frequente di ipertiroidismo in gravidanza; si stima che complichi lo 0,1-0,2% delle gravidanze. Il quadro clinico classico nell’adulto con Basedow è caratterizzato da ipertiroidismo e gozzo diffuso che possono associarsi a oftalmopatia e, più raramente, a mixedema pretibiale.

Altre cause di ipertiroidismo in gravidanza sono il gozzo multinodulare tossico o l’adenoma tossico, la Mola idatiforme, l’ iperemesi gravidica, un eccesso di iodio, l’eccesso di ormoni tiroidei esogeni (tireotossicosi factitia) o ancora la tiroidite di Hashimoto, in cui la distruzione del tessuto tiroideo determina il rilascio di ormoni tiroidei.

Il gozzo multinodulare tossico, che si ritrova soprattutto nelle popolazioni che vivono in aree a insufficiente apporto iodico, e l’adenoma tossico sono cause rare di ipertiroidismo in gravidanza poiché il picco di incidenza di queste patologie è in età più avanzata rispetto a quella fertile.

La mola idatiforme può determinare ipertiroidismo nella donna gravida per l’eccesso di HCG, ormone placentare che agisce come agonista del recettore del TSH ed ha una modesta attività tireostimolante; può provocare un ipertiroidismo che tipicamente ha il suo esordio nei primi mesi di gravidanza. Anche i valori elevati degli ormoni tiroidei liberi nell’iperemesi gravidica vengono attribuiti ad una iperstimolazione tiroidea prodotta dalla gonadotropina corionica. L’ipertiroidismo da iodio può essere dovuto all’assunzione di farmaci iodati, come l’amiodarone, o mezzi di contrasto iodati; in questi casi le concentrazioni urinarie dello iodio sono sempre elevate.

La tireotossicosi factitia deve essere sospettata quando il quadro clinico della tireotossicosi si associa ad una ghiandola di volume ridotto nella madre.

In questi casi, l’esame dirimente è il dosaggio della Tg, che risulta essere indosabile o bassa nella tireotossicosi factitia, mentre è aumentata in corso di ipertiroidismo.

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E’ importante porre una diagnosi corretta della causa dell’ipertiroidismo materno infatti, l’ipertiroidismo fetale/neonatale non si sviluppa mai come conseguenza di eccessivo aumento dei livelli di ormoni tiroidei materni. Le forme di gozzo multinodulare, adenoma tossico e di tireotossicosi gestazionale transitoria dovuta a stimolazione diretta della ghiandola da parte della gonadotropina corionica non determinano alterazioni della funzionalità tiroidea del feto. In rari casi, è stato riscontrato un ipertiroidismo neonatale persistente in assenza di anticorpi materni; si tratterebbe di forme a base genetica, riferibili a mutazioni del gene codificante per il recettore del TSH.

3.2.1 Ipertiroidismo da anticorpi tireostimolanti materni

L’ipertiroidismo fetale-neonatale si manifesta, generalmente, in madri con Morbo di Basedow o con tiroidite di Hashimoto che sono state rese eutiroidee o ipotiroidee in periodi precedenti alla gravidanza con la tiroidectomia subtotale o il radioiodio, ma che continuano ad avere TRAb, immunoglobuline della classe IgG, che agiscono soprattutto stimolando l’adenilatociclasi presente nella membrana delle cellule tiroidee in circolo. Le IgG della madre cominciano ad attraversare la placenta in quantità apprezzabile dalla 22° settimana di gestazione, aumentando progressivamente nel 3° trimestre di gravidanza.

L’effetto dei TRAb si ha quindi anche durante la vita fetale, con conseguenze cliniche che sembrano essere correlate con le concentrazioni anticorpali materne.

Talora queste pazienti sono addirittura in terapia sostitutiva con L-tiroxina per l’insorgenza di ipotiroidismo dopo la terapia ablativa.

In particolare, la Malattia di Graves complica circa lo 0,2% di gravidanze ed è associata con un aumentato rischio di aborto, parti pretermine o ritardo di crescita intrauterino.

Il rischio relativo di neonati di basso peso alla nascita aumenta dopo che la madre diviene eutiroidea durante la sua gravidanza. Tuttavia, un quanto più precoce controllo dell’ipertiroidismo materno, riduce il rischio di queste complicanze.

L’incidenza dell’ipertiroidismo neonatale è variabile, ricorrendo, approssimativamente, in una gravidanza ogni 70 di madri affette dalla malattia di Graves. Questo è dovuto al passaggio transplacentare di anticorpi di classe IgG stimolanti il recettore della tiroide.

Il rilievo di anticorpi anti-recettore del TSH, (TRAb) a titolo elevato (superiori a 50-100 U/l con il metodo radiorecettoriale) nel siero della madre durante la gravidanza (soprattutto nel

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3°trimestre) deve sempre mettere in allerta per la possibile insorgenza di un ipertiroidismo fetale e/o neonatale.

Indicazioni al dosaggio degli anticorpi anti-recettore del TSH (TRAb) in gravidanza.

L’ipertiroidismo fetale e/o neonatale si manifesta quasi esclusivamente nelle madri con titoli molto elevati di anticorpi tireostimolanti.

Il valore predittivo del dosaggio radiorecettoriale dei TRAb è leggermente inferiore, perché questo metodo non distingue tra anticorpi tireostimolanti e bloccanti che, anche se raramente, possono coesistere nella madre basedowiana.

Alcune caratteristiche cliniche della madre possono avere un valore predittivo. Le gestanti basedowiane con gozzo di grandi dimensioni, oftalmopatia e mixedema pretibiale sono più a rischio per la tireotossicosi fetale-neonatale. La necessità di somministrare dosi medio-alte di tionamidi per mantenere l’eutiroidismo è un indice indiretto di forte attività tireostimolante. Una anamnesi positiva per neonati ipertiroidei in precedenti gravidanze presuppone un rischio elevato per il ripresentarsi di questa complicanza.

La TBII materna uguale o maggiore del 70% è altamente predittiva della patologia neonatale.

3.2.1.1 Ipertiroidismo fetale: segni, diagnosi e terapia

Quando i livelli di TSAb materni sono particolarmente elevati, la tiroide fetale può essere stimolata a produrre in eccesso non solo T4, ma anche T3. I primi segni di ipertiroidismo fetale compaiono di solito dopo la 25° settimana di gestazione. Il ritardo di crescita intrauterina, l’ipercinesi e la tachicardia fetale (> 160 bpm) sono le manifestazioni più comuni della tireotossicosi in utero. Il monitoraggio della frequenza cardiaca fetale dovrebbe essere

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eseguito in ogni gestante basedowiana. Una frequenza superiore a 160 bpm dovrebbe sempre far nascere il sospetto di una tireotossicosi in utero.

In rari casi l’ecografia fetale dimostra la presenza di un gozzo. All’ecografia fetale è possibile valutare l’entità dell’aumento di volume della tiroide; questo può causare problemi meccanici alla nascita quali iperestensione del collo, distocia e asfissia perinatale. Altre manifestazioni della tireotossicosi fetale sono individuabili nella visceromegalia congestizia, nella linfoadenomegalia, nella massiva aspirazione di liquido amniotico e nell’ipertensione polmonare. La tireotossicosi in utero è più rara nelle ipertiroidee trattate con tionamidi durante la gravidanza, poiché il passaggio transplacentare del farmaco antitiroideo controbilancia l’effetto degli anticorpi tireostimolanti materni sulla tiroide fetale.

In alcuni casi descritti in letteratura il sospetto di tireotossicosi in utero è stato confermato prelevando, mediante puntura del funicolo (funicolocentesi), campioni di sangue fetale per il dosaggio della FT4, del TSH e dei TRAb. Quando il sospetto di ipertiroidismo fetale è molto forte, il rischio della funicolocentesi (1-2% di perdite fetali in mani esperte) è più che bilanciato dalla utilità delle informazioni ottenute. Seppur rarissima, la tireotossicosi fetale ha infatti una mortalità elevata (15-25%) per scompenso cardiaco e ipertensione polmonare. La misurazione dei livelli di ormoni tiroidei e del TSH nel liquido amniotico non è invece utile per valutare lo stato tiroideo del feto.

La terapia dell’ipertiroidismo fetale consiste nella somministrazione di tionamidi alla madre, in genere 20 mg di metimazolo (MMI) o 200 mg di propiltiouracile (PTU), fino a raggiungere la quantità minima che consente di mantenere i valori di FT4 nel siero materno ai limiti alti della norma. Nel 30% delle pazienti che presentano un buon controllo dello stato tiroideo sotto basse dosi di MMI o PTU, la terapia può essere sospesa tra la 32° e la 34° settimana di gestazione. Alcuni autori consigliano, invece, di continuare la terapia anche a dosi molto basse per tutta la gravidanza.

Questi farmaci, attraversando il filtro placentare, bloccano l’iperfunzione della tiroide fetale, normalizzando la frequenza cardiaca e la crescita del feto. La dose di tionamide deve essere aggiustata ogni 1-2 settimane con l’obiettivo di mantenere la frequenza cardiaca fetale intorno a 140-150 bpm. Se la gestante non è ipertiroidea, è necessario compensare gli effetti dell’antitiroideo sulla funzione della tiroide materna somministrando L-tiroxina a dosaggio sostitutivo.

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3.2.1.2 Ipertiroidismo neonatale: segni, diagnosi e terapia

Nella maggior parte dei neonati ipertiroidei nati da madri basedowiane in terapia con tionamidi la tireotossicosi non è evidente alla nascita. La tionamide somministrata alla madre attraversa infatti il filtro placentare e controlla la funzione tiroidea del feto fino al momento del parto. Con la progressiva scomparsa del farmaco antitiroideo materno dall’organismo del neonato nelle prime 24-48 ore di vita, comincia l’iperfunzione della tiroide che diviene clinicamente evidente nella prima settimana. I feti con livelli più modesti di TSAb materne possono avere una attività tireostimolante insufficiente ad aumentare la produzione tiroidea di T3 a livelli tireotossici durante la vita in utero.

Dopo la nascita, infatti, si ha un rapido aumento dell’attività della desiodasi di tipo I che convertendo perifericamente la T4 in T3, aumenta i livelli di T3, con una conseguente comparsa del quadro di tireotossicosi nella 2°-3° giornata di vita.

In rari casi è stato descritto un inizio tardivo dell’ipertiroidismo nel 1°-2° mese di vita.

Questo fenomeno è stato attribuito alla contemporanea presenza nel siero del neonato di anticorpi tireostimolanti (TSAb) e bloccanti (TSHBAb) materni.

Seppur raramente, è stata descritta l’insorgenza nei primi mesi di vita di un vero morbo di Basedow che persiste nell’infanzia e anche successivamente. La maggior parte di questi casi sono stati descritti in famiglie con anamnesi fortemente positiva per morbo di Basedow. Di solito segni e sintomi evidenti si presentano nei primi giorni di vita e possono persistere per 3-6 mesi, in relazione alla clearance delle IgG materne.

I neonati affetti da tireotossicosi possono presentare irritabilità, irrequietezza, perdita eccessiva di peso, mancato incremento ponderale, diarrea, sudorazione, rossore e manifestazioni oculari come edema periorbitale, retrazione palpebrale e proptosi; gozzo e lieve esoftalmo sono i segni specifici dell’ipertiroidismo neonatale.

Nei casi più gravi, l’iniziale tachicardia può progredire in tachiaritmia fino allo scompenso cardiaco congestizio. Sequele temibili, quanto occasionali, della tireotossicosi neonatale prolungata sono l’abnorme avanzamento dell’età ossea e la craniosinostosi prematura, la quale prevede una radiografia di controllo del cranio tra i 6 e i 12 mesi di vita, con successivo lieve o modesto ritardo mentale.

Nei neonati molto pretermine con ritardo di crescita intrauterina la diagnosi può essere sottostimata e la tireotossicosi può peggiorare la morbilità associata alla nascita pretermine.

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Per individuare precocemente l’ipertiroidismo neonatale, il dosaggio della T4 e del TSH dovrebbe essere effettuato di routine sul sangue del cordone dei neonati di madri basedowiane. Tuttavia, solo una minoranza dei neonati che andranno incontro a ipertiroidismo è già tireotossica al momento del parto e presenta valori elevati di T4 nel sangue del cordone. Il dosaggio degli ormoni tiroidei e del TSH deve essere quindi ripetuto al 2°-3° giorno di vita e, in caso di sospetto clinico, anche al 7°-10° giorno. Il rilievo di FT4 e FT3 elevate associate a TSH basso o indosabile conferma la diagnosi. Nei neonati pretermine, la necessità di ridurre gli esami del sangue rende, difficile il monitoraggio della terapia.

In fase acuta, i problemi terapeutici principali nel neonato sono legati alla possibilità di sviluppare insufficienza cardiaca e/o di avere gozzo che determina compressione della trachea con asfissia.

In caso di ipertiroidismo lieve in genere non è necessario alcun trattamento. Negli altri casi la terapia è basata sull’uso combinato di tionamidi e ioduro.

La somministrazione di ioduro deve essere iniziata alcune ore dopo l’inizio delle tionamidi. Il metimazolo (0,5-1 mg/kg/die) o il propiltiouracile (5-10 mg/kg/die per os) vengono somministrati in 3 dosi, 1 ogni 8 ore.

La dose di ioduro (soluzione di Lugol forte: 5% di iodio e 10% di ioduro di potassio) è di 1 goccia (8 mg di ioduro) ogni 8 ore.

Durante la terapia con tionamidi è necessario misurare ogni 7 giorni i livelli di FT4, FT3 e TSH per correggere prontamente un eventuale iperdosaggio e prevenire la comparsa di ipotiroidismo. Purtroppo la risposta a questo tipo di terapia non è prevedibile soprattutto nei neonati di molto basso peso alla nascita.

Il dosaggio dei TRAb ogni 1-2 mesi è utile perché la loro scomparsa dal siero del neonato preannucia l’esaurirsi spontaneo dell’ipertiroidismo.

Nella maggior parte dei casi la terapia con tionamidi può essere interrotta dopo 3 mesi.

Come terapia alternativa, in un caso di ipertiroidismo neonatale, è stato utilizzato con successo il sodio ipodato (0,5 g ogni 3 giorni), un mezzo di contrasto iodato che blocca contemporaneamente la liberazione di ormoni tiroidei dalla tiroide e la conversione periferica della T4 a T3.

I glucocorticoidi hanno un effetto inibitorio rapido sulla secrezione di ormoni tiroidei nell’ipertiroidismo basedowiano dovuto alla capacità di inibire la deiodinazione della T4 a T3 e possono essere presi in considerazione in casi molto gravi.

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L’esperienza con questa terapia, sempre da utilizzare in associazione con tionamidi e ioduro, è scarsa, ma dosi adeguate di glucocorticoidi corrispondono a 2 mg/kg/die di prednisone, sempre in associazione con tionamidi e ioduro.

Il propranololo (0,5-1 mg/kg/die per os in 3 somministrazioni) è utile per controllare la tachicardia e viene utilizzato nelle forme più severe mentre, in caso di scompenso cardiaco può essere necessaria la digitalizzazione. Inoltre, l’intervento sarà di tipo chirurgico se è presente un gozzo di notevoli dimensioni che comprime la trachea.

L’osservazione di casi di aplasia cutis in neonati di madri basedowiane trattate con MMI in gravidanza ha fatto sospettare che il farmaco potesse essere responsabile di questa malformazione cutanea. L’aplasia cutis è caratterizzata dall’assenza di cute e dei suoi annessi in aree circoscritte del cuoio capelluto. Vi sono però numerose osservazioni che non depongono a favore di une responsabilità del MMI nella genesi della aplasia cutis: la malformazione è talora familiare ed è stata osservata anche in neonati di madre affette da malattia di Basedow che non ricevevano MMI; nessun caso di aplasia cutis è stato descritto in uno studio su 117 neonati di madri trattate con MMI in gravidanza; non è stato dimostrato alcun rapporto di associazione tra assunzione di MMI in gravidanza e aplasia cutis in quasi 50000 nati studiati.

I dati a favore di un rapporto causa-effetto tra somministrazione di MMI e comparsa di aplasia cutis nel neonato sono ancora dubbi e non sono sufficienti a sconsigliare l’uso di questo farmaco nelle gestanti ipertiroidee.

3.2.2 Ipertiroidismo da tiroidite di Hashimoto

La tiroidite di Hashimoto rappresenta il più comune disordine tiroideo, la cui patogenesi è legata ad una distruzione cellulo-mediata della ghiandola con possibile sviluppo di ipotiroidismo. L’infiammazione tiroidea è accompagnata dalla presenza di anticorpi anti-tireoperossidasi e anti-tireoglobulina, i quali attualmente non vengono considerati patogenetici ma piuttosto markers di danno tissutale.

Quando la tiroidite di Hashimoto è presente in una donna in gravidanza, di solito non ci sono ripercussioni sul feto, anche se anticorpi antiTPO e antiTg possono essere riscontrabili nel neonato, a causa del loro passaggio transplacentare. Tuttavia ci sono alcuni lavori in letteratura che descrivono la comparsa di ipertiroidismo fetale e neonatale nei figli nati da

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madri affette da questa patologia. Questo suggerisce la presenza aggiuntiva nel siero materno di anticorpi con attività stimolatoria nei confronti della tiroide.

3.2.3 Ipertiroidismo da mutazione del gene del recettore del TSH

E’ stata descritta l’esistenza di una forma non autoimmune, ma persistente di ipertiroidismo ad esordio neonatale la cui patogenesi è attribuibile a mutazioni in senso attivante del recettore del TSH identificate nella linea germinale di due famiglie con ipertiroidismo ereditario non autoimmune e in un neonato.

Il recettore del TSH fa parte della famiglia dei recettori accoppiati a proteine G transmembrana, controlla sia la funzione che la crescita delle cellule tiroidee attraverso la stimolazione dell’adenilato ciclasi e della fosfolipasi C. Un’attivazione costituzionale dell’AMP ciclico spiega il conseguente sviluppo di ipertiroidismo o di gozzo mediante l’azione mitogena dell’AMP ciclico sulle cellule tiroidee.

La terapia di questa situazione clinica consiste nella somministrazione transitoria di farmaci antitiroidei, seguita da una definitiva tiroidectomia o da terapia con radio iodio.

3.2.4 Ipertiroidismo da mutazioni attivanti le proteine G stimolatorie

Una condizione di ipertiroidismo non autoimmune è stata descritta per la prima volta nel 1991 in un paziente con sindrome di McCune-Albright, già ipertiroideo durante il periodo fetale. Questa patologia deriva da una mutazione a carico del gene che codifica per una proteina G stimolatoria. Clinicamente questa sindrome è caratterizzata dalla comparsa di macchie color caffè-latte, displasia fibrosa poliostotica e compresenza di endocrinopatie dovute a iperplasia di ghiandole. Tra queste si ritrovano più spesso pubertà precoce gonadotropino-indipendente, ipertiroidismo TSH indipendente e sindrome di Cushing dovuta a ipersecrezione di ACTH o a secrezione corticotropo-indipendente di cortisolo surrenalico. L’approccio terapeutico di questa condizione prevede l’intervento chirurgico.

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3.2.5 Farmaci antitiroidei e allattamento

Le tionamidi (metimazolo e propiltiouracile) sono i farmaci di prima scelta per la terapia dell’ipertiroidismo. Questi farmaci hanno la capacità di bloccare la sintesi degli ormoni tiroidei, inibendo l’organificazione e l’incorporazione dello ioduro nei residui tirosilici della tireoglogulina e il successivo accoppiamento delle iodotirosine. Questa azione si esplica attraverso una inibizione competitiva della perossidasi, l’enzima responsabile della ossidazione dello ioduro. Nel tempo l’inibizione della sintesi degli ormoni tiroidei provocata dalle tionamidi porta ad un esaurimento dei depositi di Tg iodata contenuti nella ghiandola. Solo quando gli ormoni tiroidei preformati e immagazzinati nella molecola della Tg sono esauriti, la concentrazione degli ormoni tiroidei circolanti diminuisce e gli effetti clinici delle tionamidi divengono evidenti.

Il propiltiouracile (PTU), oltre a bloccare la sintesi degli ormoni tiroidei, agisce anche sui tessuti periferici inibendo la conversione della T4 a T3. Nonostante questa ulteriore azione periferica del PTU, il trattamento con MMI porta ad una più rapida normalizzazione dei livelli degli ormoni tiroidei circolanti.

Entrambi i farmaci passano la barriera placentare. Il differente passaggio transplacentare tra i due farmaci è stato attribuito al differente legame con l’albumina e alla differente liposolubilità.

L’efficacia del MMI è dovuta ad un maggiore accumulo ed a una più lunga emivita intratiroidea del farmaco, è più liposolubile e non si lega alle proteine del siero.

Per molti anni l’allattamento al seno era sconsigliato se la madre era in terapia con tionamidi. E’ stato infatti dimostrato che sia il MMI che il PTU, somministrati a una donna che allatta il proprio bambino, passano nel latte materno.

Le tionamidi però non vengono concentrati dalla ghiandola mammaria e passano nel latte solo in modesta quantità. Il PTU dovrebbe essere teoricamente da preferire rispetto al MMI perché i suoi livelli nel latte materno sono più bassi.

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Proprietà farmacologiche MMI PTU Inibizione della perossidasi tiroidea Sì Sì

Inibizione della conversione da T4 a T3 No Sì

Via di somministrazione Orale Orale

Assorbimento Completo Completo

Legame alle proteine sieriche Trascurabile 75%

Emivita nel siero 4-6 ore 1-2 ore

Durata d’azione 24 ore o più 12-24 ore

Passaggio transplacentare Basso Più basso

Livelli nel latte materno Bassi Più bassi

Proprietà farmacologiche delle tionamidi: MMI e PTU

Dopo la somministrazione orale di tionamidi, la percentuale di farmaco escreta nel latte nelle 24 ore è 0,47% per il MMI e 0,07% per il PTU.

E’ stato calcolato che, se la madre è trattata con PTU ad una dose di 200 mg per 3 volte al giorno, il neonato riceverebbe in media 150 µg di farmaco nelle 24 ore.

La quantità di MMI escreto nel latte materno è, invece, di circa 70 µg nelle 8 ore successive alla somministrazione di 40 mg del farmaco alla madre.

Questa dose di MMI è relativamente bassa in un neonato che, in caso di ipertiroidismo, richiederebbe una dose terapeutica di 500-1000 µg/Kg/die del farmaco.

Studi clinici condotti nel primo mese di vita in neonati allattati al seno da madri che assumevano fino a 10 mg di MMI e di 150 mg di PTU hanno dimostrato che i livelli di T4 e di TSH nel siero del lattante non si modificavano.

Non sono riportati in letteratura effetti dannosi del PTU materno sulla funzionalità tiroidea di lattanti le cui madri assumevano dosi di PTU fino a 300 mg al giorno.

Il problema è che spesso, nel periodo post-parto, la malattia di Basedow va incontro a un peggioramento e sono perciò necessarie dosi più alte di PTU.

La dose di PTU massima che può essere somministrata ad una madre, che allatta al seno il suo bambino senza avere effetti sullo stato tiroideo del lattante, è fino a 750 mg al giorno anche se sembra prudente rimanere entro la dose di 450 mg al giorno.

Mentre per il MMI, è stato dimostrato che non si hanno effetti deleteri sulla funzionalità tiroidea e sullo sviluppo fisico e intellettuale dei bambini allattati al seno da madri trattate con dosi fino a 20 mg al giorno.

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È stato inoltre osservato che in neonati di madri trattate con PTU in gravidanza e nel puerperio il TSH sierico, che era elevato nel sangue del cordone, si normalizzava durante l’allattamento al seno.

Questa osservazione suggerisce che il passaggio delle tionamidi nel latte materno sia meno rilevante rispetto a quello transplacentare.

Alla luce delle evidenze sperimentali e degli studi clinici, non esiste quindi una controindicazione assoluta all’uso del PTU o del MMI durante l’allattamento al seno.

Come norma prudenziale è tuttavia opportuno che la madre assuma i farmaci antitiroidei subito dopo aver allattato e faccia trascorrere un intervallo di 3-4 ore prima di allattare nuovamente, inoltre dovrà essere controllato periodicamente lo stato tiroideo del lattante.

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