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LE PRINCIPALI MALATTIE MENTALI: ASPETTI EPIDEMIOLOGICI, CLINICI E DIAGNOSTICI. CRITERI DI VALUTAZIONE MEDICO LEGALE

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TAGETE 3 - 2014 Year XX

ISSN 2035 – 1046

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LE PRINCIPALI MALATTIE MENTALI: ASPETTI EPIDEMIOLOGICI, CLINICI E DIAGNOSTICI. CRITERI

DI VALUTAZIONE MEDICO LEGALE

The major mental illness:

epidemiological, clinical and diagnostic.

Forensic evaluation criteria

Angelo Porrone 1

ABSTRACT

L’approccio medico legale al soggetto con disturbi mentali è spesso molto problematico.

Il paziente frequentemente è inconsapevole della sua malattia e ancora più di frequente non sa neppure di avere richiesto una qualsiasi prestazione assicurativa o sociale. Pertanto, pur rimanendo la necessità di procedere alla valutazione del paziente con malattia mentale, secondo i classici criteri e la consolidata prassi medico legale, è evidente come in questi casi occorra qualche nozione in più per un approccio valutativo più completo.

La valutazione della capacità lavorativa nei soggetti affetti da malattia mentale richiede la documentazione di un danno determinabile, il grado di limitazione che tale danno comporta in relazione all’abilità dell’individuo, e la considerazione che tali limitazioni siano presenti per un periodo di almeno dodici mesi.

1 Angelo Porrone – Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, Specialista in Medicina del Lavoro, Specialista in Oncologia, Specialista in Dermatologia e Venereologia, Isernia

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INTRODUZIONE

Cenni di semeiotica psichiatrica

Nell’ambito della semeiotica psichiatrica classica le principali aree della psiche da indagare (1), all’atto della visita medica sono:

• vigilanza e coscienza, con possibile integrità, obnubilamento del sensorio, torpore, sopore, fino al coma, ovvero aumento dello stato di coscienza (disturbi di tipo quantitativo;

• memoria, con possibili disturbi della registrazione, ritenzione e rievocazione, ovvero disturbi qualitativi e quantitativi;

• aspetto;

• intelligenza, con deficit per danno organico da ritardo mentale o da degenerazione organica, come per la demenza;

• atteggiamento;

• critica e giudizio;

• percezione, con possibili allucinazioni visive o uditive, ecc.;

• volontà e psicomotricità;

• attenzione, con possibile distraibilità, disattenzione, ecc.;

• ideazione e linguaggio, con possibili disturbi del pensiero, dalla forma, al linguaggio, al flusso, ovvero al controllo e contenuto, (deragliamento, illogicità, incoerenza, ecc.), fino a pensiero alienato, ossessivo, delirante;

• umore – affettività, con possibile depressione o mania o s. bipolare o, per le forme ansiose, somatizzazione, disturbi dell’adattamento, attacchi di panico, disforia, anedonia, apatia, ecc.;

• disturbi della coscienza, dell’io e del corpo, con possibile stato confusionale, crepuscolare, oniroide, disturbi dell’esperienza dell’io.

Ulteriori elementi riferibili alla semeiologia psichiatrica (2) ci indicano che la semeiotica psichiatrica si occupa dei segni o manifestazioni obiettive di natura psichica e dei sintomi psichiatrici, di tipo diretto o indiretto così come espressi dal paziente, ovvero delle alterate funzioni psichiche valutate nel corso della visita.

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Principali patologie psichiatriche di interesse medico legale

La struttura del DSM – IV considera Il DSM uno strumento di diagnosi descrittiva dei disturbi mentali.

Interessante ai fini di classificazione delle malattie mentali di uso corrente appare (3) la classificazione in 9 tipi di disordini mentali.

1. 12.02 Disturbi Mentali Organici

2. 12.03 schizofrenia paranoide e altri disturbi psicotici 3. 12.04 disordini affettivi

4. 12.05 ritardo mentale

5. 12.06 Disturbi d'Ansia correlati 6. 12.07 disturbi somatoformi 7. 12.08 Disturbi di Personalità

8. 12.09 disturbi da dipendenza di sostanze

9. 12.10 L'autismo e altri disturbi pervasivi dello sviluppo

Sindromi psicorganiche

Si riferiscono a lesioni cerebrali di natura cronica degenerativa o post – traumatica o derivanti da altri di insulti cerebrali, con sintomatologia psichica deficitaria inerente varie funzioni corticali e non.

La forma più frequente sotto il profilo epidemiologico è la Psicosindrome cerebrale diffusa cronica.

Fra le cause principali (4) si annoverano la vasculopatia cerebrale cronica da aterosclerosi diffusa, derivante da sostante tossiche, quali alcool, monossido di carbonio ecc., le malattie degenerative del SNC come la Corea di Huntington, le atassie spinocerebellari, ecc., le infezioni virali o batteriche, ecc.

I sintomi prevalenti sono quelli tipici della demenza, quali disturbi mnesici con deficit della memoria immediata e a breve termine, confabulazioni, disorientamento spazio- temporale, disturbi del pensiero con impoverimento delle idee, spesso definito

“pensiero a cannocchiale”, non in grado di spaziare nelle varie aree dell’ideazione, labilità emotiva e affettiva.

Esiste poi anche una sindrome psicorganica cerebrale diffusa di tipo acuto, legata a malattie di natura extracerebrale con secondario coinvolgimento encefalico o a encefalopatie acute.

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Fra le cause extracerebrali si annoverano le forme infettive generalizzate o localizzate in foci paracerebrali, le intossicazioni esogene da sostanze chimiche, droghe, ossido di carbonio, intossicazioni endogene in caso di insufficienza renale, epatica, o legata a vari tipi di dismetabolismio, o da insulti cerebrali da malattie cardiovascolari acute

Esistono poi encefalopatie infiammatorie, parassitarie, tumorali, o da contusioni cerebrali.

I sintomi più comuni riguardano i disturbi della coscienza , dal coma allo stato confusionale, con possibile incontinenza sfinterica, rallentamento ideomotorio, deficit mnesici, forme di dispercezioni a tipo di allucinazioni, allucinosi tossiche di tipo alcoolico, apatia, eretismo, aggressività, stato depressivo.

Le manifestazioni psichiatriche e i deficit associati in tali casi si presentano in un arco temporale relativamente breve rispetto al momento dell’insulto cronico o acuto subito, in funzione delle modalità di esposizione.

Si citano da ultimo le sindromi psicorganiche cerebrali secondarie a specifiche lesioni a focolaio e le forme secondarie endocrine nel caso, ad es., dell’ipertiroidismo primitivo , del coma diabetico o di quello ipoglicemico, delle patologie del surrene, dell’ipofisi.

In questi casi l’esame delle funzioni mentali mira in genere a verificare:

• mimica, atteggiamento generale;

• stato della percezione per valutare la eventuale presenza di illusioni, percezione erronea dell’oggetto o della realtà, o di allucinazioni vere e proprie;

• stato di coscienza, sopore, torpore o coma.

• L’esame invece delle funzioni intellettive è teso ad indagare:

• memoria di fissazione, a breve termine e a lungo termine, con possibili deficit mnesici e lacune di vario tipo;

• orientamento;

• pensiero;

• intelligenza;

• affettività;

• personalità, con possibili cambiamenti rispetto allo stato anteriore del soggetto intercorsi in caso di sindrome demenziale o psicorganica.

Schizofrenia e altre psicosi

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Da un articolo dal titolo “I disturbi psicotici – Psicosi”, Internet, Terzocentro di psicoterapia cognitiva, www.terzocentro.it, consultato aprile 2014, è possibile trarre gli aspetti generali che riguardano le psicosi e la schizofrenia, in particolare.

Secondo una classica visione della psichiatria moderna del XIX secolo i disturbi psicotici sono caratterizzati da un’erronea percezione della realtà, da alterazioni del pensiero, della percezione e degli stati emotivi, ed anomalie del comportamento.

Secondo Bleuler con il termine “schizofrenia” si può definire una scissione profonda della personalità, con alterazione delle associazioni tra i processi cognitivi e quelli emotivi, con gravi anomalie del comportamento fino al ritiro sociale.

Le psicosi rappresentano un ampio spettro di gravi disturbi psichiatrici caratterizzati sotto il profilo patognomonico dalla presenza principale di un delirio, di tipo sistematizzato, come nel caso della paranoia, con apparente lucidità, o disorganizzato.

Il delirio scolasticamente viene definito come un postulato assoluto della mente impermeabile alle critiche, dogmatico e che impronta tutta l’attività del pensiero della mente diventandone il motore.

Esiste una triplice dimensione della schizofrenia e delle psicosi che riguarda i cosiddetti sintomi positivi e i sintomi negativi.

Del primo versante fanno parte i processi di trasformazione patologica della realtà con vissuti di tipo delirante ed allucinatorio.

Il secondo asse è legato all’impoverimento ideo affettivo con la compresenza di sintomi negativi quali apatia, abulia, atteggiamento anaffettivo, mancanza di pianificazione degli scopi con iniziative afinalistiche, da ultimo anche dall’impoverimento dei comportamenti e delle relazioni sociali con conseguente ritiro sociale.

Il terzo ed importante parametro di valutazione della schizofrenia e delle psicosi è rappresentato dalla presenza di una disorganizzazione cognitiva, con evidenti alterazioni del linguaggio e del ragionamento, con tipico discorso ad “insalata di parole”, quindi caotico ed illogico.

Sul piano clinico e dell’andamento la schizofrenia viene distinta in 4 classiche forme che sono:

schizofrenia paranoidea caratterizzata da allucinazioni e idee deliranti a carattere persecutorio, nella fase florida;

schizofrenia disorganizzata in cui prevale la disorganizzazione del linguaggio, dell’affettività e dei comportamenti);

schizofrenia catatonica, in cui prevalgono i sintomi negativi quali blocco motorio, negativismo, stereotipie verbali e/o motorie;

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schizofrenia residuale con identica marcata presenza di sintomi negativi come, ad esempio, impoverimento motorio, con motilità complessivamente limitata e rallentata, della sfera affettiva, pressoché appiattita, dell’iniziativa e della volontà.

Si parla di disturbo schizofreniforme se i sintomi perdurano per non oltre i 6 mesi.

Allorché, poi, il disturbo schizofrenico si associa ad un disturbo egualmente psicotico di tipo affettivo, con problemi della sfera dell’umore, si parla di disturbo schizoaffettivo.

Quel che prima veniva definito dalla vecchia psichiatria “paranoia” oggi viene codificato come disturbo delirante, inerente un tema a sfondo di delirio, disturbo di gelosia, megalomania, erotomania, a sfondo persecutorio, querulomania, ecc..

I disturbi psicotici per i sintomi positivi si caratterizzano per la presenza di deliri, incomprensibili e bizzarri, rispetto al vissuto precedente della persona affetta, di possibili allucinazioni, visive e/o uditive, e affettività deviata rispetto all’esperienza vissuta o raccontata, con risonanza emotiva evidentemente alterata, gravi alterazioni del comportamento, legato alle idee deliranti e alle allucinazioni, ma più spesso con allontanamento dei contatti con gli amici e con la realtà circostante fino all’isolamento e al ritiro sociale.

Si parla in tal caso di ritiro dalla realtà e ritorno ad un’età preedipica, infantile.

L’insorgenza dei disturbi psicotici riguarda soggetti di età compresa fra i 16 – 35 anni, ma anche età anteriori, in alcuni casi.

Circa l’andamento occorre precisare che si parla comunemente di episodi psicotici a cadenza cronico ricorrente e recidivante, con presenza prevalente agli esordi di sintomi positivi come deliri ed allucinazioni e con risoluzione spontanea in pochi casi, o soprattutto grazie alle terapie neurolettiche che negli esiti residuano, purtroppo, nei sintomi negativi come apatia, rallentamento ideomotorio, isolamento e ritiro sociale, nella forma cosiddetta difettuale che necessita di riabilitazione.

Perdita dei legami sociali e della capacità lavorativa sono le conseguenze più frequenti della schizofrenia esitata in forme difettuali, sotto il profilo relazionale.

La terapia farmacologica comprende gli antipsicotici di tipo tradizionale quali l’aloperidolo, la perfenazina, la clorpromazina, di comprovata efficacia clinica, specie sulla sintomatologia positiva.

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Negli ultimi anni sono stati introdotti nuovi farmaci psicotropi antipsicotici alo scopo di conservare una buona efficacia clinica ma al tempo stesso di ridurre alcuni effetti collaterali molto dannoso dei farmaci di I^ generazione, come il parkinsonismo.

Sono stati pertanto introdotti degli antipsicotici non convenzionali o atipici, come l’olanzapina, il risperidone, la quetiapina, l’aripiprazolo, l’amisulpiride, oggi utilizzati a regime e con un migliore profilo di tollerabilità e minori effetti collaterali, in grado altresì di favorire i trattamenti psicoterapeutici laddove attuati.

Un ulteriore effetto collaterale dei farmaci psicotropi maggiori è dato dalla possibile sindrome da impregnazione da neurolettici, complicanza assai grave e a prognosi severa in tutti i casi.

Disordini affettivi

Ancora dall’articolo predetto dal titolo “I disturbi psicotici – Psicosi”, Internet, Terzocentro di psicoterapia cognitiva, www.terzocentro.it, consultato aprile 2014, è possibile trarre utili spunti sugli aspetti generali che riguardano i disordini affettivi, quali la depressione maggiore e i disturbi bipolari.

Il disturbo che comunemente viene chiamato depressione è scientificamente denominato depressione maggiore.

Si tratta di un disturbo dell’umore caratterizzato principalmente da:

• depressione dell’umore e melanconia che perdurano per tutta la giornata;

• carenza riferibile alla piacevolezza di intraprendere attività di qualsiasi genere che in precedenza procuravano gioia e soddisfazione;

• neurastenia e negativa sensazione di non sapere assolvere alle attività e necessità quotidiane;

• sentimenti di colpa, autocritica, autosvalutazione e e idea di fondo di essere un fallito;

• futuro oscuro, lamento e pianto;

• idee negative pensieri di morte;

• eretismo psichico, atteggiamento irascibile;

• carenza nel prestare attenzione, difficoltà nella concentrazione, sofferenza ed apatia rispetto alle decisioni da prendere;

• persistente sonnolenza e talvolta ipersonnia;

• frequenti risvegli notturni precoci e angosciosi, nelle prime ore della notte, con difficoltà a riaddormentarsi;

• mancanza di appetito o talvolta polifagia;

• riduzione della libidine.

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Si parla, in genere, di depressione maggiore che è ritenuta una vera e propria psicosi.

La depressione può manifestarsi con diversi livelli di gravità.

Le forme gravi sono caratterizzate da un numero più elevato di sintomi, una maggiore intensità e durata nel tempo della sintomatologia ed una maggiore compromissione delle attività quotidiane.

La depressione si manifesta attraverso parecchi sintomi di tipo fisico, emotivo, comportamentale e cognitivo.

I sintomi fisici più comuni sono la perdita di energie, il senso di fatica, i disturbi della concentrazione e della memoria, l’agitazione motoria ed il nervosismo, la perdita o l’aumento di peso, i disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), la mancanza di

desiderio sessuale, i dolori fisici, il senso di nausea, la visione offuscata, l’eccessiva sudorazione, il senso di stordimento, l’accelerazione del battito cardiaco e le vampate di calore o i brividi di freddo.

Le emozioni tipiche sperimentate da chi è depresso sono la tristezza, l’angoscia, la disperazione, il senso di colpa, il vuoto, la mancanza di speranza nel futuro, la

perdita di interesse per qualsiasi attività, l’irritabilità e l’ansia.

I principali sintomi comportamentali invece, risultano la riduzione delle attività quotidiane, la difficoltà nel prendere decisioni e nel risolvere i problemi,

l’evitamento delle persone e l’isolamento sociale, i comportamenti passivi, la riduzione dell’attività sessuale e i tentativi di suicidio.

Il trattamento farmacologico della depressione si rivela cruciale soprattutto nei casi in cui il disturbo si presenta in forma grave. I farmaci maggiormente utilizzati per la cura della depressione sono il prozac, il paxil, lo zoloft, l’effexor, il tofranil, il wellbutrin, l’elavil, il nardil, il parnate e il litio.

La terapia interpersonale è, insieme alla terapia cognitivo-comportamentale, la psicoterapia più efficace nella cura della depressione.

Il disturbo bipolare, anche conosciuto come malattia maniaco depressiva o come psicosi maniaco depressiva, è un disturbo mentale caratterizzato da

oscillazioni insolite del tono dell’umore e della capacità di funzionamento della persona.

Il disturbo bipolare è caratterizzato dall’alternanza di uno stato depressivo e uno maniacale (o ipomaniacale); quando la persona transita in modo non definitivo da

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uno stato all’altro (cioè non è completamente depresso né completamente in mania) si può presentare, invece, lo stato misto.

Nel disturbo bipolare sono presenti quindi episodi depressivi e maniacali (o ipomaniacali).

I sintomi della depressione sono molto noti e conosciuti: umore depresso, pensieri orientati verso la depressione , sensazione di fatica e scarso senso soggettivo di energia, sensazione di non farcela nelle attività quotidiane, idee di morte, mancanza di speranza, inappetenza o in rari casi iperfagia, ridotta capacità di trarre piacere dalle attività che in passato procuravano gioia e soddisfazione, sensazione che gli altri possano non comprendere tale situazione e che siano ottimisti inutilmente, ridotto desiderio sessuale, difficoltà concentrarsi e a prestare attenzione, irritabilità.

La mania, invece, si manifesta in modo abbastanza eclatante, anche se con gradazioni diverse.

I sintomi sono dati, in questo caso, da umore elevato espansivo percepito dagli altri come inusuale, comportamenti molto disinibiti, facilità estrema a spendere del denaro, a fare acquisti, sensazione di energia quanto mai intensa e di senso di

infaticabilità, allegria, iperattenzione ma con distraibilità, capacità di iniziare contemporaneamente tante attività ma con scarsa capacità di portarle a termine, comportamenti aggressivi e impulsivi, estrema irritabilità, aumento della velocità dei pensieri, saltando da un'idea ad un'altra, enorme distraibilità, ridotto bisogno di sonno, fiducia non realistica nelle proprie capacità, bassa capacità di giudizio, comportamento sessuale aumentato, abuso di droghe, comportamento provocatorio, intrusivo o

aggressivo.

Si parla di episodio maniacale se i sintomi persistono per più di settimana.

L’ipomania, infine, è uno stato alterato dell’umore meno intenso rispetto allo stato maniacale.

Comunemente si distinguono due forme di disturbo bipolare:

il disturbo bipolare di tipo I, caratterizzato da episodi depressivi e episodi maniacali;

il disturbo bipolare di tipo II, caratterizzato da episodi depressivi e episodi

ipomaniacali.

A volte, gli episodi severi di mania o di depressione includono i sintomi psicotici. Tra questi i più comuni sono le allucinazioni e i deliri.

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Un trattamento che combini insieme farmacoterapia e psicoterapia cognitivo- comportamentale è ottimale per il controllo del disturbo.

Disturbi d’ansia

Da un articolo dal titolo “I disturbi d’ansia”, Internet, Terzocentro di psicoterapia cognitiva, www.terzocentro.it, consultato aprile 2014, è possibile trarre gli aspetti generali che riguardano un tipo di disturbo molto frequente come gli stati ansiosi cronici.

Il disturbo d’ansia generalizzato è un disturbo d’ansia caratterizzato da uno stato di preoccupazione per diversi eventi, che risulta eccessivo in intensità, durata o frequenza rispetto all’impatto o alla probabilità reali degli eventi temuti dal soggetto. Le preoccupazioni eccessive sono accompagnate da almeno tre dei seguenti sintomi:

• irrequietezza;

• facile affaticabilità;

• difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria;

• irritabilità;

• sonno disturbato;

• tensione muscolare.

Tipicamente il disturbo d’ansia generalizzato ha un andamento cronico.

Chi ha un disturbo d’ansia generalizzato ha difficoltà ad impedire che le preoccupazioni interferiscano con l’attenzione verso le attività che sta svolgendo; ciò comporta una compromissione del funzionamento lavorativo e sociale.

I trattamenti riconosciuti come più efficaci per la cura del disturbo d’ansia generalizzato sono la farmacoterapia e la psicoterapia. Nella terapia farmacologica vengono utilizzati antidepressivi di nuova generazione e benzodiazepine.

Il disturbo di panico è un disturbo d’ansia, caratterizzato da frequenti ed inaspettati attacchi di panico. E’ la forma più acuta e intensa dell’ansia ed ha le caratteristiche di una crisi che si consuma in circa dieci minuti. Il disturbo di panico è una patologia piuttosto diffusa, ingravescente e fortemente invalidante. Il disturbo di panico può essere particolarmente invalidante in quanto ha ripercussioni sulla vita lavorativa, familiare e sociale della persona che ne soffre. I trattamenti per la cura del disturbo di panico riconosciuti come più efficaci sono la farmacoterapia e la psicoterapia.

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La fobia sociale è un disturbo d’ansia caratterizzato dalla paura di essere giudicati negativamente in situazioni sociali o durante lo svolgimento di un’attività. La persona che soffre di fobia sociale prova una forte e persistente ansia nelle situazioni sociali o quando svolge delle attività in presenza di altre persone in quanto teme soprattutto di fare “una brutta figura”.

Il disturbo ossessivo-compulsivo è uno dei disturbi d’ansia più frequenti ed è generalmente caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni, anche se, in alcuni casi, si possono presentare ossessioni senza compulsioni e viceversa.

Le ossessioni sono pensieri, immagini mentali o impulsi che si manifestano ripetutamente nella mente di una persona e che sono percepiti come sgradevoli ed intrusivi.

Le compulsioni, dette anche rituali o cerimoniali, sono invece dei comportamenti ripetitivi (es. lavarsi le mani, controllare se lo sportello della macchina è stato chiuso, riordinare) o delle azioni mentali (es. contare, pregare, ripetere formule superstiziose), messi in atto per ridurre il senso di disagio e l’ansia provocati dai pensieri ossessivi.

Discussione

L’esame della disabilità derivante dalle malattie mentali, ovvero la valutazione degli esiti del trattamento viene affrontato in un interessante articolo dal titolo

“Malingering on the Social Security Disability Consultative Exam: A New Rating Scale” di Michael D. Chafetz e al., Archives of Clinical Neuropsychology 22 (2007) 1–14.

Gli autori sottolineano l’esigenza dell’uso di scale appropriate della disabilità mentale, anche se considerano la riluttanza degli psichiatri a certificare, a scopo di tutela assicurativa sociale, lo stato mentale del soggetto e la relativa ridotta capacità lavorativa conseguente.

La valutazione della disabilità mentale si correla a fattori di pertinenza lavorativa, come la verifica di un costante assenteismo dal lavoro, in ragione del disagio mentale, la lunghezza e il numero dei ricoveri eventuali in ambiente psichiatrico, eventuali trattamenti obbligatori per crisi acute, i trattamenti farmacologici intrapresi e in atto, ecc., con la considerazione di una serie di variabili di tipo extraclinico.

Può, quindi, accadere, che la domanda relativa alla tutela assicurativa sociale dello stato invalidante psichico venga respinta nonostante la presenza di uno stato di malattia mentale che non venga reputato sufficientemente grave per accedere al beneficio richiesto.

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Il problema è legato alla mancanza di oggettività dei sintomi clinici psichiatrici, non valutabili semplicemente attraverso esami diagnostici.

I deficit cognitivi allegati sono alla base delle rivendicazioni manifestate dai soggetti che richiedono le prestazioni di tutela sociale.

I criteri ispiratori della valutazione del paziente psichiatrico in ambito assicurativo sociale, riguardano, a tenore degli autori, quattro fondamentali aspetti, ossia nell’ordine:

• l’esistenza di un interesse sostanziale ad acquisire il beneficio e la prestazione;

• l’evidenza dei deficit valutati con esame psicometrico;

• l’eventuale autoreferenzialità del racconto anamnestico psichiatrico;

• l’esistenza di documentazione sanitaria a supporto della diagnosi psichiatrica.

Attraverso questionari standardizzati e codificati è possibile creare delle scale di valutazione dei soggetti affetti da patologie psichiatriche.

Lo studio dimostra l’incapacità delle risorse attuali di tipo valutativo assicurativo sociale di rendere oggettiva la valutazione del soggetto psichiatrico indagato.

Andando, poi, alla trattazione sistematica di argomenti di fondamentale interesse sia clinico che medico legale valutativo, gli aspetti generali principali relativi alle psicosi schizofreniche sono oggetto di trattazione approfondita in un articolo dal titolo “Schizophrenia”, di F. R. Frankenburg, Internet, emedicine.medscape.com, ultimo aggiornamento 19.02.2014.

La schizofrenia rappresenta un grave disturbo mentale che coinvolge il pensiero, la percezione del mondo e la sua rappresentazione a livello cerebrale.

La psicoterapia viene reputato un trattamento autonomo della schizofrenia, in fase ancora sperimentale, da attuare in soggetti a cui non siano stati somministrati psicofarmaci per sei mesi.

I sintomi di schizofrenia possono essere distinti in quattro gruppi che sono nell’ordine:

• sintomi psicotici cosiddetti “positivi”, come le allucinazioni, in larga prevalenza di tipo uditivo, cioè le cosiddette “voci”, per lo più a sfondo persecutorio; tra gli altri sintomi positivi si annoverano gli inganni, con un discorso e un comportamento disorganizzato;

• sintomi negativi, legati ad un appiattimento della sfera emotiva, alla povertà del

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discorso ed alla perdita degli interessi e alla scarsa attitudine alle attività motorie, in quanto la persona con la schizofrenia manifesta una terribile apatia;

• sintomi conoscitivi, con deficit di tipo neurocognitivo, ovvero riduzione dell’attitudine ad utilizzare la memoria e deficit dell’attenzione e delle funzioni esecutive, quali l'abilità ad organizzare, pianificare ed astrarre; i pazienti spesso hanno difficoltà nel comprendere le sfumature e le sottigliezze dei discorsi e a intraprendere e mantenere le relazioni interpersonali

• sintomi disforici, con umore altalenante, talvolta allegro talaltra triste, per lo più di difficile comprensione, anche se sovente prevale la depressione.

La diagnosi della schizofrenia è solo clinica e legata ai sintomi, non avendo alcuna correlazione con eventuali indagini di laboratorio.

La diagnosi di schizofrenia si avvale dei sintomi considerati nel DSM V, ovvero:

• inganni

• allucinazioni

• discorso disorganizzato

• comportamento disorganizzato o catatonico

• sintomi negativi

E’ necessaria la presenza di almeno uno dei sintomi quali la presenza di inganni, di allucinazioni, o di disorganizzazione del discorso.

Le manifestazioni cliniche e i sintomi devono essere presenti da non meno di 6 mesi, con presenza di sintomi positivi da almeno 1 mese, ovvero di deterioramento dei rapporti sociali e delle capacità professionali per un lasso di tempo significativo.

Occorre notare che tali disturbi non devono essere legati ad altre condizioni morbose accertate e, quindi, manifestarsi indipendentemente.

E’ recente acquisizione che l’'associazione psichiatrica americana APA ha eliminato l’esistenza di sottotipi della schizofrenia dal DSM - 5 perché non sembrano essere utili ai fini del migliore trattamento globale o a predire la diversa risposta di trattamento.

I farmaci antipsicotici sono in grado di contenere o annullare i sintomi positivi della schizofrenia, essendo anche in grado di prevenire le eventuali ricadute.

Il trattamento psicosociale appare fondamentale per l’addestramento alle attitudini sociali e per mantenere o migliorare le funzioni cognitive, con notevoli effetti riabilitativi complessivi.

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La schizofrenia rappresenta un disordine mentale che comprende, forse, diverse forme di malattie mentali, con la presenza costante di allucinazioni uditive o voci, di inganni o false idee o interpretazioni della realtà, scarsa attitudine all’apprendimento e all’elaborazione delle informazioni, sostanziale perdita della capacità sociale e dell’attitudine a mantenere le relazioni interpersonali.

Trattandosi nel caso della schizofrenia di una diagnosi solo clinica, rientrano nella diagnostica differenziale gli stati tossici e i deficit carenziali, con le relative sindromi psichiatriche.

Con l’avvento dei farmaci neurolettici è stato possibile correggere e contenere i sintomi positivi della schizofrenia.

In base ai criteri diagnostici principali adottati dal DSM-5, sono presenti 5 parametri di riferimento atti alla diagnosi di schizofrenia, configurati nel modo seguente:

• presenza di 2 o più dei sintomi principali riferiti, allucinazioni uditive, disturbi del comportamento e del pensiero con disorganizzazione, ecc., che devono essere presenti per un lasso significativo di tempo della durata di 1 mese, o meno in caso di trattamento farmacologico che abbia avuto successo, ovvero presenza di almeno un sintomo principale come inganni, allucinazioni, disorganizzazione del discorso, comportamento disorganizzato o catatonico, e sintomi negativi;

• presenza per un periodo significativo di tempo di disturbi evidenti che coinvolgano il livello di funzionamento di una o più aree importanti dell’attività cerebrale, con compromissione dell’attività lavorativa, dei rapporti interpersonali, o delle proprie cure personali, rispetto al livello esistente prima della crisi acuta psicotica, sempre in rapporto all’età che può essere anche infantile o adolescenziale, in questo caso, con un limitato funzionamento interpersonale, scolastico o professionale rispetto al passato, ovvero con abolizione degli stessi;

• persistenza di disturbi psichiatrici e comportamentali per un periodo di almeno 6 mesi, comprendente 1 mese di sintomi positivi, o meno in caso di successo di trattamento, con possibile presenza associata di sintomi prodromici antecedenti la fase attiva, e presenza di sintomi residui che possono seguire la fase acuta, quali sintomi positivi più modesti o forme subcliniche di allucinazioni o inganni;

• assenza sostanziale di disturbi di tipo schizo affettivo e di disturbi dell’umore, di tipo depressivo o bipolare, con le caratteristiche di tipo psicotico, che sono da non contemplare in caso di schizofrenia, in quanto episodi di depressione maggiore o di tipo maniaco – depressivo non si sono mai verificati in concomitanza con i sintomi della fase attiva della schizofrenia, potendo tutti gli episodi di tipo umorale verificarsi durante i sintomi di fase attiva rappresentare solo una minima parte della durata complessiva dei periodi attivi e residui della malattia;

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• mancanza di collegamento dei disturbi psicotici con gli effetti fisiologici di una sostanza psicoattiva, per abuso di farmaci o di sostanze tossiche o di trattamenti legati alla presenza di un'altra condizione medica;

• in caso di anamnesi positiva per la presenza di disturbi dello spettro autistico o di un disordine di comunicazione durante l’infanzia, la diagnosi supplementare di schizofrenia viene formulata solo se gli inganni o le allucinazioni esistenti, oltre agli altri sintomi richiesti per la diagnosi di schizofrenia sono presenti da almeno 1 mese o meno in caso di trattamento con successo.

Al di la dei predetti sintomi rapportabili, alle varie aree identificate del pensiero e del comportamento, mediante il criterio diagnostico antecedente, vanno valutate separatamente apprensione e depressione, rispetti ai sintomi legati alle allucinazione e alla distorsione della realtà, eventualmente presenti, per poter correttamente distinguere la schizofrenia dagli altri disordini di tipo psicotico.

Circa l’andamento clinico della schizofrenia, è possibile formulare diverse distinzioni, a seconda che si tratti di:

• primo episodio, attualmente in fase acuta;

• primo episodio, attualmente in remissione parziale;

• primo episodio, attualmente in remissione completa;

• episodi multipli, attualmente in fase acuta;

• episodi multipli, attualmente in remissione parziale;

• episodi multipli, attualmente in remissione completa;

• andamento continuo o sub - cronico;

• andamento non specificato.

Va specificata anche la presenza o l’assenza di catatonia.

Anche la severità del quadro clinico psicotico può essere valutata secondo una scala con 5 diversi aspetti, a seconda della loro presenza e gravità.

Il DSM 5 appare lontano dalla classificazione in sottotipi della schizofrenia che non coadiuva nella migliore scelta di trattamento e on mostra quindi differenze rispetto agli esiti delle cure.

Gli studi di neuroimaging hanno messo in evidenza l’esistenza di diversità fra il cervello di una persona sana e quello di una affetta da schizofrenia, evidenziando delle variazioni nei ventricoli, che appaiono più ampi nello schizofrenico, e nella zona dell’ippocampo.

Anomalie strutturali cerebrali che progrediscono nel tempo sono state messe in evidenza da studi condotti con RM cerebrale.

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Per quanto riguarda i neurotrasmettitori, un ruolo patogenetico sembrano rivestire quelli dopaminergici, con un apparente incremento e un associata produzione iperdopaminergica nel tessuto cerebrale.

Sono stati anche individuati aumento delle citochine infiammatorie e una iperattivazione dell’immunità negli schizofrenici.

Fattori genetici, connatali o perinatali e socio - ambientali sono stati correlati nell’eziologia della schizofrenia.

La schizofrenia pare avere un’incidenza complessiva di circa 1 % nella popolazione generale, a livello mondiale.

Esiste una certa ereditarietà che si può manifestare quando i parenti di primo grado ne sono affetti, con un incremento del 10 % di probabilità, o quando ne sono affetti i genitori, con un incremento del 40 % di probabilità.

Fra i fattori predisponenti perinatali vengono contemplate la malnutrizione e le infezioni virali.

Non esiste una prevalenza di genere, essendo la malattia parimenti diffusa fra maschi e femmine.

La prognosi della schizofrenia è molto severa quoad valetitudinem, con un recupero completo delle capacità mentali estremamente raro.

Nella gran parte dei casi residuano deficit cognitivi, avendo la malattia delle fluttuazioni continue riguardo ai sintomi manifestati.

Familiarità, caratteristiche dell’esordio acuto, alterazioni strutturali cerebrali associate, scadenti condizioni economiche e mancato accesso alle cure sono alla base di una prognosi molto severa.

Peraltro, in ogni caso, riguardo alla prognosi, i ceti medio – alti sono a maggiore rischio rispetto a quelli medio – bassi.

Il rischio di suicidio nello schizofrenico è pari a circa il 5 %.

Un migliore livello di istruzione facilità il recupero funzionale e il miglioramento della prognosi.

Anche il trattamento psicosociale si fonda sul grado di istruzione, con ovvi giovamenti della terapia.

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Nell’anamnesi occorre fare attenzione alla storia clinica naturale e a quella della malattia, alle abitudini tossicomaniche, allo stato di gravidanza, attuale o pregresso, al contesto sociale e culturale, alla familiarità.

Anche il comportamento durante l’infanzia può avere la sua rilevanza, con possibile pregressa tendenza all’isolamento e a manifestazioni di più spiccata emotività ed ansia, ovvero al gioco isolato.

I cambiamenti di personalità e le turbe del comportamento si manifestano, di solito, durante la tarda adolescenza.

Il periodo di latenza dai primi prodromi alle manifestazioni conclamate di malattia è di circa 1 – 2 anni.

L’insorgenza della schizofrenia varia dalla tarda adolescenza fino ai 30 anni di età.

Come già indicato in precedenza, i sintomi di schizofrenia possono essere distinti nei seguenti quattro ambiti:

• sintomi psicotici positivi, come le allucinazioni, di solito uditive, gli inganni i discorsi e i comportamenti disorganizzati;

• sintomi negativi come l’apatia emotiva, la povertà del discorso, e la perdita degli interessi, con una riduzione dell’attività motoria e deambulatoria, prevalendo un’abulia totale;

• deficit cognitivi, disturbi della memoria e dell’attenzione, riduzione delle capacità esecutive, della pianificazione e dell’astrazione, con perdita delle capacità logico – intuitive fini;

• distimia e disforia, spesso depressione associata.

Un esame sulla condizione mentale e socio – mentale, tipo MSE, può consentire di valutare quanto segue:

• presenza di eccessiva diffidenza nei confronti dell’esaminatore, con atteggiamento e manifestazione del pensiero goffi;

• manifestazione possibile di vari tipi di credenze o di inganni;

• apatia emotiva e tendenza all’isolamento;

• allucinazioni uditive o anche visive;

• blocco del pensiero, con pause lunghe nelle risposte;

• incongruenza del discorso, spesso privo di associazioni con una sequenza logica del pensiero che appare chiara solo al paziente ma non all'intervistatore;

• difficoltà di astrazione, incapacità di comprendere i concetti comuni o interpretazione eccentrica degli stessi;

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• discorso involuto, con molti giri di parole nelle risposte ovvero estensione del pensiero al di fuori della domanda rivolta;

• pensiero disorganizzato, stereotipato, o perseverante;

• movimenti incongrui e afinalistici, legati all’uso di neurolettici;

• scarsa conoscenza e coscienza dei propri problemi, ovvero incapacità di soluzione degli stessi, definita anosognosia;

• orientamento è di solito conservato, avendo, in genere, i pazienti consapevolezza di dove sono e del tempo in cui si trovano.

Comportamenti alterati possibili degli schizofrenici sono dati da assunzione incongrua di liquidi come l’acqua, fissazione continua davanti allo specchio, attività stereotipata, accumulo di oggetti inutili dentro la stanza, ecc..

Tabagismo e alcolismo sono poi molto comuni nella schizofrenia.

Anche l’abuso di sostanze tossiche è spesso alla base di episodi acuti di psicosi schizofrenica indotta, con possibili episodi di violenza associati e tentativi suicidiari, specie per l’uso di droghe allucinogene

Controversi sono poi i rapporti fra schizofrenia e depressione.

Non è del tutto chiaro se la depressione si possa innescare successivamente alla schizofrenia, se sia indipendente, ovvero se ne rappresenti un sintomo.

Identicamente anche l’ansia si può associare alla schizofrenia, ma non appare del tutto chiaro se in modo correlato o indipendente dalla malattia.

Si possono anche associare sintomi di tipo ossessivo, di difficile trattamento.

Nella diagnostica differenziale della schizofrenia rientrano:

• altre malattie psichiatriche

• lesioni anatomiche

• malattie metaboliche

• disordini endocrine

• malattie infettive

• disordini miscellanee

• carenza di vitamine

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Fra le altre malattie psichiatriche, vanno distinti i disturbi bipolari, prevalendo negli schizofrenici i sintomi psicotici.

Anche le lesioni anatomiche cerebrali possono mimare la schizofrenia, specie le emorragie intracraniche e gli ematomi subdurali.

Il delirio può essere provocato da disordini metabolici ed endocrini.

Anche le encefaliti virali possono essere gravate da sintomi psicotici o, più in generale, psichiatrici.

Altrettanti disturbi si possono verificare in caso di neurosifilide, HIV, ascessi cerebrali.

Altresì le demenze e varie malattie neurologiche possono presentare, in varie fasi, complicazioni di tipo psichiatrico.

Pure i farmaci, come i corticosteroidi, la levodopa, gli antidepressivi, l’alcool e le droghe possono provocare disturbi psichiatrici di vario genere, dalla depressione alla psicosi.

Da ultimo, carenze di vitamina del complesso B, segnatamente la vitamina B 1 e la B 12, possono sfociare in quadri psichiatrici.

Un esame neurologico preliminare può essere utile prima di intraprendere una terapia con neurolettici e antipsicotici.

Anche gli esami di laboratorio di routine vanno espletati prima di intraprendere qualsiasi trattamento farmacologico, come anche altre indagini diagnostiche di tipo corrente, specie sulla base delle risultanze dell’anamnesi.

Un esame neuropsicologico può essere utile a svelare deficit di tipo cognitivo, riduzione della memoria di apprendimento, ridotta o assente capacità di pianificazione e organizzazione, deficit dell’astrazione e presenza di labilità mentale e facile distraibilità.

I farmaci antipsicotici maggiori sono in grado di combattere i sintomi positivi come le allucinazioni e di prevenire le ricadute.

Si discute molto sull’efficacia, costi, tolleranza, effetti secondari possibili, accessibilità, ecc. dei farmaci somministrabili in pazienti schizofrenici.

Nelle fasi di riacutizzazione si può rendere necessaria l’ospedalizzazione del paziente.

Gli antipsicotici di prima generazione, come cloropromazina e aloperidolo, sono gravati da effetti di tipo extrapiramidale.

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In uno studio è stato però provato un migliore effetto nel primo episodio psicotico con l’aloperidolo a basse dosi rispetto ad altri farmaci antipsicotici come olanzapina, quetiapina, ziprasidone, o amisulpride.

Altri studi hanno mostrato poche differenze fra olanzapina quetiapina e risperdone.

In un ulteriore studio si è verificato che nel primo episodio è possibile utilizzare qualsiasi antipsicotico al di fuori della clozapina e dell’olanzapina.

La tollerabilità al trattamento con farmaci antipsicotici, in caso di primo episodio di schizofrenia, è stata pari al 70 % a un anno, al netto di tutte le possibili cause di cessazione dei farmaci.

Non è ancora ben chiaro quale debba esattamente essere la terapia di prima linea nel trattamento della schizofrenia.

In uno studio il trattamento con olanzapina e risperdone ha prodotto una risposta complessiva del 75 %.

In caso di mancata risposta è possibile utilizzare anche 2 – 3 farmaci antipsicotici alternativi, con discreta risposta.

Farmaci antipsicotici a lento rilascio, utilizzati una volta al mese, hanno mostrato la stessa efficacia delle terapie orali.

Effetti avversi dei farmaci antipsicotici sono abbastanza frequenti, sia convenzionali che atipici, al punto da richiedere una riduzione delle dosi.

Nella gran parte dei casi, gli effetti avversi contemplati, sono dati da:

• acatisia

• distonia

• iperprolattinemia

• sindrome da impregnazione da neurolettici

• parkinsonismo

• discinesie tardive.

La sindrome da impregnazione da neurolettici è data da febbre, rigidità muscolare, alterato lo stato mentale, e autonoma instabilità.

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Si associano mioglobinuria e aumento della creatin – chinasi, nelle analisi di laboratorio.

Il parkinsonismo è dato dai sintomi tipici di tremore, rigidità, bradi – acinesia.

Le discinesie sono il più spesso quelle buccali, con movimenti non ritmici della bocca e della faccia, trattandosi di movimenti ripetitivi e involontari.

Gli effetti anticolinergici sono invece dati da:

• xerostomia;

• esacerbazione del glaucoma ad angolo chiuso se non diagnosticato e non trattato;

• confusione mentale;

• diminuzione della memoria;

• agitazione;

• allucinazioni visive;

• stipsi.

Altre possibili complicanze delle cure con antipsicotici, sono date da alterazioni ecgrafiche, con prolungamento del tratto QT, come nel caso dell’aloperidolo.

Alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico si associano spesso all’uso di antipsicotici, come anche un aumento del peso.

Non è ben chiaro il meccanismo con cui gli antipsicotici determinano un aumento del peso corporeo, forse per un’aumentata sensibilità delle cellule all’insulina o per altro motivo.

Alterazioni della motilità e del normale transito esofageo, con possibile aspirazione di cibi e conseguente polmonite ab ingestis, ipotensione ortostatica e tromboembolismo venoso, sono altre possibili complicanze delle terapie con antipsicotici.

Degenerazioni strutturali cerebrali, con riduzione della sostanza grigia, sono state segnalate dopo assunzione prolungata con antipsicotici.

Il monitoraggio dei livelli ematici degli antipsicotici può esser utile per il monitoraggio degli stessi, controllo della loro efficacia e delle possibili intossicazioni, ovvero presenza o assenza dell’assunzione degli stessi.

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Farmaci anticolinergici sono spesso somministrati in associazione agli antipsicotici per prevenire le distonie e i sintomi extrapiramidali.

I trattamenti psicosociali sono fondamentali ai fini del recupero funzionale del paziente.

Gli obiettivi perseguiti dal trattamento psicosociale sono dati nell’ordine da:

• controllare e stabilizzare i sintomi;

• evitare l'ospedalizzazione;

• permettere al paziente di utilizzare personalmente i farmaci e il denaro, a scopo personale;

• consentire al paziente di lavorare o andare a scuola, almeno a tempo limitato.

Riabilitazione conoscitiva e lavorativa, trattamento in comunità, trattamento in ambito familiare, sono i presidi maggiormente utilizzati a scopo di recupero nella schizofrenia.

Il tabagismo è molto frequente fra gli schizofrenici, forse per mitigazione degli effetti degli antipsicotici, per cui va tentata in tutti i casi la disassuefazione dello stesso.

Gli antipsicotici di prima generazione o convenzionali sono gravati da un alto tasso di effetti extrapiramidali.

Fra questi farmaci vanno menzionati la clorpromazina, la flufenazina, l’aloperidolo (Haldol), e la perfenazina.

Si tratta di potenti antagonisti dei recettori D2 della dopamina.

Gli antipsicotici di seconda generazione invece comprendono:

• aripiprazole (Abilify), indicato nel trattamento acuto e di manutenzione della malattia;

• asenapine, con identiche indicazioni;

• clozapina, farmaco vecchio ma molo efficace, specie nella fase acuta, anche se gravato da effetti collaaterali extrapiramidali;

• iloperidone;

• lurasidone;

• olanzapina, antagonista selettivo della serotonina (Zyprexa);

• paliperidone;

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• risperdone (Risperdal), con effetto anti dopamina D2 e anti serotonina;

• ziprasidone che agisce in varia misura su diversi recettori cerebrali.

Da un articolo dal titolo “Depression” di Jerry L Halverson, Internet, Medscape, http://emedicine.medscape.com/, ultimo aggiornamento 18.02.2014, è possibile trarre ottimi spunti di riflessione sugli aspetti generali relativi alla psicosi depressiva.

Nel caso della depressione si tratta di un grave disturbo mentale che comporta una considerevole morbilità e mortalità, potendo determinare suicidi, malattie mediche associate, disgregazione dei rapporti interpersonali, possibile abuso di sostanze e perdita di molte giornate di lavoro.

Ci sono diversi studi che dimostrano un significativo aumento della malattia coronarica cardiaca in caso di depressione.

La depressione può instaurarsi in un soggetto apparentemente normale nell’aspetto, salvo la possibile manifestazione di una ridotta igiene personale e della cura della persona assieme ad un calo ponderale non altrimenti spiegabile.

I sintomi di esordio più frequentemente sono dati da:

• ritardo psicomotorio, di grado lieve medio;

• appiattimento o perdita di reattività nel paziente , con riduzione dell’espressione emotiva;

• agitazione psicomotoria o ansia incessante.

Un episodio depressivo maggiore è caratterizzato dalla presenza di almeno 5 sintomi, perduranti minimo da 2 settimane, compresi fra i seguenti:

• umore depresso, che nei bambini e negli adolescenti, può variare anche in un umore irritabile;

• diminuzione di interesse o perdita di piacere in quasi tutte le attività svolgibili, definito anedonia;

• cambio di peso significativo o disturbo di appetito che nei bambini può sfociare sia nell’anoressia che in un incremento del peso;

• disturbi del sonno, con insonnia o ipersonnia;

• agitazione psicomotoria o neurastenia;

• facile faticabilità o sensazione di perdita di energia;

• sentimenti di indegnità o di inadeguatezza, perdita dell’autostima;

• diminuita abilità nel pensare o nel concentrarsi, assenza di decisione;

• pensieri ricorrenti di morte e suicidio;

• ideazione improntata al rifiuto dei rapporti interpersonali, da diverso tempo, di

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tentativi di suicidio, o presenza di un piano specifico finalizzato al suicidio.

La domanda che il medico deve porre al paziente supposto depresso è di conoscere se l’umore è deflesso e fino a che punto, ossia se il paziente ha mai avuto o manifestato idee suicide, onde ben valutare l’entità e la profondità della depressione.

Strumenti di autovalutazione del grado della depressione possono essere utilizzati facendo ricorso a delle Scale di valutazione, come succintamente riportato di seguito:

• questionario di salute mentale del paziente PHQ-9 che è una scala di depressione che consiste in 9 item, in cui ogni voce riportata è valutata da 0-3, quindi con una diversa gravità complessiva che va da 0-27;

• Scala BDI che fa una stima dei sintomi mediante 21 domande;

• Scala BDI per la cura primaria, che è una scala di 7 domande adattata dal BDI;

• Scala di Zung per la autovalutazione della depressione tramite 20 item;

• Scala D di CES che permette, con 20 item, ai pazienti di valutare i loro sentimenti, il comportamento, e la prospettiva dalla settimana precedente, onde monitorare lo stato della depressione.

Rispetto alle scale di autovalutazione della depressione, la scala della stima della depressione di Hamilton, HDRS, è uno strumento di valutazione professionale, somministrata da un osservatore diverso dal paziente.

La scala HDRS si avvale di 17 o 21 item, con valori attribuiti a ciascuno variabili da 0-2 o 0-4.

Se il risultato totale è di 0-7, il test è considerato normale, mentre con valori maggiori di 20, si può parlare di depressione moderata - severa.

Esiste anche la scala geriatrica di depressione GDS, che malgrado sia stata creata per gli adulti più vecchi, ha ricevuto una convalidda e può essere utilizzata anche negli adulti più giovani.

La scala in questione GDS contiene 30 item, ma è stata approntata anche una scala ridotta GDS che ha solo 15 item.

Nel caso della depressione gli esami di laboratorio appaiono poco utili ai fini diagnostici.

La terapia farmacologica si avvale, nel caso della depressione, dei seguenti tipi di principi attivi:

• gli inibitori selettivi dei recettori della serotonina o famiglia degli SSRI;

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• gli inibitori dei recettori della serotonina / norepinefrina o SNRI;

• gli antidepressivi atipici;

• gli antidepressivi triciclici o TCA;

• gli inibitori delle monoaminossidasi o anti MAO;

derivati di prodotti naturali come l’Hypericum perforatum.

La psicoterapia ha un ruolo importante nel trattamento della depressione.

Esistono vari tipi di psicoterapia, utilizzati soprattutto in età pediatrica, fra i quali vanno annoverati:

• terapia comportamentale;

• terapia comportamentale conoscitiva;

• terapia familiare;

• psicoterapia di gruppo;

• psicoterapia interpersonale;

• terapia interpersonale;

• terapia conoscitiva basata sull’attenzione;

• psicoterapia psicodinamica;

• psicoterapia solidale.

Nelle forme più modeste di depressione gli interventi di terapia psicosociale sono spesso raccomandati come trattamenti di prima linea.

Secondo l’associazione psichiatrica americana APA appare idoneo l’approccio di combinazione fra la psicoterapia e i farmaci antidepressivi, da riservare, in prevalenza, nei pazienti con disordine depressivo moderato rispetto alle forme di depressione davvero severa.

L’elettrochoc terapia ha effetti immediati sulla depressione e trova indicazione nelle seguenti circostanze:

• necessità di una risposta rapida antidepressiva;

• fallimento delle terapie farmacologiche;

• anamnesi favorevole per una buona risposta all’ECT;

• preferenza del paziente;

• alto rischio di suicidio;

• alto rischio di morbilità medica e di mortalità.

Circa i 2/3 della popolazione di pazienti affetti dalla depressione non ha esatta consapevolezza del proprio stato di malattia mentale e non si rivolge al medico per essere trattato.

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Superficialità e ignoranza sono alla base di tali tipi di comportamento.

I motivi più frequenti per i quali i pazienti si rivolgono al medico sono dati da presunti sintomi di tipo somatico come astenia, mal di testa, dolori addominali persistenti, o problemi di insonnia.

La classificazione della depressione comprende i seguenti tipi di forme:

• disordine depressivo maggiore o MDD;

• depressione con le caratteristiche malinconiche o catatoniche;

• depressione atipica, con caratteristiche psicotiche;

• depressione bipolare, con episodi singoli o ricorrenti;

• la distimia;

• il disordine affettiva stagionale o SAD.

La diagnosi differenziale per la depressione comprende altri disordini psichiatriche, malattie del SNC, malattie endocrine, effetti secondari di altre malattie, patologie infettive e infiammatorie, con i disturbi collegati del sonno.

A fini diagnostici il test più usato è il questionario di salute del paziente PHQ-9.

La psicoterapia può essere utilizzata da sola o in associazione con i farmaci antidepressivi.

Il trattamento farmacologico va condotto per un periodo di tempo variabile da 2 a 12 settimane, fino all’ottenimento della remissione clinica.

La malattia non è stata ancora ben definita a livello patogenetico.

Sarebbero implicati vari neurotrasmettitori fra i quali principalmente la serotonina, ma anche la norepinefrina e la dopamina, oltre ad altri fattori.

Questo ruolo patogenetico attivo della serotonina è suggerito, del resto, dall’azione efficace degli SSRI, o farmaci anti – serotonina, nella terapia della malattia, somministrati, comunque, per alcune settimane.

Il disordine affettivo stagionale è una forma di depressione che interviene, in forma piuttosto severa, in inverno per poi risolversi in primavera o in estate.

Lesioni ischemiche cerebrali possono innescare una depressione, per la perdita o il cattivo funzionamento delle reti neuronali.

Anche il sistema limbico, l’ippocampo e l’amigdala sono implicati nel meccanismo di innesto patogenetico della depressione.

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Gli studi della RM cerebrale, di tipo funzionale, indicano un diminuito rendimento della neocorteccia cerebrale, con apparenti implicazioni della serotonina.

La PET dimostra una ridotta attività cerebrale a livello del locus ceruleo e della corteccia prefrontale.

Anche l’età più avanzata condiziona l’insorgenza della depressione.

L’eziologia della depressione non è nota ma si presume di origine multifattoriale con una familiarità abbastanza spiccata.

La genetica svolge un ruolo assai importante nell’insorgenza della depressione, specie quella maggiore, come dimostrano molti studi su gemelli monocoriali, con un accordo di incidenza di depressione maggiore in entrambi i gemelli nel 40 % dei casi.

Molti studi suggeriscono che esistono dei geni, che controllano la produzione o l’utilizzazione della serotonina, che giocano un ruolo importante nel patogenesi di depressione.

Stressors, ed eventi luttuosi personali, o la perdita di un bene o di una condizione di beneficio, certamente aumentano il rischio della depressione, anche se l’origine della stessa malattia, in genere, non pare dipendere troppo da fattori esterni.

Fattori psicosociali favorenti la depressione appaiono, in genere, i seguenti:

• rapporti sociali indeboliti

• carico di assistenza;

• solitudine;

• privazioni;

• eventi di vita negativi

Inoltre, le ipotesi neurochimiche indicano la presenza di effetti deleteri del cortisolo ed altre sostanze collegate allo stress sul substrato neuronale dell’umore, a livello del SNC.

Studi sull’origine della depressione hanno dimostrato che una riduzione della struttura dell’ippocampo dovuta a stress nel bambino costituisce un fattore di rischio per la depressione.

Non è stato però possibile dimostrare, in generale, un rapporto fra fattori di rischio e alterazioni strutturali cerebrali.

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Circa l’associazione della depressione con altri quadri clinici e malattie neurologiche, è stato possibile dimostrare che le malattie neurogenerative come l’Alzheimer e il Parkinson, l’ictus, la sclerosi multipla, malattie croniche, tumori e degenerazione maculare provocano un incremento dei tassi di depressione nelle persone che ne sono affette.

Circa poi l’associazione con le malattie vascolari, è stato possibile, in questo caso dimostrare che:

• dopo un ictus del lato sinistro si verifica un’incidenza più alta della depressione;

• variazioni della sostanza bianca su base ischemica si presentano maggiormente negli adulti più vecchi con la depressione rispetto a quelli senza depressione;

• è stata anche dimostrata un’associazione biunivoca tra depressione e malattia delle coronarie e depressione e diabete;

• tassi più alti di depressione si verificano tra i pazienti con la demenza vascolare rispetto a quelli con la malattia di Alzheimer.

Circa l’incidenza della depressione le stime sono molto alte e indicano il 20 % fra le donne e il 12 % fra gli uomini, negli USA.

Negli ultimi 70 anni si è assistito ad un incremento progressivo della malattia.

Neri bambini in età prescolare la depressione ha un tasso d’incidenza dello 0,9

%, in quelli in età scolare dello1,9 % e negli adolescenti del 4,7 %.

L’incidenza della depressione è più elevata nei soggetti anziani, specie se ospedalizzati o affetti da malattie croniche.

La depressione psicotica ha una remissione farmacologica di circa 86 % e un recupero di circa 84 %, anche se solo nel 35 % si ristabiliscono le funzioni.

In caso di insorgenza in età adolescenziale è alto il rischio di depressione grave in età adulta.

La depressione insorta, quale primo episodio, in età avanzata ha una prognosi peggiore di quella esordita in età giovane adulta.

In caso frequente di comorbilità, con la depressione si incrementa il tasso di mortalità dovuto all’aggravamento delle patologie preesistenti.

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L’episodio acuto depressivo insorto in età anziana raddoppia il rischio di demenza nei soggetti affetti.

Il rischio di suicidio nei depressi è molto elevato, intervenendo nel 20 % dei casi di depressione.

Peraltro nel 50 % dei casi dei casi di suicidio è presente la depressione.

Insieme alla vecchiaia e al sesso maschile, ulteriori fattori di rischio per il suicidio sono da considerarsi, nell’ordine:

• diagnosi di depressione severa;

• anamnesi positiva per tentati suicidi;

• sintomi di depressione con agitazione o ansia;

• presenza di una condizione medica severa attuale, instauratasi durante o prima della malattia cronica medica;

• eventi stressanti avversi di vita recenti, discordie specie familiari;

• isolamento sociale;

• condizione di vedovanza o di divorzio;

• possesso di un'arma da fuoco in casa;

• perdita di peso ingiustificata;

• alto livello di ansia;

• assenza di obiettivi importanti nella vita, tali da dissuadere al suicidio;

• presenza di un piano specifico di suicidio che può essere attuato;

• evidenza dell’attuabilità pratica del piano escogitato.

L’uso di farmaci antidepressivi in età infantile o giovanile pare incrementare il rischio di suicidio, mentre ciò non è stato provato né nell’adulto né nell’anziano.

L’inizio di una depressione severa può essere insidioso con mal di testa, dolori addominali, somatizzazione dell’ansia, anche senza i classici sintomi della depressione come deflessione del tono dell’umore, insonnia e calo ponderale.

Esiste un’evidente familiarità della depressione.

Lo stato psicotico può insorgere in una depressione maggiore monopolare endogena, e il delirio è congruente con l’umore depresso del soggetto.

La visita medica in caso di depressione non evidenzia aspetti patologici particolari, salvo che la depressione non sia intercorsa in una malattia di tipo infettivo, infiammatorio o tumorale.

Nella gran parte dei pazienti depressi l’apparenza può essere altrettanto normale.

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Nei casi più severi può evidenziarsi una riduzione dell’igiene personale, un ritardo psicomotorio, movimenti lenti, appiattimento e perdita della reattività e dell’espressività.

Si può anche verificare agitazione psicomotoria e ansia.

Il discorso è lento, monotono, privo di contenuti.

In base ai criteri disegnati nel DSM 5, l’episodio depressivo maggiore, sotto il profilo diagnostico, viene definito per la presenza di almeno 5 dei seguenti sintomi, perduranti da almeno 2 settimane:

• umore depresso negli adulti o negli anziani, umore irritabile nei bambini e negli adolescenti;

• ridotto interesse o perdita di piacere in quasi tutte le attività, sintomo definito anedonia;

• variazione di peso significativa o disturbo dell’appetito che nei bambini si manifesta come mancata acquisizione di peso, rispetto a quello considerato in base all’età;

• disturbi del sonno come insonnia o ipersonnia;

• agitazione psicomotoria o movimento rallentato;

• faticabilità o perdita di energia;

• sentimenti di indegnità;

• ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, indecisione;

• ricorrenti pensieri di morte e di suicidio;

• tendenza all’isolamento e all’introspezione, tentativi di suicidio, o escogitazione di un piano specifico per il suicidio.

Altri aspetti inerenti i sintomi che si associano ad un episodio depressivo maggiore, tali da far rientrare la malattia nell’ambito della diagnosi secondo il DSM 5, sono dati nell’ordine da:

• deve essere presente almeno uno dei sintomi tali da diminuire interesse o piacere, ovvero essere presente un umore depresso;

• i sintomi devono essere in grado di provocare un’angoscia significativa o un ridotto funzionamento sociale o professionale, ovvero investire altre aree mentali importanti;

• la depressione non dovrebbe essere provocata dall'azione diretta di una sostanza psicotropa o associarsi ad una condizione medica generale coesistente;

• almeno nel caso della depressione monopolare endogena non si devono associare sintomi ed episodi di altro genere, come quelli di tipo maniacale;

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