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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.41 (1914) n.2085, 19 aprile

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L ’ E C O N O M IS T A

G A Z Z E T T A S E T T IM A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA. COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

REDAZIONE: M. J. de Johannis — R. A. Murray — M. Pantaleoni

Anno XLI - Voi. XLV r . Firenze-Roma, 19 Aprile 1914 | En n n » • | 4 n j j ( F IR E N Z E : 31, V ia d e lla P e rg o laoma: 4, via mdovisi N. 2085

S O M M A R IO : Per una Camera di commercio Internazionale, M. J. d e Joh a n ki s. — La statistica della litigio­ sità. — Verso il libero scambio, Lanfranco Ma r o i. — INFORMAZIONI : Una ferrovia internazionale nell’Argen­ tina. — I premi della marina mercantile. — Trattato di arbitrato fra Italia e Stati Uniti. — Una nuova linea di navigazione. — Voci di un largo sciopero agrario. — Nuova linea tedesca per il Mediterraneo ed il Mar Nero. — Il Banco di Napoli. La Cassa di Risparmio di Roma. RIVISTA BIBLIOGRAFICA : Dottor Ya k ir Be h a r, Le finanze turche - Le contribuzioni dirette nell’Impero ottomano. — Prof. F. Im p e r a t o, Atlante di ban­ diere, insegne, distintivi dei principali Stati del mondo. — Came ra di commercio d i Vic en z a, Osservazioni e voti in merito al progetto di riordinamento delle tariffe per le merci sulle ferrovie dello Stato. — Cassa di r is p a r m io di Bologn a. — La Cassa dì risparmio di Bologna nel settantacinquesimo anno della sua

fondazione. — Luigi Min u ti, Il Comune Artigiano di Firenze della Fratellanza Artigiana d ’Italia. — W . P.

Wa r r e n, Come si riesce negli affari. — Er co l e Vi d a r i, La presente vita itali ma politica e sociale. R I­ VISTA ECONOMICA.: La, situazione delle Associazioni di credito fondiario in Danimarca. — Le cooperative e le mutue agrarie in Italia. — RIVISTA DELLA PRODUZIONE : La produzione del caoutouch nel mondo. — Produ­ zione nazionale argentina nel 1913. — MERCATO MONETARIO E RIVISTA DELLE BORSE. — PROSPETTO QUOTA­ ZIO N I, VALORI, CAMBI, SCONTI E SITU A ZIO N I BANCARIE.

PER DIH CAMERA DI COMMERCIO INTERNUIOMLE

Uno sguardo retrospettivo alle innumeri isti­ tuzioni internazionali sorte nell’ultimo mezzo secolo ci ammaestra che una irrefrenabile ten­ denza si accentua nel rendere più facili, più coordinate, più pratiche e più efficienti, più vantaggiose per i singoli Stati e per tutto il genere umano le intese su un modo di essere comune alla maggior parte dei popoli, così da materiare, sotto forma di trattati, di conven zioni, di accordi, di stipulazioni statali o pri­ vate, una migliore uniformità ed un più equi­ librato trattamento nei rapporti e negli scambi che allacciano sempre più strettamente le na­ zioni dei vari continenti.

Lentamente, ma costantemente, ostacoli che parevano un tempo insormontabili si appianano e si annientano nelle parti meno proficue all’in teresse generale, e benefìci insperati si svilup­ pano e si rigenerano nella mira di un interesse più largo, se non addirittura universale. Opera fatale di vera pace, che non può non avere fau­ tori in ogni cultore del buon senso, che non può trovare arresto, ma soltanto remore, nelle mo­ mentanee discrepanze politiche.

Sarà, in tale ineluttabile procedere, giovevole un istituto internazionale di più, — quello del commercio, — che miri a conseguire il raggiun­ gimento di quei postulati ormai in massima acquisiti dalla scienza degli scambi interna­ zionali e che attendono solo di superare le dif­ ficoltà della meccanica, materiale attuazione, pur loro connessa, o che miri ad accordi più efficaci fra i commercianti stessi, al fine di per­ fezionare alcuni strumenti comuni delle loro attività crescenti?

È quanto sostiene con validi argomenti il sig. Edward A. Filene di Boston, Mass, il quale sta appunto di questi giorni visitando le più

alte personalità ed autorità della economia e del commercio nei differenti Stati, allo scopo di addivenire alla costituzione di una ideata Ca­ mera di Commercio Internazionale (siamo lieti di poterne dare per primi la notizia), per la quale ha già formulato uno schema di statuto, modi­ ficabile però secondo gli opportuni suggerimenti dei competenti.

Esaminiamo brevemente quali sono i prece­ denti della idea del Filene, quali gli obbiettivi più prossimi cui la Camera Internazionale po­ trebbe mirare, quali le istituzioni che le dareb­ bero vita, quali le affini che potrebbero incorag­ giarla o colle quali potrebbe allacciarsi.

Un precedente esiste già nei Congressi inter­ nazionali delle Camere di commercio e delle Associazioni commerciali ed industriali, i quali, come è noto, si manifestano in una vita troppo fugace, e troppo distratta dalle formalità dei ricevimenti e delle feste del paese che li ospi­ tano, per poter lasciare traccia efficace e dure­ vole e mantenere nel campo della pratica l’a­ zione, dopo aver espresso con voti teorici ed elevati i desiderati del commercio mondiale.

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legi-242 L ’ ECONOMISTA

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stazione e che formarono sempre un vanto della sua storia antica.

La esistenza di questo Comitato fa sorgere la domanda: si vuole dunque un duplicato di un ente esistente? No, risponde il Filene, bensì integrazione e riforma della prova fatta; stabi­ lire cioè una istituzione che costituisca il potere esecutivo e legislativo del commercio interna­ zionale coalizzato, che, libera da ogni legame colle autorità governative, possa svolgere invece una coordinata pressione sui governi dei singoli Stati, allo scopo di tradurre in attuazione i de liberati che emergeranno accetti all’insieme delle i appresentanze ed altresì costituisca il' centro degli accordi che i commercianti del mondo po­ trebbero stipulare, indipendentemente dalle le­ gislazioni, nel loro interesse.

Innumeri e ben conosciute sono le conquiste che si possono fare, sia nel campo della legisla­ zione pubblica, sia in quello delle convenzioni private. Giova, a dimostrazione, enunciarne al­ cune, la importanza delle quali è già stata di­ scussa, ma il cui conseguimento abbisogna ancora di una attiva e forse lunga ed intensa azione per essere raggiunto.

La nuova istituzione internazionale potrebbe premere ad esempio presso tutti gli Stati del , mondo, perchè questi svolgessero una azione diretta ad introdurre nella loro legislazione in­ terna la esecutorietà degli arbitrati in materia di commercio. Nei contratti commerciali inter­ nazionali è di enorme vantaggio, una più larga applicazione della clausola compromissoria, la quale mira a semplificare la procedura del giu- dizio, in genere difficile e complicato, di fronte alle leggi del paese cui appartengono i singoli contraenti. Il deferire ad arbitri del paese nel quale debbasi eseguire la obbligazione commer­ ciale, la definizione delle controversie derivanti dalla medesima, è di una utilità pratica somma e tale da non abbisognare dimostrazione. Se non che, le singole legislazioni non concedono sempre la piena esecutorietà dei compromessi nel ter ri torio dei rispettivi Stati, uniformando alcune il trattamento dei lodi a quello delle sentenze dei giudici stranieri, altre negando la equipa­ razione dei pronunciati, altre esigendo naturai- mente la condizione della reciprocità, come per le nazioni che hanno aderito al Congresso di Montevideo (1).

Per l’Italia ci limiteremo a ricordare che Par­ ticelo 22 del Cod. di proc. civ. ostacola la tacile esecuzione nel Regno delle sentenze arbitrali pronunciate m paese estero (2), mentre d’altra parte la nostra legislazione è stata la più larga nell ammettere la esecutorietà delle sentenze estere, sottoposte alla breve e semplice formalità del giudizio di delibazione, al quale è imposta la sola indagine sulla osservanza del procedi mento conforme alla legislazione nel paese di origine del pronunciato e senza esame del merito.

E chiaro pertanto che, come per iniziativa

B a ^ to ñ a BlA907° LOMé AMATOÜEL ~ M a t r a j e internacional,

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degli Stati Uniti di giorno in giorno vanno, mercè opportuni accordi, eliminandosi gli ostacoli con­ nessi all’arbitrato nelle questioni fra Stato e Stato, così si, possa indubbiamente raggiungere anche una completa intesa internazionale di­ retta a circondare l’istituto dei lodi arbitrali privati, nelle controversie fra commercianti di paesi diversi, da tutte quelle garanzie che sono state dagli scienziati del diritto privato interna­ zionale discusse e vagliate, si che la esecutorietà dei compromessi possa essere egualmente assicu­ rata nelle singole nazioni. Ci duole non poterci addentrare nell’attraente argomento sospinti come siamo ad additare altri pochi dei molteplici esem­ pi, che stanno a formare il campo di una azione internazionale sapientemente diretta.

Il diritto cambiario, la legislazione cioè che regola il documento e lo strumento principe degli scambi internazionali, è oggetto di non minor momento nella mira di una uniformità da tempo invocata, la quale condurrebbe a dei benefici, di cui è incommensurabile la portata. Naturalmente le legislazioni sono fra loro cosi disparate, che non riesce agevole il vedere ed il risolvere di un tratto l’arduo problema, ma ci valga, a di­ mostrazione dei singoli passi che si potrebbero a mano a mano compiere- verso una i’ntefriazio- lizzazione del diritto cambiario, ricordare la con­ giuntura che ci tocca oggi da vicino e che si connette alle riforme tributarie annunciate dal- 1 attuale governo italiano. E’ supponibile che la riforma dei nostri sistemi fiscali porti anche ad un ritocco delle leggi sul bollo e non solo in ri­ guardo alla sua misura, ma anche in merito alla sua sostanza. Sembra, a priori, che un regime fiscale interno non possa interferire sulla efficacia di un titolo, come il cambiario, la cui circolazione e indubbiamente di carattere internazionale. In­ vece per ciò che riflette l’ Italia occorre avere presenti i lavori del Congresso cambiario di Ali- versa (1885), la relazione per la unificazione del diritto cambiario del Renault all’Aia (1910) la legge conseguente formulata dalla Conferenza e la proposta di un bollo cambiario internazionale, avanzata da uno dei più eminenti giuristi italiani, per comprendere appunto quanta parte il regime fiscale possa avere nei riguardi di una direttiva internazionale o nella possibilità di aderire ad un giusto e nuovo concetto, col quale si potreb­ bero superare difficoltà d’altro ordine, ben rile­ vate nei seguenti brani: (1)

« A proposito della legislazione cambiaria uni- .orme e sorta la più intricata e curiosa delle situazioni. I suoi valorosi fautori spiegano un tesoro di dottrina, specialmente del diritto cam­ biario comparato, per dimostrare che difficoltà insormontabili in proposito non esistono; che i tre tipi cambiari fondamentali: francese, tede­ sco, anglo-sassone, non sono poi ribelli all’ar­ monia; che i dissensi maggiori vertono sopra punti estranei al vero e proprio diritto cambia­ no cosi da potersi agevolmente distaccare da esso, ecc., ecc. ».

E più avanti :

«Nel Congresso di Anversa il Pirmez che pre­ siedeva la sezione del diritto cambiario aveva

« R i v i S ^ Ì W Ì i H ° t " J 10’ P n V f tte di un boll° internazionale.

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espresso un’idea la più concreta. Pur dichiaran­ dosi contrario a qualunque cominatoria di nul­ lità per la inosservanza del bollo, non dovendosi, diceva, confondere il diritto fiscale, col diritto privato, proponeva che si attuasse per le cam­ biali il sistema delle convenzioni postali.... Alla conferenza dell’Aja questa semplice idea non ebbe nemmeno l’onore di un ricordo, ecc, ».

E più avanti a riguardo della sua proposta, l’autore spiega :

« L’obbiettivo della proposta è evidente: of­ frire l’assoluta certezza che il titolo, circolante in Stati diversi, è una valida cambiale per la sua conformità alla legge del luogo di creazione. Il bollo internazionale apposto dall’ufficio com­ petente, prima che la cambiale emigri in uno Stato diverso da quello della sua creazione, di­ viene all’estero l’unico requisito essenziale di ogni cambiale internazionale, perchè l’esistenza di quel bollo fa presumere, in modo assoluto, senza possibile prova contraria, la perfetta rego­ larità formale originaria della cambiale ».

E più avanti :

«A mezzo del bollo internazionale è dunque individuata la cambiale negli scambi interna­ zionali, assicurandosene la regolarità, qualunque sia lo Stato aderente in cui fu creato il titolo, senza bisogno di imporre la uniformità dei re­ quisiti essenziali cambiari nelle leggi territoriali; uniformità, del resto tutta apparente, data la possibilità delle deroghe, sia riguardo alla in­ dicazione di cambiale, sia riguardo alla cam­ biale al portatore ».

E prosegue l’egregio proponente :

« E per discendere a rinuncia più modesta, ma dal punto di vista pratico pur sempre note­ vole, va rilevato che se la rappresentanza del- l 'Italia nella Conferenza deil’Aja, non mosse obbiezioni alla dichiarata irrilevanza, nei ri­ guardi del diritto privato di ogni difetto di bollo, è per lo meno dubbio, che il Governo italiano, ratiabisca una soluzione diametralmente contra­ ria, e senza appagante giustificazione, alle norme fiscali nazionali, che collocano il bollo fra i re­ quisiti essenziali della lettera di cambio».

Ed in nota infatti si trova:

«Ignoravamo scrivendo l’articolo, la nota 29 ottobre 1910 diretta dal nostro Ministro delle Finanze a quelli di Grazia e Giustizia e degli Esteri. In questa nota il Ministro dopo aver ri­ chiamato l’art. 45 del testo unico della legge sul bollo 4 luglio 1897, per cui il bollo è requi­ sito essenziale della cambiale, perchè se manca od è deficiente il titolo perde la efficacia cam­ biaria, dice testualmente : in questo stato di cose è facile comprendere come sia impossibile al Governo prendere impegni di presentare e far ac­ cogliere al Parlamento la massima deliberata alla Conferenza internazionale dell’Aja e con essa l’a ­ brogazione dell’art, 45 della nostra legge sul bollo nella parte concernente la efficacia cambiaria ».

Non si potrebbe vedere prova più lampante della opportunità di un bollo internazionale, e della necessità che la sua eventuale creazione venga prevista ed accolta in una riforma delle vigenti leggi tributarie italiane; si avrebbe nuovo esempio di liberalità che l’Italia verrebbe a dare agli altri popoli.

Maritornando al nostro argomentoci chiediamo accanto alla unificazione del diritto cambiario non si presenta di conseguenza come necessaria, e ben più facile a raggiungere, perchè non di­ pende dalle legislazioni costituite, bensì dalla semplice volontà degli interessati, quella delle polizze di carico, quella delle polizze di assicu­ razione per le merci flottanti od in magazzino, quelle sui warrants, quella sui tipi standard delle varie categorie di prodotti, quella della graduazione delle qualità dei prodotti eco., ecc. ? E quali altri beneficii non apporterebbe il vincere le riluttanze legislative sulla eguaglianza o sulle equivalenza dei pesi e delle misure, fra la piazza di vendita e quella di acquisto, e lo stabilire una procedura unica, semplice e spedita per la registrazione e -la protezione dei marchi di fab­ brica e di commercio'?

E per citare ancora alla rinfusa campi nei quali un organo internazionale attivo di più, potrebbe concorrere, con quelli già in vita, verso la spinta necessaria a conseguimenti difficili, ri­ corderemo la unificazione delle statistiche do­ ganali, del regime postale e telegrafico, del trat­ tamento delle merci in transito, della regola­ mentazione dei noli di trasporto per terra è per mare, del regime dei campioni di merce ecc., ecc.

Deploriamo che il breve spazio consentitoci ci obblighi a citare in blocco argomenti, cia­ scuno dei quali merita od ha già meritati vo­ lumi di studio profondo, anche per parte delle istituzioni internazionali alle quali la Camera di Commercio del Filene sarebbe affine.

Ci siamo però anche proposti di accennare da quali enti dovrebbe essere costituita la Ca­ mera di Comèrcio internazionale e quali istitu­ zioni essa avrebbe ad latere, delle quali non vorrà certo invadere il campo, ma presso le quali potrà trovare tutta quella simpatia e quel­ l’appoggio dovuto ad una consorella che ha scopi finali 'coincidenti e che solo si riserva una parte di azione concomitante, ma, diremo cosi, specia­ lizzata, indipendente dalla influenza dei governi, intesa però sempre a conquiste nel campo della pratica degli scambi o disposta a tradurre in atto, dietro concorde volontà degli aderenti, quelle provvisioni che richiedono soltanto l’aeeordo del commercio privato.

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diare e formulare i desiderata del Commercio mondiale.

11 Filene infine vede, come abbiamo detto, in­ torno all’oggetto dei suoi tentativi odierni, tutta la reciproca attrazione ed affinità delle istitu­ zioni internazionali già esistenti: l’Istituto in­ ternazionale di Agricoltura da una parte, T Isti­ tuto internazionale di Statistica dall’altra, l’isti­ tuto internazionale di legislazione comparata, la Conferenza dell’Aja, la Unione internazionale per la pubblicazione delle tariffe doganali, la Unione postale internazionale, 1’ Ufficio interna­ zionale per i marchi di fabbrica ed i brevetti di invenzione, la Conferenza oraria internazio­ nale per i trasporti ferroviari, e l’Ufficio inter­ nazionale per la protezione legale dei lavoratori e l’Ufficio internazionale per il. lavoro a domi­ cilio, e l’Associazione internazionale contro la disoccupazione, e l’Ufficio internazionale contro le malattie del lavoro, e quello per la pesca eco., ecc.

Il Filene confida che la sua Camera di Commer­ cio internazionale possa trovar posto fra queste, senza intralciare od interferire nel compito di nessuna, ma aggiungendo anzi un nuovo ele­ mento di forza, onde conseguire le finalità, che sopra abbiamo accennate. In alcuni campi, se non erriamo, ammette il Filene che la nuova Camera, piu che portare la voce del Commercio delle differenti nazioni nel Campo internazionale, dovrebbe dal campo degli studi internazionali, trasferire ai singoli commercianti o gruppi di commercianti nelle diverse nazioni il risultato definitivo, affinchè questi agiscano presso i loro governi, o facciano accogliere presso gli inte­ ressati i provvedimenti corrispondenti al con­ senso della scienza od alla volontà dei più.

E’ indubitato che un campo di lavoro fecondo è sempre aperto nel commercio a qualunque azione nazionale ed internazionale ed è pregievole fatto che dall’oltre oceano si muovano uomini di buona volontà, con iniziative che essi ritengono indub­ biamente possibili e che forse potranno raggiun­ gere anche la pratica attuazione.

M . J . DE JOHANNJS.

La statistica della litigiosità,

La statistica giudiziaria civile e commerciale pubblicatasi in questi giorni, e che fornisce i dati statistici sino al 1909, ci dà notizia che il numero dei procedimenti contenziosi va continua- mente diminuendo — scrive Luigi Anfosso nella Perseveranza. — Le cause che nel 1875 ascende­ vano complessivamente a 1.085.807 nel 1909 non raggiunsero più il milione, riducendosi cioè a 966.148, con una diminuzione di poco meno di 120 mila. La statistica civile ha questo di pe­ culiare che riflette tutto il fenomeno della liti­ giosità, ha la certezza che ci viene, ad esempio, dalla statistica di Stato Civile. Non è come la statistica penale che ci dà della reale delin­ quenza una idea infinitamente lontana. La liti­ giosità civile si determina, e si svolge tutta alla luce meridiana, attraverso la carta bollata, sotto l ’occhio vigile di cancellieri che annotano il corso

d’ogni causa, e quindi i numeri rappresentano la realtà del fenomeno.

La litigiosità presuppone anzitutto un inte­ resse leso ; ora se si pensa al grande incremento che ebbero i commerci, l’industria, l’agricoltura ed ogni ramo dell’umana attività in questi tren- tacinque anni è da escludersi in modo assoluto che la diminuzione possa essere attribuita ad un minor numero di lesioni giuridiche.

Secondariamente la litigiosità presuppone la volontà di veder ripristinato il diritto che è stato offeso, ma se in astratto tutti vogliamo la riparazione giuridica, in pratica, prima di chiè­ derla, facciamo un bilancio morale ed economico. Moralmente ci chiediamo se non sia il caso di perdonare ed economicamente mettiamo in con­ fronto il danno subito ed il danno certo delle spese giudiziarie da sopportare ed il danno pro­ babile della perdita della lite. Dio volesse che il minor numero di cause trovasse la sua ragione nella elevata educazione morale! Pur troppo tale diminuzione trova una più logica spiegazione nel coefficiente economico della equazione che ogni litigante si prospetta, prima di iniziare la causa, tra il danno subito e quello eventuale. In questa equazione concorre la spesa della causa, ma vi concorre pure la fiducia che si ha nel giudice. La statistica, col fornirci il numero dei procedi­ menti contenziosi avanti le diverse magistrature, ci consente di apprezzare in via approssimativa il concorso dei due coefficienti.

Le cause portate in Cassazione che erano nel 1875 in numero di 2487 salirono nel 1909 a tre­ mila e cinquanta, ma l’aumento numerico è spie­ gato dall’aumento della popolazione; di fatti in trentacinque anni le cause che erano nella pro­ porzione di 0,69 ogni mille abitanti ebbero poche oscillazioni e la proporzione rimase tal quale. Questa costanza di rapporto ci dimostra come a tal supremo magistrato si ricorra sempre per uno stesso ordine di considerazioni e con non minorata fiducia.

Davanti alle Corti d’Appello il numero delle cause ebbe delle forti oscillazioni. Da 14.427 che erano nel 1825, salirono a 18.077 nel 1889; poi ebbero un periodo di discesa con un salto enorme nel 1895, nel quale toccarono il numero di 29.666 mai più raggiunto, indi discesero per toccare i 18 mila solo negli anni 1899, 1903, 1905, 1907 e finalmente nel 1909 furono 17.264. Vi fu anche in tale grado una quasi costanza di numero con una tendenza però alla diminuzione, quando si consideri il numero delle cause in confronto della popolazione che andò sempre crescendo. Il rap­ porto che era del 0.60 per mille abitanti ha toccato il minimo nel 1909, raggiungendo il 0,49 per mille abitanti.

Davanti i Tribunali il movimento discenden- tale si fa molto più sensibile: i procedimenti che nel 1875 erano 107.704 — in proporzione quindi di 3.72 per mille abitanti — dopo 35 anni di quasi continua discesa, si ridussero a 97.364 ed il rapporto discese a 2.78 per mille abitanti.

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vero che la legge del 16 giugno 1892 n. 261 elevò la competenza dei conciliatori da 30 a 100 lire, che quella del 24 dicembre 1896 n. 547 sulle licenze per il rilascio dei beni immobili ha pure leggermente modificato in aumento la competenza stessa, ma queste modificazioni non bastano a spiegare la diminuzione. Infatti, per le predette leggi le cause avanti i conciliatori che erano nel 1875 in numero di 571.596, nel 1892 — alla vigilia delle riforme — erano 855.288, dopo le riforme salirono e di poco ol­ trepassarono il milione dal 1893 sino al 1901, ma poi presero a diminuire e nel 1909 si ri­ dussero a 633.837, numero solo apparentemente maggiore di quello di 35 anni prima, perchè il rapporto da 19,74 scese a 18,09 per mille abi­ tanti.

Questi numeri sono molto eloquenti e ci di­ cono che non impunemente il finanziere può con­ siderare la giustizia come un campo di sfrutta­ mento e che la tassa, che si paga colla carta bollata, per quanto indiretta, ha un limite di applicazione. Chi si trova ad avere un credito di qualche centinaio di lire, di fronte alla pro­ spettiva di doverne spendere altrettanto per po­ terlo forse ricuperare, preferisce rinunciare al credito piuttosto che esporsi a spese. Se poi alla questione delle spese si aggiunge una minorata fiducia nella giustizia od in coloro che debbono applicarla od altri ostacoli come: obbligo di re­ gistrazione di decreti, vacanza della sede giu­ diziaria, mancanza o diminuzione di mezzi di comunicazione ecc. eco., allora si va ancora più a rilento a decidersi ad un procedimento.

Tutto ciò dinota che vi è realmente bisogno di radicali riforme neH’amministrazione della giustizia, riforme organiche che non mirino a colpire il litigante, come se avere un debitore moroso costituisca un delitto pel creditore, ma bensì a dare un assestamento definitivo, non vessatorio, alla giustizia.

Verso il libero scambio'1’

Quegli stessi elementi che lasciavano sperare un consolidamento permanente in tutti i rami della economia avevano in sè i germi profondi di debo­ lezza. E proprio nel 1907, quando parve che la curva della prosperità dovesse elevarsi a nuove altezze, scoppiò la crisi tremenda che fu causa di una generale depressione internazionale. L’esten­ sione troppo grande data alle aziende esistenti, la frenesia di nuovi impianti, la domanda incessante di capitali che il risparmio era insufficiente a for­ nire, la molesta tensione monetaria derivante dalla ingente mole di affari, il rialzo di prezzi, indice di prosperità ma fattore anche di reazione, le esorbi­ tanze della speculazione, le peripezie delle borse, erano fattori preannuncianti l’avvento di una so­ sta, che fu invece una vera e propria crisi. Causa determinante fu la nota crisi americana che sot­ trasse nel breve volgere di due o tre mesi più di mezzo miliardo all’Europa, proprio nei momenti in cui di oro si sentiva più bisogno.

Per l’industria del cotone, però, vi sono cause determinate che spiegano il grave malessere.

(1) C o n tin u a z io n e , v e ti. n . 2088 d e l 5 a p r i l e 1914.

Sotto l’influenza del boom, nel biennio 1905-1907, che aveva fatto perdere il senso della proporzione ed aveva fatto credere alla possibilità di un illi­ mitato consumo, e di fronte ad una febbrile do­ manda di materia prima da parte degli stabili- menti, i prezzi, com’era prevedibile, salirono a cifre elevatissime.

Nella campagna 1906-1907 (1 settembre-31 ago­ sto) il raccolto del cotone americano fu di 13„ mi­ lioni di balle da 500 libbre. Nell’anno solare 1907 il Middling upland, in principio di gennaio era quotato a Liverpool d. 5,81 la libbra; ai 5 di set­ tembre toccava la quotazione massima con 7,57. La produzione del cotone egiziano nel 1907 fu di 69 milioni di cantari (kg. 44,5) ed il valore medio del good fair egyptia/n fu, nello stesso anno, a Liver­ pool di d. 101/I8. La produzione del cotone indiano fu nello stesso anno di 5a milioni di balle da 400 libbre ed il prezzo medio del good Bliownuggar di 4 7,.

Ora accadde che, mentre negli anni precedenti, all’aumento di prezzo della materia prima aveva tenuto dietro un relativo aumento di prezzo dei prodotti, reso possibile dal progredire della do­ manda, nel 1907 un vento di panico soffiò sull’Eu­ ropa tutta; e mentre gli acquisti dovettero farsi ai prezzi correnti del mercato, si manifestò d’im­ provviso un rilassamento nella domanda stessa e cominciarono a gravare sui mercati gli effetti della sovraproduzione lentamente prodottasi in un pe­ riodo antecedente. Nell’anno successivo la sovrapro­ duzione si aggravò in modo tale, insieme ad un generale paralizzamelito degli affari, che gli indu­ striali, pur di smaltire gli stoclcs di merce inven­ duti, ricorsero al rimedio di abbassare i prezzi, i quali, perciò, scesi perfino al disotto del margine rimuneratore, portarono facilmente e rapidamente alla rovina.

A queste che sono le cause generali della crisi per tutti i paesi dagli, Stati Uniti all’Inghilterra, alla Germania, all’Austria-Ungheria, alla Spagna, si aggiungono per l’ Italia cause speciali che me­ ritano se ne faccia breve cenno.

Cominciamo subito dal notare che in Italia la crisi fu molto più grave che nelle altre nazioni per il fatto che già altre crisi aveva dovuto sop­ portare la nostra industria cotoniera e già da tempo veniva formandosi una lenta sovraprodu­ zione, la quale se negli anni precedenti, per effetto del maggior benessere aveva potuto forzare, come scrive il Di Nola, il consumo interno e l’esporta­ zione, incontrò, com’era naturale, nel momento della generale depressione, maggiore difficoltà di poterli nuovamente forzare.

Trattiamo brevemente, per l’Italia, i seguenti fat­ tori particolari della crisi:

a) aumento di salari e legislazione sociale; b) condizioni speciali dell’ industria ed infe­ riorità commerciale della medesima;

c) legislazione doganale.

a) Il movimento in favore dell’associazione pro­ fessionale è recente in Italia. Ma col rapido svi­ luppo della industria vediamo moltiplicarsi le as­ sociazioni, le quali assicurano un aumento di sa­ lario ed una diminuzione di ore di lavoro. Al 1° gen­ naio 1907 vi erano di già 85 camere di lavoro e 2974 sindacati di ogni professione con 392.889 ade­ renti. Anche la legislazione protettrice degli operai solo dopo il 1900 comincia ad esercitare la sua in­ fluenza. Nel periodo 1900-1908 abbiamo, infatti, la approvazione delle seguenti leggi: la legge 19giu­ gno 1902 sul lavoro delle donne e dei fanciulli, la legge del 31 gennaio 1904 sugli infortuni sul la­ voro, quella 7 luglio 1907 sul riposo settimanale, la legge sull’abolizione del lavoro notturno appro­ vata nel 1902 e modificata nel 1907.

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246 L’ ECONOMISTA 19 aprile 1914

di lavoro, i vari oneri derivati dalle varie leggi sociali, le quali giunsero per l’industria proprio in uu momento critico della sua trasformazione, si tra­ dussero in un improvviso aumento di spese gene­ rali e specialmente in un maggior costo di pro­ duzione.

6) Specialmente l’abolizione della legge sul la­ voro notturno portò parecchi industriali ad au­ mentare il macchinario per produrre nella stessa quantità che per il passato. Aumento il quale, se dette maniera di fornire l’industria di un macchi­ nario tutto moderno e quindi di un grande rendi­ mento. costrinse, però, a pagare prezzi disastrosi ali’industria metallurgica in un periodo in cui vi era gran richiesta da tutti i paesi del mondo.

Nè fu tutto. Il desiderio di conservare le aziende esistenti e quello di costituirne ex novo, condusse ad abusare del credito, determinando così via via una situazione anormale, pericolosa ed irregolare, quale quella di una grave sproporzione fra capi­ tale fìsso e capitale circolante, « che al primo stor­ mire di foglie doveva mettere a repentaglio la so­ lidità delle aziende stesse ». E che la proporzione fosse smisurata, deriva dal fatto che la percentuale esprimente il rapporto fra capitale fisso e patri­ monio delle società da 71,72 °/0, qual’era nel 1904, invece di diminuire aumentò fino a giungere all’ 82,53 °/0 nel 1908; cifra impressionante questa perchè fa comprendere come il patrimonio sociale delle industrie straniere fosse per oltre 4/5 inrino bilizzato ed a mala pena per ’/5 disponibile come capitale circolante (Fargion).

Gli altri difetti dell’industria cotoniera, cause tutte della crisi, si possono riassùmere col Cabiati:

ha) mancanza di specializzazione. La necessità di diminuire le spese generali e la speranza di maggiori guadagni creò la tendenza di organismi completi. La confusione di attribuzioni, che ne è la diretta conseguenza, non permette di produrre meglio ed a più buon mercato come avviene nei paesi più evoluti, ove la specializzazione è rigida­ mente rispettata;

ò|3) difetti della mano d’opera. Ne ho già ac­ cennato avanti. Aggiungo che mentre in altri Stati, come in Inghilterra, la mano d’opera è legata al­ l’industria da una lunga tradizione, in Italia la mano d’opera d’opera è campagnuola e quindi man­ chevole ed incapace ;

6y) imperfetta organizzazione commerciale. In Inghilterra, ed anche in altri Stati, il filatore ed il tessitore si occupano solo della parte industriale, mentre in Italia ogni industriale è anche commer­ ciante. Nel primo caso l’industriale non ha altra preoccupazione che di specializzare e migliorare la fabbricazione, ed il capitale circolante per lui è mi­ nimo, nè egli è esposto ad una diretta dipendenza colle Banche. Nel secondo caso l’industriale deve creare tutto un organismo amministrativo e con­ tabile che gli aumenta enormemente le spese, lo costringe ad aver disponibile un largo capitale cir­ colante e lo porta a dover ricorrere al credito delle Banche con tutti i pericoli relativi.

68) difetti della vendita, la quale, affidata a grossisti insolvibili che comprano in grande e ven­ dono a qualunque prezzo cercando di guadagnare sulla media degli affari, espongono gli industriali e le Banche che versano denaro a questi ultimi, ad una situazione precaria e difficile. È naturale come in tali condizioni di squilibrio instabile basti il più lieve turbamento per produrre il tracollo.

c) Da tutto quanto siamo venuti dicendo, una cosa è innegabile: l’influenza potente del regime doganale italiano sull’industria cotoniera. Se il protezionismo ha formata ed ha sviluppata l’in­ dustria, ne ha anche, coi suoi eccessi, facilitata la crisi. La crisi, si è visto, è stata la conseguenza diretta della sovraproduzione, e la sovraproduzione

è massima, dove la protezione è maggiore. Anche i paesi liberisti, si osserva, ebbero le crisi; ed è vero, perchè molte delle cause son comuni, qua­ lunque sia il regime doganale, e quindi producono i medesimi effetti. Solo che gli effetti sono più gra­ vi e più duraturi per i paesi protezionisti. La spe­ culazione, infatti, nell’ora della crisi si manifèsta ordinariamente in maniera più intensa nei paesi circondati dalle barriere doganali che non in quelli liberi. Lo ha acutamente dimostrato il Cabiati (Ri­ forma sociale, aprile 1913). Negli ultimi il prezzo massimo non può superare quello raggiunto dagli industriali in migliori condizioni. Nei paesi pro­ tetti, invece, le nuove fabbriche, allettate dalla speranza di poter sfruttare tutta la differenza tra il prezzo precedente e questo prezzo stesso aumen­ tato dalla intera protezione, sono prese dalla feb­ bre della produzione, la quale, giunta al punto di saturazione, costringe, com’è avvenuto in Italia, gli industr iali a vendere le merci all’estero a prezzi inferiori a quelli ottenuti sul mercato internazio­ nale. Anche il ritorno all’equilibrio, quando [aerisi si trova nel ramo discendente della parabola, è più facile nei paesi liberi, ove sono poche le imprese a costi alti, che non nei mercati protetti ove il ritorno al prezzo antico, che è quello internazio­ nale, è pericoloso e fatale per i numerosi stabili- menti che, sorti con prezzi elevati, possono vivere solo a patto di sfruttare il dazio in tutta la sua altezza. E così è avvenuto in Italia, ove la depres­ sione industriale è stata lunga e continua tuttora, mentre in altri Stati si segnala una favorevole ri­ presa di attività. In questi ultimi tempi altre cause, come il terremoto e la guerra, hanno eser­ citata la loro influenza depressiva; ma la verità è che noi stiamo ancora liquidando le conseguenze di un passato assai disastroso.

(Continua) . Lanfeanco Makoi.

I N F O R M A Z I O N I

Una ferrovia internazionale nell’Argenti na. — Fra breve saranno iniziati i lavori di co­

struzione della ferrovia da La Qttiaca a Tupizia. La nuova linea preventivata in 1.500.000 lire sterline, partendo da La Quiaca, ultima stazione della Centrale Nord Argentina sul confine della Bolivia, metterà in diretta comunicazione l’Ar­ gentina colla Bolivia e col Cile fino a Iquique e per Tupizia col mezzogiorno del Perù, allac­ ciando eoli’altra linea in costruzione al porto di Antofagasta sul Pacifico.

I premi della marina mercantile. — La

Gazzetta Ufficiale pubblica un decreto emanato dal ministro della marina, con il quale si de­ terminano i premi di navigazione guadagnati dai piroscafi e dai velieri nell’esercizio finan­ ziario 1912-13. 11 decreto stabilisce che per ogni tonnellata di stazza lorda e per ogni mille mi­ glia di percorso, il premio sia di lire 0,3720 per i piroscafi e di lire 0,30 per i velieri che al 31 dicembre 1900 godevano un premio di naviga­ zione superiore a quello stabilito dalla legge 16 maggio 1911, n. 176.

Trattato di arbitrato fra Italia e Stati Uniti. — L’Ambasciatore d’Italia, marchese Cu-

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ar-19 aprile ar-1914 L’ ECONOMISTA 247

bitrato fra l’Italia e gli Stati Uniti rinnovato per cinque anni.

Una nuova linea di Navigazione. — La

compagnia di navigazione « Adria » ha inaugu­ rato una nuova linea quindicinale nel Mediter­ raneo, coll’itinerario Siracusa, Malta, Tunisi, Algeri, Gibilterra, Tangeri e Las Palmas. Vi sono adibiti i vapori « Franz Joseph » e « Franz Ferdinand », della velocità oraria di 15 nodi.

Voci un largo sciopero agrario. — Circola

la notizia., si dice anche confermata da buona fonte, che si stia organizzando un grande sciopero agrario dal 15 maggio in poi. Alle organizza­ zione di questo sciopero starebbe attendendo un noto deputato sindacalista. Auguriamoci che il Governo dell’on. Salandra ed il buon senno degli agricoltori sappia prevenire in tempo una tale jattura.

Nuova linea tedesca per il Mediterraneo ed il Mar Nero. — La Union di Amburgo,

inaugurerà il 1° luglio p. v. un servizio regolare da Amburgo ed Anversa, con i principali porli del Mediterraneo e del Mar Nero. Per il nuovo servizio si dice sieno stati acquistati dieci piro­ scafi, per complessive 40.500 tonnellate.

IL BANGO DI NAPOLI.

Pubblichiamo un riassunto della Relazione che il chiarissimo comm. Miraglia ha portato al Consiglio superiore del Banco di Napoli, dalla quale una volta di più emerge come sotto l’abile Direzione prosperi e si sviluppi l’importante Isti­ tuto di emissione.

Il Direttore generale dopo di avere esposte le condizioni economiche e finanziarie nelle quali è trascorso il 1913 a1 l’estero ed allo interno e l’eredità che esso lascia al 1914, cosi riassume i risultati dell’anno.

Negli sconti compresi le cedole e le note di pegno si impiegarono L. 700.555.712,36 con un maggior utile sul 1912 di L. 38.220,83. Di questa somma L. 433.811.474 furono scontate al saggio normale del 6 e del 5 1/2, ossia il 61.92 % ; L. 115.113.965,60 al saggio di favore, ossia il 16.43% e L. 151.630.372,54, ossia il 21.65% al saggio ridotto e nel complesso L. 303.068.572,12 sulle piazze nelle quali furono scontate a Li­ re 397.487.140,24 sulle altre piazze.

Lo sconto si vantaggia della quantità dei corrispondenti che si hanno, onde è bene rile­ vare, che il numero di essi da 464 è salito nel decorso anno a 475; l ’aumento riguardale pro- vincie meridionali, nelle quali scontammo per L. 6.706.755,93 in più che nell’anno precedente.

Nelle anticipazioni su titoli, furono impiegate L. 45.731.037,59 il maggiore impiego fu su titoli di Stato e garantiti dallo Stato, quasi il 95 % .

.Registriamo sotto questa voce le operazioni di proroghe nelle Stanze di compensanzione ge­ rite dal nostro Istituto a Torino ed a Napoli.

Accennammo nei decorsi anni al declinare con­ tinuo del contributo che i conti correnti offrono agli Istituti di emissione; riunendo quelli frut­

tiferi a quelli infruttiferi, proprii dei Banchi meridionali (Madrefedi) fra il 1912 e l’anno de­ corso vi è sensibile diminuzione nei versamenti.

Nel decorso anno accennammo alle cause della diminuzione nè possiamo variare il giudizio al­ lora dato; gli istituti liberi richiamano i capitali con tassi elevati, con tassi di vera concorrenza.

Di fronte ad una emissione di titoli per Li­ re 2.217.424.439 nel 1912 abbiamo una cifra di 2.271.539.882 nell’anno decorso.

Però T aumento è dovuto anche all’essersi adoperate fedi di credito nel regolare conti in riscontrata. Non vi è quindi aumento effettivo.

E ([ui dobbiamo anche ricordare ciò che ab­ biamo detto nel decorso anno per spiegare la diminuita emissione: essa è principalmente do­ vuta agli, assegni che pongono in circolazione gli Istituti liberi, i quali ad una maggiore li berta di azione aggiungono la mancanza di ob­ bligo di presidiarii con una riserva metallica del 40 % che a noi è imposta.

Degli alti tassi all’estero si è vantaggiata l’azienda nostra, le operazioni sull’estero tutte raggiunsero la cifra di 354.210.419; nel 1912 codesti impieghi fruttarono L. 2.254.022, nel 1913 diedero L. 2.692.982.

Delle operazioni sull’estero quelle utili alla riserva furono quasi sempre superiori ai 47 mi­ lioni, e nella totalità furono costituite da buoni del Tesoro di Sitati esteri, quelle non utili alla riserva non hanno superato i dieci milioni, che siamo autorizzati ad avere all’estero stesso.

Raccogliamo, tuteliamo e riportiamo in pa­ tria il fratto stentato dei nostri emigrati insi­ diato in tutti i modi, ma il 1913 fu un anno non lieto per codeste operazioni; depressione nel nord di America, crisi in quella del sud ; ciò non ostante raggiungemmo la cifra di 65.601.904 che supera quella venuta in patria per nostro mezzo nel 1912 di L. 4.094.724. Nello invio di somme all’estero da parte nostra fu raggiunta la cifra di 8.276.485, in complesso il movimento ascese a L. 92.839.535 con un supero di L. 9.170.745 su quello del 1912.

La nostra Agenzia di New-York ha contri­ buito col 14 % alle rimesse. Quei nostri uffici prestano l’opera loro in modo ampio e multi­ forme alla nostra emigrazione ; raccolgono ri­ sparmi per le Casse postali, forniscono titoli di Stato al portatore e fra breve anche compie­ ranno le operazioni necessarieper quelli intestati; Non sono, ripetiamo ancora una volta, intenti speculativi che guidano il Banco, esso crede di esercitare un’azione sociale benefica e- tutoria dei nostri concittadini, principalmente all’estero e considera l’azione sua parte importante dei provvedimenti che il Governo ed il Parlamento hanno dettate per garentire i nostri lavoratori fuori la patria.

Vi narrammo negli anni passati il nuovo or­ dinamento dato al Monte di Pietà in Napoli, dove alla sua dipendenza funziona un’Agenzia e sette uffici sezionali. In ' questa città furono impiegati nel decorso anno L. 12.717.705 supe­ rando di L. 813.592 quella del 1912.

(8)

248 L’ ECONOMISTA 19 aprile 1914

La pegnorazione delle pannine e dei metalli vili arreca non lieve perdita al Banco, dovuta a lievi interessi che percepisce data la natura della pegnorazione. Da alcuni anni vi è dimi­ nuzione nella pegnorazione di questi oggetti; 10 che è indice di minori bisogni nelle classi meno provvedute.

Ad ogni modo anche questa è funzione di beneficenza che va annoverata fra quelle che dal Banco si esercita in omaggio alle sue tra­ dizioni.

E’ appena necessario di ricordare molte altre funzioni che il Banco esercita e che danno al­ l’utile azione sua un carattere del tutto speciale che deve èssere posta in rilievo; accenniamo all’esercizio della Cassa pensioni per la vec­ chiaia e quello della Tesoreria comunale di Na­ poli ed al servizio di Cassa per istituti di istru­ zione.

Le funzioni bancarie ed i servizii speciali che 11 Banco esercita rifluiscono tutte sulla circo­ lazione, la quale raggiunse nel 1913 un mas­ simo di L. 423.915.150; al 31 dicembre era di L. 417.806.100.

La parte intieramente coperta da riserva era di L. 274.687.088; mentre nel 1896 di fronte ad una circolazione di L. 235.561.400 quella seo perta raggiungeva L. 134.136.990, ora di fronte ad una circolazione quasi doppia, cioè di li­ re 417.806.100, quella scoperta era alla detta data del 31 dicembre 1913 di L. 143.119.012, ossia solo di L. 8.982.022.

La percentuale della riserva nel 1896 era di 43,05, alla data 31 dicembre decorso era del 65,74.

11 giudizio sullo andamento dello Istituto si trae dalle cifre finali degli utili e delle spese. Di fronte a 15.626.033,56 conseguiti nel 1912, ab­ biamo 16.173.901,70 nel 1913; nelle spese di fron­ te a L. 10.780.146,82 abbiamo L. 11.098.752,77.

E qui occorre subito rilevare che per liti pen­ denti con la Finanza, circa la tassa di Ricchezza Mobile sugli utili degli esercizii 1909-1912, il Banco è stato obbligato, in pendenza di ri­ soluzione giudiziaria, a versare L. 1.665;739,20, che supera di L. 1.218.164,09 la somma pagata nel 1912.

Gli utili netti salgono a L. 5.075.148. Anche a proposito di questa cifra dobbiamo ricordare la lite vertente, sempre con la Finanza, circa la misura della partecipazione dello Stato agli utili; ma ciò ricorderemo fra breve.

La quota degli utili che può passare in au­ mento della massa di rispetto residua a li­ re 4.178.303,62 e la massa stessa salirebbe a L. 42.000.246,28. Ma anche su questa cifra ri­ torneremo.

E così giungiamo alla determinazione del pa trimonio\ che secondo la particolareggiata di­ mostrazione contenuta nelle pagine della rela­ zione dovrebbe fissarsi in L. 69.710.384.54, compensando però con la massa di rispetto, come ne abbiamo fatto proposta che illustre­ remo, il residuale crédito verso il Fondiario.

Come poi rileverete dalle notizie particola­ reggiate della relazione, l’azione del Banco ebbe nuova estensione con lo impianto nèl 1913 di n. 4 agenzie nel mezzogiorno, dove il numero

di esse somma già a 27 fra quelle già in fun­ zione e quelle in corso d’impianto.

La produttività di queste agenzie nòn è tale per molte di esse da compensar gli oneri ; vi sono deficienze che debbono registrarsi fra le spese che T Istituto fa per porgere al paese concorso che è conforme all’azione sua.

Voi ci autorizzaste ad estendere l’azione del Banco in Libia e ben decideste; abbiamo adem­ piuto allo incarico, e dopo maturi studii fatti da nostri funzionari a Tripoli, a Bengasi ed in altre località, è stata fondata una succursale a Tripoli, che è entrata in funzione il 18 dicem­ bre; sono molto innanzi le trattative per una agenzia a Bengasi.

Naturalmente si sono dovute adattare le fun­ zioni di questa filiale all’ambiente ed alle ne­ cessità locali, sono quindi occorsi alcuni speciali provvedimenti proposti dal vostro Consiglio di Amministrazione, ed accolti dai Ministri del Tesoro e delle Colonie e dei quali vi sarà data comunicazione.

Prima di porre termine allo accenno datovi sull’azione bancaria occcorre appena ricordare la parte che prendemmo al consorzio, che col­ locò l’ultima emissione dei buoni del Tesoro e siamo lieti di annunziarvi che la cooperazione nostra fu facilitata dall’accoglienza veramente eccezionale, con la quale il mercato richiese il titolo; fummo anzi nella impossibilità di nou corrispondere a tutte le domande che i nostri buoni clienti ci presentarono.

Ed ora brevi parole sulla Cassa di Rispar­ mio e sul Credito fondiario in liquidazione.

Gli uffici raccoglitori dei risparmi sono au­ mentati di cinque nel 1913, dei quali uno in Tripoli; l’aumento è di 40 rispetto al 1896; i depositi che ammontavano a L. 145.218.856;42 al 31 dicem. 1912 ascendono a L. 148.329.252,25 al 31 dicembre 1913.

La Cassa ha assunto io impegno di concor­ rere fino a L. 8.000.000 a consorzi per mutui a danneggiati da movimenti tellurici e meteo­ rici; — dà con quote annue, a fondo perduto, L. 4.500.000, ad Istituti Calabresi che fanno pure mutui per lo stesso oggetto; — ha fatto direttamente mutui in quel di Bari per i dan­ neggiati da alluvioni per una somma di li­ re 48.021: — ha concesso finora mutui a corpi morali per L. 13 milioni, a cifra rotonda, fra quali vi è uno per L. 2.900.000 a favore di un Consorzio costituito nel Mezzodi sotto l’impero della legge del 22 marzo 1900, n. 195 per la bo­ nifica di estesi terreni acquitrinosi. E- il primo consorzio della specie che si costituisce nel Mez­ zodì e la nostra Cassa di risparmio è stata lieta che le leggi consentissero di dare aiuto a questa lodevole iniziativa. ;

Nel decorso anno la Cassa ha dato per opere di istruzione, previdenza e beneficenza li­ re 274.418; in codeste opere dal 1896 al 1913, malgrado si fosse nel periodo di costituzione del fondo di riserva, la Cassa ha dato li­ re 2.955.213,65.

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19 aprile 1914 L’ ECONOMISTA 249.

1902; al 1913 si sono impiegate L. 60.801.036,72* in operazioni agrarie al tasso del 3,50 °/t, che potrebbe dirsi rispondente al prezzo di costo dei mezzi impiegati. Queste forme di utilissimi con­ corsi non si debbono dimenticare quando si vuol valutare l’opera socialmente utile del Banco e delle aziende che ne fanno parte.

Parlandovi infine del Credito fondiario dob­ biamo aver presente che trattasi di azienda in liquidazione, che il giudizio complessivo sullo andamento di essa si riassume nelle cifre del dare e dello avere.

11 debito in cartelle è residuato a 98.445.500; al 31 dicembre 1911 era di L. 1 19.542.000; in due anni si sono annullate cartelle pel valore nominale di L. 21.096.500; riandando al dicem­ bre 1896, data di entrata in vigore della legge riparatrice, il debito in cartelle era di lire 141.026.000; abbiamo quindi fra le due date 1896 e 1913 una diminuzione di L. 42.580.50# del de­ bito. Le attività che si contrappongono a quello al 31 dicembre 1913, mutui cioè in essere, fondo unico in titoli, crediti ipotecari per proprietà vendute con pagamento a rate di resto di prezzo, e valore del patrimonio in essere, a prezzo di aggiudicazione, ammontano a L. 112.973.300.

Quale che possa essere il minor valore dei ti­ toli rivalutati al prezzo di oggi vi sarà sempre largo margine, oltre che nella differenza che risulta dalle cifre di cui sopra, nella plusvalenza del patrimonio.

La Commissione parlamentare governativa dopo esposta l’analisi minuta che aveva di questa azienda conclude che non solo essa basterà a sè stessa, ma può farsi assegnamento sopra una ec­ cedenza attiva che a quella data valutava ad otto milioni.

Nel decorso anno richiamammo incidentalmente la vostra attenzione su alcuni punti della situa­ zione dell’Istituto: l’accenno metteva capo ad una nostra proposta, sulla quale avevamo richia­ mato la attenzione del Ministro del tesoro fin dal 31 gennaio di quell’anno e della quale avrem­ mo voluto dirvi più diffusamente, ma non mi fu consentito per ragioni che dirò fra breve.

Il Credito del Banco verso il Fondiario, resi­ duato al 31 dicembre 1913 a L. 22.289.861,74 figura per disposizione di legge come patrimonio effettivo, il quale per ciò sale alla cifra di lire 92.000.246,28. Abbiamo d’altra parte un fondo di riserva nella considerevole cifra di Lire 37.821.942,66 senza tener conto degli utili del 1913. Questa situazione vi è stata sempre chia­ ramente esposta nelle relazioni annuali.

Una parte della nostra riserva aurea, residuata al 31 dicembre 1913 a L. 14.393.525 è impegnata presso la Cassa dei Depositi e Prestiti.

Le proposte di cui sopra erano concretate in questi termini:

1° compensare con gli utili rappresentati dalla massa di rispetto il residuo debito del Fondiario, il quale, come vi è noto, dovrebbe es­ sere estinto con gli interessi a multiplo di un fondo accantonato in titoli e che al 31 dicem­ bre 1913 ammontava a L. 17.726.089. Con questo sistema occorrerebbero 23 anni per estinguere il debito stesso. Con la compensazione proposta il fondo accantonato sarebbe liberato e l’ammon­

tare di esso entrerebbe fra le disponibilità del Banco.

2° riscattare fin d’ora la rimanente riserva aurea pegnorata, riscatto che come vi è noto, dovrebbe farsi con gli interessi del fondo dei quarantacinque milioni, e pel quale occorrereb­ bero ancora 7 anni.

Il riscatto si farebbe alienando una parte cor­ rispondente di titoli. Conseguentemente i rima­ nenti, entrerebbero a far parte anche essi delle nostre disponibilità, le quali così aumenterebbero approssimativamente a lire 49 milioni. Non oc­ corre dire a voi l’utilità non solo morale, ma finanziaria di questa proposta ; basta solo ricor­ dare che noi siamo quasi costantemente fuori i limiti della circolazione normale, la quale si è oramai dimostrata insufficiente; e per soddisfare alle giuste esigenze del mercato siamo obbligati a pagare inulte per le eccedenze.

Contemporaneamente alle proposte onde è pa­ rola, ne presentavamo altre che formavano tutto un insieme indissolubile, dirette a risolvere, con criteri di giustizia e di equità, la grave ver­ tenza della partecipazione degli utili da parte della Finanza, quella.del pagamento della tassa di circolazione sul residuo credito del Banco verso il Fondiario ed infine quella della data dalla quale doveva cominciare a carico del Banco l’obbligo del pagamento della tassa di Ricchezza Mobile. Tutte queste serie di propo ste furono piu tardi tradotte in un progetto con­ creto presentato al Ministro del Tesoro il 25 aprile 1913.

Pur non dissentendo in massima il Ministro del Tesoro, giustamente osservava, che in attesa dei risultati della ispezione parlamentare gover­ nativa che doveva accertare la condizione nella quale si trovavano gli istituti di emissione, non si poteva presentare al Parlamento un disegno di legge, che allora si riteneva necessario pe'r sanzionare il risaltato delle trattative; fu que sto il motivo pel quale nel decorso anno do­ vemmo limitare verso di voi il nostro dire.

Il 28 giugno venne poi pubblicato l’elaborato e meditato rapporto della Commissione parla­ mentare governativa, onde di sopra è parola, nel quale con l’autorità somma che veniva dal­ l’origine di essa si rilevava „a proposito del re­ siduale credito verso il Fondiario che « allo scopo di ottenere una situazione più esatta con venga sia ridotta dalla detta somma (del resi­ duo credito) l’importo della massa di rispetto del Banco ». E circa il riscatto della riserva onde di sopra è parola, la Commissione rile­ vava pure la importanza che la conseguente liquidazione dei titoli avrebbe sulla nostra cir­ colazione.

Forte di così autorevole intervento furono su questi due argomenti rinnovate le proposte al Ministero del Tesoro nella convinzione che. po­ tevano accogliersi senza, bisogno, di legge e quindi compensare senz’altro sulla massa di ri­ spetto il residuale credito del Banco verso il Fondiario e riscattare la residuale riserva con la vendita dei titoli.

Sul resto delle proposte si giunse anche a con­ clusioni ora in esame.

(10)

250 L’ ECONOMISTA 19 aprile 1914

è quella di accelerare i termini per avere si­ tuazioni rispondenti alle condizioni nostre reali, non ci è parso che al punto in cui siamo, pros simi cioè alla meta assegnataci dalla legge del 1896, si debbano ancora rimandare proposte già in precedenti adunanze preannunziatevi, che ri­ spondono se non a necessità a convenienze che trovano fondamento in tradizioni del nostro Isti­ tuto.

Onde mentre nelle trattative col Ministero, di cui sopra è parola, confermavamo il proposito di avvalerci fin d’ora della facoltà ehe ci viene dall’art. 24 della legge bancaria di destinare an­ nualmente un decimo degli utili netti nelle opere di pubblica utilità e beneficenza, proponevamo che nelle future provvidenze legislative fosse stabilito che raggiunto effettivamente fra patri­ monio e massa di rispetto i cento milioni, la somma che si avrebbe facoltà di impiegare ai detti fini avrebbe potuto raggiungere un quinto degli utili netti dell’anno precedente.

In armonia a tale proponimento il vostro Con­ siglio di amministrazione deliberava nell’adu­ nanza del 29 dicembre 1913, di chiedervi che nell’approvare il consuntivo di queH’anno fosse da voi riservato un decimo degli utili per lo impiego ai fini di pubblica utilità e beneficenza.

E movendo dallo stesso concetto il vostro Con­ siglio, come avrete rilevato dalla relazione di­ stribuitavi, mentre rende merito all’opera dei nostri funzionari, vi prega di accogliere le me­ ditate proposte presentatevi, le quali in forma organica recano ad essi non lievi migliora­ menti.

Abbiamo ricordato gli autorevoli avvisi della Commissione parlamentare governativa che ha giustificato la concessione della proroga della emissione dei biglietti.

.Riportiamo con le parole stesse del relatore, ora Ministro delle Finanze S. E. Rava, le con­ clusioni dell’accurato e minuzioso esame delle condizioni nostre, conclusioni che furono ad una­ nimità approvate dalla Commissione plenaria nelle sedute del 6 e 9 giugno 1913:

« Dopo quanto siamo andati svolgendo nel corso della relazione, breve e facile riesce la conclusione.

« Il Banco di Nàpoli, superata la crisi dei primi quattro anni — decorsi dall’applicazione della legge bancaria del 1893 — nei quali erasi verificata la massima depressione delle sue ope­ razioni; iniziata una politica di sano raccogli­ mento; e potentemente aiutato dai provvedi­ menti contenuti nella legge del 1897; ha potuto avviarsi, sicuro, e fidente, verso la meta del suo risorgimento, che può dirsi raggiunta in tempo più breve di quello che era dato prevedere.

«Questo soddisfacente risultato è dovuto alle leggi votate dal Parlamento; alla tenàcia di propositi ed alla oculata e rigida condotta degli amministratori i quali — senza uscire dalle ri­ gorose linee delle lèggi intèse ad instaurare le funzioni degli Istituti di emissione — hanno cercato con ogni cura di trarre tutti i vantaggi che le leggi stesse prevedevano a favore del- l’ Istituto napoletano; nonché all’operosità del personale, che — nel faticoso periodo di rico­ stituzione del Banco — ha risposto sempre alla

fiducia in esso riposta dai nuovi amministra­ tori.

« Si può pertanto concludere che il Banco di Napoli, risorto a nuova e sana vita, mercè la rigorosa osservanza delle leggi .che lo gover­ nano, e per volontà dei suoi amministratori e per effetto di buona amministrazione, possa e debba tenere il suo posto fra i nostri tre Isti­ tuti di emissione, ai quali la legge accorda Paltò privilegio della emissione dei biglietti ». )OOOOCXOOOOC<>OXXOCCXOCCXX7xXXOOCX

Cassa di Risparmio di Roma.

L'Assemblea generele della Cassa di risparmio di Roma, che è una delle più poderose e meglio go­ vernate Istituzioni italiane, nella sua adunanza 18 mar­ zo 1914 ha approvato, con voti unanimi, il Bilancio e Sindacato per l ’esercizio 1913; ha nominato Sinda­

catori effettivi per il corrente esercizio 1914 i si­

gnori: Calassi avv. cav. Salvatóre, Bonelli avv. cav. uff. Gustavo, e Sindacatore supplente il sig. Cavazzo Della Somaglia conte Gian Giacomo; ed ha delibe­ rato la seguente erogazione dell’utile netto 1913: L. 150.000 per le elargizioni ad opere di beneficenza e pubblica utilità da determinarsi dal Consiglio di amministrazione; L. 200.000 a incremento del fondo pensioni per gli impiegati; L. 300.000 in aumento del fondo di previdenza per le oscillazioni nel valore dei tìtoli; Li. 616.472,48 in aumento del fondo di ri­ serva; L. 1.266.472,48 totale utili 1913 come al bi­ lancio.

Riproduciamo qui un sunto della relazione del Consiglio, la quale denota come è ben governata.

L'andamento finanziario generale del 1913 non fu, certo dissimile da quello poco florido dell'anno 1913. Stasi di affari e ristrettezza di numerario ne furono le caratteristiche principali. E mentre la fine della nostra guerra con la Turchia faceva presagire un miglioramento nelle condizioni monetarie del paese, ciò non potè in seguito avverarsi per il sopraggiun­ gere quasi improvviso del conflitto balcanico, il quale, per il modo violento con cui si manifestò e per la estensione del suo movimento, fu vera fortuna se non produsse in Europa una ben più terribile con­ flagrazione di popoli e di interessi vitalissimi.

Non tardarono tuttavia a manifestarsi conseguenze finanziarie poco liete, stante il generale bisogno di mezzi e di denaro, ovunque inteso, per fronteggiare e riparare a cosi grave iattura.

Non può quindi recar meraviglia se primi a risen­ tire gli effetti di una cosi fatta situazione di cose sono stati quegli Istituti i quali, adempiendo, come il nostro, alla funzione di grandi serbatoi del rispar­ mio nazionale, sono poi chiamati, quali organi mo­ deratori, a sopperire alle momentanee manchevolezze del mercato monetario.

Ma poiché è legge costante che in breve volgere di tempo ogni cosa debba ritrovare il suo normale equilibrio, così è lecito sperare che non tarderà a riprodursi nei nostri Istituti quel movimento ascen­ sionale che, verificatosi in larga misura negli aiin-i decorsi, diè ampio ed efficace contributo al risveglio economico e finanziario del Paese.

Situazione patrimoniale.

Siassumendo le diverse attività e passività, costi­ tuènti la situazione patrimoniale di fine d’anno, nei consueti loro raggruppamenti, abbiamo:

Attività. — Mutui e conti correnti ipotecari li­

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