• Non ci sono risultati.

3/10 e-book. Le politiche per la formazione continua in Toscana Prima valutazione degli interventi realizzati nel periodo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "3/10 e-book. Le politiche per la formazione continua in Toscana Prima valutazione degli interventi realizzati nel periodo"

Copied!
111
0
0

Testo completo

(1)

Direzione Generale Politiche Formative, Beni e Attività Culturali della

Regione Toscana

www.regione.toscana.it

Via G. La Farina, 27

3/10 e-book

i r p e t

istituto

Le politiche per la formazione continua

in Toscana

Prima valutazione degli interventi

realizzati nel periodo 2000-2008

(2)
(3)

Le politiche per la

formazione continua in Toscana

Prima valutazione degli interventi realizzati nel periodo 2000-2008

Firenze, Marzo 2010

3/10 e- Bo ok

(4)

ATTRIBUZIONI E RINGRAZIAMENTI

Il presente studio è stato affidato all’IRPET dal Settore Formazione della Regione Toscana ed è stato finanziato da quest’ultima con fondi messi a disposizione dalla legge 236/93.

Il gruppo di lavoro, coordinato da Lara Antoni e Marco Mariani, è formato inoltre da Maria Luisa Maitino, Stella Milani, Giulia Peruzzi.

Giulia Peruzzi ha scritto il capitolo 1 e, insieme a Maria Luisa Maitino, il capitolo 2. Il capitolo 3 è a cura di Lara Antoni ad eccezione del paragrafo 3.5. Il capitolo 4 è a cura di Marco Mariani ad eccezione del paragrafo 4.6. Stella Milani ha seguito l’organizzazione e la realizzazione dei due focus group, a partire dai quali ha redatto i paragrafi 3.5 e 4.6. Introduzione e conclusioni sono state elaborate congiuntamente da Lara Antoni e Marco Mariani.

Le elaborazioni statistiche sono a cura di Maria Luisa Maitino.

Le interviste telefoniche sono state realizzate da Scenari S.r.l..

L’allestimento del testo è a cura di Elena Zangheri dell’IRPET.

Un ringraziamento particolare va ai lavoratori e ai rappresentanti delle imprese che hanno dedicato parte del loro tempo alla realizzazione delle interviste e dei focus group.

Si ringraziano inoltre Gianni Biagi e Gabriele Grondoni del Settore Formazione della Regione Toscana per i preziosi suggerimenti; Marco Matteucci e Alessandro Vettori del Settore F.S.E. Sistema della Formazione e dell'Orientamento della Regione Toscana per aver messo a disposizione i dati del Database del Fondo Sociale Europeo - Sistema della Formazione.

Lo studio presentato fa parte di una collana a diffusione digitale.

È stato stampato in un numero limitato di copie e può essere scaricato dal sito Internet:

http://www.irpet.it http://www.regione.toscana.it

(5)

Indice

INTRODUZIONE 5

1.

IL MERCATO DEL LAVORO E IL RUOLO DELLA FORMAZIONE CONTINUA 9

1.1 Introduzione 9

1.2 I modelli economici sul tema della formazione continua 10

1.3 I sistemi di formazione continua in Europa: elementi di comparazione 15 1.4 Effetti delle politiche: una rassegna della letteratura empirica 22

1.5 Considerazioni di sintesi 26

2.

I BENEFICIARI DEGLI INTERVENTI PUBBLICI ATTUATI DALLA REGIONE TOSCANA 27

2.1 Introduzione 27

2.2 La formazione continua individuale 28

2.3 La formazione continua nelle imprese 35

2.4 Considerazioni di sintesi 43

3.

I VOUCHER INDIVIDUALI 45

3.1 Introduzione 45

3.2 Il profilo dei beneficiari: caratteristiche demografiche e situazione lavorativa 46

3.3 Le caratteristiche dei corsi 49

3.4 Un’analisi di efficacia dei corsi di formazione 55

3.5 L’approfondimento qualitativo attraverso il focus group 60

3.6 Considerazioni di sintesi 63

4.

LA FORMAZIONE CONTINUA NELLE IMPRESE 67

4.1 Introduzione 67

4.2 Il profilo delle imprese. Un problema di autoselezione? 67

4.3 Disponibilità a investire e accesso alla formazione 70

4.4 Gli effetti della formazione continua sui lavoratori e sull’impresa 75 4.5 Il giudizio delle imprese sulle politiche attuate da Regione Toscana 79

4.6 L’approfondimento qualitativo attraverso il focus group 80

4.7 Considerazioni di sintesi 85

5.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 87

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 91

ALLEGATI

Questionario rivolto ai lavoratori 93

Traccia del Focus group realizzato con i lavoratori 99

Questionario rivolto alle imprese 101

Traccia del Focus group realizzato con le imprese 105

(6)
(7)

INTRODUZIONE

La transizione al cosiddetto "post-fordismo" ha assegnato ai processi di apprendimento e alla gestione della conoscenza un’importanza centrale nella competizione tra imprese, regioni e paesi. Attorno a (ri)produzione, uso e “proprietà” del sapere si gioca la ridefinizione degli scambi fra economia e società, verso modelli in forte discontinuità con una certa concezione storica del lavoro. In questo quadro complesso e ad alta intensità tecnologica si colloca la

“nuova” formazione continua, “tecnologia di apprendimento alla ricerca di un equilibrio fra esigenze di mantenimento di competitività delle imprese a garanzia del diritto individuale di accesso al sapere” (Ruffino, 2001).

L’investimento in formazione, infatti, consente:

- ai lavoratori di soddisfare le esigenze di aggiornamento e miglioramento del proprio profilo professionale e del proprio bagaglio di conoscenze e competenze;

- alle imprese di affrontare le trasformazioni produttive che riguardano le tecnologie, i prodotti, i modelli organizzativi e migliorare la loro capacità di competere sui mercati.

Il Consiglio europeo straordinario di Lisbona, che si è tenuto nei giorni 23 e 24 marzo 2000, prende avvio dall’esigenza di dare un nuovo slancio alle politiche comunitarie, in un momento in cui la congiuntura economica è promettente per gli Stati membri dell'Unione. Il Consiglio di Lisbona pone, pertanto, ambiziosi obiettivi per molti “settori chiave” finalizzati a far divenire l'Europa "l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale".

Sono, dunque, stabiliti degli obiettivi settoriali tesi al raggiungimento della finalità generale e si sottolinea l’importanza del ruolo della formazione come elemento portante di un sistema avanzato di competitività e come garanzia di coesione della comunità e di un completo sviluppo del concetto di cittadinanza europea fondato sulla partecipazione e sulla trasparenza.

Nel contesto delle regioni italiane gli interventi di sostegno alla formazione continua trovano attuazione sulla base di:

- le leggi nazionali (53/00 e 236/93);

- la programmazione europea, in particolare quella relativa al FSE 2000-2006 e il nuovo FSE 2007-2013.

• Gli obiettivi conoscitivi

Alla luce del quadro normativo e istituzionale di riferimento, la ricerca si pone alcuni obiettivi specifici che possono essere sintetizzati come segue.

Con riferimento alle politiche attuate verso i lavoratori, ci si propone di:

- individuare il profilo dei beneficiari dei voucher inteso come caratteristiche demografiche e lavorative, nonché di verificare la presenza di un sostegno specifico offerto dalla politica ai lavoratori cosiddetti “deboli” o potenzialmente tali tra i quali potremmo includere le donne, i meno scolarizzati e gli occupati in età matura;

- rilevare la valutazione che i beneficiari dei voucher danno dei corsi frequentati rispetto alle loro aspettative e finalità iniziali;

- analizzare l’efficacia e la spendibilità nel mercato del lavoro delle competenze apprese attraverso la frequenza dei corsi di formazione continua. In particolare si vuol verificare se, in seguito all’intervento, i lavoratori beneficiari hanno potuto intraprendere percorsi di mobilità professionale verticale all’interno dell’impresa in cui sono occupati; oppure se

(8)

l’intervento ne ha indirettamente favorito la ricollocazione professionale in altra impresa (mobilità orizzontale).

Con riferimento alle politiche attuate in Toscana verso le imprese, i quesiti principali riguardano gli effetti su innovazione e trasferimento:

- le politiche di formazione rivolte alle imprese (e in particolare alle PMI, artigiane e non) hanno incentivato i processi di innovazione in specifici settori e contesti territoriali? In caso affermativo, quale tipo di innovazione è risultato incentivato?

- le politiche di formazione rivolte alle imprese hanno sostenuto i processi di capitalizzazione e di trasferimento delle conoscenze e competenze a livello locale e settoriale?

- quali sono, se presenti, le determinanti che spingono le imprese ad accedere direttamente al finanziamento pubblico per la formazione piuttosto che ad accedervi attraverso l’intermediazione dell’agenzia formativa?

• La struttura del rapporto

In considerazione degli obiettivi sopra enunciati, gli interventi di sostegno alla formazione che verranno presi a riferimento sia per i voucher individuali sia per le imprese sono i seguenti:

- la legge nazionale 53/00;

- la legge nazionale 236/93 “Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione”;

- la misura D1/FSE (Sviluppo della formazione continua, della flessibilità del MdL e della competitività delle imprese pubbliche e private con priorità alle PMI).

Il primo capitolo è principalmente finalizzato alla costruzione di un quadro di riferimento aggiornato inerente ai modelli economici sul tema della formazione continua e sul ruolo che questa occupa nel mercato del lavoro, nonché sui sistemi di formazione continua implementati in alcuni paesi europei. L’attenzione si concentra, inoltre, sul sistema formativo presente in Italia e in Toscana e sugli effetti delle politiche attivate, al fine di farne emergere i principali punti di forza e di debolezza.

Poiché le indagini quantitative e i focus group utilizzano come dati di partenza le informazioni provenienti dal Database del Fondo Sociale Europeo, Sistema della Formazione realizzato dalla Regione Toscana e contenente l'insieme dei dati registrati dalla Regione stessa, dalle Province e dai Circondari per la gestione delle attività di formazione professionale, il secondo capitolo contiene un’analisi descrittiva dei beneficiari degli interventi pubblici attuati dalla Regione Toscana con riferimento sia ai lavoratori che fruiscono dei voucher sia alle imprese che realizzano corsi di formazione per i propri dipendenti. Con riferimento ai voucher individuali si descrivono, per il periodo di osservazione 2000-2008, numerosità e tipologia dei corsi realizzati e dei finanziamenti erogati, durata dei corsi e caratteristiche dei partecipanti (demografiche come età e genere, il titolo di studio, la condizione professionale, la tipologia dei corsi fruiti). Per quanto riguarda le imprese, per le quali è necessario in primo luogo distinguere tra quelle che hanno direttamente presentato richiesta di co-finanziamento pubblico a sostegno dell’attività di formazione continua e quelle che fruiscono del servizio offerto da agenzie formative specializzate nell’organizzazione di corsi, si descrivono la localizzazione territoriale, il settore, la dimensione nonché la numerosità e la tipologia dei corsi realizzati e dei finanziamenti erogati e il numero degli utenti.

Il terzo e il quarto capitolo costruiscono il nucleo centrale del presente rapporto e, rispettivamente con riferimento ai lavoratori direttamente beneficiari degli interventi e alle imprese, sono tesi ad approfondire gli obiettivi conoscitivi sopra specificati, attraverso la realizzazione di due distinte indagini dirette seguite da due focus group finalizzati ad approfondire le tematiche più rilevanti emerse dalle indagini quantitative.

(9)

Per quanto riguarda i lavoratori, sui quali si concentra il terzo capitolo del rapporto, è stata realizzata un’indagine campionaria attraverso un questionario, somministrato con metodologia CATI, a un insieme di 1.000 lavoratori che hanno usufruito di voucher individuali, stratificati per classe di età e genere. L’attenzione si focalizza sulle determinanti e sull’impatto che l’investimento in formazione ha prodotto sul loro percorso professionale inteso come opportunità di intraprendere percorsi di mobilità professionale verticale o orizzontale all’interno dell’impresa in cui sono occupati; oppure se l’intervento ne ha indirettamente favorito la ricollocazione professionale in altra impresa. Si approfondiscono, inoltre, le tematiche dell’auto- percezione dei fabbisogni formativi e degli incentivi alla formazione nei contesti professionali di inserimento.

Con riferimento alle imprese, analizzate nel quarto capitolo, è stata realizzata un’indagine attraverso l’invio postale di un questionario, per la cui compilazione è prevista l’assistenza telefonica-CATI, a un insieme di oltre 250 imprese. Nell'individuazione si terrà conto sia delle imprese che hanno avuto un accesso diretto al finanziamento, sia di quelle che hanno avuto l'intermediazione di un'agenzia formativa. Questa opzione si è resa necessaria per consentire di garantire un più ampio potenziale informativo alla ricerca, dal momento che il primo sottoinsieme ha dimensioni ampiamente minori rispetto al secondo, pur non essendo quest’ultimo un insieme precisamente quantificabile. E’ noto, infatti, che solo una esigua parte di imprese toscane realizza attività di formazione continua in autonomia. L’indagine diretta, a cui segue la realizzazione di un focus group, è finalizzata ad approfondire gli effetti che l’intervento pubblico ha prodotto sui lavoratori beneficiari ultimi e, più in generale, sulle imprese. Verranno, altresì, evidenziate, ove rilevanti, analogie e differenze tra le imprese che hanno avuto un accesso diretto al finanziamento e quelle, invece, che hanno avuto l'intermediazione di un'agenzia formativa.

Le considerazioni conclusive sono contenute nell’ultima parte del rapporto.

(10)
(11)

1.

IL MERCATO DEL LAVORO E IL RUOLO DELLA FORMAZIONE CONTINUA

1.1

Introduzione

La necessità di giungere ad uno stock efficiente di capitale umano non è un problema nuovo in politica economica: la quantità e la qualità del capitale umano, infatti, non soltanto influiscono nel benessere complessivo di un’area economica, ma hanno anche un ruolo propulsivo nella crescita economica.

I modelli, tuttavia, hanno a lungo ragionato considerando l’accumulazione di capitale umano come un processo legato all’istruzione. Tali modelli risultano adesso poco adeguati: i rapidi progressi tecnologici e le forti pressioni competitive che hanno caratterizzato le economie negli ultimi anni, non hanno solo acuito il fabbisogno di capitale umano, ma cambiato radicalmente il modo di intendere la formazione.

Non è più sufficiente disporre di un elevato stock di competenze e conoscenze di base, ma è richiesto un loro continuo adattamento in risposta alle trasformazioni del sistema economico.

Tale fabbisogno non può più essere soddisfatto esclusivamente mediante un innalzamento dei livelli di istruzione della popolazione, dato che il capitale così acquisito risulta inadeguato rispetto alle esigenze mutevoli delle imprese. È, invece, necessario costruire un sistema di apprendimento che proceda lungo tutta la vita ed, in questo quadro, è centrale la formazione dei lavoratori già occupati, sia nella fase del loro inserimento, attraverso la formazione iniziale, sia in quelle successive, attraverso la formazione continua (Croce, 2004).

Occorre, inoltre, considerare che la formazione, a differenza dell’istruzione, si colloca in una posizione di prossimità alle esigenze del sistema produttivo e pertanto costituisce un investimento “condiviso”, a cui sono direttamente interessati sia le imprese sia i lavoratori, laddove le scelte di istruzione vengono compiute esclusivamente dai singoli e dalle loro famiglie. In questo senso, la pluralità di soggetti coinvolti nelle decisioni di investimento in formazione continua, con obiettivi e interessi diversi, rendono la trattazione del fenomeno ancora più complessa, rispetto ai tradizionali modelli di accumulazione di capitale umano centrati sull’istruzione.

La formazione porta numerosi benefici, non soltanto sotto il profilo macroeconomico, come motore propulsivo della crescita, ma anche sotto quello microeconomico, sia per ciò che riguarda il lavoratore (maggiore salario, ma anche maggior occupabilità e mobilità professionale) sia per ciò che riguarda le imprese, consentendo una maggior capacità di innovazione, di adattamento alle trasformazioni dei mercati e di posizionamento competitivo.

La varietà di effetti positivi che possono scaturire dalla formazione professionale rendono particolarmente delicato il problema della distribuzione di tali benefici e della spartizione dei costi connessi.

Queste peculiarità rendono centrale il ruolo ricoperto in ogni paese dal sistema di formazione. La presenza di fallimenti nel mercato1, che determinano un investimento non efficiente in formazione continua, gli elementi equitativi, riconducibili ad una eccessiva segmentazione dei beneficiari in “forti” e “deboli”, uniti alla consapevolezza dell’importanza 1 In letteratura economica si parla di “fallimenti del mercato” quando l’agire spontaneo delle forze economiche non permette il raggiungimento di una soluzione di equilibrio efficiente, sia sotto il profilo della produzione che sotto quello della distribuzione delle risorse.

(12)

strategica di questo tipo di formazione nella capacità di innovare del sistema economico nel suo complesso, acuiscono la necessità di pervenire ad un sistema efficace di formazione e determinano l’esigenza di politiche di sostegno pubbliche.

A partire da queste considerazioni generali, il capitolo è organizzato come segue. Nel paragrafo 1 verranno presentate le principali teorie economiche che hanno al centro la formazione continua: dopo aver descritto brevemente i modelli tradizionali sull’accumulazione di capitale umano, verranno analizzate le ragioni dell’intervento pubblico, con relazione non soltanto ai fallimenti del mercato e alle ragioni di tipo equitativo, ma anche ai fallimenti dinamici, legati alla competitività complessiva del sistema economico. Il secondo paragrafo presenta, invece, le modalità con cui si articola l’intervento pubblico nel campo della formazione continua, con riferimento, in particolare, a come si sono configurati i sistemi di formazione continua in alcuni paesi europei e in Italia, presentando successivamente le caratteristiche proprie della Regione Toscana.

Il terzo paragrafo è dedicato alla definizione delle attività che rientrano nel sistema della formazione continua e ad una, seppur parziale, quantificazione continua degli effetti che essa produce in alcune variabili del sistema (e in particolare, sui benefici per il lavoratore e sulla spinta all’innovazione delle imprese); parte del paragrafo sarà, inoltre, dedicata ad una prima valutazione delle politiche.

L’ultimo paragrafo è, infine, riservato alla delineazione di alcune note conclusive.

1.2

I modelli economici sul tema della formazione continua

La letteratura economica ha analizzato il tema della formazione continua nel quadro più generale della teoria sull’accumulazione del capitale e sull’investimento in istruzione. Numerosi autori sottolineano come la formazione rivesta una notevole importanza perché capace di portare benefici sia sotto il profilo microeconomico sia sotto quello macroeconomico.

Dal punto di vista microeconomico, i benefici prodotti dall’investimento in formazione riguardano sia il lavoratore che l’impresa in cui questo lavora. In primo luogo, il lavoratore, grazie all’incremento della propria produttività che deriva dalla formazione, può ottenere un aumento della retribuzione ma anche del grado di occupabilità, intesa, in questo contesto, come l’insieme delle capacità (competenze e caratteristiche) che consentono ad un soggetto di conservare un’occupazione e di restare nel mercato del lavoro. Estendendo il concetto, l’occupabilità implica anche una maggior mobilità professionale sia essa interna all’impresa che tra imprese diverse: attraverso la formazione, il lavoratore è in grado di ridisegnare il proprio profilo adattandosi alle esigenze di un mercato del lavoro in continuo cambiamento ma anche tenendo sempre più in considerazione il proprio percorso di vita e professionale (De la Fuente, Ciccone, 2002). L’impresa, del resto, trae dalla formazione tutti i vantaggi che derivano dalla possibilità di avere un personale qualificato e in grado di adattarsi alle diverse necessità organizzative e tecnologiche, oltre che di interagire e contribuire attivamente alla soluzione dei problemi. Si tratta di vantaggi che attraverso la qualità dei prodotti e dei servizi, la capacità di recepire o realizzare innovazioni, la prontezza nel reagire a variazioni dei mercati, influiscono sulla competitività dell’impresa e sul suo sviluppo (Croce, 2004).

Inoltre, anche la formazione continua, analogamente all’istruzione, produce importanti esternalità positive sul sistema nel suo complesso. Infatti, i benefici della formazione si estendono anche all’insieme delle imprese operanti nel settore o nel mercato del lavoro locale grazie al fatto che la formazione che viene lì complessivamente realizzata determina un

(13)

aumento della quantità e della qualità della forza lavoro qualificata presente e potenzialmente impiegabile. Inoltre, la formazione influisce sull’efficienza del funzionamento del mercato del lavoro, dato che rende più semplice l’incontro tra domanda e offerta, con conseguente riduzione delle componenti frizionali e strutturali di disoccupazione (Croce, 2004).

Sul piano macroeconomico, il tema di come la formazione, e l’educazione più in generale, impattano sulla crescita economica viene analizzato seguendo tre distinte direttrici. In primo luogo, un maggior livello di educazione accresce il livello di competenze posseduto dalla forza lavoro, con conseguente aumento della produttività e un più elevato livello dell’output di equilibrio (teoria neoclassica; si veda, per esempio, Mankiw, 1992). In secondo luogo, la formazione accresce la capacità innovativa dell’economia nel suo complesso e una maggiore innovazione nelle tecnologie, nei prodotti e nei processi determina anche una maggior crescita (teoria della crescita endogena: ad esempio Romer, 1990). Infine, l’educazione facilita la trasmissione delle conoscenze, necessaria all’innovazione e a implementare con successo nuove tecnologie, che portano alla crescita economica (Wößmann, 2006).

Numerosi benefici potenziali non garantiscono, tuttavia, che gli investimenti formativi vengano realizzati in termini adeguati sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. Né è garantito che, una volta realizzati questi investimenti, i benefici sopra descritti possano essere effettivamente conseguiti. Occorre, quindi, analizzare quali condizioni determinano un efficiente livello degli investimenti in formazione, sia in termini di quantità che di qualità, alla luce delle più recenti teorie sull’accumulazione di capitale umano.

• La teoria tradizionale del capitale umano

L’investimento in formazione è al centro della teoria tradizionale sul capitale umano, così come formalizzata, tra gli altri, da Becker (1962). In tale formulazione, la scelta di investimento nella formazione dei lavoratori -così come quella legata all’educazione più in generale- dipende dal confronto tra i benefici e i costi percepiti dai singoli lavoratori e imprese.

I costi della formazione comprendono sia il costo diretto associato a essa (ad esempio, i costi di iscrizione ai corsi di formazione, i materiali da utilizzare, ecc…) sia il costo opportunità associato ad eventuali mancati guadagni per la rinuncia all’attività lavorativa; i benefici, invece, sono perlopiù associati all’incremento della produttività e ad un conseguente aumento del salario nel periodo successivo al completamento della formazione. In questo modello, come risulta chiaro, il lavoratore sceglierà di aumentare il proprio livello di competenze quando il beneficio è almeno pari al costo complessivo dell’investimento.

Il modello tradizionale assume condizioni di mercato perfettamente competitive, cioè caratterizzate da una piena corrispondenza tra la produttività del lavoratore e il salario di mercato. In questo quadro, l’unico elemento di complessità è la ripartizione dei costi dell’investimento e il conseguente incentivo alla realizzazione dell’attività di formazione. Se, in accordo con le prescrizioni teoriche, distinguiamo due tipi di formazione, una c.d. generica ed una invece specifica, appare evidente che ciò significherà anche una diversa appropriazione dei benefici tra impresa e lavoratore, con conseguente diversa ripartizione dei costi. La formazione generica rappresenta tutte quelle competenze che possono essere utilizzate presso numerose imprese all’interno di un settore o di un mercato. In questo caso, è soltanto il lavoratore ad appropriarsi dei benefici della formazione, non soltanto attraverso incrementi del salario ma anche in termini di maggior occupabilità e di maggior possibilità di cambiare lavoro. Dunque, il costo dell’investimento, sia esso sostenuto direttamente o accettando un salario più basso durante il periodo della formazione, dovrebbe ricadere interamente sul lavoratore, anche se l’attività di formazione è svolta all’interno dell’impresa a cui il lavoratore appartiene.

(14)

Invece, la formazione specifica assume valore solo all’interno dell’impresa in cui viene realizzata: le competenze specifiche, quindi, sono competenze legate ad una singola unità produttiva, per il fatto che esse possono essere generate e utilizzate esclusivamente nell’ambito di una data impresa. In questo caso, dovrebbe essere l’impresa a sostenerne i costi, in quanto esse risultano produttive solo presso l’impresa in cui sono acquisite: a differenza che nel caso della formazione generica, infatti, ciò fa sì che l’impresa fornitrice si trovi nella posizione di impresa monopsonista, grazie alla quale dispone di un elevato potere di contrattazione, tale da poter pagare al lavoratore formato un salario inferiore alla sua produttività interna (ma almeno pari alla sua produttività esterna) senza che egli abbia sufficiente convenienza a spostarsi presso un’altra impresa. Di conseguenza, l’impresa cattura sottoforma di profitti i benefici della formazione.

In presenza di incertezza, tuttavia, può risultare ottimale una compartecipazione del lavoratore all’investimento: poiché, infatti, l’investimento andrebbe perso se il lavoratore e l’impresa interrompessero la relazione contrattuale dopo la formazione, un meccanismo di compartecipazione assicura che sia il lavoratore che l’impresa abbiano un incentivo a mantenere la relazione dopo che è stata effettuata la formazione (Hashimoto, 1981).

Sia nel caso di formazione generica che in quello della formazione specifica, definito opportunamente il sistema di ripartizione dei costi dell’investimento, l’operare della forze di mercato raggiunge spontaneamente un equilibrio efficiente per ciò che attiene il livello dell’investimento in formazione e corrispondente al punto in cui i benefici marginali (privati e sociali) eguagliano i costi marginali.

Occorre comunque considerare che tale eguaglianza non assicura che il livello efficiente di formazione sia lo stesso fra gruppi differenti di individui. In particolare, l’elevata complementarità2 tra il livello pregresso di educazione di un individuo e la formazione, implica una differenziazione tra individui rispetto al grado di partecipazione alle attività formative e all’ampiezza dei benefici che ne possono essere ricavati. In particolare, gli individui con un maggior grado di istruzione saranno maggiormente coinvolti nei processi di formazione, siano essi generici o specifici, con un aumento delle differenze già esistenti tra lavoratori e prodotte dal percorso scolastico.

Inoltre, l’orizzonte temporale riveste un ruolo non secondario nella determinazione del livello efficiente di investimento in formazione: da un lato, i lavoratori più anziani beneficeranno per un tempo minore dei ritorni dell’investimento, con un più basso incentivo ad effettuarlo rispetto ai loro colleghi più giovani; d’altra parte, i primi sono anche quelli che necessiterebbero maggiormente della formazione, per compensare l’obsolescenza del loro capitale umano. Se educazione e formazione sono complementari, l’obsolescenza dell’educazione potrebbe portare ad una minor formazione per i lavoratori anziani (Brunello, De Paola, 2004)3.

• Recenti sviluppi dell’analisi economica

La teoria tradizionale garantisce il raggiungimento di un equilibrio spontaneo del mercato per ciò che riguarda l’investimento efficiente in formazione. Le condizioni che essa prevede, tuttavia, risultano eccessivamente stringenti: nella realtà, queste non si verificano, generando

2 Parlando di complementarità fra livello di istruzione pregresso e formazione ci si riferisce sia al fatto che un maggior livello di istruzione implica anche una maggior capacità di comprendere i propri fabbisogni formativi e la necessità di continuare a formarsi, sia al fatto che le attività di formazione sono più efficaci o più semplici se il lavoratore ha già un background formativo e culturale rilevante.

3 In entrambi i casi, si suppone, in accordo con gran parte della letteratura, un effetto di complementarità tra educazione e formazione; alcuni autori, tuttavia, argomentano la possibilità che educazione e formazione siano beni sostituti, con effetti completamente diversi rispetto a quelli sopra riportati (ad esempio, Ariga, Brunello, 2003).

(15)

una serie di fallimenti del mercato che giustificano l’intervento di numerosi meccanismi di investimento, basati su strategie cooperative da parte dei soggetti privati, ma anche sulle politiche pubbliche.

I maggiori ostacoli che intralciano la soluzione spontanea del mercato sono legati ad imperfezioni nel mercato del lavoro. In primo luogo, sorge un problema in presenza di rigidità dei salari, ad esempio nel caso in cui siano fissati salari minimi vincolati, siano essi fissati dalla legge, dalla contrattazione collettiva o da meccanismi endogeni al mercato del lavoro. Una delle modalità previste dalla letteratura teorica sul tema, attraverso cui il lavoratore partecipa al finanziamento della formazione, infatti, è la riduzione del salario durante il periodo della formazione che consente all’impresa di rifarsi di parte dei costi sostenuti. È evidente che in presenza di salari minimi vincolati, ciò non risulterebbe possibile, con un conseguente disincentivo all’investimento in formazione, soprattutto per ciò che riguarda le imprese4. L’esistenza di rigidità nel mercato5 del lavoro provoca anche il fenomeno della compressione salariale, ovvero l’azzeramento dei differenziali di salario fra lavoratori con produttività diverse. In questo caso, ovviamente, il lavoratore non avrebbe alcun incentivo ad impegnarsi in attività di formazione continua, visto che non ne riceverebbe alcun beneficio in termini di reddito (Croce, 2004).

Anche l’esistenza di asimmetria informativa6 influisce sugli incentivi all’investimento in formazione, soprattutto per ciò che attiene il lavoratore. In primo luogo, l’asimmetria informativa influisce sulla capacità delle imprese di conoscere e riconoscere le competenze in possesso di ciascun lavoratore: ciò costituisce un ostacolo alla mobilità del lavoro, dato che al lavoratore, anche qualora egli abbia investito in attività formative generiche, che gli consentirebbero una rapida ricollocazione presso altre imprese, non verrebbe riconosciuta appieno la sua preparazione. Inoltre, il lavoratore potrebbe non essere in grado di valutare la formazione ricevuta. Vi è il rischio che l’impresa sfrutti a suo favore tale vantaggio informativo, fornendo al lavoratore una formazione diversa, per quantità e qualità, da quella attesa (ad esempio una formazione prevalentemente specifica anziché prevalentemente generale), senza che il lavoratore sia in grado di accorgersene. In entrambi i casi, il risultato è ovviamente un sotto-investimento in formazione da parte del lavoratore7.

Infine, un ulteriore problema legato alle imperfezioni del mercato del lavoro sorge in presenza di potere monopsonistico delle imprese, che porta al verificarsi del fenomeno della compressione salariale (Acemoglu, Pischke, 1999): la formazione, in questo caso, determina incrementi di produttività maggiori dei corrispondenti incrementi di salario e, di conseguenza, anche un incremento dei margini di profitto. Da ciò deriva un incentivo per le imprese a sostenere i costi della formazione anche quando questa non è perfettamente specifica. D’altra parte, proprio nel caso in cui l’impresa finanzi tale tipo di formazione, si determina un problema di esternalità positiva a vantaggio delle altre imprese che operano nello stesso settore e che costituisce, invece, un disincentivo all’investimento in formazione. L’impresa formatrice, infatti, subisce una perdita dei benefici attesi qualora il lavoratore, una volta formato decida di 4 Tuttavia anche i sistemi più rigidi da questo punto di vista, prevedono possibilità di deroga che consentono di retribuire i lavoratori in formazione a un livello inferiore di quello altrimenti previsto. La situazione tipica nella quale avviene questa sorta di scambio

“salario contro formazione” tra lavoratore e impresa è quella dell’apprendistato, mediante il quale è possibile che si realizzi un investimento che vede compartecipare impresa e lavoratore con vantaggio per entrambi.

5 Ad esempio, la presenza di sindacati particolarmente orientati ad eliminare le differenze salariali.

6 Il concetto di asimmetria informativa definisce una situazione in cui, all’interno di una relazione contrattuale, una parte ha un vantaggio informativo nei confronti dell'altra parte e lo sfrutta a suo favore

7 La possibilità di comportamenti sleali da parte dell’impresa potrebbe essere limitata qualora il sindacato a livello aziendale o settoriale fosse disposto a realizzare un accordo con l’impresa che preveda uno scambio tra minore salario iniziale e maggiore salario successivo alla formazione e, al tempo stesso, fosse in grado di vigilare sul rispetto dello stesso da parte dell’impresa (Croce, 2004). Un altro possibile rimedio consiste nella certificazione delle competenze acquisite (Acemoglu, Pischke, 1999).

(16)

trasferirsi presso un’altra impresa. Oltre a ciò, alcune imprese troveranno conveniente non sostenere alcun costo per la formazione aspettando di reclutare personale formato da altre imprese (fenomeno del poaching, Bassanini et al., 2005).

Inoltre, la letteratura evidenzia i problemi legati ad imperfezioni nel mercato del credito:

l’incertezza dell’investimento in formazione e il rischio di moral hazard8 posso rendere eccessivamente oneroso (tassi di interesse troppo elevati) o addirittura impossibile (assenza di prestito) il ricorso al mercato finanziario da parte del lavoratore per coprire i costi della formazione, nel caso in cui questo non abbia risorse proprie. In questo caso, conseguentemente, l’effetto sarebbe quello di un insufficiente investimento da parte dei lavoratori.

Infine, l’intervento pubblico nel mercato della formazione continua può essere originato da considerazioni legate all’equità. La strategia delineata dalla Comunità Europea a Lisbona ha accentuato in particolar modo il tema dell’equità di accesso alla formazione continua: anche in assenza di motivazioni legate all’efficienza, è dunque necessario stabilire politiche che ristabiliscano l’uguaglianza delle opportunità.

In particolare, le politiche dovrebbero cercare di risolvere non soltanto i problemi legati alla discriminazione dei lavoratori nell’accesso alla formazione continua e legati al genere o alla razza, ma anche le differenze originate dal background familiare, soprattutto in paesi come l’Italia e la Spagna, dove la correlazione tra una bassa incidenza della formazione continua e la provenienza da una famiglia o da un contesto culturale povero è particolarmente elevata (Bassanini et al., 2005).

• La relazione fra innovazione e formazione

La necessità di intervento pubblico non sorge soltanto dalla presenza di fallimenti del mercato.

Essa può infatti originare dall’esigenza di migliorare la performance economica del sistema economico nel suo complesso, sostenendo la spinta all’innovazione delle imprese. La centralità dell’innovazione nelle economie moderne è ormai unanimemente riconosciuta: l’innovazione ha, infatti, giocato un ruolo sempre più rilevante per le imprese, la crescita delle economie, la competitività delle nazioni, la nascita e il declino di settori e tecnologie. I più recenti sviluppi di tipo “evolutivo” della letteratura economica sul tema dell’innovazione enfatizzano come l’apprendimento e la conoscenza siano alla base del processo innovativo, di cui l’impresa è uno degli attori fondamentali (Malerba, 2000). Appare dunque evidente che nel contesto attuale, caratterizzato dall’intensificazione del confronto competitivo e dalla crescente espansione dei confini dei mercati, si rende, se è possibile, ancora più necessario un investimento continuo nell’innovazione da parte delle imprese e che nel successo di un processo innovativo, il livello di competenze e di adattabilità ai cambiamenti del capitale umano impiegato nell’impresa assume un ruolo centrale.

Il ruolo del capitale umano nelle possibilità che si inneschino processi innovativi è ormai largamente riconosciuto dalla letteratura (tra gli altri, Malerba, 2000; Gubitta, 2006; Costa, 2006); non vi è accordo, tuttavia, sull’interpretazione della relazione tra innovazione e capitale umano. Secondo alcuni autori, la relazione è lineare, nel senso che il capitale umano è il fattore che più di tutti gli altri (investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, innovazione finanziaria, struttura del mercato) condiziona i processi innovativi (Moreno, Grande, 2004). Secondo altri, invece, il capitale umano influisce indirettamente: maggiore è il livello di capitale umano in un’organizzazione produttiva, maggiore sarà la capacità di recepire l’innovazione prodotta

8 Il moral hazard (o azzardo morale) è una forma di opportunismo post-contrattuale, dovuto ad asimmetria informativa: l’agente, cioè il soggetto che dispone di un vantaggio informativo, può attuare comportamenti negligenti o sleali nei confronti del principale, contando sull’impossibilità, per quest’ultimo, di verificare l’impegno nel rispetto dei vincoli contrattuali.

(17)

all’esterno, amplificando l’impatto di quest’ultima sotto il profilo economico (absorptive capacity; Cohen e Levinthal, 1989).

Inoltre, poiché le competenze necessarie all’innovazione tendono ad essere contestuali ed esistono differenze negli approcci all’innovazione fra e all’interno dei settori, le politiche di sostegno all’accumulazione di capitale umano devono riguardare tutti i livelli di istruzione e formazione, incluso quello della formazione continua. In particolare, quest’ultima dovrebbe avere al centro l’acquisizione del c.d. “imparare ad imparare” o di altre soft skills, che acquisiscono sempre maggior importanza per qualsiasi tipo di innovazione (Lifelong Learning for Creativity and Innovation, 2008). In accordo con quest’ultimo aspetto, parte della letteratura (Costa, 2006) ha riconosciuto il ruolo della formazione nel migliorare l’impatto sulla competitività di forme di innovazione di tipo incrementale, che comportano, cioè, un miglioramento di prodotto, processo o servizio rispetto ad uno specifico processo produttivo o domanda esistente. Tale tipologia di innovazione sembra adattarsi particolarmente alle realtà produttive caratterizzate da piccole e medie imprese, come quella italiana (Gubitta, 2006). In linea con gli approcci di tipo evolutivo (Gavetti, 2000) è possibile, infatti, infatti, estendere il concetto tradizionale di innovazione fino a comprendere non soltanto le innovazioni di prodotto e di processo, ma anche l’adeguamento della struttura organizzativa e dei sistemi operativi (riduzione del numero di livelli gestionali e direttivi, introduzione del sistema qualità, trasferimento all’esterno delle attività) oltre che l’adozione di approcci e l’individuazione di strumenti di management delle risorse umane (ricorso a contratti flessibili, ricorso a retribuzioni legate alle prestazioni). In questo contesto teorico è possibile confermare ancora più facilmente il nesso di causalità fra innovazione e formazione, anche nelle piccole e medie imprese. Queste relazioni causali, inoltre, hanno caratteri simili a quelli osservati nelle imprese di grandi dimensioni: le imprese con una maggior propensione all’innovazione sono anche quelle che adottano un più ampio portafoglio di metodi formativi, che coinvolgono una quota più elevata di lavoratori nelle attività formative, che utilizzano la formazione come strumento per sostenere i processi innovativi con maggiore frequenza (Costa, 2006). Inoltre, il nesso di causalità è verificato anche in presenza di processi di acquisizione informale delle competenze (Gubitta, 2006).

Dall’analisi discendono anche alcune prescrizioni di policy. In primo luogo, visto che le innovazioni di prodotto e di processo sono supportate da innovazioni nei modelli organizzativi, è necessario che la formazione sia estesa a tutti i livelli delle gerarchie aziendali e a tutti gli inquadramenti contrattuali, anche se con modalità diverse. In secondo luogo, poiché l’adozione di modelli innovativi nella gestione delle risorse umane supporta l’integrazione delle innovazioni di prodotto e di processo “isolate” (una sola innovazione nell’arco di tempo considerato), la creazione e il sostegno a reti interorganizzative di piccole e medie imprese è un modo per sostenere adeguati tassi di sviluppo umano nelle singole imprese, frazionando i rischi e i costi degli investimenti in formazione (Costa, 2006).

1.3

I sistemi di formazione continua in Europa: elementi di comparazione

Nel precedente paragrafo abbiamo messo in luce come lo sviluppo di un sistema efficace ed efficiente di formazione continua non possa essere lasciato al libero operare delle forze di mercato, ma debba essere sostenuto da un forte intervento pubblico, attraverso, non soltanto la predisposizione di canali di finanziamento, ma più in generale di politiche di sostegno anche piuttosto variegate.

(18)

La predisposizione di un sistema formativo da parte dell’attore pubblico risulta un’operazione piuttosto complessa: su di essa, infatti, non influiscono soltanto le scelte dei lavoratori e delle imprese per ciò che riguarda l’investimento in formazione, ma anche fattori parzialmente esogeni, quali la struttura produttiva, il livello generale di istruzione della popolazione, le prospettive di crescita di un’economia.

In questo senso, l’efficacia di un sistema di formazione non può che essere valutata con riferimento alle specifiche caratteristiche del sistema economico in cui opera; l’osservazione delle modalità con cui tali sistemi si sono configurati nei Paesi europei, tuttavia, può essere utile per evidenziare la molteplicità di metodi, strumenti e politiche utilizzati dall’attore pubblico per realizzare gli obiettivi previsti per la formazione continua.

Dopo aver presentato alcuni modelli presenti in Europa, faremo riferimento all’Italia e a come si è delineato l’apparato legislativo sulla formazione continua: come vedremo, esso presenta una molteplicità di strumenti diversi, che richiedono necessariamente una forte attività di monitoraggio e di valutazione delle politiche. Inoltre, il processo generale di decentramento delle competenze dallo Stato Centrale agli Enti locali fa sì che, pur all’interno di un quadro legislativo unitario a livello nazionale, non si possa parlare di un sistema formativo italiano, quanto di più sistemi formativi in Italia, con stati di avanzamento e politiche anche molto diversificate da Regione a Regione. In quest’ottica, ha senso descrivere brevemente il sistema formativo in Toscana.

• I principali sistemi formativi sviluppati in Europa

L’Unione Europea, pur all’interno del quadro delle priorità stabilito attraverso la c.d. Strategia di Lisbona, presenta una grande varietà di modelli nazionali piuttosto che un unico modello europeo.

Di seguito si espongono i caratteri principali di alcuni importanti sistemi di formazione europei, prestando particolare attenzione agli aspetti relativi al loro finanziamento e ai soggetti che erogano la formazione. Nel far questo, pur tenendo presente la stretta correlazione tra formazione iniziale, cioè quella necessaria per l’ingresso nel mercato del lavoro, e continua, cercheremo di evidenziare, coerentemente con l’impostazione della ricerca, le caratteristiche di quest’ultima tipologia di formazione.

In particolare, possiamo considerare come esemplificativi i seguenti sistemi (Croce, 2004;

Vaccaro, Richini, 2006; Frigo, 2006):

1. britannico, in cui l’iniziativa della formazione è dei singoli lavoratori e delle imprese e l’offerta formativa decentrata (volontarista)9;

2. tedesco, in cui si ha una forte cooperazione tra imprese, sindacati e organi pubblici (cooperativo);

3. francese, con l’imposizione alle imprese di un livello minimo di spesa in formazione fissato in proporzione al monte salari (interventista);

presentandone i caratteri principali, con riferimento alle forme di finanziamento e agli attori coinvolti.

Il sistema britannico attribuisce un ruolo centrale all’iniziativa dei singoli lavoratori e delle imprese, mentre lo Stato interviene con azioni di sostegno, privilegiando le modalità del prestito, per incoraggiare le aziende e i lavoratori ad investire in formazione.

Tra le iniziative pubbliche di promozione della formazione rivolto alle imprese si può citare, ad esempio, il programma Small Firm Training Loans9, mentre tra i programmi pubblici rivolti ai lavoratori vi è lo strumento del Career Development Loan, che consente ai lavoratori, 9 Si tratta di un prestito a tassi agevolati e garantito dallo Stato per le imprese con meno di 50 dipendenti.

(19)

occupati e disoccupati, di fruire di un prestito che può variare dalle 300 alle 8.000 sterline, in un arco di tre anni, a copertura dei costi della formazione.

Accanto ai programmi che prevedono forme di prestito o di sovvenzione a fondo perduto, lo Stato finanzia anche altri strumenti che mirano ad incoraggiare le imprese a promuovere iniziative formative. Fra questi l’iniziativa Investors in people: si tratta di un marchio che viene rilasciato alle imprese che dimostrano di promuovere la formazione dei propri dipendenti e di adottare criteri avanzati di gestione delle risorse umane (Vaccaro, 2006). L’alto grado di decentramento e l’elevata varietà dei progetti formativi consentono senza dubbio autonomia ed efficienza: tuttavia, sembrano rafforzare la già scarsa propensione del sistema ad una preparazione o formazione più generica e indeboliscono la credibilità dei segnali10 dei diplomi o dei certificati per le imprese (Croce, 2004).

Per ciò che riguarda il sistema tedesco, pur essendo la formazione continua meno significativa di quella iniziale, il tessuto di grandi imprese e la pratica concertativa su base aziendale hanno garantito e garantiscono un investimento nelle attività formative piuttosto rilevante. La tradizione consolidata di buone relazioni industriali e di buona pratica del dialogo sociale in materia di investimenti in formazione ha un particolare significato in questo contesto, visto che l’investimento è affidato all’iniziativa privata della singola impresa. Di fatto, il ruolo dello Stato tedesco nel sostegno e nel finanziamento alle iniziative formative è piuttosto limitato, almeno in termini quantitativi, e consiste più che altro in politiche di riduzione fiscale per le imprese che investono in formazione continua. Occorre comunque considerare che, malgrado l’elevata efficienza che tale sistema ha dimostrato nella lunga fase dello sviluppo industriale tedesco, esso oggi è soggetto a pressioni che tendono a minarne la stabilità: data la necessità di continuo adattamento delle competenze, il sistema, tradizionalmente centrato sulla formazione iniziale, appare oggi eccessivamente sguarnito sul fronte della formazione continua (Croce, 2004).

Diverso è infine il caso della Francia, forse il primo paese ad aver sviluppato, accanto a una formazione iniziale assorbita nel sistema scolastico, un sistema di formazione continua.

Quest’ultima si basa prevalentemente sul finanziamento da parte delle imprese; tuttavia, il contributo delle imprese è ottenuto attraverso un meccanismo di imposta, attraverso il quale lo Stato si propone di assicurare che le imprese contribuiscano stabilmente all’investimento in formazione. Attraverso tale sistema, lo Stato non si sostituisce del tutto all’iniziativa diretta delle imprese ma impone loro un determinato livello minimo di spesa a scopo formativo: solo in caso di non raggiungimento di tale livello minimo scatta il prelievo. Si consideri che, pur all’interno di un quadro di contribuzione obbligatoria al finanziamento della formazione, le scelte relative all’individuazione dei fabbisogni formativi e alla realizzazione dei progetti sono affidate alle imprese che agiscono da sole, se in grado di programmare, organizzare e attuare piani formativi, o in cooperazione fra loro, associandosi in Organismi Paritetici (OPCA). Il sistema francese è quello, come vedremo, che ha caratteri più simili con il sistema italiano, almeno nelle sue più recenti configurazioni11.

Volendo tracciare un quadro di sintesi dei sistemi formativi presentati, possiamo evidenziare alcune caratteristiche comuni, indipendentemente dalla varietà dei modelli.

In primo luogo, tutti i sistemi che abbiamo considerato vedono un impegno sostanzialmente omogeneo delle imprese di maggiori dimensioni a investire risorse proprie per la formazione dei 10 Ci si riferisce alla formazione come sistema per certificare e mostrare le abilità individuali dei lavoratori all’impresa, in un contesto di asimmetria informativa

11 Infatti, anche in Italia si è previsto, con la l. n. 236/93, un contributo minimo forzoso da parte delle imprese (e pari al 0,3%).

Inoltre, i fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, inseriti attraverso la legge finanziaria del 2001, pur con modalità di finanziamento diverse, gestiscono le attività formative in modo non dissimile dagli Organismi Paritetici.

(20)

lavoratori. Il problema fondamentale rimane dunque l’accesso alle fonti di finanziamento già previste, l’individuazione dei fabbisogni formativi e la realizzazione dei progetti di formazione per le imprese di piccole e piccolissime dimensioni: tale problema è particolarmente presente nei tessuti produttivi come quello che caratterizza l’Italia.

In relazione a quest’ultimo aspetto, emerge la necessità per gli Stati che presentano un’economia basata sui distretti industriali e sui sistemi locali di impresa di piccole dimensioni di mettere in atto norme che rendono obbligatorio il versamento allo Stato o ad altri Enti Pubblici di una quota di salario, per garantire servizi minimi essenziali che mantengano una soglia sufficiente di competitività per le imprese e garantiscano un discreto livello di occupabilità per i lavoratori (Frigo, 2006).

Infine, si può notare la scelta diffusa di negoziare risorse delle imprese e dei lavoratori in occasione delle contrattazioni, da gestire su base collettiva e paritetica bilaterale. Dalle scelte negoziali derivano la maggior parte dei fondi settoriali oggi operanti nei diversi paesi europei.

I diversi sistemi puntano a realizzare un complesso di regole che, attraverso l’imposizione di obblighi per le imprese, garantisca fondi sufficienti alla formazione dei lavoratori, eventualmente integrando l’ammontare delle risorse globalmente investite dalle imprese. In questo senso, l’intervento pubblico di sostegno alla formazione continua si colloca sempre più frequentemente in un insieme articolato e sempre più organico di misure che devono integrarsi e completarsi a vicenda.

• Il caso italiano

Il contesto italiano vede, come è noto, il prevalere di imprese di piccole dimensioni, con un elevato tasso di autoimpiego e di lavoro indipendente, e una tutela sindacale presente e diffusa soprattutto nelle imprese maggiori e in modo disomogeneo nei diversi territori. In questo quadro, la pratica formativa strutturata ed organica così come gli interventi pubblici di sostegno si sono diffusi solo recentemente. La responsabilità di iniziative di formazione continua, quindi, è rimasta fino ai tempi recenti affidata per intero alle singole imprese e il suo finanziamento ha fatto affidamento in gran parte su risorse private. Ciò ha determinato una strutturazione debole del sistema di formazione continua che ha consentito l’introduzione di strumenti e di politiche che si muovono lungo diverse direzioni.

Nel tentativo di classificare le tipologie di intervento introdotte in Italia, si possono evidenziare:

1. strumenti per la formazione continua a domanda individuale (ad esempio voucher), come quelli previsti dalla legge 236/93;

2. misure di tipo “premiale” (contenute nella c.d. Tremonti bis);

3. misure cofinanziate dal Fondo Sociale Europeo;

4. gli interventi previsti attraverso la legge 53/2000;

5. i fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua.

La legge 236 del 1993 ha costituito un riferimento importante per lo sviluppo del sistema formativo italiano, prevedendo il finanziamento di interventi di formazione continua destinati ai lavoratori occupati, finanziati attraverso il fondo costituito con il prelievo dello 0,3% sul monte salari destinato all’INPS (Fondo Disoccupazione Involontaria). Tale legge non ha soltanto definito le diverse tipologie formative, di tipo individuale (voucher) ed aziendale, e i piani formativi: attraverso l’introduzione di contributi, soprattutto per le imprese di piccole dimensioni, si è data a queste ultime la possibilità concreta di effettuare investimenti formativi.

La legge ha inoltre previsto azioni di sistema, finanziando interventi rivolti non solo ai

(21)

lavoratori “forti”, ma anche ai lavoratori in CIGS12 e a quelli in mobilità. Queste linee di azione, tuttavia, si sono rivelate molto costose e poco efficaci (Frigo, 2006).

Le misure contenute nella Tremonti bis hanno previsto agevolazioni fiscali per le imprese che investivano in formazione. Questo tipo di strumento è piuttosto diffuso in molti paesi europei ed efficace come premio per le imprese virtuose che investono nella formazione del capitale umano una parte significativa delle proprie risorse. Nonostante l‘indubbio valore di sostegno alle imprese virtuose, questo genere di politiche ha interessato, nel contesto italiano, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, senza riuscire a promuovere la formazione nelle imprese che non la fanno (Frigo, 2006).

Il Fondo Sociale Europeo (FSE) ha rappresentato nel periodo 2000-2006, invece, un fondamentale canale di finanziamento e di sostegno alle politiche di formazione continua. Le misure cofinanziate dal FSE sono inserite in politiche di welfare e workfare e rispondono alla necessità di garantire occupabilità agli adulti, con priorità per coloro che sono a maggior rischio di perdita dell’attuale occupazione. Questo canale di finanziamento interviene attraverso interventi formativi, servizi alle persone e azioni c.d. di sistema, volte a rafforzare le capacità di governance degli attori coinvolti nell’implementazione delle politiche. Gli interventi hanno soprattutto riguardato i lavoratori di imprese private: si è trattato in prevalenza di finanziamenti per corsi di formazione continua, ossia interventi programmati e richiesti dall’impresa di appartenenza, sebbene una parte non residuale dei beneficiari abbia seguito corsi di formazione permanente, destinati all’aggiornamento culturale e professionale nella logica del life long learning. Occorre ricordare che il FSE ha finanziato la formazione continua anche come azioni di sistema per il rafforzamento della Pubblica Amministrazione e degli operatori dell’istruzione, della formazione e del governo delle politiche.

L’analisi degli effetti delle politiche sostenute attraverso il FSE durante il primo periodo di implementazione mostra buoni risultati, soprattutto se guardiamo alla capacità di intercettare il fabbisogno formativo di imprese di piccole e piccolissime dimensioni (Rapporto ISFOL, 2005).

Tuttavia, dal raffronto con le caratteristiche degli occupati emerge una sorta di specializzazione del FSE sui lavoratori “forti”, almeno in termini di qualificazione, a scapito di un ruolo più equitativo che la programmazione aveva comunque assegnato alla formazione cofinanziata.

Gli interventi della legge 53/2000 sono, invece, stati previsti nell’ottica di potenziare il diritto del lavoratore all’apprendimento permanente, attribuendo alla negoziazione tra le Parti e alla bilateralità il compito fondamentale di creare le condizioni di applicabilità dei diritti di formazione. Conseguentemente, l’articolo 6 della legge 53/00 ha sancito la possibilità per i lavoratori di usufruire di congedi per la formazione continua, attribuendo alla contrattazione collettiva di categoria, nazionale e decentrata, il compito di definire il monte ore da destinare ai congedi formativi, i criteri per l’individuazione dei lavoratori e le modalità di orario e di retribuzione connesse alla partecipazione ai percorsi di formazione. L’obiettivo di favorire la formazione all’interno dell’orario di lavoro; tuttavia, non sempre è stato raggiunto: sono pochi i contratti che hanno recepito l’art. 6 della legge 53/2000 e ancora meno quello che hanno specificato il monte ore da destinare ai congedi e hanno definito i criteri per la scelta dei lavoratori e le modalità di orario. In questo quadro, il sostegno pubblico si è ridotto ad un contributo a copertura di un costo di iscrizione a un seminario o corso di formazione, in modo affatto dissimile da quello che si realizza attraverso i voucher previsti dalla legge 236/1993 (ISFOL, 2006).

Infine, i Fondi Paritetici Interprofessionali sono organismi di natura associativa promossi dalle organizzazioni di rappresentanza delle parti sociali attraverso specifici accordi. Previsti 12 Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria.

(22)

dalla legge finanziaria del 2001 (Legge 388/2000), sono principalmente alimentati da parte del gettito derivante dal contributo versato dai datori di lavoro del settore privato per la formazione dei dipendenti e finanziano piani formativi individuali, aziendali, settoriali e territoriali. Essi soddisfano l’esigenza di preservare e valorizzare l’autonomia di imprese e lavoratori nella formazione continua, senza per questo lasciare la formazione ai soli meccanismi basati sull’iniziativa di singole imprese e singoli lavoratori. La dimensione dei flussi finanziari e l’ampiezza di autonomia decisionale fanno dei Fondi delle istituzioni potenzialmente in grado di divenire il fulcro dell’intero sistema della formazione continua, conferendo ad esso quella coerenza che finora gli è mancata. Tale sistema, tuttavia, presenta alcuni rischi, il più rilevante dei quali riguarda la capacità di coinvolgimento delle imprese minori. Le esperienze osservabili insegnano che la disponibilità di sussidi non è sufficiente, di per sé, a rimuovere i vincoli di natura non finanziaria che ostacolano la formazione nelle piccole imprese. Vi è il rischio, pertanto, che queste non aderiscano ai Fondi o che, pur aderendovi e contribuendo al loro finanziamento, non riescano ad accedere in misura corrispondente ai finanziamenti (Croce, 2004). In realtà, i primi dati sulla valutazione dell’efficacia dei fondi in questo senso, sembra evidenziare una buona capacità di tale strumento di rispondere alle esigenze delle imprese di piccole dimensioni (ISFOL, 2008). Un ulteriore motivo di preoccupazione riguarda la possibilità che la gestione congiunta affidata alle parti sociali si riveli inefficiente e dia luogo a procedure inadeguate, costi di gestione eccessivi, qualità dei servizi mediocre (Croce, 2004).

Il quadro del sistema formativo italiano si presenta, come è evidente dal quadro di sintesi che abbiamo appena presentato, piuttosto composito. La difficoltà di definire in modo univoco il sistema formativo italiano è acuito dalle differenze territoriali, non soltanto a causa dei divari tra aree del paese già evidenti in numerosi fenomeni e presenti anche nella formazione continua13, ma anche in relazione ai processi di decentramento delle competenze dallo Stato centrale alle Regioni.

Allo stato attuale, la formazione continua rimane una competenza esclusiva delle Regioni, mentre lo Stato definisce e regola i principi generali e i servizi minimi che il cittadino deve esigere (ad eccezione di misure come la Tremonti Bis che hanno il carattere di una tantum, più che costituire un tassello di un quadro normativo più articolato). Per tali motivi diventa sempre più centrale cogliere gli aspetti peculiari dei sistemi regionali: l’ultimo Rapporto ISFOL (2008) ha analizzato le differenze fra i sistemi di formazione di alcune regioni italiane, scelte come esemplificative sulla base del disegno di governance regionale, del coinvolgimento previsto e attuato delle parti sociali, dell’utilizzo e delle misure finanziate attraverso il FSE.

Le differenze regionali rendono ancora più evidente la necessità di definire un sistema di valutazione delle politiche che misurino gli effetti che queste possono produrre in termini di crescita della propensione degli agenti economici ad investire in formazione, in termini di mobilità occupazionale e in termini di miglioramento della capacità innovativa delle imprese.

• Il contesto della Regione Toscana

Il sistema della formazione continua della Toscana si inquadra in un contesto più ampio, quale quello definito dalla Legge Regionale 32/2002. Con questa legge, la Regione Toscana si pone come obiettivo quello di promuovere “lo sviluppo dell’educazione, dell’istruzione, dell’orientamento, della formazione professionale e dell’occupazione, al fine di costruire un sistema regionale integrato che garantisca, in coerenza con le strategie dell’Unione Europea per lo sviluppo delle risorse umane, la piena realizzazione della libertà individuale e 13 Numerosi studi sui destinatari degli interventi (ISFOL, 2005; 2008) evidenziano come le attività di formazione continua riguardino soprattutto i profili più forti nel mercato del lavoro: ad esempio, gli uomini, piuttosto che le donne; i lavoratori del Nord piuttosto che quelli del Sud del Paese.

(23)

dell’integrazione sociale, nonché il diritto all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita quale fondamento necessario per il diritto allo studio e il diritto al lavoro” (art. 1, comma 1). La finalità della legge è, quindi, quella di guardare alle politiche formative, siano esse relative all’istruzione, all’orientamento o alla formazione degli occupati, in un’ottica integrata che permetta la tutela del diritto all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, in coerenza con quanto previsto dalla Strategia di Lisbona.

In accordo con tali previsioni legislative, gli obiettivi, i destinatari e gli interventi del sistema integrato della formazione sono declinati all’interno dell’ultimo Piano di Indirizzo Generale Integrato, relativo al quinquennio 2006-2010. Le politiche di formazione continua sono, in questo quadro, intese come l’insieme degli interventi di formazione diretti agli occupati del settore pubblico e di quello privato, inclusi i lavoratori autonomi e gli imprenditori. In particolare, l’inclusione degli imprenditori e dei lavoratori autonomi evidenzia, da parte della programmazione regionale, l’assunzione della centralità delle politiche di formazione continua nel posizionamento competitivo, nel rilancio dell’economia regionale e nella spinta all’innovazione di sistema.

Le politiche di formazione sono finanziate attingendo a tutti le fonti previste sia a livello comunitario che nazionale e brevemente descritte nel paragrafo precedente, a cui si aggiunge un forte investimento della Regione nel quinquennio considerato dal Piano (circa il 44% delle risorse complessivamente stanziate14): si utilizzano, quindi, sia i fondi comunitari previsti per l’obiettivo 3 del FSE e relativi alle misure D1 e D215, sia gli stanziamenti previsti a copertura degli interventi relativi alle leggi n. 236/93, n. 53/2000 e n. 388/2000.

Infine, il Piano stabilisce i criteri attraverso cui effettuare il monitoraggio e la valutazione delle politiche messe in atto. A tal proposito, occorre evidenziare che il sistema di monitoraggio prevede, in primo luogo, indicatori di realizzazione definiti attraverso parametri quantitativi (numero di destinatari, numero di progetti previsti, durata in ore, numero di imprese coinvolte).

Ad essi, si affiancano indicatori di misurazione dell’efficacia e dell’impatto delle politiche, distinti in indicatori di impatto specifico costituiti essenzialmente dal rapporto tra il numero dei destinatari raggiunti e il numero degli utenti potenziali; e di impatto globale, che rendono conto essenzialmente degli effetti prodotti dalle azioni sui destinatari, ad esempio sulla loro condizione occupazionale e, più in generale, dei mutamenti osservabili dopo un certo lasso di tempo sulle principali variabili del contesto socio-economico di riferimento degli interventi del Piano. In questo senso, nel Piano viene data particolare attenzione ai progressi realizzati nel raggiungimento degli obiettivi previsti per il 2010 dall’Unione Europea (ad esempio, la percentuale della popolazione tra 25 e 64 anni che ha seguito un qualunque tipo di istruzione o formazione nelle 4 settimane precedenti la settimana di riferimento per l’indagine).

Nel monitoraggio più complessivo delle politiche formative, la Regione Toscana potrà inoltre far tesoro dell’esperienza maturata in relazione alla valutazione degli interventi previsti e cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo e relativi al periodo 2000-2006 (Programma operativo Regione Toscana Obiettivo 3, 2000-2006: rapporto di valutazione finale, 2006) dove insieme a indicatori “fisici” si sono stimati gli impatti sull’occupabilità dei lavoratori coinvolti nei progetti formativi. In questa direzione, le stime dovrebbero ampliarsi fino a comprendere la molteplicità di misure messe in campo e gli effetti sulla competitività delle imprese e sulla spinta all’innovazione.

14 Il dato è esemplificativo dello sforzo finanziario della Regione Toscana e si riferisce al complesso delle attività di piano. Non si dispone del dato disaggregato sulle risorse investite nella Formazione Continua distinte per fonti di finanziamento.

15 La misura D1 mira allo sviluppo della formazione continua, della flessibilità del mercato del lavoro e della competitività delle imprese con priorità a quelle piccole e medie; la misura D2 mira, invece, all’adeguamento delle competenze della Pubblica Amministrazione.

(24)

1.4

Effetti delle politiche: una rassegna della letteratura empirica

Il presente paragrafo, con riferimento alle classificazioni teoriche e relative alle politiche, introdotte nei precedenti paragrafi, fornisce una rassegna dei risultati degli studi empirici volti a misurare alcuni effetti e benefici, sia sul lavoratore che sull’impresa, derivanti dallo svolgimento di attività di formazione continua. Preliminarmente, vedremo come si classificano le attività formative e quali interventi sono più nel dettaglio inclusi nella definizione di “formazione continua”.

La valutazione degli effetti della formazione continua e il monitoraggio delle politiche messe in atto rendono, infatti, necessaria la definizione di quali attività specifiche siano ricomprese nella più ampia definizione di “interventi di formazione continua”. Questo è stato lo sforzo anche in sede europea dove, a partire dalla seconda rilevazione CVTS (2005), si è stabilito un sistema di rilevazione dei dati e di classificazione delle voci omogeneo per tutti i Paesi dell’Unione. Scendere nel dettaglio, infatti, consente di rendere il più possibile omogenee le rilevazioni statistiche, permettendo il confronto e la valutazione dei risultati sia in termini geografici che temporali.

La formazione continua comprende tutte le attività di formazione svolte in un’impresa per la crescita professionale e culturale del proprio personale in servizio (con l’esclusione degli apprendisti, a cui sono dedicate le attività di formazione iniziale). Queste attività di formazione devono essere decise dall’impresa e inserite nella programmazione delle sue attività di gestione delle risorse umane, finanziate dall’impresa stessa, almeno per la parte che riguarda la remunerazione del tempo di lavoro destinato alla formazione, e svolte con l’ausilio di un docente e/o di adeguato materiale didattico. Il discrimine per considerare un’attività come parte della formazione continua è il carattere dell’intenzionalità, dato che tutte le attività di apprendimento casuale sono escluse dalla classificazione; vengono, invece, considerate sia le tipologie di apprendimento formale che quelle non formali (Perani, 2006).

Le tipologie di formazione continua considerate si dividono, secondo lo schema di classificazione proposto per la rilevazione, nelle grandi categorie di corsi di formazione e di altre attività di formazione.

I corsi di formazione si distinguono ulteriormente in corsi interni, organizzati e gestiti direttamente dall’impresa, e in corsi esterni, la cui organizzazione è affidata ad un soggetto esterno all’impresa16. L’elemento di differenziazione è, dunque, non tanto il soggetto che eroga la formazione o il luogo fisico in cui la formazione viene svolta ma quello che si preoccupa della gestione del corso: sono, ad esempio, classificati come “interni” i corsi organizzati direttamente dall’impresa anche se svolti all’esterno o utilizzando docenti esterni all’impresa (Bernardini, 2006).

Le attività previste nei corsi sono piuttosto variabili e comprendono sia formazione esclusivamente generica (ad esempio, i corsi di lingue, o quelli di informatica) che formazione specifica (ad esempio, i corsi legati alle tecniche di produzione)17.

La altre attività di formazione diverse dai corsi comprendono invece:

1. periodi programmati di formazione, apprendimento o esperienza pratica mediante l’utilizzo degli strumenti abituali di lavoro;

16 Sono considerati fra i soggetti esterni erogatori della formazione: gli istituti scolastici pubblici e privati; le università; gli organismi pubblici di formazione (inclusi i centri di formazione professionale regionali); le società di consulenza e/o di formazione;

i fornitori di macchinari e software o, in generale, di tecnologia; le strutture sindacali nazionali o territoriali, le Camere di Commercio e le associazioni imprenditoriali.

17 Per il dettaglio delle categorie di corsi considerati si veda, ad esempio, “La formazione del personale nelle imprese italiane”, ISTAT, 2005

Riferimenti

Documenti correlati

3 della Legge Regionale toscana in materia di istruzione e formazione professionale in cui si toscana in materia di istruzione e formazione professionale in cui si prevedevano

In questo nuovo quadro, i ragazzi potrebbero, se adeguatamente informati sulle caratteristiche e le finalità dei corsi, optare per la formazione professionale senza il

Nelle organizzazioni che pianificano piani di sviluppo delle risorse professionali, vengono realizzate entrambe le dimensioni della formazione (individuale e

- la presente Convenzione intende promuovere azioni concrete tra i soggetti responsabili delle programmazioni, cioè tra Agenzia del Lavoro della Provincia Autonoma

Dato atto che l’impegno e l’erogazione delle risorse fi nanziarie coinvolte sono comunque subordina- ti al rispetto dei vincoli derivanti dalle norme in materia

Esperienza di lavoro > 10 anni (120 mesi) connessa alle politiche pubbliche e di investimento esperita e comprovata presso enti pubblici e privati.

“Linee generali per la realizzazione dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) degli Istituti professionali ed elementi essenziali per l'apertura delle

b) i restanti possono essere acquisiti anche partecipando ad eventi non accreditati, pur- ché riguardino argomenti di approfondimento professionale e non di mero