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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.05 (1878) n.206, 14 aprile

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(1)

V

ECONOMISTA

GAZZETTA. SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno V - Yol. I I

Dom enica 14 a p rile 1878

N.

DELLA NUOVA INCHIESTA

SU LL' A M M IN ISTRAZIONE DEL COMUNE DI FIR EN ZE

La gravità della situazione finanziaria del Comune fiorentino accresciuta dal fatto della sospensione dei pagamenti deliberata dal Municipio nel 17 Marzo decorso faceva ragionevolmente presupporre die il Governo sarebbe intervenuto con ogni sollecitudine in questo affare, e che avrebbe senza altri indngii j proposto al Parlamento un progetto concreto, in cui si indicasse una somma qualunque rappresentante il compenso che si credesse per giustizia dovuto alla nostra città, dacché ci pare che ormai sia penetrato nella mente e nella coscienza di tutti il concetto che per una gran parte l’attuale dissesto finanziario di Firenze dipende da questo che cioè il compenso con­ cesso nel 1871 fu di gran lunga minore di quello che per equità doveva accordarsi. — Ma però code­ ste supposizioni sono rimaste contradette dal fatto, j L’on. ministro delle finanze non ha creduto poter far di meglio che presentare alla Camera nel dì o ! Aprile corrente un progetto„di legge per una in­ chiesta parlamentare sulle condizioni finanziarie del Comune fiorentino. Cotesto progetto, che riportiamo più sotto con la relazione che lo precede, Ita per scopo di fare accertare da una Giunta Parlamen­ tare composta di quindici membri, se ed in qual misura il disequilibrio finanziario del Comune fio­ rentino dipenda effettivamente dall’ essere stata F i­ renze la sede del Governo italiano dal 1865 al 1871. A dir il vero, se il Governo è persuaso, come ap­ parirebbe dalla relazione che accompagna il pro­ getto, della necessità assoluta di far cessare al più presto l’ansietà e l’incertezza diffusa dappertutto pel doloroso caso di Firenze, non ci pare che il modo adottato sia il più acconcio ad ottenere cotesto in­ tento. — Occorre ricordare, ciò che non fa la re­ lazione rammentata, che dal 1870 ad oggi sono già state fatte tre differenti inchieste allo stesso oggetto. La prima dovè farsi dalla Commissione che preparò ¡1 progetto di legge approvato dal Parlamento nel 1871, con cui si concessero in compenso a Firenze alcuni stabili demaniali ed una rendita sul Debito pubblico per L. 1,217,000. Altra inchiesta venne per ordine del Governo compiuta da! Direttore della Ragionerìa Comm. Petitbon nel 1876, e finalmente una terza inchiesta fu fatta dalla Commissione eletta con decreto ministeriale 20 Ottobre 1877. Da tutte coteste inchieste resultava che al Comune di F i­ renze spettava per il titolo di cui si tratta un com­ penso quadruplo o quintuplo di quello concesso con la legge 7 Luglio 1871 — Noi abbiamo già parlato

di quelle inchieste e dei loro resultati, ed anzi ab­ biamo dimostrato, con le cifre medesime resultanti da eoteste inchieste, come i compensi proposti dalla Commissione presieduta dall’on. Maglianl non rag­ guagliassero a quanto era dovuto secondo i termini di giustizia. Io conseguenza, se il Governo e il Par­

lamento non vogliono negare credenza o fiducia ai resultati di ricerche fatte da persone nominale da loro, noi non intendiamo come possa oggi ricer­ carsi se il compenso concesso a Firenze nel 1871 fosse corrispondente alle spese fatte per la sua qua­ lità di capitale del Regno. Potrebbe solo ricercarsi di quanto il compenso accordato fosse minore del dovuto, ma era facile al ministro delle finanze de­ sumere dai resultati delle inchieste già fitte una media, e cotesta proporre addirittura all’approvazione del Parlamento.

Così pure reputiamo superflua la proclamazione del princìpio che il sussidio o compenso da conce­ dersi a Firenze debba in ogni caso commisurarsi rigorosamente al danno da lei sofferto per I utilità generale del paese, e che lo Stato non deve mai provvedere ai guai che possano essere causati dal fatto dei suoi amministratori, il qual principio ro- vasi svolto nella relazione del progetto di cui parliamo. Diciamo che la ripetizione di coleste massime è un di più, giacché esse sono precisamente quelle che motivarono già le altre inchieste fatte pello stesso oggetto ed allo stesso fine.

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Co-muiie. Se il conto che essi si prefiggono di fare deve essere un conto sommario, allora non po tranno fare altro che ricopiare quelli già fatti dal Comm. Petitbon e dalla Commissione presieduta dal Comm. Magliani, e tutto questo lavorìo sarà stato inutile. Se poi volessero fare conti più dettagliati e minuti, se volessero ricercare scrupolosamente per ogni titolo di spesa le somme realmente reclamate da assoluta necessità e quelle che possono essere state sciupate per poco oculata amministrazione, al­ lora si tratterebbe non più di giorni o di mesi, ma di qualche anno di lavoro, e forse non riuscirebbero mai a resultati di tale esattezza da persuadere i re­ stii ed i poco benevoli verso Firenze, ed in ogni caso il male che oggi si vuol rimediare sarebbe tanto avanzato da far disperare della guarnigione.

Noi adunque non possiamo approvare questo ina­ spettato ritardo alla soluzione di un problema che mette in giuoco l’onore e la vita economica di una cospicua è benemerita città qual’è la nostra Firenze. Ma oramai la cosa ha preso questa cattiva piega, ed a noi non rimane che sperare nel patriottismo e nella buona volontà di quelle persone alle quali la fidu­ cia del Parlamento e del Governo vorrà affidata questa nuova inchiesta, dalla quale dovrà scaturire la soluzione di questa grave questione dal riordina­ mento della finanza del Comune fiorentino.

Ecco il progetto di legge stato distribuito

alla Camera dei deputati, per un’ inchiesta

parlamentare sulle condizioni finanziarie del

Comune di Firenze :

Signori !

Il Governo del Be deve pregare il Parlamento di voler prendere di urgenza un provvedimento intorno alle finanze del Comune di Firenze.

L ’argomento delle condizioni delle finanze di un solo Comune non è, secondo i principi! generali di pubblica amministrazione, una materia sulla quale il Governo debba trattenere il Parlamento. Ma il caso di Firenze, per tutte le straordinarie circostanze di fatto che vi concorrono, può dirsi, ed è veramente, piuttosto unico che raro.

La città di Firenze è stata dal 1865 al 1871 la residenza della capitale del Eegno : il che ha portato necessariamente le sue conseguenze nel bilancio di quel Comune, per le gravi spese che gli convenne fare in gran fretta e pei molti impegni che furono contratti.

Avvenuto il mutamento della residenza del Go­ verno, mercé 1’ acquisto della nostra capitale, quelle spese e quegli impegni hanno continuato a pesare sul bilancio. Il disquilibrio è andato sempre cre­ scendo, fino al punto da provocare 1’ ultima delibe­ razione del Consiglio comunale del 17 marzo de corso.

Ora tutta quella città se ne è commossa, pel danno e pel rammarico che ne sente, anche fuori ed oltre la cerchia del bilancio comunale, ed il Parlamento e tutto il paese non sono rimasti indifferenti spettatori di tanta commozione.

Il Parlamento si era già occupato dei danni sofferti da Firenze pel fatto dell’ essere stata la temporanea capitale del Eegno, e le aveva assegnato un risarci­ mento, come dalla legge del 9 giugno 1871, numero 257, al modo stesso che, con la legge del 18 dicem­ bre 1864, numero 2049, lo assegnò al Comune di Torino.

Ma la rendita di lire 1,217,000 inscritta sul Gran Libro del Debito pubblico, e le altre concessioni

sta-bilite dalla legge 9 giugno 1871, non valsero a porre l’equilibrio nel bilancio di Firenze : il disavanzo con­ tinuò e crebbe di anno in anno. Gii aumenti nelle entrate e i risparmi nelle spese, che si sono adottati a ristoro del bilancio comunale, non sono riusciti ef ficace rimedio ad impedire la gravità sempre crescente del male.

Quel Consiglio comunale, disperando ormai di po­ tersi salvare da sé medesimo, nella tornata del 22 luglio 1876 deliberò di presentare una petizione al Parlamento, affinchè fosse provveduto al ristabilimento del pareggio nelle sue finanze. Ed il Senato del Eegno, in adunanza 7 luglio 1877, trasmise la istanza al mi­ nistro delle finanze per 1’ esame e pei provvedimenti relativi.

A quella deliberazione del Consiglio comunale ha fatto seguito l’ultima del 17 marzo 1878, con la quale ha sospeso temporaneamente i pagamenti dei capitali dovuti ai suoi creditori, corrispondendo però gli in­ teressi.

Tutti questi precedenti si vogliono spiegare e giu­ stificare col fatto della temporanea sede della capi­ tale del Eegno in Firenze, e certamente dimostrano la convenienza della presente proposta che il Go­ verno fa al Parlamento, di portarvi cioè la sua alta attenzione.

Ognuno intenderà di leggieri che, trattandosi di discernere i molti e complicati fatti di cui si compone l’attivo o il passivo del bilancio di un grande Comune, il giudizio non possa essere facile, nè semplice. Quando anche coloro che si accingono ad esaminare diligen­ temente i bisogni, se ne formino un’idea, e possano poi dire quali e quante siano le cagioni del disavanzo dipendenti dalle necessità inerenti alla sede del Go­ verno del Eegno, l’intero paese vuol essere chiarito mediante un verdetto autorevole e decisivo.

Adunque è opinione del Governo che debbano in­ dagarsi nel modo solenne e più chiaro le vere cagioni delle origini e dell’ àggravazione del dissesto finanzia­ rio del Comune di Firenze, per determinare poi quale porzione di esso, secondo giustizia ed equità, si possa riferire all’interesse generale del Eegno.

Noi reputiamo che ¿;iò debba farsi mediante una inchiesta parlamentare.

Segnalate le somme che furono spese e gl’impegni contratti per ragione della capitale, la pubblica opi­ nione intenderà che il Parlamento, qualora creda di aggiungere un altro risarcimento a quello già. con­ cesso nel 1871, si faccia ad adempiere un debito dello Stato.

Di tal guisa nessuno potrà dire, dall’un dei lati, che s’introduca un esempio pericoloso e nuovo di sollevare un Comune dalle strettezze in cui lo indusse l’operato de’ suoi legittimi e naturali rappresentanti, col danno dei contribuenti, perchè tutti saranno fatti certi che il risarcimento, se alcuno ne sia dato, sarà strettamente uguale al danno recato per l’utilità ge­ nerale del paese.

Ma, dall’ altro lato, nessuno potrà dire che la na­ zione abbia danneggiato, nel correre al compimento della sua unità, una nobile e benemerita città, la quale, oltre all’aver cooperato secondo ogni suo po­ tere all’indipendenza ed unità della patria, non curò il pericolo finanziario e si sforzò di essere per alcun tempo degna residenza della capitale del Eegno.

L ’inchiesta è di urgenza, perchè è necessario che cessi l’ansietà ed incertezza diffuse dovunque pel doloroso caso di Firenze.

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44 aprile 1878 L’ ECONOMISTA 227

PROGETTO D I LEGGE.

Art. 1.

Una Giunta parlamentare procederà ad una in­ chiesta sull’amministrazione del Comune di Firenze per riconoscere se ed in quale misura il presente squilibrio delle finanze di quel Comune derivi da spese straordinarie, incontrate regolarmente per un interesse generale della nazione, in conseguuenza dcl- l’ avere ivi risieduto il Governo del. Regno dal­ l’anno 1865 al 1871.

Art. 2.

La Giunta sarà composta di 15 membri, dei quali sei nominati dal Senato, sei dalla Camera dei deputati e tre con decreto reale, udito il Consiglio dei ministri.

La Giunta stessa eleggerà nel suo seno il proprio presidente.

LA CRISI PRESENTE

E D I S U O I R I M E D I

(Continuazione, vedi n. 205)

La Banca nazionale italiana, segno D ’inestinguibil odio, E d’ indomato amor,

ha reso incontrastabili servigi al paese. Come ebbe a dire non senza orgoglio essa medesima, « la Banca nacque modesta, e crebbe d’ accordo col progresso economico e politico del paese; oggi essa è fatta massima in questo, perchè ne seppe conoscere i hi sogni e volle abbracciarne le sorti, mettendo in ciò l’ardimento che nessun altro ebbe in quel tempo, e perchè seppe giovarsi della forza che ie veniva dal­ l’occasione da lei afferrata e dal generale consenso. Essa portò i benefici effetti del credito anche là dove non se ne conoscevano i primi rudimenti, vincendo molte difficoltà, e sobbarcandosi a sacrifizi non lievi. » Però se ciò è vero, convien pur riconoscere che parecchie volte la sua condotta non fu conforme alle regole che scienza e pratica avevano mostrato per sole rette; più d’una volta essa ha mancato a quel­ l’ufficio, a cui la sua posizione e l’ambizione d’onde si mostrò sempre animata, la chiamavano; essa è lontana ancora ai nostri giorni stessi dall’ aver as­ sunto il posto che tengono le Banche di Francia e d’ Inghilterra, quello di regolatrici del mercato mo­ netario, di modello dell’ordinamento bancario del paese. Per non scostarci di troppo dall’argomeuto che ci occupa, vediamo come essa si valse del potente mezzo del movimento della ragione dello sconto per regolare quello dei proprj affari e del commercio in generale.

Nella crisi del 1863-64 essa serbò un contegno corretto. Il danaro difettava e conveniva pagarlo caro. Invece di appigliarsi a rimedi empirici, e sospen­ dere o limitare eccessivamente gli sconti, prese a rialzare risolutamente la ragione dello sconto. In tutto il 1864 essa la variò per ben dieci volte, por­ tandola due volte al fi per cento, e serbandola in media a 7 e 3[4. Nè la Banca nel farlo operò già a caso : essa dichiarò con parole degne di essere ri­ cordate, il valore che riconosceva in questo mezzo per regolare le operazioni degli istituti di credito nei periodi eccezionali. — « A fronte dell aumento del prezzo del danaro in tutti i mercati europei, essa

diceva, a fronte dell’irresistibile tendenza del nume­ rario a portarsi là dove più vantaggioso se ne pre­ senta l’impiego, sarebbe opera più che vana, di gra­ vissimo dannò alla Banca, al paese intiero, lo sforzarsi di tenere il prezzo del danaro al disotto del'a misura a cui lo spingono le condizioni economiche del paese stesso. Quando le domande d’impiego superano i ca­ pitali disponibili, si hanno due espedienti da adottare: aumentare lo sconto, o restringere le assegnazioni agl’impieghi. Entrambi i mezzi tendono a produrre una riduzione negli affari della Banca al fine di sta­ bilire l’equilibrio tra le domande d’impiego ed i mezzi disponibili; ma il primo produce la riduzione natu­ ralmente, il secondo violentemente; è adunque da pre­ ferirsi il primo. E questa verità fu assai bene sen­ tita quando la misura dell’interesse era infrenata da disposizioni legislative. Allora la Banca non potendo elevare lo sconto al di sopra del 6 per cento, era costretta a restringere le assegnazioni agl’impieghi ; e gl’imbarazzi del commercio risultavano allora cosi gravi che da ogni parte si domandò al governo, al parlamento, la libertà dell’interesse, onde la Banca potesse trovare nell’aumento dello sconto il corret­ tivo che fino allora aveva per necessità cercato nella par­ simonia degl’impieghi. Fu sentita altresì in al ri paesi dove o la libertà dell’interesse è stata prima che da noi proclamata, o, mancando il coraggio di adottarla, venne accordato alla Banca il privilegio di oltre­

passare il limite imposto dilla legge ai particolari. » Ma ecco che due anni dopo essa rinnega tutta questa teoria, ed opera in modo affatto opposto. Verso il finire dell’aprile 4866, una leggera crisi (dovuta in ¡specie ai pericoli della guerra imminente) si manifesta nell’Italia superiore.

Le

banche di Ge­ nova

e

di Torino sono assalile dai depositanti, che in brevi giorni si riducono le casse quasi all’asciutto, Esse ricorrono per aiuto alla Banca Nazionale; e a prezzo anche di uno sconto elevalo, le chiedono quel danaro, che solo le può salvare dal fallimento. Era una crisi leggera, tanto che bastarono poi po­ chi milioni somministrati dalla Banca per met­ tervi termine, era una crisi di circolazione soltanto che son qnelle meno gravi, e per cui esistono più facili e più numerosi ritnedj; essa non colpiva se non alcune provincie dello Stato. Nel maggio dello stesso anno, scoppiata una crisi ben più for­ midabile a Londra, la Banca d’ Inghilterra trovò nel rialzo energico dello sconto il mezzo dì fornire al commercio, in pochi giorni, ben 300 milioni di lire. La Banca avrebbe dovuto, per secondare i suoi stessi principj, adottare un uguale provvedi­ mento, salvo a ricorrere ad altri se esso si fosse mostrato insufficente. Ed invece essa resistè im­ perterrita alle istanze delle banche, che domanda­ vano aiuto, e, mantenuta invariabile la ragione dello sconto (che era dal febbraio di appena il 6 per cento), prese a diminuire le somme asse­ gnate agl’impieghi ; scemò, invece di aumentarli, i sussidi che essa ordinariamente accordava al com­ mercio !

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quanto allo scopo, dannoso quanto al credito della Banca; il richiamare il saldo di 24 milioni sulle azioni sarebbe stato talmente improvvido, che la co­ scienza pubblica le avrebbe senza dubbio imposto di ritirarlo; infine l’acquistare, alla peggio, oro all’estero mediante sacrifizi straordinari era un’operazione im­ possibile, qualunque fosse il sacrifizio che si volesse fare. » Alle prime avvisaglie la Banca getta il grido del si salvi chi può, e si da a vergognosa fuga. È una macchia nella storia della Banca, tanto più dif­ ficile a lavare, perchè fa sorgere irresistibile il pensiero, che con provvedimenti così inconsulti ed esiziali al commercio essa mirasse a forzare la mano al governo, ed indurlo a concederle il corso forzato dei biglietti.

Più'tardi, sul finire del 1872, la Banca commet­ teva lo stesso errore. Aumentavano le domando dello sconto, ed essa si mostrava impotente a soddisfarle tutte, tanto più perchè il governo contemporanea­ mente le chiedeva la consegna di 40 milioni, a ter­ mini de’ suoi statuti. Il ministro delle finanze la sollecitava ad innalzare la ragione dello sconto, ciò che .avrebbe fatto affluire il danaro, e posto la do­ manda in equilibrio coll’offerta senza sottopporre il commercio a troppo duri sacrifizj. Ma la Banca pre­ ferì appigliarsi ad un provvedi mento opposto; essa mantenne la ragione dello sconto ad appena il 5 per cento, e ridusse largamente invece le anticipazioni, lasciando insoddisfatte del pari numerose domande di scouto.

Il cammino seguito dalla ragione dello sconto presso la nostra Banca Nazionale dopo la proclamazione del corso forzato è rappresentato dalle cifre se­ guenti :

Sconto

1866 25 febbraio al 1867 25 aprile 6 0|0 1867 24 aprile al 1870 4 agosto 5 0|o 1870 5 agosto al 1870 17 settembre 6 0|o

1870 18 settembre in poi 5 0|0

Lo sconto (salvo pochi giorni del 1870, in cui i pericoli della guerra accennavano ad avvicinarsi al nostro paese rimase invariabile al 5 per cento. Durante questo tempo si ebbero a traversare momenti più o meno difficili; si ebbero a liquidare gli effetti della guerra del 1870; dopo due anni dislancio si cadde nella più desolante atonia; tutte le banche d’Europa seguirono questo movimento ascendente e discendente, modificando frequentemente le condizioni a cui accordavano i loro capitali, e lo sconto della nostra Banca non ebbe a risentirsene menomamente.

Mentre la Banca si ostinò, come già in altri tempi quella di Frància, nel mantenere invariabile la ra­ gione dello sconto, vi ha un altro provvedimento che essa non cessò d’invocare dal governo, finché non le fu concesso colla legge del 50 aprile 1874 che costituì il consorzio delle banche, la facoltà cioè di allargare l’emissione dei biglietti per proprio conto. Per questa legge tal limite, che era fissato a 550 milioni, potrà col tempo essere aumentato fino a 450. Veramente nelle crisi acute una maggiore elasticità nell’emissione può essere utile, perchè in esse ar­ riva un momento in cui è necessaria una larga emis­ sione carta, per prendere d posto di quella commer­ ciale, che non può più circolare. Ma il limite era pressoché, sufficeute per una crisi, quale si è quella che oggi domina, ed invero in quasi tutto il periodo della durata di essa l’omissione della Banca rimase molto al disotto del punto a cui avrebbe potuto sa­

lire. La media dell’emissione effettiva dal 1875 in poi confrontata con quella consentita dalla legge ci da le cifre che seguono:

Em issione effettiva Em issione a u to rizzata

1875 540.691.000 350.000.000

1874 326.520.000 358.333.300

1875 348.028.000 375.000.000 (il 31 die.) 1876 353.591.000 591.666.000 (il 1° ott.) Ciò è dovuto in parte alla prudenza della Banca e giova essergliene riconoscienti, poiché il corso for­ zato dei biglietti consorziali le consentirebbe di esa­ gerare anche la propria emissione; ma vale altresì a confermare quanto già abbiamo dimostrato, che nelle crisi croniche quello di cui si abbisogna non è me nomamente un aumento nell’emissione delle banche. Ma se un aumento di emissione (salvo qualche momento eccezionale) sarebbe tornato più dannoso che utile, non sarebbe stata giovevole invece una di­ minuzione nella ragione dello sconto? — Nel 1876 la Banca dubitò un istante se non fosse conveniente di farlo: ma poi se ne astenne, supponendo che la diminuzione degli sconti, che andava diventando ognor più profonda, non dipendesse dal reputarsi troppo alto il saggio del 5 per cento, sihbene dalla stessa scarsità della materia scontabile. A nostro avviso in­ vece, tal provvedimento sarebbe stato molto utile, ed avrebbe anzi dovuto prendersi molto tempo prima. Certamente con esso la crisi non si sarebbe evitata chè, pur troppo, essa non dipende da cause commer­ ciali soltanto; ma si sarebbe aiutato il commercio a sopportarla più agevolmente; esso era consigliato dal­ l’ attitudine delle altre banche d’Europa e da quella particolare al nostro mercato, e lungi dal nuocere alla Banca, come a prima giunta potrebbe parere, avrebbe giovato altresì a’suoi bene intesi interessi.

Lo sconto della nostra Banca tu mantenuto ad una altezza molto maggiore che non quella serbata, in proporzione, negli altri paesi. Dal 1874 in poi esso scese dal 4 al 2 in Francia, dal 5 al 2 in In­

ghilterra, e rimase stazionario in Italia. Calcolando il corso della rendita francese 5 per 100 a 110 (quale si trovava verso la fine del marzo scorso) l’interesse sulla medesima è del 4 e mezzo per 100. Lo sconto trovandosi al 2, la differenza tra quello e questa è di 2 punti e mezzo. Invece presso di noi la rendita, al corso di 80, dà un interesse del 5 40 per cento. Lo sconto essendo al 5, il divario tra l’uno e l’ altro non riesce neppure di mezzo punto, mentre per pareggiare la ragione dello sconto nei due paesi, converrebbe che questo scendesse presso di noi al 5 o al 5 e mezzo per cento.

Potrebbe credersi che la Banca abbia interesse a tenere lo sconto elevato, poiché può ottenere un guadagno eguale sia con far meno operazioni ad una ragione alta, sia facendone molti ad una più bassa ; anzi nel dubbio debba preferire il primo par­ tito al secondo, perchè il lucro è più certo.

Ma non è così. La Banca è un istituto essenzial­ mente commerciale; la vita del commercio è pur la sua; essi prosperano e rovinano insieme. Suo ufficio è adunque di venirgli in soccorso, liberarlo dalle secche in cui è impigliato, anche a costo di qualche sacrifizio, chè il guadagno che vi terrà die­ tro le sarà largo compenso. Or se il commercio è oppresso da uno sconto troppo grave, gli affari ne saranno vieppiù incagliati, e la Banca finirà per essere in perdita.

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14 aprile 1878 L’ E C O N O M IS T A 229

cagione, perchè riempie il proprio portafoglio di cat­ tiva carta. Lo sconto della Banca essendo troppo alto, la carta commerciale di primo ordine trova ad essere scontata fuori della Banca stessa ad un saggio inferiore. È la carta di secondo ordiue, che trovan­ dosi respinta dai capitalisti o dalle banche minori, si assoggetta allo sconto elevato richiesto dalla Banca pur di Trovare a ridursi in contante. Così questa vede accumularsi ne’suoi portafogli titoli di dubbia sicurezza, e crescere del continuo quelli in soffe­ renza. Ecco invero il cammino seguilo dai titoli in sofferenza presso il nostro maggiore istituto di cre­ dito alla line degli anni seguenti :

1872 L. 2,2011,000 1873 L. 3,582,000 1 r>73 »> 5,098,00 ) 1870 » 0.270,000

1874 » 5,999,000 1877 » 7,192,000

E quest’ aumento è tanto più sensibile perchè coincide con una diminuzione nelle operazioni.

La stessa cosa succede in Francia. L’ abbondanza dei capitali disponibili, che non vogliono impiegarsi a lungo termine, ma ricercano sovratutto un collo­ camento sicuro, fa alla Banca di Francia un aspra concorrenza. Per resistervi, essa ebbe la saviezza (seb- beu tardiva) di abbassare lo sconto al 2 per cento. Tuttavia ciò non bastò. Sul mercato libero la carta di secondo ordine è scontata all’ 1 e 5(8, all 1 e 1|2 per cento, e quella di primo ordine all 1 per cento, perfino a 5[4 per cento. La Banca di trancia liceve i rifiuti di questi capitalisti privati, e non è a stu­ pire se i suoi titoli ni sofferenza vanno altresì aumen­ tando. Ciò deve indurci a i.redere che la Banca italiana avrebbe saviamente provveduto a se medesima coll ab bassure la ragione dello sconto al 4, e lorse anche al 3 e mezzo per cento.

(L a fine nel prossimo numero)

IL LIBERO SCAMBIO

E I TRATTATI DI COMMERCIO

I membri del Cobden Club furono invitati dal loro Comitato a pronunciarsi sulla proposta di co­ gliere l’occasione della prossima Esposizione univer­ sale per fare a Parigi una grande dimostrazione in favore del libero scambio, die oggi è in pericolo dappertutto in Europa per il forte vento di reazione che soffia in poppa del protezionismo. A questo scopo, al quale noi facciamo 1 nostri migliori au­ guro, il comitato del Cobden Club s è messo in corrispondenza colla società di Economia politica di Parigi, nel cui seno sarebbe convocala I adunanza internazionale.

II prof. Martello, membro del Cobden Club, ha risposto alla circolare del signor Potter con una lettera eli’ egli ci permette di pubblicare nel suo testo originale.

¡Noi siamo lieti di offrire pei primi ai nostri let­ tori questo nuovo scritto del valente economista ve­ neziano.

Venise, 30 mars 1878. A Monsieur

Thomas Bayley Potter, M. P.

Secrétaire hon. dti_Cobden Club

Monsieur,

En aucun moment plus qu’en celui-ci il n’a été urgent de serrer les rangs des libres-écbangisles et d’affermir leur ligue internationale. Elle est menacée par la réaction proteetioniste qui apparait de nou­ veau, plus torte et plus hardie, dans toute I r.urope, et plus particulièrement en Italie. Ici, les passions politiques ont éloigné les esprits les plus éclairés des bonnes traditions laissées par le O d e Cavour.

C’est pourquoi j’applaudis au projet du Comité du Cobden Club de prendre l’occasion de la pro­ chaine Exposition Universelle pour faire, à Pans même, une démonstration en faveur de la liberté de commerce, les expositions industrielles en étant, pour ainsi dire, comme la représentation symboli­ que. Et j ’approuve d’autant plus cette heureuse idée, que je crois qu’il est essentiel de mettre les mem­ bres du Cobden Club en rapport direct avec ceux de la Société d’Écouomie Politique, le seul corps savant important qui se soit maintenu fidèle aux doctrines d’Adam Smith et de son école. Ce serait surtout utile à l’Italie, dont les hommes qui s’adon­ nent sérieusement aux études économiques ne peuvent pas faire entendre tacitement leur voix, presque toujours étouffée par le bruit que font ces orateurs de loci communes qui malmènent la science écono­ mique, semblables aux disciples de Protagoras qui, • jadis, en Grèce, flagellaient la dialectique. Ils ont

prétendu représenter à I’ etranger, a Paris même, au sein de la Société d’Économie Politique, une école soi—disante nationale de socialistes de la chaire et de proteetionistes, qui n’existe pas en dehors des luttes et des partis politiques.

En renouvelant le traité de Commerce aVec la France, le gouvernement italien a donné cet étrange spectacle d’abaudonner la route que lut avait tracée le comte de Cavour, tout en affectant de ne pas en avoir l’intention. Aux théories fran­ ches et ouvertes du protectioiiisme, on a voulu sub­ stituer la puissance des sophismes économiques ; par­ mi ceux-ci, celui des droits compensateurs a plané sur les négociations que le cabinet Minghetti a con­ duites et vu échouer. Malgré cela, les deux^ mini­ stères suivants, présidés par M. Depretis, 11 o*1) 111 changé les per sonnes qui dirigeaient la politique commerciale du gouvernement, ni abandonné les principes restrictifs qui ont été proclamés au nom même de la liberté.

Dans un pays comme l Italie, où la masse ne s’intéresse que trop peu aux spéculations scientifi­ ques, rien n’est plus facile que de Irapper la liberté au nom de la liberté et sous prétexte de lui rendre hommage, de compromettre les grands intérêts na­ tionaux en leur nom et sous prétexte de les servir. En voulez-vous un exemple? Le voici en peu de

mots : .

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« étrangère; il est donc naturel que les produits « étrangers entrant dans le territoire national soient « taxes dans une mesure qui permette de oompeu- « ser celle infériorité artilicîe.le ; de sorte que les « conditions naturelles de l'industrie similaire étrau- « gère restent tedes qu’elles sont, et loin de violer « le principe du libre-échange, les droits de douane « le favorisent. »

J’ai eu l’occasion de répondre à ce raisonnement et j’ai dit: « Si ce principe est vrai, il le sera tout aussi bien dans le cas où les produits étrangers pourraient se présenter sur le marché national sans avoir supporté aucun droit d’entrée pour y faire concurrence aux produits indigènes soumis aux im­ pôts, que dans le cas oit les produits indigènes ne seraient frappés d’aucuu impôt, et qu’au contraire les produits étrangers entrant en Italie supporte­ raient des droits d’importation. Dans cette dernière hypothèse, il est évident que les produits similaires se présentent sur le marché italien avec des char­ ges ditïéreutes, comme daus la première supposition, mais eu sense inverse. Et si, daus le premier cas, Je droit compensateur doit intervenir pour pariuer les impôts, il faut reconnaître ma.ntenant que tous les droits d’importation doivent etre condamnés, non pas comme acte de protectiouisme, mais bien comme nue simple purification d’iuipots. Dès lors, on peut poser ce dilemme: Ou l’on est disposé à déclarer déchargés de tout droit d’importation les produits étrangers dont les similaires indigènes ne payent pas d’impôt de fabrication — et alors, avant de réclamer les droits compensateurs, il faut, pour les neuf dixièmes, l'abolition du tarif italien; ou bien l’on n’est pas disposé à accorder cette justice — et alors il faut être logiques et conséquents en deman­ dant que tous les produits nationaux actuellement libres de toute taxe, et qui ont des similaires pro­ venant de l’étranger, soient frappés de droits de fabrication. »

Ce système, du reste, semble être adopté par le régime economique du gouvernement italien, et le traité de commerce avec la France actuellement en discussion à la Chambre des députés, en donne une preuve éclatante. Par exemple, le droit sur la bière a été élevé de 2 a 15 fr. par liect. Il semble que celte augmentation pour la biere française ne soit qu’un luxe de protectiouisme; et c’est la venté, car ce n’est pas de la France que l’industrie de la bière, si peu importante eu Italie, peut craindre la con­ currence. cette augmentation vise à un but qui se rattache au sophisme dont je vous parlais tout-à — l’heure, et daus lequel parait se résumer toute la science économique de ceux qui ont été portés, par les "Tourbillons politiques, à l’honneur de diriger les négociations commerciales de mon pays. Par cette élévation oiseuse du droit sur la bière française, ils se sont proposés d’obtenir des facilitations de la po­ litique douanière de l’Autriche C’est comme un épouvantail qu’on a voulu dresser pour effrayer in­ directement le pays producteur de bière par excel­ lence. Si l’Autriche ne cède pas sur certains articles, comme c’est malheureusement à craindre, elle est déjà prévenue que les droits sur la bière, très-élevés pour la France, qui n’en exporte pas, le seront en­ core plus, et, à plus forte raison, pour l’Autriche, qui en exporte beaucoup. Et daus ce cas, les libres- échaugistes n’auront rien à dire : une augmentation d'impôts sur la fabrication de la bière rétablira,

l’équilibre. Il y aura égalité parfaite dans les con­ ditions ou se trouveront ces deux produits similaires: la bière autrichienne payera beaucoup à son entrée dans le territoire italien et la biere du pays payera tout autant au lise. Voilà le système de l'élévation indéfinie des droits de douane fortifié pur un coup de dés admirable, sans que la liberté des échanges i puisse ni s’en fâcher, ni s’en plaindre.

Ce n’est pas tout. S’il y a discordance entre les droits payés jusqu’ici par l’ensemble d’un produit importé et les droits payés par les diverses parties de ce môme produit, importées séparément, croyez- Vous, Monsieur, que la politique économique de I l’Italie songe à établir l’équilibre ea abaissant les droits qui frappent ces parties séparées, de sorte qu’ ils s’égalisent parfaitement daus leur ensemble avec les droits qui frappent le produit complet? Pas le moins du monde: c’est le système opposé que | l’on suivra. Il faut que les droits qui s’ appliquent au produit complet soient surélevés jusqu’à ce qu’ils égalent parfaitement les droits qui pèsent sur ses parties séparées. Dans une mauvaise et méchante brochure (L Inchiesta Industriale e i Traltati di Com-

mercio, Tipografia del Senato, 1878), parue derniè­

rement à Rome, et qui a uue certaine allure otlî- cielle, on trouve 1 aveu tout net de la pensée du gou­ vernement. Ainsi, page 38: « La règle est que nous « devrons élever les droits de douane toutes les fois « qu’il sera nécessaire de faire disparaître uue di- « scordance. » — Ce n’est pas là, à coup sur, la politique commerciale qui releva votre puissante pa- , trie de l’effroyable position où elle se trouvait sous les Whigs, quand R. Peel entra aux affaires, en 1844. Nous aussi, nous avons eu un R. Peel daus le comte de Cavour; mais si, quand il est mort, il avait déjà assuré en quelque sorte la destinée politique de l’Ita­ lie, il a disparu de ce monde malheureusement trop tôt pour les intérêts économiques du royaume, des­ quels dépendent désormais sa fortune ou sa ruine.

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14 aprile 1878 L’ ECONOMISTA 231

« des marchés fermés et des représailles douanières. « Il doit réfléchir aussi que si le producteur se « plaint de la liberté de commerce, les consomma- « teurs se plaignent à leur tour du système restric- « tif. » Un membre du Uobden Club n’aurait pas parlé avec plus d’assurance et de justesse, si l’on admet, toutefois, que les producteurs se plaignent

de la liberté de commerce et qu’ils appuient leurs espérances exagérées sur des droits elevês, ce qui, à

l’honneur de l’industrie italienne,n'est point vrai. Mais voici les faits qui justifient les paroles du député rappor­ teur. Dans ce traité de commerce qu’il étudieet qu’il ap­ prouve (li avait pris une certaine part aux négociations) on trouve uue surélévation très-importante dans les droits en général, soit à l’entrée eu Italie des pro­ duits français, soit à l'entrée en France des pro­ duits italiens, de sorte que, de chaque coté, on a reculé plus qu’on n’espérait d’avancer. Parmi les marchandises qui sont le plus taxées, il y en a plu­ sieurs pour qui l’augmentation des droits équivaut à une véritable prohibition: le Colbertisme ne se masque plus, il se montre effrontément. Parmi les marchandises, assez nombreuses, qui étaient exem­ ptes de tout droit, il y eu a qui ont été frappées aveuglement, sans modération, sans proportion, sans jugement. Il semblerait que les négociateurs de ce traité n’aient pas su se rendre compte des conséquen­ ces qui devait amener cette nouvelle assiette doua­ nière, même au point de vue protectioniste, puisque bien des fois ils ont établi, sans s en apercevoir, un protectionisme à rebours qui, entièrement contraire aux intérêts du privilège, n’est nullement favorable à ceux de la liberté. A la démonstration à Paris, je me proposerais de dénoncer tous les pièges qui, par le renouvellement des traités de commerce, ont été tendus au libre-échange par ceu x -là mêmes qui s’en proclament toujours très — hautement ou trés- hautainement les plus zélés défenseurs.

Vous savez, Monsieur, que lorsque s’est constitué à Florence le « Club Adam Smith » il fut par­ faitement accueilli de tout le monde, car tout le monde savait qu’au tond l’Italie a est pas proie— ctioniste, et qu’il suffisait combattre sérieusement les velléités protectiomstes du gouvernement pour consolider les principes du libre-échange sur les­ quels le Cte de Cavour fonda toute l’œuvre de de la régénération politique de la Péninsule. Le « Club Adam Smith » a débuté en mettant préci­ sément en discussion publique les moyens et le critérium sur lesquels le gouvernement d alors s ap­ puyait pour les renouvellements des traités de com­ merce. À ces discussions, commencées avec le meil­ leur esprit de franchise, de conciliation et de pa­ triotisme, on a invité ces personnes qui ne cessaient jamais d étaler un luxe éblouissant de métaphores et de sophismes dans tous les meetings, dans toutes tes réunions électorales, dans tous leurs discours qu’ils prononçaient eu faveur du germanisme écono­

mique, qu’on cherchait à transplanter et à acclimater

en Italie. Aucun ne s’est présenté une seule lois aux séances de Florence, bien que le Comité diri­ geant (composé de cinq ex-ministres, MM. Ferrara, Peruzzi, Corsi, Bastogi et Magliaui) garautit le respect le plus absolu à la manifestation de toute opinion et à la personne de tout orateur. Ils ont préleré ga­ spiller leur meilleure éloquence dans les carrefours de toutes les villes d’Italie pour y balouer le nom d’Adam Smith et s’y rire de ses disciples qui avaient

l’ingénuité de le prendre au sérieux. Il y eut un moment où ce pauvre Smith devint tout—à-coup populaire chez les boutiquiers et chez les portiers ; les petits journaux l’appelèrent tripon lorsqu’ils ne pouvaient le traiter de visionnaire, lels sont les exploits scientifiques, telles sont les gloires de cette cohue de socialistes de la chaire qui a si honteuse­ ment singé en Italie la nouvelle école des socialistes professoraux d’Allemagne.

Malgré ces lâches attaques, le «Club Adam Smith» a continué ses travaux. L’enquête industrielle à la main, il soutint qu’en général les producteurs ita­ liens, les agriculteurs, les commerçants même, n é- taient aucunement épouvantés de la liberté, qu’ils dé­ siraient, au contraire, voir s’établir et se consolider dans le pays les industries naturelles, et qu’ils sa­ vaient que, sur ce terrain, la concurrence étrangère ne pouvait nullement nuire ail développement de l’activité nationale. — Il y a certaines vérités que la science ne peut démontrer qu’en passant par une longue suite de raisonnements difficiles et de dédu- tions rigoureuses, et que la majorité des hommes saisit cependant, soit par les résultats de l’expérience, soit par l’observation personnelle de beaucoup de faits qui ne passent pas inaperçus comme on pour­ rait le croire. Une de ces vérités fut heureusement comprise par tout le monde en Italie; c’est que dans le régime libre—échangiste git le développement pacifique de la richesse publique. L’enquête indu­ strielle le montre clairement. Toutes les lois que les fabricants ont soutenu qu’il est nécessaire d’établir ou d’augmenter les droits protecteurs, ils y ont été amenés adroitement par les commissaires qui les interrogeaient. En feuilletant les 4000 pages dont se composent les comptes-rendus de l’enquête, ou y rencontré très-souvent des demandes comme celles- ci: « Votre conclusion est, ce me semble, que les « filés ordinaires et lourds sont assez protégés p a r « les tarifs douaniers, en vigueur, mais que les « qualités fines ne le sont pas également. Quelles « mesures demanderiez-vous nu gouvernement pour « rendre possible en Italie l’industrie des tissus « fins? » — «L’industrie que vous exercez est donc « très-difficile dans les conditions générales dont « vous parliez to u t-à-l’heure. Votre indus'rie n’est « pas naturelle au pags. Et bien.1 quelles seraient « les mesures lêgis olives qui pourraient, suivant « vous,en faciliter la réussite? » Ou comprend que quand les producteurs sont interrogés de la sorte par les négociateurs de traités de commerce, il faudrait qu’ils ’lussent des héros ou des savants pour de­ mander autre chose qu’te» peu de protectionisme. Mais dès qu’on sort de ces cas particuliers et excep­ tionnels, les fabricants de la Péuinsule se sont fait honneur dans leurs réponses, et ont prouvé une fois de plus le bon sens proverbial des populations ita­ liennes.

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puis-sance ne réussit pas toujours à faire briller sous le j prisme du proteetionisme les bienfaits apparents du privilège, bien que l’on reneontre dans 1’ histoire de nombreuses pages qui témoignent du contraire. Qui, parmi nous, iibres-échaiigisies, ne se les rappel­ lent avec une grande amertume if Lorsque, il y a 40 ans, le Sénat des Etats-Unis adopta, à une seule voix de majorité, le tarif qui dégrèvait la plupart des objets ue première nécessité, M. Dallos, qui était coupable d'avoir donné cette voix, fut honni par je peuple, on le brilla eu elligie, et ou ne lui épargna ■ni les injures, ni les calomnies. Lorsqu’en 1840, le roi Léopold se rendit à Paris pour hâter l’union commerciale de la Belgique et de la France, ce fut le Comité pour la défense du travail national qui empeelia cet heureux événement ; et ce comité était sorti du peuple. Lorsque Cobden et Chevalier con­ çurent le projet du traité anglo-français, ¡Napoléon III dut employer le plus grand secret, une ferme vo­ lonté et tout sou despotisme pour éviter la pression qu'auraient exercée sur sou gouvernement les ma- mlestations puuhques. Déjà en 1846, Blanqui di­ sait que: «depuis trente ans les gouvernements qui se «' sont succédé en France ont été plus libéraux sur « ces minières que la représentation nationale. » Maintenant, eu liane, c’est justement le contraire qui se présente : le gouvernement est protectioiiiste, le pays est liberal. Aussi voyez comme les journaux de toutes les couleuis blâment les articles du traité de commerce conclu avec la France; voyez comme les députés le condamnent, comme les orateurs et les écnvuiiis le glosent, et comme le gouvernement a été réduit à cet expédient de le présenter à la discussion des législateurs la veille meme du jour où il doit être voté, aiin que les exigences politi­ ques triomphent du besoin qu’aurait chaque mem­ bre de la uiambre de l’examiner et de ¡’étudier avec soin et avec calme.

Le « Llub Adam Smith » avait bien montré la fausse route suivie par le dernier gouvernement de la Droite. Ses paroles trouvèrent un écho à Monte- citono et contribuèrent plus que le reste à l’avé- neuiciit de la Gauche au pouvoir. Malheureusement, parmi les députés qui ont pris part aux séances du « Club Adam Simili » plusieurs ne l’ont pas fait pour servir la cituse de la libellé des échanges qui se trouvait eu grand danger; ils ont envisagé, ces séances comme un moyeu purement politique de renverser du pouvoir un parti et de lui eu sub­ stituer un autre, qui ne valut pas mieux que l’an­ cien. C’est ce qui lait que les deux ministères De- pretis ont achevé l’œuvre hberticide que leur devoir était de détruire; et à présent que l’Italie sort à piftue d’une longue crise ministerielle, il est trop tard pour remeuier à ce méfait economique. M. Ma- gliain, malgré ses excellentes intentions, u eut, comme ministre des tiuaiiees, ni le temps ni les moyens de se rendre utile au principe de liberté dont il a tou­ jours été un üué.e apôtre; et M. Frédéric Seismit- Duda qui, à son tour, est actuellement ministre des liuauces, après avoir porté pendant de longues an- nés l’étendard de la liberté economique à la Cham­ bre, ue pourra non plus rien faire. 11 n’est pas re­ sponsable de ce qui a été si mal lait avant lui.

iVl. àeisunt-Üoda, dans la discussion générale des budgets de 1876, a eu l’occasion de se prononcer iietieme.it en faveur du libre-échange; il a meme dépassé les limites que s'était imposées M. Cobden

lui-môme pendant la lutte formidable qu’il engagea contre les protectionistes. M. Cobden croyait à l’ef­ ficacité des traités. M. Seisrnit-Doda la nie: « Pas de traités » a-t-il dit, et il s’appuyait sur l’exemple de l’Angleterre que, ajoutait-il : « nous citons à cha- « que moment en matières d’économie, de finances « et de libre-échange ». M. Doda est en cela d’ac­ cord avec l’école la plus serrée d’économie politi­ que qui a la chance heureuse d’ètre représentée en Italie par l’illustre professeur François Ferrara.

Malgré les «c Lettres d'un disciple de Richard

Cobden » publiées par le Cobden Club en 1870,

iVl. Ferrara, mon maître vénéré, a soutenu avec éclat la thèse favorite de M. Seismit-Doda, thèse que j’aimerais tant à voir discuter à Paris, si la réunion des libres-échangistes projetée par le Co­ mité du Cobden Club y aura heu. Il y aurait une foule de questions à poser qui formeraient le sujet d’autant de chapitres d’un livre que la science éco­ nomique ne possède pas encore. Par exemple:

Les traités de commerce sont-ils la cause ou l’ef­ fet de l’application du principe de liberté aux échan­ ges internationaux?

Si ou les prend pour ce qu’ils ne sont pas, c’est à-dire pour la cause de la réforme douanière de l’Europe, et si l’on veut s’en servir comme cause du développement progressif du libre-échange, n’en retirerait-on pas t.u libre-échange de plus en plus équivoque, douteux et chancelant?

Le système de la réciprocité, qui doit être la base de tout traité de commerce, ue dégénère-t-il pas, par la nature même des choses, eu celui des repré­ sailles?

Et s’il ne dégénère pas ainsi, peut-il signifier au­ tre chose qu’une vente à l’enchère de concessions réciproques?

Faut-il qu’ une nation pour faciliter les échan­ ges des autres nations, n’y soit contrainte que par le devoir de la réciprocité et par l’obéissance à un traité?

N’est-il pas de son propre intérêt, indépendam­ ment de toute convention, de faciliter les échanges des autres peuple^ pour développer les siens?

Est-ce que les concessions qu’un Etat fait à un autre Etat ne sont pas toujours des concessions qu’il se lait à lui-mème?

Quand un Etat n’accepte pas le principe de la réciprocité, doit-on adopter le principe des représail­ les?

Dans cette hypothèse, ne se causerait-il pas à lui-môme et par lui-même un nouveau dommage, par ce seul fait qu’on lui en aurait causé un au­ tre ?

En renonçant, à la réciprocité, n’a-t-on pas néces­ sairement renoncé eu même temps aux représailles? Et si l’on renonce à l’uue et aux autres, n’a-t-on pas renoncé aux traités?

Far suite, ne doit-on pas préférer à tout traité une législation libérale qui donne sans s’occuper si elle reçoit en échange?

Dés lors, les traites ne seraient-ils pas ramenés à leur but rationnel, qui est de corriger les erreurs qui peuvent se glisser dans la formation du tarif autonome jusqu’à sou renouvellement?

iN’est-ce pas ainsi que furent conçus et mis en pratique par l’Angleterre les traités de commerce?

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L’ ECONOMISTA 235 14? aprile 1878

est-il également vrai que cette garantie soit d’une importance capitale pour le commerce?

Lorsqu’un traité a établi un tarif défectueux (ce qui arrive le plus souvent), n’est-ce pas le com­ merce lui-même qui est le plus intéressé à le voir ou corrigé ou modifié?

Est-il bien que, pendant un certain nombre d’an­ nées, toutes les remontrances, toutes les plaintes, tous les griefs qu’un traité mal conçu a pu soulever doivent etre forcément lettre morte pour les intérêts j légitimes qui se trouvent lésé;?

Est-il fort utile que les engagements résultant d’un traité empêchent pendant longtemps de remé­ dier aux erreurs que l'on serait disposé à réparer, si l’on était libre de le faire?

La durabilité garantie par les traités de com- , merce constitue-t-ede par elle-même une chose si précieuse que l'on puisse l’appliquer tout aussi bien aux stipulations justes et utiles qu’à celles qui sont injustes, nuisibles ou dangereuses?

Les traités de commerce, par leur nature, ne servent-ils pas à garantir la stabilité du privilège au protit des producteurs plutôt qu’à assurer le dé­ veloppement de la liberté au prolit des consomma­

teurs (

Lorsque les conditions commerciales des marchés changent relativement à un ou à plusieurs produits pendant la durée d'un traité, n’eu resulte-t-il pas que les rapports, d après lesquels le tarif conventionnel avait établi les droits de douane, auront complète­ ment changé, et que les droits pourront par consé­ quent produire un ellet contraire à celui que l’on s était propose ?

Les conditions particulières des marchés, les coûts de production, la quantité de numéraire eu circu­ lation, le nombre et l’importance des débouchés, l’état des industries etc* ne sont-ils pas des éléments qui varient continuellement, et que les traites con­ sidèrent comme invariables dans le calcul des tards conventionnels?

Ou pourrait multiplier ces questions qui doivent se présenter naturellement à l’esprit de quiconque suit avec attention les vicissitudes du libre-écha.,ge appuyé sur le faux système des traités. Pour nia part, je vois que ce système a fait rétrograder 1 Italie, et qu elle est aujourd’nui en-deça de son point de départ dans la voie'de la liberté économique; il la ramenée a la questiou de savoir si le protectionisme modéré ne serait peut-etre pas un progrès sur la liberté de commerce ; il l’a ramenée à combattre la science par l'empirisme et à exalter l’empirisme au nom de la science; il l’a ramenée à prendre des pygmées bavards pour de grands économistes; il 1 a presque ramenée au colbertisme et au uiéihuéuisme.

A quoi bon, Monsieur, les expositions des pro­ duits industriels de toutes les nations, si celles-ci acceptent toutes, p.us ou moins ouvertement, l'état d'bustiliié dont le système protecteur, appuyé peu ou prou sur les traités-de commerce, est a la lois la cause et l ’effet ? Qu'au moins nous, libres-échaugi- stes, amis de la paix et de la prospérité des peu­ ples, nous en pointions pour y proclamer hautement les principes de notre Lcole qui, tôt ou tard, doi­ vent sauver l'humanité et la civilisation.

Je clos cette lettre en exprimant un voeu. Que la Société d Economie Politique c‘e Paris accepte dans son sein ceux des membres du Lobdeu C.iib qu, sont les apôtres les plus actifs et les p us lie-vies d ?

libre-échange. En Italie, il y en a peu à choisir, car les défections y sont éhontées et relativement très-nombreuses.

Veuillez agréer, Monsieur, l’assurance de ma con­ sidération la plus distinguée.

Tullio Mastello

Professeur à l ’Ecole supérieure de Commère« de V enise.

Post-Scriptum

Au moment où je termine cette lettre, j’apprends que la traité de commerce avec la France vient d’ètre approuvé à la Chambré. Cela ne renverse eu pieu l’opinion què j’ai émise plus haut en affirmant que la majorité de la représentation nationale est libre—échangiste. Il suflit eu effet de réfléchir qu’eu ce moment, et dans les conditions où se trouve la Chambre, elle doit absolument soutenir le ministère actuel, même en sacriliaut ses propres opinions éco­ nomiques.

M. iseismit-Doda fit un très-bon accueil au traité et l’accepta comme s’il eût été sou oeuvre à lui. On ne comprend pas cette conduite; car M. le ministre des finances était en position de pouvoir présenter le traité eu s’en déclarant non responsa­ ble, et s’en remettre, comme pouvoir exécutif, à la décision de la Chambre. Pourquoi M. beismit-Lioda, qui a toujours soutenu, avec toute l’apparence de la plus profonde convincimi! scientifique, la liberté de ! commerce, transige—t-il sur ce point essentiel iuo- I paiement et sans même y ótre torce par les exi— ! gences de son parti, ou p ir aucune nécessité poli­

tique vraisemblable ? C’est ce que ses amis les plus | dévoués et ceux qui ont toujours admiré la fermeté | de son langage, ne s’expliquent pas.

Jamais plus qu’aujourd bui, la définition que le

j

docteur Jotmsou donnait des partis parlameutaires n’a été plus juste. Qu’est-ce qu’un Whig? « A i Tory out of place »üisait—il, et M. Minglieiti prouve

| que cette deuuitioii est toujours exacte dans tous les pays placés sous le rég.uie parlementaire. M. Min- - ghetti, membre du Cubdeii Club, confia, lorsqu'il était ministre des finances, à M. Luzzatti qui est uu des nombreux chefs des socialistes de la chaire et des protectiomstes italiens, les négociations du traité. Aujourd’hui M. Minglietti non, seulement combat ce meme traité, mais épuise, ses argumentations en fa­ veur de la doctrine du libre-échange, et înllige une leçon amère, uu reproche sanglant a M. Luzzatti | lui-inème, qui eut l'astuce tres-naïve de combattre Adam Smith, au nom d’Adam Smith, reproduisant le personnage historique de Kirkaldy à son image et similitude, et promenant ce pantin aux séances ue la Chambre, aux banquets électoraux, et jusqu'à l’Académie des Lincei. Voici les paroles textuelles de M. Minglietti, qui est, après tout, uu des hommes les plus savants, et un des savants les plus distin­ gués de l'Italie:

« Ma, si dimanderà, questo trattato segna un « nuovo passo nella via del libero scambio? Ki- « spondo francamente di no. No, checehè altri vo­

ti glia vantarsi; ma bisogna anzitutto essere sinceri;

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« si restera fedeli eternamente a quel principio, e « poi in pratica venir meno a lutte le promesse ».

A ces paroles, M. Luzzaiti n'en croyait pas ses oreilles, et on l’a vu tressaillir sur son fauteuil de député A la bonne heure ! mon amour pour la li­ berté ne m’a pas trompé en vous écrivant cette lettre.

Il Risparmio in Italia

Vu no 1 8 7 7

Le ricerche sopra le Casse di Risparmio in Italia, inaugurate dal compianto Maestri fino dall'anno 1803, sono state continuate dall’ufficio centrale di Statistica a tutto l’anno 1875. Da queste pubblicazioni e dal bol­ lettino del risparmio, che regolarmente si pubblica dal 1° gennajo 1866, possiamo raccogliere una buona serie di notizie sulle casse di Risparmio italiane fino a tutto l’anno 1877, e per gl’ultimi due anni si co­ nosce pure l’ammontare dei depositi fatti presso le Casse di Risparmio postali e presso le Ranche po­ polari ed altri istituti di credito.

Vediamo primo ili tutto il numero dei libretti e l’ammontare del credito dei depositanti presso le Casse di Risparmio ordinarie alla fine di ciascuno degli anni 1863 al 1877 :

Anni Libretti Valore

Numero Lire 1863 384,612 188,410,587 1864 404,830 200,033,090 1865 43o,830 2x4,042,827 1866 427,8 0 224,712,852 1867 436,022 237,686,001 1868 475,452* 276,545,603 1869 512,853 207,092,025 1870 571,217 348,121,009 1871 616,189 307,544,652 1872 676,237 ' 446,513,350 1873 680,116 450,077,323 1874 705,180 467,119,807 1875 769,257 527,201,383 1876 833,760 552,754,482 1877 880,022 574,0->9,818

queste cifre si scorge come nel corso di 45 anni il credilo dei depositanti alle casse di rispar­ mio ordinarie è più che triplicato; nel solo settennio 1871-77 abbiamo un aumento di quasi 20U m i­ lioni di lire.

Per aver poi un’ idea della importanza che hanno alcune delle nostre casse di Risparmio non sarà inopportuno vedere l’ammontare del eredito dei de­ positanti alia fine degli anni 1877 e 1876 presso le principali di queste istituzioni;

Casse Credito dei depos.tanti

Milano... L. 245,142,6611877 L. 1876 246,862,201 Firenze... » 51,210,240 » 48,bu7,u70 Roma... » 3¿,77tí,bU3 » 30,004,600 T onno... » 10,052,305 » 16,305,720 Bologna... » 15,840,611 » 15,115,877 Genova... » 14,15^,783 » 15,159,110 » 13,810,432 Verona... a 12,405,802 Lucca... » 0,203,482 » 7,353,410 » 0,091,870 7,301,011 Venezia... »

-Reggio Emilia » 6,016,858 » 6,2uu,ò08

Pis toja... » 0,557,126 » 6,216,338

Piacenza. . . . » 7,224,478 » 6,304,012

Livorno... » 5,/7i;,2ü4 » 5,741,(40

5,108,155

Modena... » 5,515,276 »

La sola cassa di Risparmio di Milano concorre per oltre due quinti dell’ ammontare complessivo del credito dei depositanti di tutte le casse del Regno.

Esaminando

le

cifre che abbiamo sopra esposte vediamo che nel 1877 i maggiori aumenti nel cre­ dito dei depositanti si verificarono nelle Casse di Risparmio di Verona (2 milioni e 750 mila lire), di Roma (2 milioni e 700 mila lire) e Firenze (2 milioni

e

600 mila lire). Le sole

Casse

che pre­ sentano una diminuzione nei depositi furono quelle di Milano (un milione e 700 mila lire), Lucca (200 mila lire) e Reggio dell’Emilia (200 mila lire).

Le somme depositate presso le Casse di risparmio ordinarie erano principalmente impiegate nel modo seguente alla fine degli ultimi due anni :

Mutui ipotecari . L. 1877 131,265,773 !.. 1876 122,646,556 Mutui chirografari a corpi morali. » 93,237,477 85,348,956 » 73,003,848

Buoni del Tesoro. » » 72,958,159

Cambiali e biglietti aU'ordine... » 77,058,825 » 71,414,725 Depositi in conto corrente... » 53,001,743 » 52,470,790 Azioni ed obbliga­ zioni di Società. » 48,143,828 0 16,052,560 Titoli di debito pubblico... » 39,939,061 » 46,315,192 O b b l i g a z i o n i di Provincie, Co­ muni ed altri cor­

pi morali. . . » 37,743,859 » 50,398,098 An.icipazioni sopra fondi pubblici.. » 26,486,129 » 5^,368,840 Mutui chirografari a privati... » 10,811,492 » 9,315,938 Anticipazioni sopra oggetti preziosi e m e rc i... » 6,176,661 » 8,443,739 2,699,270 Cartelle tondiarie. a 2,337,213 »

Le maggiori differenze nel 4877 circa 1’ impiego dei capitali raccolti dalle Casse di Risparmio si hanno nell’acquisto di azioni ed obbligaz.oui di So­ cietà commerciali, ed industriali, uve si riscontra un aumento di 32 milioni di lire, e nei mutui cliiro- grafari ai comuni, province ed altri corpi morali, nei quali abbiamo un aumento di oltre 20 milioni di lue.

Come abbiamo accennato il bollettino contiene inoltre il movimento dei depositi a risparmio che si effettuano presso le Rauche popolari ed altri Isti­ tuti dì credito, e le operazioni eseguite alle Casse di Risparmio postali. Dai dati ivi esposti possiamo benissimo rilevare la entità dei capitali raccolti in Italia dalle diverse istituzioni sotto la torma del risparmio.

Ecco le cifre complessive del numero dei libretti e del valore dei depositi ai 31 dicembre 1877.

Libretti Depositi

Casse di risparmio

or-dina ie . . . . N. 880,022 L. 574,049,818

Banche popolari ed

al-tri Istituti di credito » 120,637 » 119,549,644 Casse di Risparmio po­

(11)

elfet-14 aprile 1878 L’ ECONOMISTA 235

tuati alle Banche popolari ascendeva a L. 18,813,974, i e così in complesso si aveva a quell’ epoca 46 >,339,015 lire di depositi. Confrontando questa cifra con 1’ am­ montare dei risparmi alla line del 1877, abbiamo nel corso degli ultimi cinque anni un aumento di oltre ] 234 milioni di lire nel credito dei depositanti.

Questi resultati sono lusinghieri e dimostrano che le abitudini del risparmio cominciano a svilupparsi anche nel nostro paese.

Papa Leone XIII economista [)

Nel leggere la lettera pastorale indirizzata per la quaresima del 1877 al clero e al popolo di Perugia dal cardinale Gioacchino Pecci, ora divenuto Leone XIII, abbiamo provato una meraviglia, che più gradevole ci occorse raramente di provare; imperocché non eravamo abituati da lunghi anni a udire gli uomini dell’alto clero pronunciare le lodi della civiltà mo­ derna, nella quale i più di loro pensano che Satana abbia messo non poco l’ opera sua. Non è chi non ricordi la celebre ordinanza dell’arcivescovo di Be­ sançon; in cui si diceva che le ferrovie erano state inventale per punire gli albergatori che aveano dato a mangiar carne il venerdì. La lettera pastorale del cardinale Pecci è d’ altro tenore. La Chiesa cattolica è nemica al progresso delia industria, delle arti e delle scienzet Vi è una imconipatibibtà naturale e senza rimedio fra lei e la civiltà, come affermano i suoi avversarli? Sono cotesti ì quesiti posti e svolti nella Ietterai

E ad esse il prelato non si perita punto di ri­ spondere: iNo! La Chiesa catto.ica non è nemica di alcun progresso; non è incompatibile con la civiltà considerata anche dai lato semplicemente materiale; egli la di più: si prende la cura ili spiegare alle sue pecorelle in che consiste la civiltà, quali sono i suoi vantaggi e quali i suoi ineriti. E tali spiegazioni fa non da teologo, ma da economista, e cita ì suai autori. « Un ceietire economismi francese (Federigo Ba­ stia!) ha raccolto come in un quadro i molteplici benetioii che l’uomo trova neda società, ed è cosa cotesta veramente mirabile. Considerate I ultimo degli uomini, il più oscuro degli artigiani; egli ha sempre quanto occorre a vestirlo bene o male, quanto ci vuole a calzarlo. Guardale quante persone, quanti popoli hanno dovuto darsi attorno per provvedere ciascuno dì abiti, di scarpe, ecc. «

« Ugni uomo può ogni giorno mettere in bocca un pezzo di pane; osservate anche costi quale fatica, quante braccia sono occorse per giungere a tale el­ leno, dall’ agricoltore che rompe penosamente il suo solco per coiitidargli la semente, sino al fornaio che riduce la farina in pane ! Ogni uomo ha i suoi di­ ritti; egli trova nella società avvocati che li difen­ dono, magistrati che li consacrano nei giudizi, sol­ dati che li fanno rispettare. E ignorante? Egli trova scuole, uomini che compongono libri per lui, altri che li stampano ed altri che li divulgano. »

« Per la sodisfazine de’ suoi sentimenti religiosi;

*) Per mancanza di spazio abbiamo dovuto ritar­ dare fino ad oggi la pubblicazione di questo inte­ ressantissimo articolo scritto dal sig. de Molinari pel

Journal des D elats.

delle sue aspirazioni a Dio, s’ avviene in alcuni suoi fratelli che, lasciata ogni altra occupazione, si dedi­ cano allo studio delle scienze sacre, rinunciano ai piaceri, agli affari, alla loro lamiglia per corrispon­ dere meglio a quei supremi bisogni. Ma cotesto è abbastanza per mostrarci chiaramente che è indi­ spensabile il vivere in società, perchè ai nostri bi­ sogni tanto imperiosi quanto svariati si possa dare soddisfacimento. »

Un economista di professione non riassumerebbe più chiaramente i vantaggi dell’ associazione e della divisione dei lavoro. Ecco intanto la spiegazione del progresso e la definizione della civiltà:

« Essendo la società composta d’ uomini essenzial­ mente perfettibili, non può starsi immobile; essa pro­ gredisce e si perfeziona. Un secolo eredita invenzioni, scoperte fatte e miglioramenti conseguiti dai prece­ denti, e cosi lo insieme dei benelizii fisici, morali, politici può crescere meravigliosamente. Ehi potrebbe paragonare le misere capanne dei popoli primitivi, i grossolani utensili, gl’ istituenti imperfetti a tutto quello che possediamo in questo diecmovesimo se- ! colo? Non vi ha confronto fra il lavoro eseguito ! dalle nostre macchine, tanto ingegnosamente costruite, e quello che usciva dalle mani dell uomo con tanto stento. »

« Nessuno dubita che le antiche strade malamente tracciate, i ponti poco sicuri, i viaggi lunghi e uo- I iosi d’ altro tempo, non valgono meno delle ferrovie, che appiccano, per modo di dire, le ali alle nostre spalle, e hanno reso più piccolo il nostro pianeta, tanto i popoli gli uni agli altri sono ravvicinati. In grazia della gentilezza nelle pubbliche costumanze e della convenienza delle consuetudini, non è questo nostro tempo superiore al procedere brutale e rozzo dei Barbari, e le relazioni reciproche non sono forse migliorate? Per certi rispetti, non è il sistema poli­ tico diventato migliore per cagione della influenza I del tempo e della esperienza ? Non sono più tolle­

rate le private vendette, la prova del fuoco, la pena I del taglione ecc. 1 tiranuelh feudali, i municipj at­

taccabrighe, le bande erranti di soldati indisciplinati | non sono sparite ?

« E verità dunque incontrastabile che l’uomo nella società procede verso la perfezione sotto il triplice aspetto del benessere fìsico, delle relazioni morali co’ suoi simili e delle condizioni politiche. Ora i differenti gradi di cotesto sviluppo successivo, a cui pervengono gli uomini riuniti in società, (ormano la civiltà — la quale è nascente ed elementare quando le condizioni nelle quali 1’ uomo si perfeziona sotto ! quel triplice aspetto, sono poco sviluppate ; è grande ; quando quelle eondiz.oni hanno acquistato uno svi­ luppo maggiore, e sarebbe completa quando lo svi­ luppo stesso avesse raggiunto la perfetta sua pie­ nezza. »

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