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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.05 (1878) n.207, 21 aprile

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GAZZETTA. SET TI MAN AL E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno V - Voi, IX

D om enica 21 ap rile 1378

^

LA CRISI PRESENTE

E ü I S U O I R I M E D I

(■Continuazione e fin e, vedi num. 206)

Se il ribasso nella ragione dello sconto avrebbe giovato alla Banca, esso non sarebbe stato meno utile al commercio in generale. La ragione dello sconto esercita sul medesimo un’ influenza ben di­ versa secondo che la crisi è acuta o cronica. Nella prima specie di crisi essa può rialzare in grandi proporzioni senza che il commercio abbia guari a risentirsene. È per un periodo di breve durata che la cosa ha luogo, e per quanto il peso sia grave, esso non può schiacciare nessuna impresa seria. Che lo sconto salga anche dal o al IO per cento, sarà una differenza di ben cinque punti. Ebbene la me­ dia del termine che rimane a correre quando le cambiali sono scontate dai nostri istituti di credito è di appena cinquanta giorni. Mettiamo anche tre mesi; sarà poco più dell’i per cento, che si dovrà pagare in sovrappiù alle banche, e cosi sopra 10,000 lire, saranno 175 lire perdute. Intanto in tre mesi, in sei mesi al più, la crisi è trascorsa, e lo sconto ritorna al limite ordinario. È adunque un danno appena sensibile pel commercio, che il rialzo, anche elevato, dello, sconto produce in questa specie di crisi.

Ben diversa è la cosa in quelle croniche. La du­ rata loro è lunga, e il peso di uno sconto troppo alto diventa assai duro. Esso lo è tanto più, perchè in questi tempi gli affari sono scarsi, i prezzi bassi, i guadagni limitatissimi. L’obbligo di pagare uno sconto elevato distrugge ben facilmente ogni pro­ fitto. Tale difficoltà unita alla prudenza, perfino ec­ cessiva, ehe assale il commercio in simili contin­ genze, fa sì che esso si restringa a confini assai più brevi di quelli a cui si ridurrebbe; molti affari si lasciano intentati, perchè offrono poco o punto guadagno, e la crisi si aggrava a cagione del prov­ vedimento irragionevole a cui la Banca si è appi­ gliata.

Si dirà forse che la Banca Nazionale ha dovuto apprendervisi per effetto del corso forzato, durante il quale, trovandosi in condizioni eccezionali, non le è più consentito di ricorrere a quei mezzi che spie­ gano la loro azione sotto l’impero della legge co­ mune, e le è imposto un riserbo più grande.

Pur troppo il corso forzato dà luogo anche a questo proposito, a conseguenze funeste. E un ve­ leno sottile, che in ogni organo della vita econo­ mica fa sentire la sua azione deleteria. Col corso

forzato manca 1’ oscillazione regolare della riserva metallica, che è indizio di tanta rilevanza della con- . dizione del mercato, quando il corso è libero; e senza dubbio altresì l’indicazione fornita dal corso dei cambi, che già nelle crisi croniche è di poco rilievo, lo diventa anche meno quando vi si aggiun­ gono le oscillazioni dovute al movimento artificiale della carta circolante. Però è forse una ragione que­ sta perchè il nocchiero debba abbandonare il timone e lasciar la nave in balìa dei flutti l No certo. La Banca Nazionale medesima lo sentì nel 1870, quando per alcuni giorni ebbe ad innalzare lo sconto al 6 per cento. I suoi direttori consentirono tale, aumento, sebbene il profitto dovesse andare a vantaggio delle finanze dello Stato, perchè fosse ben palese (così | essi ebbero a dire agli azionisti) che se credevano conveniente di adottare quella misura anche durante il corso forzato, non erano mossi da desiderio di maggior lucro, ma bensì dal principio di equilibrare j i mezzi disponibili della Banca colle domande d’im- pieoo, elevando il prezzo delle sue sovvenzioni. Se­ condo il loro modo di vedere, è pur sempre questo l’unico mez.o che sia in potere della Banca per I giungere a quell’intento, presentandosene il bisogno anche quando si trova sotto il regime della circo­ lazione del biglietto a corso obbligatorio. ■» (Relazione all’ assembtea generale degli azionisti, 28 feb­ braio 1871;. — Ed è vero. Ma allora perchè non | abbassare la ragione dello sconto, quando le circo­

stanze erano pienamente mutate, ed il commercio allentava le sue domande di capitali?

Sarebbe altresì errore il credere che il mante­ nere anche eccessivamente elevata la ragione dello I sconto non possa produrre effetti nocivi, perchè giovi ad invitare i capitali stranieri ad accorrere sul no­ stro mercato, come succede nel caso di crisi acute. Prima di tutto non basta una leggera differenza nello sconto ira piazza e piazza per determinare 1 affluenza del capitale dall’estero. Anche in tempi ordinar; i capitali diffidano più o meno degl’impieghi in lon­ tani paesi, e non si lasciano adescare da un aumento di profitto di poco conto; e a maggior ragione ciò succede in quelli di crisi, in cui il capitale diventa assai più sospettoso ancora. Nella crisi del 1806 a Londra, fu visto lo sconto della Banca d’Inghilterra portato al 10 per 100, mentre quello della Banca | di Francia rimaneva al 3 e mezzo per 100. Era ! una differenza di ben 6 punti e mezzo ; eppure non bastava a decidere il capitale francese a traversare lo stretto, e la Banca di Francia non vide sorgere alle sue casse numerose domande di danaro per ob­ bedire alla chiamata.

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per-che il danaro è caro, e la Banca non può conce- j derlo a troppo miti condizioni senza vederselo sva­ nire in brevi istanti tra le mani. Ma nei tempi di atonia non è così. Il capitale è poco cercato, e lo straniero non potrebbe entrar nello Stato se non fa­ cendo concorrenza al nazionale, offrendosi cioè a con­ dizioni migliori. Ora se già in tempi prosperi non basta una differenza di pochi punti nello sconto per

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produrre su larga scala questo spostamento, come il potrebbe in un periodo di marasma, in cui la diffidenza dei capitali stranieri è ben maggiore?

Si potrebbe osservare altresì che la Banca Na­ zionale non è il solo istituto di sconto del paese, e che anzi una piccola parte soltanto di questi si effettua presso di essa, al 31 dicembre 1877, ad esempio, il portafogli -dei nostri istituti di credito offriva lo stato seguente :

Banca Nazionale in Italia. . L. 192,562,000 A ltre Banche d’emissione . . » 159,542,000 Banche popolari: . . . » 106,865,000 Società di credito ordinario. » 167,885,000 Credito a g r a r io ... » 18,21.8,000 Casse di risparmio . . . » 77,058,000 L. 772,130,000 È adunque poco più del quarto la parte che spetta su tale somma al nostro maggior istituto, e per con­ seguenza parrebbe che gli altri potrebbero diminuire essi stessi la ragione dello sconto, e costringere alla concorrenza la Banca ad abbassarlo aneli’essa. In­ vece le Banche principali del paese quali sono quelle di emissione, mantengono tutte lo sconto alla ra ­ gione elevata del 5 per ■ cento ; segno che tal misura non è eccessiva.

Certo è che alcuni almeno tra questi istituti po­ trebbero farlo ; con tutto ciò però tale osservazione non ò pienamente conforme al vero. La Banca Na­ zionale tiene un posto eccezionale nell’ ordinamento bancario deilo Stato, il quale, se non è ancora quello che potrebbe essere, non lascia di essere molto con­ siderevole. Buona parte degli altri istituti di credito si appoggiano ad essa, e sono costretti a seguirne gli andamenti. Una prova ne è somministrata dal risconto, che molti di loro operano alle sue casse. Le Banche popolari specialmente, e gli istituti di analoga natura si valgono largamente di questo mezzo per estendere le loro operazioni. Gran numero delle cambiali di piccolo taglio scontate dalla Banca Na­ zionale provengono da questa sorgente. Ebbene queste vanno considerevolmente aumentando ogni anno, e, ciò che rende il fatto anche più degno di nota, ciò succede mentre in complesso gli sconti della Banca scemarono di molto. Le cambiali di lire 1000 o meno, scontate da questa Banca dal 1870 in poi seguirono il cammino seguente:

Numero Ammontare

1870... 166,307 L. 88.882,000 1872... 202.310 » 108,133,000 1874... 257,022 » 137,165,000 1876... 310,137 ». 162,817,000

Ora queste operazioni riuscirebbero impossibili alle Banche minori, quando esse abbassassero lo sconto al di sotto di quello della Banca principale, poiché invece di realizzare un guadagno, farebbero una perdita netta.

Ciò serve a rispondere altresì ad un’ altra obie­ zione, che cioè ove la Banca ribassasse lo sconto, aumenterebbero le domande di capitali, in guis»,

che essa si troverebbe nell’impossibilità di tutte sod­ disfarle. Il ribasso del prezzo del danaro produrrebbe sicuramente un aumento negli sconti della Banca; però esso non succederebbe nelle proporzioni che a. prima giunta potrebbe sembrare. Le Banche minori continuerebbero ad operarne la maggior parte, ma sarebbero in grado di abbassare anch’ esse quella ragione dello sconto, che oggi sono quasi costrette a "tenere elevata, e il guadagno del commercio sa­ rebbe tanto maggiore.

Del resto la Banca ha mezzi molteplici per ri­ spondere ad un aumento di domande di sconto, che le venissero fatte. Noi non consiglieremmo un accre­ scimento nella sua emissione, quale oggidì le sarebbe consentito dalla legge: — il rimedio sarebbe peg­ giore del male. — Ma la Banca ha a sua disposi­ zione altri mezzi. Essa vi potrebbe provvedere, a cagione d’ esempio, con opportune realizzazioni di quella rendita pubblica, che oggi possiede in larga copia, Le banche curano assai bene i loro interessi col mantenere una parte più o meno rilevante dei loro fondi impiegata in rendita pubblica. È noto co­ me le banche scozzesi (le quali posseggono in me­ tallo una riserva corrispondente ad appena il 2 o 3 per cento del loro passivo esigibile a vista) tengono come parte della loro riserva le somme impiegate in consolidato, e non senza ragione. Nei momenti del bisogno, quando la riserva metallica si scioglie, esse possono rifornirla alienando una parte di tali titoli, senza ricorrere a risoluzioni pregiudicevoli al commercio. Or tal cosa sarebbe pur opportuna in oggi se il commercio, in seguito al ribasso dello sconto, chiedesse alla Banca fondi in copia mag­ giore di quella che ora è consacrata a queste ope­ razioni; e ciò tanto più perchè la rendita pubblica ha un prezzo esageratamente elevato, dovuto alla diffidenza che il capitale ha degl’impiegbi a lunga scadenza, e della ripugnanza che prova a immobi­ lizzarsi nelle imprese. Il giorno in cui avrà luogo la ripresa degli affari, il commercio non sentirà più il bisogno di sì larghi soccorsi per parte della Banca come prova l’esperienza costante; i capitali abban­ doneranno i titoli all’ombra dei quali han cercato un riparo, come gli augelli si rifugiano sugli alberi quando infuria la bufera, per slanciarsi di nuovo nell’imprese, e le banche potranno ricomprare que­ sti titoli stessi realizzando probabilmente un gua­ dagno.

Importa che le nostre banche siano ben persuase della necessità della mobilitazione dello sconto. Essa è ritenuta all’estero come il perno del meccanismo bancario: pubblicisti, commercianti e banche lo rico­ noscono umani mi, mentre presso di noi, in questo come in molti altri argomenti, all’ amore platonico della teoria va unita l’ osservanza dei più vieti pre­ giudizi nella pratica.

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21 aprile 1878 L’ ECONOM ISTA 243

E come dovrà comportarsi il commercio in

ge-nerale? .

Senza dubbio deve camminare con prudenza, j guardarsi con attenzione maggiore ancora del solito dai passi falsi. Però gli è vero che la prudenza non è necessario raccomandarla, esso è forse fin troppo guardingo. È ciò che quasi sempre succede, facile l a lasciarsi trascinare dai voli della fantasia nei tempi di prosperità, il commercio cade nell’eccesso oppo­ sto in quella crisi.

Tuttavia se è conveniente astenersi dall impren­ dere affari, che vincolino di troppo un avvenire che è mal sicuro, vivere giorno per giorno per quanto è possibile, vi ha una cosa a cui il commercio può darsi senza pericolo ed anzi con molto vantaggio in questi periodi di ristagno, e a cui non si pensa ab­ bastanza: preparare l’avvenire.

No, questo periodo di atonia, che ci opprime, non può essere eterno, se alcuni economisti, impauriti dal durare insolito della crisi, hanno proclamato senza altro che esso sarà la condizione permanente della nostra società, non possiamo dubitare che le conclu­ sioni troppo affrettate di questi profeti di malaugurio saranno smentite dal fatto in un tempo forse non lontano. C’ è ancor tanto da fare a questo mondo, che si direbbe che non abbiamo cominciato che ora ! Le forze della natura, l’ intelligenza umana hanno dunque pronunziato la loro ultima parola ? Abbiamo colleoato abbastanza stretto 1’ industria europea con quella del resto del mondo? L’Asia colle sue im­ mense ricchezze, colla popolazione abbondantissima, sobria, laboriosa, non incomincia forse p e r n o iin buona parte a destarsi appena ora dal sonno? L’Africa continua a restarci quasi tutta ignota ; l’America, e massime la meridionale, ha sfiorato appena le sue ricchezze ; T Oceania, col suo rapido svolgimento, mostra quanto promettente è il suo avvenire. Nella stessa Europa molte nazioni si vanno costituendo ai giorni nostri soltanto in quell’ unità che è sì potente fattore di progresso economico. L’ Italia ricompone il suo antico paludamento, e, anche in meszo alla crisi odierna, vede crescere ogni anno le sue ric­ chezze; la Spagna ha chiusa, giova almeno spelarlo, l’era delle guerre civili, che ne consumavano steril­ mente le forze; l a Turchia europea uscirà certo ringiovanita dalla guerra che 1 ha desolata ; la Gre­ cia,3 che fu finora un cervello senza corpo, otterrà probabilmente un assetto più conforme a’ suoi sacri- fìzii passati, a’ suoi diritti, e quale è indispensabile al suo svolgimento economico. L avvenire industiiale non può mancare di esser splendido. Una nuova e più rigogliosa vita economica deve agitare le mem­ bra di questa vecchia Europa, travagliata sì da molte e gravi questioni, ma ardente di darsi al lavoro, tosto che la procella attuale avrà dato luogo a giorni più sereni.

Ebbene, il commercio deve essere previdente ; poiché oggi non gli è dato di operare su larga scala, di impietrare tutte le sue forze nella produzione im­ mediata, deve pensare al domani, preparare questo avvenire, che non può mancar di diventare una realtà : — esso deve sperimentare. L’apparecchiar nuove imprese, il tentar nuove relazioni con paesi stranieri, richiedono tempo assai lungo. Bisogna cambiare abitudini, abbattere pregiudizi, far cono­ scere alla massa dei consumatori 1 utilità di pro­ dotti ignoti e via. Anche all’ industria è adatto il motto degli Accademici del Cimento : Provando e

riprovando. Tutto ciò richiede non tanto capitali numerosi, produzione abbondante ; ma oculatezza,

tempo, volontà. .

Conviene applicarvisi. Nino Bixio, prima di chiu­ dere la sua carriera,^aveva gettato gli occhi sul­ l’Oriente industriale. È un paese nuovo per noi, che abbiamo a conquistare. Riprendiamo con nuova lena quell’ opera egregia, che la morte ha troncata ; cer­ chiamo nuovi sbocchi ai noslri prodotti, nuovi indi­ rizzi al nostro commercio, e noi ne avremo largo compenso il giorno in cui la guerra rimetterà la spada nel fodero, e consentirà ai popoli, desiderosi di pace, di tornare al lavoro !

SGUARDO R ETR O S P ETTIVO

AL TRATTATO DI COMMERCIO ITALO-FRANCESE

Nel cercare di trarre qualche idea e qualche conclusione generale da quanto abbiamo esposto nei precedenti articoli intorno al nuovo Trattato italo- francese ’) ci siamo domandati se non dovesse sem­ brarci adesso troppo tardi il parlare di un fatto che si può dire abbia ornai riportato la sanzione del Par­ lamento e del paese. Abbiamo anche scrutato la nostra coscienza chiedendole se non avevamo man­ cato a un nostro dovere non elevando più energi­ camente il biasimo contro ciò che nel trattato non ci sembrava buono, non entrando in un’ analisi più estesa e più minuziosa della tariffa, analisi per altro la cui aridità difficilmente avrebbe potuto cattivarsi l’ attenzione dei nostri lettori, non illuminando in­ somma meglio il paese intorno al passo che stava

per compiere. Abbiamo sentito di non poter meri­ tare questi rimproveri. Già da quanto abbiamo detto resulta abbastanza che nelle condizioni attuali del

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nostro paese, con la ristrettezza del tempo, con la

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necessità di non prolungare più oltre l’ incertezza di un regime non stabile e non definitivo, con l’ur­ genza di aver di continuo presenti alla mente i ri­ guardi fiscali, non avremmo esitato a dare senza ' riserva la nostra approvazione alla nuova convenzione ¡ internazionale. Ma prescindendo da ciò, quale spe- | ranza avremmo potuto nutrire di esercitare la benché ! minima influenza nella discussione precipitata e tar- diva che doveva aver luogo in Parlamento? Come avremmo potuto presumere di fare udire la nostra debole voce in mezzo alle frasi altrettanto rimbom- banti ed enfatiche quanto inconcludenti di alcuni, ! tranne pochissimi, fra i pochi oratori che dovevano

j

prendervi parte e di modificare anco lievemente una risoluzione già definitivamente stabilita assai prima di esser posta ai voti ? Ci è sembrato miglior partito limitarci alle osservazioni già fatte e riprendere i adesso con mente calma e riposata la parola per mostrare, che se può concedersi che il nuovo regime tolga vari gravissimi inconvenienti accertati in quello ! che è tuttora in vigore e rappresenti sotto certi rap-

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porti di fronte ad esso un miglioramento di qualche conto, non è poi vero che sia tutto quel portento ! di concetto, di savie conciliazioni e di armonie come ' alcuni vogliono fare apparire e soprattutto poi che

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esso non fornisce sempre la prova di quel culto illuminato per i principi liberali di cui i suoi autori così altamente si vantano.

Solo chi abbia avuto rapporti con i negoziatori francesi può farsi un criterio esatto delle disposizioni in cui essi si trovavano e delle concessioni che si avrebbero potuto ritrarne, laonde eviteremo di parlare a lungo della tariffa stabilita dalla Francia per le nostre provenienze. Manteniamo per altro nel fondo dell’ animo ferma la persuasione che a non pochi degli aumenti di dazi con cui la Francia ha colpito vari prodotti di quell’ industria che all’ Italia deve stare maggiormente a cuore, l’ agricoltura, si sarebbe potuto più efficacemente resistere, e non poche con­ cessioni per questi stessi prodotti si sarebbero potute ottenere, quando i nostri negoziatori non avessero dal canto loro insistito per introdurre aumenti notevoli nella classe dei prodotti manufatti e così sagrificati gli interessi deW’alma parens alle insaziabili esigenze dei nostri industriali. Lasciando da parte i vini di cui ormai tutti sanno le incresciose vicende per cui nella tariffa francese si è portato il dazio da 30 cen­ tesimi a 3 franchi 30 centesimi, basterà citare il dazio sulle noci e sulle mandorle che sono elementi così importante di ricchezza dell’agricoltura siciliana por­ tato a 4 franchi; quello uguale stabilito sulle carubbe, il dazio di 3 franchi imposto sulle uova e quello di 4 sul burro finora esenti ; i formaggi da 4 franchi 0 da 3 se di pasta molle, portati a 3 ed a 4, il miele portato da 5 a 10 franchi e così via dicendo. E ciò che più ancora colpisce è il non aver saputo ottenere ai filati di cascami di seta 1’ esenzione di cui godono 1 filati di seta reale ed aver anzi permesso, ciò che ha dato luogo a fondati reclami della Camera di Com­ mercio di Milano, che cioè questi dazi sui cascami alla frotdera francese venissero aggravati di 11 o di 18 centesimi al chilogrammo, secondo la finezza, quando si tratti di filati ritorti. La risposta che la Relazione della Commissione parlamentare per l’esame del Trattato dà a queste doglianze mosse da indu­ striali che-fa uno larghissimo assegnamento sulla espor­ tazione, che sono liberi cambisti, e che avrebbero volentierissimo rinunziato al dazio a dir vero assai mite di 30 centesimi il chilogrammo che per una specie di rappresaglia si è voluto stabilire anche in Italia sui filati di cascami, è una risposta delle più caratteristiche. Deploriamo, dice la Relazione, l’in­ successo dei negoziatori italiani che si adoperarono per ottenere la diminuzione di questi dazi; « ma non » dobbiamo tacere che quando si pretendeva che la « Francia ammettesse l’aumento il quale per ragione « del valore si doveva introdurre nei dazi nostri per « la torsione dei filati di cotone, di canapa, di lino « e di lana, non era consentito agli italiani di negare « in modo assoluto che lo stesso sistema si seguisse « per i filati di cascami di seta. »

Prova più chiara e più lampante non si può avere di quella che risulta da questa stessa confessione della inanità degli sforzi di chi vuole con sottile artifizio di tariffe sostenere e regolare l’indirizzo dell’ industria e del lavoro nazionale. Gl’interessi che si pretende regolare con un trattato e con una tariffa sono così complessi, così annodati fra loro che non si può accomodare gli uni senza scom­ porne-molti altri, ed essendo quasi sempre impos­ sibile di prevedere e di giudicare anco appros­ simativamente gli effetti delle alteraziani e'd eg li spostamenti introdotti, molto spesso il benefìcio che

si pensa di ottenere da una parte non è compen­ sato dal danno che si arreca all’ altra. Il com­ mercio moderno basa le sue transazioni sopra te­ nuissime differenze di prezzo, contentandosi di un lievissimo margine, per dar vita ad operazioni le quali solo dal numero ragguardevole e dalla vasta scala in cui son fatte, porgono a chi vi dà opera, occasione di discreti profitti. Basta il più lieve in­ ciampo per chiudere talvolta una via lucrosa e pro­ duttiva. Chi potrebbe con sicura coscienza affermare che il favore non chiesto, accordato alla torcitura de’ filati di cotone, di canapa, di lino e di lana non fosse stato conseguito a carico dei filati di cascami di seta, di cui si esportarono 36 milioni di lire nel 1877 e 57 milioni nel 1876 e di cui i due terzi sono diretti alla Francia? Diciamolo francamente se i negoziatori del trattato non avessero considerate questecose o se considerandole avessero preferito di sagriticare ad una apparente regolarità e simmetria della tariffa interessi così delicati e vitali, essi sa­ rebbero andati col cuore leggiero incontro ad una grave responsabilità.

Si è ripetuto così spesso dai ministri e dai nego­ ziatori, nelle aule parlamentari, nei banchetti eletto­ rali, nelle Relazioni, che la riforma dei nostri trat­ tati doveva esser condotta con uno scopo puramente fiscale, che ogni idea di protezione doveva essere assolutamente bandita, e d’ altra parte si è affermato così risolutamente il divisamente di correggere i vizj dell’ attuale tariffa senza troppo curare i danni del consecutivo naturale spostamento d’ interessi, che noi ci eravamo quasi messi in aspettativa di veder cogliere questa occasione per rifondere tutto il no­ stro regime doganale sopra basi più razionali, esclu­ dendo qualsiasi preferenza verso certe industrie o certi prodotti ed avvicinandolo a quel sistema ideale il quale nelle attuali condizioni della maggior parte degli Stati europei, che rendono utopia il parlare di completa abolizione delle dogane, crediamo dovrebbe esser preso di mira da chiunque si professa e si vanta libero-scambista anco nel senso più annac­ quato della parola. Quest’ ideale consiste nel distin­ guere le merci che si assoggettano a dazio in classi diverse secondo la loro maggiore o minore. impor­ tanza relativamente ai più gravi bisogni della vita e delie industrie, assegnando a ciascuna di queste classi un dazio che pesi in misura approssimativa­ mente uniforme sopra tutti gii articoli che la com­ pongono. La tariffa Svizzera, sebbene recentemente accresciuta, offre un esempio notevole di questo si­ stema; essa stabilisce il dazio dell’ -1 percento sopra tutte le materie prime, del 2 % sopra i prodotti ma­ nufatti che servono di materia prima, del 3 sopra gli oggetti manufatti di uso comune, del 5 sopra quelli che non rispondono ad un’ utilità generale, ma non rivestono nemmeno completamente il carat­ tere di oggetti di lusso e finalmente del 10 per cento sopra gli oggetti di lusso.

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21 aprile 1878 L’ E C O N O M IS T A 245

industrie. Ma non avendo ciò fatto, la soverchia pre dilezione mostrata verso alcune di esse e la im­ mensa disparità di trattamento stabilita fra certe in­ dustrie e certe altre basterebbero anco in mancanza di ogni altra prova a rovesciare tutte le velleità di liberismo di cui si è voluto far pompa. Chi potrà esser tanto ingenuo da prestarvi fede quando veda ad esempio i saponi comuni non profumati colpiti da un dazio di lire 6 che equivale in media al 10 per cento del valore (calcolato a 00 lire il quintale nei prospetti doganali del 1877) i filati di cotone col­ piti in una misura che raggiunge talvolta il 12 per cento e più, ed i ferri greggi gravati da un dazio che con i prezzi attuali si eleva al 20 per cento, e d’altra parte il dazio sugli orologi con cassa d’ oro stabilito in lire 2,50 I’ uno, che, anco in confronto alla modica valutazione data dai prospetti doganali di lire 80 per capo, oltrepassa solo di una piccola fra­ zione il 5 per cento del valore. Nè si dica che la mitezza del dazio sugli orologi è intieramente dovuta alla facilità del contrabbando, perchè l’usare per cri­ terio della elevatezza dei dazi la difficoltà di frodare l’erario condurrebbe a conseguenze assurde, e per­ chè poi vi sono altre materie di facile trasporto e di facilissima occultazione che pagano dazi gravis­ simi, per esempio l’essenza di rose che pagherà d’ora innanzi 40 lire il chilogrammo. Ma anche lasciando da parte gli orologi vediamo i lavori ili cristallo ar­ rotati, incisi o colorati, oggetti punto necessari alla economia domestica nè all'industriale, dei quali non è certo facile il contrabbando, ed il cui valore nei prospetti doganali si fa ascendere a 290 lire il quin­ tale, soggetti ad un daziodi 10 lire,il quale.raggiunge appena la media del 5 1(2 per cento. Citiamo a caso e potremmo moltiplicare gli esempi in gran numero. Nè ciò diciamo perchè ci piacerebbe di vedere au­ mentare i dazi sugli orologi o sui cristalli, ma per­ chè questa mancanza di giustizia distributiva è prova evidente che la tariffa è stata compilata con un sen­ timento di predilezione verso alcune industrie a cui si è voluto dare dei sostegni artificiali, sostegni che per altre non si sono creduti necessari, sia per la robustezza da esse già acquistata, sia per la niuna speranza che fra noi potessero metter salde radici ; quando, ciò che è ancora più spiacevole, le dispa­ rità di trattamento non siano derivate dalla disparità d’influenze che le ’ industrie potevano esercitare e di ingranaggi che potevano mettere in moto nelle più alte sfere legislative.

Ma ciò non è tutto; la nuova tariffa non solo non ha pensato a diminuir le disuguaglianze già esistenti ma le ha aumentate considerevolmente; il dazio di 15 lire sulle pelli conciate e non coriate a ino d’esempio rappresenta appena il 2 e mezzo per 100 sul valore, quello sui filati di cotone non distava molto nella tariffa in vigoredal 10 per 100, il dazio sulle prime si è lasciato stare tale quale, è la Re­ lazione della Commissione parlamentare ce ne dice il perchè, cioè che « le deposizioni raccolte dal Comitato d’inchiesta concordano in ciò che le con­ cerie italiane non temono concorrenza »; ¡1 dazio sui filati di cotone invece è stato aumentato almeno del 20 per 100 sulle qualità più grossolane per le quali è stato portato da 15 a 18 lire il quintale e per le qualità più fini si è accresciuto fino del 150 per cento portandolo da 23 a 60 lire; ed è proce­ dendo in tal modo che si sostiene di non aver

avuto in mira nessun fine protezionista nell’ eleva­ mento del dazi.

Alcuni articoli si sono aggravati senza pietà. La­ sciamo stare i tessuti e specialmente quelli di cotone a cui si è voluto usare una marcata preferenza che ha suscitato i reclami di rispettabili negozianti e della Camera di commercio di Venezia e elio non ha contentato nessuno, perchè mentre alcuni produt­ tori non vi hanno trovate soddisfatte le loro insu­ perabili brame, altri più sensati han ritenuto che sa­ rebbe stato assai preferibile il non elevare il dazio sopra ì filati, e più che 80 tessitori toscani, napo­ letani e del circondario di Chieri hanno violente­ mente protestato contro l’elevamento di questi dazi in favore della filatura di cotone che, essi dicono, vive nell’ opulenza e potrebbe largamente prospe­ rare e svolgersi nel nostro paese in ordine alla sempre crescente domanda, senza bisogno di dazi protettori, i quali anzi sono stati d’impaccio al suo sviluppo poiché il grande favore accordato alle qua­ lità più ordinarie e la grande convenienza che nella produzione di queste trovavano i filatori li ha in­ dotti a trascurare le qualità più fini obbligando i tessitori di farne ricerca all’estero. Lasciamo stare anco gli articoli di lusso come i velluti di seta il cui dazio aumentato del 153 per 100 può in un certo senso sottrarsi alle più gravi obbiezioni, ma prendiamo a caso qualcuna delle numerose voci della tariffa su cui si sono portati degli aumenti e vediamo con qual criterio si è in esso proceduto. L’inchiostro da stampa è portato a 15 lire da 3,70, l’amido a 4,50da 1,50, la carne salata, esente finora, è tassata a 20 lire, le candele steariche sono por­ tate da 10 a 15, le paste, ora esenti, sono, assog- geltate al diritto di 5 lire, le lastre di vetro non pulite, che lasciano penetrare nelle abitazioni del povero un poco di quella luce elemento tanto ne­ cessario di vita e d’ igiene, sono accresciuti da 3 lire 75 cent, ad 8, dazio che sopra un valore cal­ colato a 70 lire il quintale rappresenta quasi 1’ 11 e mezzo per 100. Per alcuni di questi articoli si è fatto valere l’argomento ormai celebre della spere­ quazione fra il dazio, de! prodotto e quello delle materie prime di cui sono composti, ma se essa poteva valere per l’inchiostro, per l’amido e per le paste (sebbene per queste ultime fine il dazio della materia prima cioè dei cereali non sia che di lire 1,40 ed ognuno vede a prima giunta qual largo margine si sia lasciato fra questo e il nuovo dazio del prodotto) non poteva simile argomento ac­ camparsi per le carni salate, le. candele steariche o le lastre di vetro. Nel colpire questi prodotti, che han tanta parte nei bisogni della popolazione e spe­ cialmente delle classi meno elevate, di dazi che non sono inferiori ali’8 per 100 e vanno fino all’ 11 e mezzo per 100 qual criterio si è inai avnto se non quello di concedere aiuto e favori alla produzione nazionale ?

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oceu-parsi del dazio sulle materie prime se non per elevarlo, aggravando poi smodatamente il dazio sul prodotto. Si dirà ohe le condizioni dell’erario non permettevano la scelta fra questi tre sistemi, ma a noi sarà facile il rispondere che senza dimenticare queste condizioni le quali non è poi tanto provato che possano esser sempre rimaste avvantaggiate dalla soverchia elevazione dei dazi, potevasi benissimo ac­ cogliere il secondo sistema riserbandosi a portare gli aggravi sopra quegli articoli sopra i quali, come abbiamo già dimostrato, o perchè l’ industria nazio­ nale non li produce o perche essa non ne teme la concorrenza, si sono lasciati dazi mitissimi.

Il beneficio delle tolte sperequazioni che non vo­ gliamo discutere in teoria e che è la face sotto il cui bagliore si son voluti nascondere molti difetti del nuovo trattato si ridurrà in pratica a propor­ zioni assai più modeste di quelle che adesso non si facciano apparire. Chi sa quante di queste spere­ quazioni cacciate dalla porta, ron rientreranno im­ pensatamente dalla finestra in conseguenza delle nuove elevazioni che torneranno a scapito d’ indu­ strie a cui non si ora posto mente. Citiamo ad esem­ pio le tele incerate ai cui dazi si è portato una no­ tevole riduzione e che pagheranno lire 20 il quin­ tale le grossolane, e lire 40 le fini, tanto se, di ca­ napa o di lino quanto se di cotone, mentre il da­ zio sulle tele che variava da lire IO a 57,78 si è fatto correre fra le 18 e le 90 e quello sui tessuti dì cotone che era di 50 e di 65 lire varierà dalle 52 alle 90, elevando in pari tempo anzi triplicando il dazio sopra certe vernici stabilito a 50 lire, por­ tando da 11 lire e 55 cent, a 15 quello sopra molti colori e facendo salire in proporzioni enormi quasi tutti gli ingredienti necessari a questa indu­ stria. Citiamo ancora le sete tinte che per favorire i tessitori nazionali si son mantenute esenti dal da­ zio mentre si prodigavano gli aumenti sopra la tariffa dei generi tintoriali. Il volere spingersi nel sistema della protezione e mantenere nello stesso tempo un rapporto fra i dazi delle merci che posson servire di materia prima e quelli di tutti i prodotti in cui possono essere adoperate non è che una vana illu­ sione ed il legislatore che vuol conseguire questo scopo sente sorgere da tutte le parti lagnanze e re­ clami a cui s’egli vuol dare ascolto bisogna che si disponga ad entrare in una via dalla quale non può vedere il fondo e estendendo indefinitamente una protezione che quanto più è diffusa tanto meno è efficace.

Fra i dazi sulle materie prime che più d’ogni altro avremmo creduto urgente di abolire o almeno di ridurre notevolmente, lo dicemmo fino dal 17 febbraio1), sarebbe stato quello sui cereali. Quest’idea è stata poi sollevata e discussa nella stampa e nel Parlamento ed abbiam visto con soddisfazione prima Fon. Nervo poscia Fon. Minghetti farsene i propu­ gnatori. Confidiamo che col tempo quest’ idea ma­ turerà ed una imposta così gravosa, pagata dalla generalità dei consumatori italiani e delia quale solo piccola parte profitta all’erario e viene percetta pel rimanente dai proprietari del suolo, sarà irremis­ sibilmente condannata. Lo specioso argomento in sua difesa tratto fuori dall’on. Depretis non può ingan­ nare che i profani alla scienza economica.

Confu-V. Economista N. 198 pagina 100.

tando ciò ch’egli chiamava una dommatica afferma­ zione, che cioè, il dazio sui cereali abbia per effetto di rincararne d’altrettanto il prodotto all’interno; come avviene domandava egli che una quantità conside­ revole di questi stessi prodotti viene poi esportata all’estero? Chi è che si prende il gusto di venire a comprare il grano da noi al maggior prezzo di lire 1.40 al quintale? Pare che Fon. Depretis non sapesse configurare il caso di paesi in cui il prezzo del grano potesse, essere per condizioni indipendenti dal dazio di entrata, anco più caro che in Italia. Ma indipen­ dentemente da ciò, apparisce evidente che Fon. De­ pretis non si è mai preso la pena di leggere lo stu­ pendo trattato dello Stuart Miti e specialmente quei notevoli capitoli (XVII e XVIII) del libro 111 in cui Fautore svolge la complicata dimostrazione del pr n- cipio che lo scambio internazionale dei prodotti è determinato non dalla differenza del costo assoluto di questi, ma dal rapporto del loro costo in cia­ scuno dei due paesi, onde per citare il suo esempio « l’Inghilterra può importar grano dalla Polonia e pa­ garlo coi suoi panni sebbene F Inghilterra abbia un deciso vantaggio sopra la Polonia nella produzione tanto dall’uno come dell’altro articolo. » Non po­ tendo qui riprodurre l’esposizione di questa celebre dottrina rimandiamo chi fosse curioso di conoscerla ai capitoli sovraccitati non senza deplorare però che uomini di Stato come il Depretis a cui vengono confidate le sorti di un paese si mostrino cosi di­ giuni dei principi della scienza.

La Situazione delie Bande d’Emissione

al 28 febbraio 1878

Dal Ministero del Tesoro (Divisione dell’ Industria e del Commercio) abbiamo ricevuto il bollettino men­ sile delle situazioni dei conti degl’ istituti d’ emissione al 28 febbrajo 1878. Riassumeremo, secondo il con­ sueto, i dati principali esposti in questa accurata pub­ blicazione, confrontando le cifre del mese di feb­ brajo 1878 con quelle corrispondenti alla fine del precedente mese di Gennaio.

La parte attiva delle sei Banche d’ emissione esi­ stenti nel Regno si riassume come appresso alla line dei due mesi posti a confronto:

Febbrajo Gennajo Cassa e riserva . L. 318,646,669 L. 306,432,815 P ortafogli. . . » 330,721,080 » 308,798,713 Anticipazioni » 99,759,304 » 101,132,888 T ito li . . . » 95,867,035 » 95,785,325 Crediti . . . » 382,075,735 » 399,214,322 Sofferenze. . . » 20,677,036 » 19,307,653 Depositi . . . » 768,841,794 » 769,163,688 Partite varie. . » 51,762,969 » 52,748,292 Totale L. 2,068,351,622 L. 2,052,613,696 Spese del corrente

esercizio . » 7,482,486 » 5,929,598

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21 aprile 1878 L’ ECONOM ISTA 247

di lire dovuta principalmente alla riduzione delle anticipazioni statutarie al Tesoro.

L’ammontare del portafogli o di ciascuna delle Ban­ che d’emissione presenta le seguenti cifre alla tìuedei due mesi in esame:

Febbraio Gennajo L. 187,623,903 L. 172,150,046 . 61,874,724 » 55,971,863 » 26,800,973 » 25,963,203 » 32,812,212 » 32,638,805 > 17,084,751 » 17,966,353 » 4,524,517 » 4,108,443 Banca Nazion. \taì.

Binco rii Napoli . . Banca Nasioc. tute . Banca Romana . . Banc» di S cllia . Banca tose, di cred.

T o ta le . . . L. 330,721,080 L. 308,798,718 Il portafoglio della Banca nazionale italiana pre­ senta un aumento di 15 milioni e mezzo nel mese di gennajo. Esaminando però i diversi titoli che co­ stituiscono il portafoglio, vediamo che l’aumento sud­ detto spetta ai maggiori acquisti fatti in buoni del Tesoro, poiché da 56 milioni e 400 mila lire che ammontavano alla fine di Gennaio, ascesero a 58 milioni e 800 mila lire al 28 febbrajo successivo. Nelle cambiali della Banca anzidetta si ha invece una diminuzione di 7 milioni di lire. Anche T aumento che abbiamo nel portafoglio del Banco di Napoli si deve ai buoni del Tesoro che crebbero di oltre a 8 milioni nel mese di l'ebbrajo, e le cambiali dimi­ nuirono di quasi 5 milioni in detto mese.

Ecco come si riassume la parte passiva delle Banche d’ emissione alla line dei due mesi in esame:

Febbrajo Gennajo 337,263,867 L. 336,478,536 630,897,240 » 624,371,291 141,824 914 » 140,205,892 90,091,199 » 87,754,903 768,841,794 » 769,163,688 95,445,367 » 91,313,107 Cap. e mas. di risp. L.

Circolazione . . . » Debiti a vista . . » Debiti a scadenza. » Depositi . . . . » Partite varie . . » Totale L. 2,064,364,381 L. 2,049,287,417 Rendite del .corrente

esercizio . . . » 11,469,727 » 9,255,877 Totale generale . L. 2,075,834,108 L. 2,0.;8,543,294 Nel mese di febbraio abbiamo un’aumento di 0 milioni e mezzo nella circolazione dei biglietti di banca, di 2 milioni e 500 mila lire nei debiti a scadenza (conti correnti fruttiferi e risparmi,) e di un milione e 600 mila lire nei debiti a vista (conti correnti infruttiferi).

Durante il mese di febbraio le operazioni di sconto e quelle di anticipazioni ascesero alle cifre seguenti per ciascun istituto:

Banca naz'onale ita'. Bilico di Napoli . . Banca nazion. Toscana B m ca Romana. . . Rauco ai Sicilia . . Banca Tose, di credilo

L. Sconti 65,648,065 12,728,197 12,731,415 7,974,311 3,254,069 1,782,910 A n tic ip a zio n i L. 4,562,781 » 4,845,943 » 342,170 » 24,717 8.'7,383 » 2,284,096 L. 104,108,967 L. 12,841,090 Le maggiori operazioni di sconto furono eseguite nel mese di febbrajo nelle provincie di Firenze (16 milioni di lire,) Milano (12 milioni e 600 mila lire,) Roma 10 milioni e 800 mila lire.) Napoli (7 mi­ lioni e 900 mila lire,) Genova (7 milioni), Torino (5 milioni e 400 mila lire,) Bari (5 milioni e 500 mila lire.) Le anlie'paz'om furono maggiori nelle provincie di Firenze (5 milioni e 600 mila lire) e di Napoli (5 milioni e 500 lire.)

Al 23 febbrajo 1878 la circolazione complessiva ammontava a hre 1,570,817,240 50 e si ripartiva nel modo seguente: biglietti del consorzio, lire 940,000,000; biglietti degl’ istituti di credito lire 650,897,240 50."

Ecco il prezzo corrente delle azioni delle Banche d’emissione, costituite in Società.anonime, alla fine de’.seguenti mesi del corrente anno;

B ieca Nazionale ita '. L. Banca Nazionale toscana » B m c a R im an a . . . > Banca tose, di eredito . »

Febbraio Gennajo

2,017 00 L. 1,994 00 730 00 » 730 00 1,241 00 » 1,129 00 545 00 > 550 00 Nelle azioni della Banca nazionale italiana si ve­ rificò nel mese di febbrajo un aumento di Hre, 2o e in quella della Banca Romana di lire 11,50 ; in­ vece nelle azioni della Banca toscana di credito si ebbe una diminuzione di lire 5 .-Nessuna variazione presentarono le azioni della Banca nazionale toscana.

Fumicazioni estere sopra materie ccoaoiniclie

(I l Journal des Économistes — L a B ifo rm e Écono- mique.)

Il Journal des Économistes che mantiene degna­ mente le sue nobili tradizioni, ha nel fascicolo dello scorso febbraio un interessante articolo del Sig. Cour- celle-Seneuil: Congetture sulla storia del diritto di proprietà.

Noi non seguiremo il chiarissimo Autore in tutte le sue indagini, nè riassumeremo il suo articolo, per vero dire assai teorico. Egli ritiene che la proprietà quiritaria, madre della nostra, sia nata dalla con­ quista. Si è detto che era di diritto naturale o di­ vino, il che tradotto in linguaggio intelligibile voleva dire che la si voleva mantenere senza sapere esat­ tamente il perchè. Ai fisiocrati spetta il merito di aver formulato per i primi con nettezza la teoria mo­ derna della, proprietà, che riconosce per fondamento della medesima il lavoro libero e lo scambio.

Tien dietro a questo un breve articolo del si­ gnore De Parieu « L’unificazione monetaria davanti [’esposizione universale del 4878 » La quistione lu posta la prima volta nel 1867 nell’occasione della esposizione universale di Parigi : il dottissimo Autore dopo averne tracciata brevemente la storia, nota con compiacenza il progresso delle idee e dei fatti, e vor­ rebbe che la Francia si facesse nuovamente iniziatrice d’ una conferenza internazionale, da cui potrebbero uscire propositi di utili riforme nel senso dei desiderati

della scienza. . .

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sciuto la importanza del! economia politica ma che in Francia fra qualche anno non sarà così, quando l’insegnamento delle Università avrà prodotto il suo effetto e avrà dei difensori nel loro seno.

Un interessante articolo del Sig. Henry Taché tratta degl’interessi delle colonie e del protezionismo. Dopo aver toccato del patto coloniale, della sua sop­ pressione e delle sue conseguenze e del senatuscon- sulto del 1866, riproduce i lagni dei protezionisti contro il nuovo sistema ed esaminando la situazione economica delle colonie, mostra come bramino ar­ dentemente il mantenimento della loro libertà com­ merciale. Sarebbe follia rapir loro questo bene che è stato 1’¡strumento della loro prima redenzione e che considerano come il pegno del loro definitivo pro­ gresso.

Il Sig. Henri Marichal tocca delle conseguenze del­ l’abolizione del dazio consumo in Belgio, e colle cifre alla mano, mostra i vantaggi economici che i comuni ne hanno risentito, ma nota al tempo stesso gl’incon­ venienti di quel fondo comunale, per cui è ormai lo Stato che provvede con larghezza ai differenti rami di pubblico servizio municipale. 11 resto è insignifi­ cante. In tal modo il Comune perde ogni vita ed ini­ ziativa. Esso potrebbe invece procedere alla repar­ tizione delle imposte dirette con vantaggio del tesoro dello Stato. Ci manca lo spazio per seguire il chia­ rissimo Autore in questo studio importante.

Seguono altri articoli sull’Uruguay e sul Para­ guay, le loro risorse e la loro situazione attuale del Sig. Lonis Herrilis; sul commercio nel Rio della Piata nei secoli XVI, XVII e XVIII.

Il Bullettino comprende alcune note sulla concor­ renza in materia di ferrovie, sulle strade ferrate francesi e sulle vie navigabili.

Ricorderemo infine una necrologia di Prosper Pail- lottet, l’amico di Bastiat e alcune bibliografie, oltre al consueto rendiconto della Società di Economia Politica.

Aggiungiamo qualche parola intorno al fascicolo del marzo ultimo scorso. Il Sig. De Molinari prose­ gue i suoi importanti studi intorno alla evoluzione economica del 19° secolo (vedi Journal des Eco- nomistes di gennaio, aprile, ottobre 1877 e gen­ naio 1878) di cui altravolta abbiamo tenuto parola. L’articolo presente porta per titolo «Libertà e tutela» e sta sulle generad. Il chiarissimo Autore dimostra la superiorità del self government sulla tutela e sta­ bilisce il minimum di capacità necessaria al suo eser­ cizio. Spiega le ragioni della tutela dei fanciulli e delle donne e riguardo alla soluzione del problema che tocca a queste ultime dice che l’esperienza di­ mostrerà quale sia il sistema migliore, la intera li­ bertà o la mezza libertà. Esamina la natura della li­ bertà in generale e delle liberté particolari, e mostra la necessità di un governo e come la machinery del governo stesso progredisca. Finalmente osserva essere necessario rendersi conto della influenza che sulla medesima ha esercitato la piccola industria per ap­ prezzare i cangiamenti che l’evoluzione della grande industria è destinata ad arrecare nel governo della specie umana. Attendiamo che l’egregio economista proceda a questa ricerca.

In un Dialogo con un legislatore sulla riorganiz­ zazione delle strade ferrate il Sig. Auguste Chérot sostiene che è necessario e urgente riscattare le grandi Compagnie, che ciò potrebbe farsi senza sacrifizio, j anzi con economie pel pubblico tesoro; che la nuova |

organizzazione nascerebbe spontanea dal compimento della rete nazionale. Ci piace notare che egli ritiene che l’esercizio governativo sarebbe giustamente re­ spinto e che non deve nemmeno discutersi e pro­ porrebbe l’esercizio sia in regia interessata per conto dello Stato, sia di compagnie simili a compagnie di roulage che assumessero l’impresa à forfait col loro materiale, il trasporto, le manutenzioni e percipereb- bero il reddito per conto del tesoro.

Per non allungare soverchiamente i limiti di questa rassegna, ci limitiamo a richiamare l’attenzione dei nostri lettori su un articolo del Sig. J. Clément sui rimpiazzo del dazio consumo con una imposta sui va­ lori locativi e il mobiliare, ed un altro del Signor Foutpertuis sull’assistenza dei figli naturali.

Abbiamo percorso i fascicoli del 15 febbraio, del U’ e 15 marzo e del I» aprile 1»78 della Biforme Economique, importante pubblicazione che conta già assai tempo di vita.

Nel primo tra i fascicoli accennati il Sig. Yves Guyot continua a trattare dell’agitazione protezio­ nista, toccando della marina mercantile. Egli constata che essa non si sviluppa proporzionalmente ai tra­ sporti che deve fare e indaga le cause di questo stato di sofferenza e mostra come gli armatori invochino una protezione, che nuocerebbe al commercio marit­ timo, il quale rappresenta circa due terzi del com­ mercio esterno della Francia. Prova con molti dati il suo assunto e conclude che non conviene lasciarsi stordire dai clamori di gente interessata, che trove­ rebbe comodo di prelevare i propri benefizi partico­ lari a danno dell’interesse generale.

« Tutta questa agitazione protezionista è fittizia; essa non rappresenta che una infima minoranza. Se fa molto rumore, non è questa una ragione per men­ tire ai principii della scienza economica. » Parole d’ oro, sebbene i fatti ci mostrino che quella corrente è pur troppo assai forte!

Seguono altri articoli sul rinnovafnento parziale delle assemblee, sulla polverizzazione dei liquidi, sulla emissione delle obbligazioni e la garanzia degli obbli­ gatori, di cui non teniamo parole come di argomenti che non riguardano la nostra scienza. L’ ultimo sol­ tanto ha colla medesima stretti rapporti; il Sig. Vain- berg che ne è l ’autore fa delle proposte in senso li­ berale, il cui esame richiederebbe troppo lungo di­ scorso.

Il Sig. Ménier scrive una lettera destinata a ser­ vire di prefazione a uno scritto che tende a dimo­ strare la necessità per gli stati Uniti e per la Francia di concludere un trattato di commercio. E cosa che ci reca sommo piacere il vedere questo grande in­ dustriale dimostrare i danni e le contra'dizioni delle tariffe protettrici americane e consigliare agli Stati Uniti il libero scambio. Un comitato si è fatto pro­ motore di uffa proposta di trattato rivolta al popolo Americano. L’iniziativa privata dovrebbe stabilirne le basi in un Congresso da tenersi a Parigi. Augu­ riamo buon successo a questo tentativo liberale.

Seguono alcuni interessanti ragguagli sulla situa­ zione economica in Francia e in Inghilterra.

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21 aprile 1878 L’ ECONOM ISTA 219

parziale delle assemblee, e sì incomincia a parlare I di Stanley e delle ricchezze dell’ Africa equatoriale, e dei musei dipartimentali. Seguono alcune parole del Guyot favorevoli alla conversione del 5 per cento e altri articoli sul censimento della popolazione e sulla educazione e istruzione e viene inline la cronaca eco­ nomica, che tocca della situazione della Francia, del­ l’Inghilterra e della Russia.

11 fascicolo del 15 marzo contiene un primo ar­ ticolo sulla Demografìa, del Dottor Bertillon,’ diretto a mostrare la connessione di questa scienza colle - scienze antropologiche e il posto che vi occupano, articolo assai importante, a cui fa seguito un terzo ed ultimo articolo sul rinnovamento parziale delle assemblee. Un secondo articolo intorno a Stanley e alle ricchezze dell’Africa equatoriale desta molto in­ teresse e merita del pari menzione uno scritto del Sig. Gustavo Philippou intorno al celebre fisiologo Claudio Bernard. Si continua in questo fascicolo a trattare dei musei dipartimentali: Il signor Yacher in poche pagine enumera i resultati disastrosi del 16 maggio dal lato finanziario ed economico, tanto­ ché se non fosse già giudicato politicamente, lo sa­ rebbe nel senso accennato, e in modo perentorio.

Nel fascicolo del 1° aprile corrente è da notarsi in primo luogo un articolo del Sig. Jacques Deren nes intorno al debito pubblico. E gii costata che mai

la potenza del credito pubblico si è affermato tanto splendidamente come in Francia nell’epoca attuale, ma osserva che questo mobile elemento di prospe­ rità può divenire per colpa dei governi una causa di rovina e di decadenza, perchè si procura mezzi di legittima difesa, incoraggisce anche lo spirito di av­ ventura e permette le imprese dubbiose e le guerre insensate. E allora dietro l’abuso del credito sorge il Debito pubblico, che pel suo carattere di perpe­ tuità sembra legato alla esistenza stessa del paese.

E

il chiarissimo Autore si volge a cercare come si è for­ mato all’origine il contratto solenne che lega lo Stato ai suoi creditori; segue la storia del suo sviluppo, la istituzione del Gran Libro e le sue trasformazioni. Basta accennare ciò perchè i nostri lettori compren­ dano quanto interesse debba offrine la importante materia trattata da un uomo così competente. Ciò che è comparso alla luce ci lascia il desiderio di quej che dovrà venire in seguito, e noi ci riserviamo di tornare sull’argomento.

Dopo un primo articolo sul Giappone e le sue ri­ forme necessarie di Maeda Massana, il Sig. Ménier, tornando sulle sue opinioni di cui fa così attiva pro­ paganda, sostiene che il sistema finanziario attuale si compone di artifizi di contabilità, il cui risultato è quello di rendere la vita più cara, e combatte aspra­ mente le tasse indirette che vorrebbe rimpiazzare colla imposta diretta scientificamente applicata sulle cose. Noi non possiamo più entrare in una discussione so­ pra un tema così lungamente agitato. Ci permettiamo di muovere i nostri dubbi sopra la giustizia di una imposta unica sul capitale come il Sig. Ménier la propone, e in secondo luogo, dato anche che teori­ camente questa imposta fosse la migliore, non sap­ piamo come potrebbe bastare di fronte alle gravi esi­ genze dei presènti bilanci.

Nel fascicolo in questione il Dott. Benillon con­ clude il suo importante studio sulla demografia. An­ che in questo numero come nel precedente non man­ cano interessanti ragguagli sulla condizione econo­ mica dei principali paesi d’Europa.

NOSTRE CORRISPONDENZE

Parigi, 18 aprile, 1878.

La Nuova Convenzione fra la Banca e lo Stato — La popolazione indigente di Parigi —- Notizie d ell’Esposizione —- La riunione dei commissarii generali delle nazioni esiere — Il movimento degli Zuccheri — Gli azionisti della linea delle Charentes — Considerazioni.

La nuova Convenzione fra la Banca e lo Stato fu votata dalla Camera dei Deputati prima di pro­ rogarsi, ma il Senato non ha potuto o voluto di­ scuterla epperciò il voto della Camera rimane provvisoriamente sospeso.

A seconda del progetto governativo del quale vi tenni parola nella mia passata corrispondenza 1’ an­ ticipazione permanente della Banca al Tesoro au­ menta di 80 milioni, e l’imposta sulla circolazione dei biglietti è abbassata da 1.50 cent, a 20 cent, per ogni 1000 fr. sulla porzione di circolazione che non corrisponde ad operazioni produttive e com­ merciali quali sono lo sconto e le anticipazioni.

Quanto •ai famosi sette milioni della Comune essi fanno parte di un progetto di legge separato, la cui approvazione è anche più dubbiosa di quella del progetto di legge relativo alla Convenzione suac­ cennata.

Da una recente statistica risulta che la popola­ zione indigente di Parigi è diminuita da tre anni a questa parte di 262 famiglie e di 416 individui. Questa diminuzione si riferisce ad I I circondarii, dei quali quelli che più hanno veduto migliorata la loro condizione sotto questo punto di vista dell’ indigenza sono il 4°, il 13“, il 15°, il 5°, il 10° ed il 6°. Inoltro la popolazione indigente tro­ vasi ora, in confronto della popolazione totale pa­ rigina in una proporzione inferiore a quella che risultava dalle precedenti statistiche.

Cosi nel 1874 vi era a Parigi un indigente so-1 pra 15,09 abitanti; nel 1877 se ne conta uno su 17,55 abitanti. 1 circondarii che comprendono mag­ gior numero di indigenti sono il 13° (1 su 7,33 ab.) il 20° (1 su 9.55 ab.) il 19° (1 su 11.47 ab.) il 14° (1 su 12.28 ab.) il 15° (1 su 12.69 ab.) Il 9° cir­ condario è quello che comprende minor proporzione d’indigenti (1 su 48.74.)

La popolazione indigente di Parigi nel suo totale è di 113,117 individui : 23.036 uomini, 38.477 donne, 25.607 fenciulii e 26.207 fanciulle al disotto dei 14 anni. — Riguardo all’origine dei capi di famiglia troviamo il 21.50 per cento dei capi di famiglia nati a Parigi, con un eccedente di 2,01 in di più pel dipartimento della Senna; 71.71 per cento nel resto della Francia; 5.32 per cento stranieri. Sotto il rapporto dell’età si contano 76.32 capi di fami­ glia che hanno meno di 70 anni, contro 23.68 che hanno oltrepassato quell’ età.

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che il 1° maggio possa avere luogo l’inaugura­ zione.

Vi sono 800 vagoni che sono ancora aspettati alla sezione estera della Esposizione. Tutti questi vagoni saranno entrati il 22 aprile nel recinto del Campo di Marte.

A Dieppe è stata sbarcata negli scorsi giorni una locomotiva che viene inviata all’ Esposizione di Pa­ rigi da una compagnia ferroviaria inglese. Questa locomotiva che ha percorso d’un sol tratto, sotto la scorta di due ingegneri meccanici la linea da Dieppe a Parigi è costrutta su di un modello per­ fezionato, adottato di recente per tutte le macchine a vapore che fanno il servizio dei treni di viaggia­ tori fra fra Londra e Vittoria sulla linea delf’est della metropoli inglese. Quando si potranno avere delle macchine che possano percorrere un lungo tragitto senza fermarsi a prendere acqua si sarà ri­ soluto il problema di viaggiare con rapidità estrema. La mattina del 15 corrente alle 9 e 1[2 ebbe luogo presso il ministro d’agricoltura industria e com­ mercio e sotto la sua presidenza la riunione dei commissarii generali delle nazioni estere. Il sig. Teis- serenc de Bort ringraziò quei funzionare perule pre­ mure da essi mostrate riguardo alla buona riuscita della Esposizione e li incaricò di trasmettere ai loro governi rispettivi l’espressione della riconoscenza del'a Francia per li attestati di amicizia che riceve dalle nazioni di tutto il mondo.

Poi il Ministro passò a parlare dello scopo della riunione.

_ Vi debbono essere pei nove gruppi dell’ Esposizione cinque presidenti stranieri e quattro presidenti fran­ cesi, nove vice presidenti stranieri e nove vice pre­ sidenti francesi. Trattavasi di sapere quali sarebbero strati i cinque gruppi presieduti dagli stranieri.

Il sig. Berger direttore delle sezioni estere ha spiegato come la ripartizione delle quattro cento no­ mine di giurati esteri era stata l'atta secondo la pro­ porzione delle superfìci occupate dalle nazioni all’ Esposizione, di modo che tutti gl’ interessi fos­ sero equamente rappresentati.

L’adunanza approvò questa ripartizione, di poi il Ministro chiese che si deliberasse a quale na­ zione dovesse darsi la presidenza del primo gruppo quello delle belle arti. Il commissario generale d’Haiti propose che questa presidenza venisse data alla Francia; ma dietro osservazioni del sig. Ferdinando Duval prefetto della Senna, cui associavasi il sig. Krantz non poteva per riguardi d’ospitalità ac­ cettare quella cortese profferta, il sig. Cunliffe Owen commissario inglese propose ch e 'la nomina delle presidenze fosse lasciata al ministro ed al com­ missario generale francese. Anche questa proposta fu per delicato riguardo respinta dal ministro Teisse- renc de Bort e dal sig. Krantz e fu allora che si adottò ad unanimità l’altra proposta di formare una commissione di rappresentanti delle potenze che hanno il maggior numero di espositori e che questa commissione dovesse fare la scelta dei presidenti. Di questa commissione faranno parte il ministro Jessei- renc de Bort e il sig. Krantz.

La Commissione sarà pertanto formata dal mi­ nistro Teisseireuc de Bort, dal commissario generale sig. Krantz e dai commissarii generali dell’ Inghil­ terra, del Belgio, della Russia, degli Stati Uniti, della Svizzera dell’Austro Ungheria, dell’Italia, della Spagna, della Svezia e Norvegia e dei paesi Bassi.

Questa commissione renderà conto delle sue de­ liberazioni in una prossima riunione ed io non man­ cherò di tenerveue informati.

Per oggi non ho altro d’importante da dirvi ri­ guardo alla Esposizione; sulla quale però spero, che i lavori rapidamente progredendo, potrò diffusamente e quasi esclusivamente intrattenermi nella ventura settimana.

Mi pare opportuno porre sott’ occhio ai lettori del vostro periodico un cenno che tòlgo da un prospetti pubblicato nel Journal Offldel sulla produzione e sul movimento degli zuccheri dal 1 settembre 1877 sino alla fine di marzo 1878.

Il numero delle fabbriche in attività di lavoro fu nell’ epoca suaccennata di 502 contro 497 dello spa­ zio di tempo corrispondente nell’ anno scorso. — Il movimento in complesso, cioè compresovi gli zuc cheri indigeni gli zuccheri coloniali e quelli esteri è di 73,282,174 kilogrammi mentre nell’ epoca cor­ rispondente (cioè dai 1° settembre 1876 alla fine marzo 1877 era stato di kilogrammi 49,783,974. L’ aumento pertanto è di 23,498,200 kilogrammi.

Debbo farvi parola di una importante assemblea tenuta dagli azionisti della linea ferroviaria delie Charentes. Ma prima di tenervi parola di questa riunione, nella quale a vero dire non fu certo data prova di quel positivismo e di quella serietà che sempre dovrebbero informare le deliberazioni ed i consigli degli uomini d ’ affari è d’ uopo vi accenni come un comitato di azionisti della linea stessa aves­ sero intrapreso una campagna a tutt’ oltranza per indurre la maggioranza dell’ assemblea a respingere la convenzione del riscatto come illegale e nulla; d’ onde vivaci discussioni che hanno dimostrato che il partito ostile al riscatto aveva sortito il suo ef­ fetto. Durante T assemblea la lotta, la guerra contro il consiglio di amministrazione a cui presiede il si­ gnor Anatolio Le Mercier fu grande, accanita, in­ cessante. Il presidente dimostrò ai malcontenti che il rifiuto della convenzione voleva dire il fallimento della società, e il fallimento entro brevissimo tempo: lo dimostrò con ragionamenti serii e palpabili ap­ poggiati alla logica ineluttabile delle cifre. Ma gli anti-convenzionisti non vollero far caso dei suoi ragionamenti e dichiararono che il fallimento era preferibile all’ accettazione del riscatto.

Questo modo di ragionare mi sembra, e sembrerà anche a voi molto strano. Poiché in conclusione questi anti-convenzionisti preferiscono il fallimento e la impossibilità di pagare ad una soluzione abba­ stanza sodisfacente che consiste nel pagare tutti i debiti della Compagnia lasciando un piccolo residuo agli azionisti. Che i malcontenti delle convenzioni preferissero di rientrare nell’ integralità dei loro ca­ pitali si intende, ma essi non possono pretendere che le finanze dello stato sieno là pronte per pagare le cattive speculalazioni di società o d’ intraprese commerciali ed industriali.

Se gli azionisti della compagnia delle Cherantes scenderanno a più savii consigli e si decideranno ad accettare la convenzione pel riscatto, daranno prova di quella serietà e di quello spirito' pratico che, come osservava di sopra, non dovrebbero mai essere poste in non cale da uomini che vivono in mezzo agli affari ed alle speculazioni.

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