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Danno alla salute in senso lato e danno esistenziale: la costruzione di una teoria generale di una terza categoria del danno a persona come programma e come sfida per la giurisprudenza futura

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Academic year: 2022

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Danno alla salute in senso lato e danno esistenziale: la costruzione di una teoria generale di una terza categoria del danno a persona come

programma e come sfida per la giurisprudenza futura

Avv. Gaspare Bertuetti1

Nella sua prima apparizione giurisprudenziale il danno esistenziale (sent. 21.10.98 Tribunale di Milano), è presentato e proposto come una nuova e terza categoria generale di danno alla persona, ed è innanzitutto inteso, appunto secondo la stessa proposta di Ziviz, come terza categoria generale di danno alla persona. In questo significato ed in questa prospettiva il danno esistenziale è inteso come esplicita alternativa alla proposta della nozione di danno alla salute in senso lato ed ha appunto identica (o equivalente) definizione, in termini di perdita conseguente, rispetto al vero e proprio danno alla salute inteso in senso lato: deficit nella realizzazione della persona e nel godimento della vita.

La giurisprudenza presa in esame propone, per il danno esistenziale, un referente di tutela costituzionale unico ed a carattere generale ed è implicito che esso dovrà servire per tutti i particolari e molteplici casi di danno esistenziale, in prospettiva futura e in ipotesi, riconosciuti e risarciti: all’art. 32 Cost. ed al diritto alla salute in senso lato, la sentenza del Tribunale di Milano contrappone e sostituisce come referente l’art. 2 Cost., inteso in senso lato anch’esso: l’art.2 Cost. è inteso, cioè, non già come intendevano Giannini e Colombini in senso ristretto come referente di tutela costituzionale del diritto alla incolumità oppure all’integrità psicofisica, bensì come referente di tutela costituzionale del diritto dell’individuo a manifestare e realizzare la sua personalità nell’esistenza e ciò nel più ampio significato di entrambi i termini. In questa prospettiva si evidenzia uno schema conforme alla costruzione teorica già in precedenza da me indicata, in sede di prima approssimazione critica, come necessaria per una costruzione del danno esistenziale come categoria generale.

Anche il singolo particolare diritto soggettivo codicistico violato, – preso in considerazione in questa prima apparizione del danno esistenziale nella giurisprudenza come terza categoria generale di danno a persona, nella fattispecie di danno esistenziale considerata e risarcita nella sentenza del Tribunale di Milano (diritto di proprietà e immissioni intollerabili e conseguente danno alla esistenza della persona) – vale a sottolineare la equivalente funzione, nella applicazione pratica, delle due figure generali di danno (danno alla salute inteso in senso lato e danno esistenziale). Questa fattispecie coincide infatti perfettamente con la medesima fattispecie (diritto soggettivo di proprietà violato e immissioni che superano la normale tollerabilità) già più volte rappresentata nella giurisprudenza di merito ed in quella di legittimità come danno alla salute in senso lato e, per lo più, ammessa a risarcimento come tale: e si trattava, proprio ed anche qui, sopratutto di sentenze del Tribunale di Milano.

È comprensibile la soddisfazione con cui Ziviz accoglie questa sentenza del Tribunale di Milano (sentenza 21.10.98 Tribunale di Milano, Giudice Unico Chimbeni: causa Menni e Paladini contro Menni riportata appunto su Resp.Civ.e Previdenza n.5-6 1999 pag.1335 e segg.) con cui la sua proposta del danno esistenziale, come una terza categoria generale di danno alla persona, fa il suo ingresso ufficiale nella giurisprudenza. Ziviz commenta questa sentenza nello scritto “Il danno esistenziale preso sul serio” (Responsabilità Civile e Previdenza 1999 Vol. n. 6 pag 1343 - 1348). In questo scritto Ziviz torna perciò, innanzitutto, sullo schema già da lei stessa proposto e rimane coerente alla sua posizione: infatti sottolinea e ribadisce che il danno esistenziale, come figura generale di danno, occupa il medesimo spazio occupato dal danno alla salute (nella fattispecie particolare di soggetto leso in proprio alla integrità psicofisica) e ricorda che, invece, la figura del danno alla salute non può svolgere questo ruolo di categoria generale di danno a persona. Richiama, in proposito, sentenze della Cassazione che escludono la sussistenza di un danno alla salute nella prospettiva di una “modificazione peggiorativa

1 Avvocato - Brescia

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della qualità della vita della vittima in assenza della dimostrazione di una lesione della salute” (Cass.

Civ. 3.2.99 n. 911 e Cass. Civ. n. 12.10.98 n. 10085 in Rivista Resp. Civ. e Previdenza Giuffè Milano n.

3 1999 pag. 752): proprio perché il danno alla salute presuppone, come requisito e come premessa, questa menomazione alla integrità psicofisica non può proporsi come terza categoria generale di danno a persona applicabile alle molteplici e diverse fattispecie con lesione di altri e diversi diritti soggettivi di origine e natura codicistica, idonee a determinare appunto una terza voce di danno a persona. Non si può fare a meno di ricordare, per contro ed a questo punto, che l’altra prospettiva (danno alla salute inteso in senso lato ed applicato, in funzione di terza categoria generale di danno alla persona, alla fattispecie del danno del congiunto dell’ucciso e del macroleso) ha già ottenuto il lasciapassare di altre sentenze (che Ziviz non richiama) come appunto la più recente 12195/98 della Cassazione. Ma torniamo a parlare ora del danno esistenziale e del suo progetto come terza categoria generale di danno a persona: a questo punto Ziviz passa a sottolineare che, in questa prima sentenza, il danno esistenziale viene correttamente ad essere collocato in una posizione intermedia fra danno morale e danno patrimoniale e che per esso si propone di utilizzare un giudizio equitativo che ha come modello di riferimento e di comparazione il danno alla salute. Dichiara di condividere entrambe queste prospettazioni ma dichiara di non condividere, invece, altri due aspetti evidenziati nella sentenza del Tribunale di Milano: in primo luogo mentre il Tribunale di Milano propende per una lettura costituzionale dell’art. 2043 ed una qualifica del danno esistenziale come danno patrimoniale, Ziviz propende invece per una lettura costituzionale dell’art. 2059 ed una qualifica del danno esistenziale come danno non patrimoniale. In secondo luogo Ziviz ritiene non corretto e non coerente far confluire, come fa il Tribunale di Milano, nel concetto di danno esistenziale una lesione della “serenità personale” ed “a causa della lesione della sfera psichica del soggetto” la “alterazione dei rapporti fisici, morali, culturali, affettivi e nei casi più gravi... una vera e propria malattia psichica". Ziviz ha buon gioco, a questo punto, nel richiamare (nel suo commento) la precedente affermazione, propria della stessa sentenza, in cui “l’alterazione della normale attività dell’individuo quali il riposo, il relax, l’attività lavorativa domiciliare e non” “si traducono nella lesione della serenità personale” e perciò sottolinea che il Tribunale di Milano “prendendo in considerazione la lesione di una nuova situazione giuridicamente rilevante quale la serenità personale innesca così un percorso circolare che dalla lesione primaria conduce al danno esistenziale e da questo alla violazione di un diverso interesse che giustifica l’applicazione dell’art. 2043” e ribadisce che “le eventuali implicazioni psicologiche negative che la modificazione peggiorativa della qualità della vita abbia prodotto a carico del danneggiato” ... “ esulano in ogni caso dalla problematica del danno esistenziale, il quale si limita a prendere in considerazione la realtà esterna”.

Ziviz concorda, invece, con il Tribunale di Milano che il giudizio equitativo di risarcimento del danno esistenziale può partire “da una operazione già felicemente condotta a termine” per il danno biologico e che i “valori predeterminati dalle tabelle del danno biologico costituiscono degli indici orientativi” “in attesa che anche in campi diversi da quelli della lesione alla salute si possa addivenire alla elaborazione di vere e proprie tabelle”.

Il discorso di Ziviz qui tocca indubbiamente un punto dolente della teoria del danno esistenziale, quando tocca il punto dell’aspetto psichico insito nella lesione dell’interesse che fonda il risarcimento della terza categoria generale di danno a persona. È certo che il Tribunale di Milano, quando parla di

“serenità personale” in qualche modo... ritorna sul luogo del delitto e ribadisce e subisce la suggestione del concetto di lesione del benessere esistenziale (insito e proprio nella nozione di danno alla salute in senso lato: ricordiamo il famoso precedente del Tribunale di Milano in tema di danno del congiunto come conseguente a lesione del diritto alla “serenità familiare”). Non si può negare che lo stesso discorso indica un punto essenziale nella costruzione della terza categoria generale del danno a persona quando implica che la “lesione primaria” (di cui parla anche Ziviz) è la lesione del diritto e che tale lesione primaria è sempre premessa del danno. Il discorso sul danno esistenziale, a questo punto, deve a

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sua volta implicare, appunto, la corrispondente definizione di un “diritto esistenziale” appunto come

“lesione primaria” a livello dell’unico e generale referente di tutela costituzionale indicato (con una definizione più ampia e più generale di quella del singolo diritto soggettivo codicistico considerato leso nel caso, singolo e diverso, nell’ambito di una pluralità di casi tipici di danno esistenziale): la “lesione primaria” a cui fa seguito il danno esistenziale, considerato e risarcito come tale, non può identificarsi, invece (come sembra far supporre il discorso a questo proposito ripetuto da Ziviz) con il singolo diritto soggettivo codicistico violato (nella particolare fattispecie: il diritto soggettivo del proprietario a non subire immissioni intollerabili). Quantomeno questa prima identificazione non sarebbe e non potrebbe essere sufficiente nella prospettiva di risarcire un conseguente danno esistenziale ma soltanto nella prospettiva risarcitoria già propria della Sezione IX del Libro IV del Codice Civile: stabilire il metodo risarcitorio e stabilire il fondamento risarcitorio di una categoria di danno risponde a due questioni ben diverse.

Il problema che qui viene implicato nel commento di Ziviz (ma soltanto sfiorato e invece non, forse, adeguatamente trattato) è, in realtà, problema autentico e centrale nell’ambito di una teoria generale del danno esistenziale e comunque nell’ambito della costruzione – in genere – della teoria propria di una terza categoria generale del danno a persona. La costruzione teorica della terza categoria generale del danno a persona come danno esistenziale non può non essere, anche, la costruzione di una teoria generale del “diritto esistenziale” come “lesione primaria” e non può non dare, anche, una definizione del diritto esistenziale idonea a ricomprendere in sé i singoli casi di diritti soggettivi codicistici tutelati – in ipotesi – per mezzo dell’istituto del danno esistenziale come singoli molteplici e particolari casi che rientrano in una categoria più generale di diritto esistenziale ed, appunto ed anche, nella categoria più generale di danno esistenziale. Infatti una prospettiva che consenta la tutela di una nuova categoria di danno (di origine non codicistica) non consente molte alternative. Il danno di origine non codicistica non può essere ammesso a risarcimento secondo le precise indicazioni contenute nella Sezione IX del Libro IV del Codice Civile. Potrebbe dunque essere ammesso a risarcimento – in prima ipotesi – per analogia (ma riteniamo questa prospettiva non coltivabile per ragioni che attengono entrambi gli aspetti delle utilità considerate: 1) utilità e attività non scambiata e non remunerata; 2) inesistenza di un parametro obiettivo di traduzione in equivalente pecuniario) oppure può essere introdotto dal legislatore con una nuova norma (che appunto definisca e risarcisca la terza categoriale generale di danno a persona) ma anche questa è da ritenere una prospettiva non coltivabile ed anche Ziviz, presentando e commentando il progetto di riforma della responsabilità civile obbligatoria e in particolare del danno del congiunto, ha auspicato-auspicio assolutamente da me condiviso – che il legislatore non metta le mani sulla materia. La ragione di questo atteggiamento negativo verso una ipotesi di intervento del legislatore è che si tratta di costruire una teoria generale che va a collegarsi ad aspetti ed a vincoli concettuali che coinvolgono l’intera organizzazione codicistica e l’intero ordinamento giuridico; questa materia è, per sua natura, riservata non al legislatore ma alla dottrina e alla giurisprudenza o quantomeno deve essere, preliminarmente, fatta oggetto di idonea esplorazione dottrinale e giurisprudenziale. Infine – ed in alternativa – al fine di individuare il fondamento giuridico specifico di una terza categoria generale di danno a persona si tratta di ripercorrere la strada, già percorsa dalla 184/86 C.Cost., appunto: la 184/86 aveva preso le mosse non da un danno ma dalla lesione di un diritto: è la lesione del bene salute (sotto il profilo giuridico e valutativo: la lesione del diritto alla salute) che è risarcita di per sé come vero e proprio danno (grazie all’argomento del referente di tutela costituzionale identificato nella norma, appunto, costituzionale dell’art.32, intesa come direttamente precettiva e con effetti interprivatistici e grazie all’argomento della rilettura costituzionale del codice nel combinato disposto con la norma costituzionale e grazie alla nozione di danno evento). Dopo la 372/94 questo argomento è stato necessariamente riformulato e tradotto ed inteso nel senso che si risarcisce necessariamente non la lesione della salute ma la conseguenza tipica necessaria di tale lesione della salute: si risarcisce, dunque, il danno alla salute, non identificato con l’evento ma con la perdita conseguente, presunta in via assoluta

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per il solo fatto della lesione. Questo procedimento logico giuridico può esser ripercorso per qualsiasi altro diritto soggettivo codicistico che venga “costituzionalizzato” e sussunto e riconosciuto nella definizione di un diritto avente tutela privilegiata a livello costituzionale: la lesione del diritto codicistico alla integrità psicofisica nella 184/86 era stata considerata sotto l’aspetto valutativo e giuridico – per di più ed inoltre – come un caso di lesione del più ampio e, costituzionalmente sancito, diritto alla salute. Se si deve ripetere questo risultato si deve anche ripetere il medesimo procedimento:

si deve, perciò, evidenziare che il diritto familiare e le obbligazioni assistenziali inerenti a contenuto personale e morale sono assorbite in un diritto (art.29 e 30 Cost.) a tutela privilegiata a livello costituzionale e che il danno tipico (perdita conseguente necessaria e assolutamente presunta) è risarcita come tale e come danno del congiunto (se ci si limita ad evidenziare questo solo referente di tutela costituzionale) ed è anche risarcita come danno alla salute (se ed in quanto si sottolinea, appunto, che diritto e danno del congiunto rientrano nella più ampia definizione del diritto e del danno alla salute). La stessa procedura può e deve ripetersi (e la ripete appunto la sentenza del Tribunale di Milano) per il danno esistenziale: il diritto di proprietà e la sua tutela nel caso di immissione intollerabili vengono inquadrati nel danno esistenziale in quanto vengono inquadrati nel diritto esistenziale sancito dall’art.2 Cost. e il singolo diritto codicistico viene fatto rientrare nella più ampia definizione del diritto esistenziale a referente di tutela costituzionale per cui le perdite tipiche conseguenti, necessarie e presunte in via assoluta, sono necessariamente risarcite come danno esistenziale.

Non si può fare a meno di rilevare che quando la 184/86 applicava alla lesione della integrità psicofisica del soggetto l’argomento del referente di tutela costituzionale e l’argomento della rilettura codicistica in chiave costituzionale (per cui la integrità psicofisica rientrava nella nozione più ampia e più generale di salute e di diritto alla salute e, sotto questo profilo giuridico e valutativo, trovava il suo fondamento risarcitorio appunto nel referente di tutela costituzionale che sancisce il diritto alla salute e nell’argomento della rilettura codicistica in chiave costituzionale ed, appunto, in chiave di quel referente) implicava e applicava già il medesimo tipo di procedimento logico che si deve arrivare ad applicare per tutelare i singoli casi di danno esistenziale. Si tratta, pur sempre ed infatti, della medesima operazione logico giuridica anche se la operazione logica in quel caso era così elementare ed ovvia da sembrare persino banale: evidentemente, tuttavia, non era abbastanza ovvia e banale da non esser fraintesa da molti ed in particolare da tutti coloro i quali si ponevano sulla strada e nella prospettiva di procedere ad una dichiarata identificazione della lesione all’integrità psicofisica e della lesione della salute o della identificazione della prima (lesione dell’integrità psicofisica) con un requisito della seconda (lesione della salute). Al contrario, nella teoria della 184/86 e nella costruzione teorica che utilizza quella teoria per costruire la nozione più generale ed ampia del bene salute e la teoria del danno alla salute come terza categoria generale del danno a persona, la lesione della integrità psicofisica e la lesione del diritto alla salute, sono invece, fra di loro, in un rapporto di caso particolare rispetto al concetto più ampio ed alla categoria più generale. Anche in questa nuova teoria del danno esistenziale si deve arrivare a dimostrare che il diritto leso (in ipotesi: diritto codicistico e particolare) alla cui lesione appunto consegue la tutela del danno esistenziale (come perdita conseguente tipica e necessaria e presunta in via assoluta) rientra nella nozione più generale e più ampia di diritto esistenziale idonea a ricomprendere come casi particolari i singoli casi di diritti esistenziali violati e di danni esistenziali conseguenti. Proprio questo rapporto logico (da particolare a generale) è la premessa dell’argomento della 184/86 ed, allo stesso modo, è la premessa anche di ogni possibile e ulteriore applicazione dell’argomento logico di rilettura costituzionale. Inoltre – ed anche in questi casi – si deve sottolineare un ulteriore importante riflesso: il diritto leso e il danno tipico conseguente sono in quel rapporto di vicendevole implicazione logica illustrato dalla nozione – di per sé ed in origine fuorviante – di danno evento: la nozione di danno evento è stata poi chiarita dalla 372/94 ed, in questo moderno e depurato significato, è stata anche reimpiegata nella giurisprudenza della Cassazione che ha costruito la teoria del diritto soggettivo costituzionalizzato del congiunto vittima secondaria: si tratta, appunto, di vedere nella

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lesione del diritto la premessa (evento) e nel danno la conseguenza presunta, tipica e necessaria, inseparabile in un procedimento unitario in natura e consapevolmente distinta soltanto al fine della utilizzazione delle categorie giuridiche.

L’unica alternativa possibile ad una trattazione della questione a questo livello ed in questa prospettiva sarebbe appunto – come già si è prospettato – quella di affidarsi alla analogia (anziché alla ripetizione o comunque alla riproduzione, come si è prospettato ora, di un ragionamento simile a quello proprio della 184/86 e qualificato come argomento della rilettura codicistica in chiave costituzionale).

Come tutti ricordiamo alla analogia del bene e del danno si era affidata in origine la teoria genovese (per ogni soggetto di diritto la sua persona psicofisica è un bene non soltanto personale ma anche patrimoniale e la lesione di tale bene è, perciò stesso, un danno patrimoniale ed è, quindi, danno risarcibile per analogia appunto con il danno patrimoniale già risarcito) mentre alla analogia del danno si era affidata la teoria pisana (le limitazioni e le perdite conseguenti alla lesione del bene integrità psicofisica e del bene salute presentano analogia con la figura del lucro cessante in quanto la realizzazione della persona e il godimento della vita rappresentano una forma di utilità e comunque ottengono anch’esse, come il lucro cessante, una valutazione obiettiva statistica e social tipica).

Tuttavia, proponendosi di percorrere questa strada, ci si trova di fronte (e se ne deve essere ben consapevoli) obiezioni di notevole peso:

1) proprio ora che la giurisprudenza della Cassazione ha più volte sottolineato la eterogeneità, la incommensurabilità, la irriducibilità del danno alla salute, in senso proprio e specifico, alla nozione ed all’istituto del danno patrimoniale sembra problematico coltivare una prospettiva di fondamento risarcitorio e di metodo risarcitorio fondato proprio sulla analogia delle due categorie di danno;

2) questo metodo della analogia, rinunciando all’argomento tipico della 184/86 (il referente di tutela costituzionale e la rilettura codicistica in chiave costituzionale che genera il risarcimento necessario della conseguenza tipica e necessaria a sua volta), comporta anche la rinuncia a quella teoria del diritto soggettivo costituzionalizzato la cui importanza Ziviz stessa ha rilevato e sottolineato e la cui diffusione sarà difficilmente contrastabile proprio perché espressamente enunciata e teorizzata dalla stessa Cassazione.

3) È difficile, infine, parlare di analogia fra il danno patrimoniale da un lato (lucro cessante e danno emergente) ed il danno alla salute o il danno esistenziale da un altro lato e già la 184/86 aveva appunto escluso che si potesse parlare di analogia sotto questo profilo: è bensì vero che in definitiva tutto si riduce ad una utilità soggettiva e ad una mancanza di utilità soggettiva ma quello che viene sopratutto a mancare è proprio la “eadem ratio” a fondamento della analogia. Mentre nel danno patrimoniale (lucro cessante e danno emergente) siamo di fronte ad una utilità scambiata e ad una attività scambiata e remunerata e siamo di fronte ad un parametro obiettivo di traduzione in equivalente pecuniario costituito dallo stesso scambio e dal mercato, qui invece l’utilità è confinata entro l’area del soggetto che produce l’attività e non vengono scambiate né l’attività né l’utilità. A sua volta il discorso sulla valutazione obiettiva e socialtipica (ed il conseguente valore e parametro base del punto di invalidità) era soltanto una ingegnosa finzione perché i precedenti di giudizi equitativi (posti a base del rilevamento statistico cosiddetto socialtipico e perciò obiettivo e della ricostruzione del valore del punto) nascondevano in realtà giudizi equitativi risarcitori di micropermanenti, diretti ad indennizzare proprio l’eterogeneo danno patrimoniale e nascondevano e mascheravano il carattere invece necessariamente convenzionale del parametro risarcitorio del danno alla salute (ed esattamente, allo stesso modo, del danno esistenziale).

In questa prospettiva si deve sottolineare che indubbiamente è stato fatto un primo passo sulla strada della teoria del danno esistenziale (come figura unica e generale di terza categoria generale di danno a persona) e, sotto questo profilo, ha ragione Ziviz di rallegrarsene ed ha ragione di dire che il danno esistenziale è stato preso sul serio dalla giurisprudenza; me ne devo rallegrare e me ne rallegro io stesso (che pur ritengo e sostengo, invece, essere sufficiente al fine di conseguire tutti i risultati, proposti

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nell’ambito di questo progetto e che la stessa figura del danno esistenziale si propone di conseguire, più semplicemente la figura del danno alla salute inteso in senso lato). Infatti che si percorra con serietà anche questa strada alternativa (del danno esistenziale) non soltanto dalla dottrina ma anche dalla giurisprudenza vuol significare, comunque, che i tempi sono maturi e che le coscienze sono mature per assicurare, comunque, il risultato – o attraverso una scelta o attraverso l’altra – di costruire la terza categoria generale del danno a persona. Sarà oggetto del futuro sviluppo della giurisprudenza (e, se si vuole, potrà esser oggetto anche di previsione e di scommessa) scegliere in futuro di perseguire e di assicurare (con l’una scelta o con l’altra) il risultato della costruzione di una categoria generale di danno, intermedia fra danno patrimoniale e danno morale, intesa a svolgere appunto, come terza categoria generale di danno alla persona, la funzione già svolta nella 184/86 C.Cost. dalla lesione del bene salute e svolta nella 12195/98 Cass. Sez. III dalla lesione del diritto del congiunto. Si prospetta una fase appassionante nell’immediato futuro della giurisprudenza: appunto la scelta dell’una o dell’altra strada e la costruzione completa e consapevole non già di due teorie generali ma di una sola teoria generale, rigorosamente unificata, come terza categoria generale di danno alla persona.

Tuttavia tanto questa stessa sentenza del Tribunale di Milano come la stessa critica, a commento, di Ziviz dimostrano che questa teoria generale è ancora ben lungi dall’essere avviata a compimento e sopratutto che vi è ancora parecchia incertezza su come avviarla e compimento. Dunque si tratta soltanto di un primo passo, serio finchè si vuole, ma sempre e soltanto un primo passo. Infatti da un lato la sentenza del Tribunale di Milano si rende conto della necessità di ravvisare un referente di tutela costituzionale unico e generale per ogni forma – molteplice, particolare e diversa – di danno esistenziale (ed appunto lo indica nell’art.2 della Costituzione). Ma la sentenza del Tribunale di Milano non perviene alla piena consapevolezza che questo referente è anche (e deve anche esser chiamato) diritto esistenziale e che con piena consapevolezza se ne deve proporre una definizione, appunto, come diritto esistenziale:

ciò, quantomeno, sempreché si sia determinati a voler costruire la terza categoria generale del danno a persona, appunto, nella prospettiva del danno esistenziale anziché nella prospettiva del danno alla salute in senso lato. Qualunque sia la scelta del nomen iuris e del referente di tutela costituzionale (o dei più referenti di tutela costituzionale) ciò che deve restare fermo ed identico è il metodo.

Che su questo punto non via sia ancora sufficiente consapevolezza è tanto vero che l’estensore della sentenza parla non già di diritto esistenziale violato ma parla invece di “diritto alla serenità personale”

violato ed è tanto vero che a tale diritto la stessa sentenza ci riporta, come osserva giustamente Ziviz, non direttamente ma con un ragionamento di tipo circolare in cui, cioè, non si capisce più bene quale è la causa e quale è la conseguenza. È anche vero, tuttavia, che molto bene la stessa sentenza intuisce che quel referente, unico e generale a livello costituzionale, deve comunque esser definito e che esso deve porsi in stretto rapporto con il singolo diritto soggettivo (tutelato attraverso lo strumento del danno esistenziale in caso di sua violazione) anche se la esatta natura di questo rapporto – caso particolare di una categoria più generale – non è per ora esattamente evidenziata. La stessa sentenza – per quanto può desumersi dalla sua motivazione – intuisce anche in pieno (con quel discorso sulla serenità personale) che esiste un rapporto stretto fra lesione del diritto e danno (come nella figura del danno evento: due facce della stessa medaglia) e che questo rapporto stretto postula, comunque e sempre, anche un aspetto psichico ed attitudinale nella lesione del diritto. Ciò resta vero anche se nella sentenza del Tribunale di Milano non si evidenzia espressamente e non si teorizza la implicazione necessaria vicendevole fra il concetto di danno esistenziale e di diritto esistenziale violato e anche se ci si ferma ad un aspetto, soltanto, molto particolare nell’ambito della complessiva attitudine psichica del soggetto. Questo aspetto molto particolare è appunto quello della “serenità personale”, come già si era fatto in precedenza per la

“serenità familiare”: in entrambi i casi, usando dei due concetti in senso molto lato, si può arrivare a ravvisare nella “serenità” un sinonimo, inconsapevole, di “attitudine psichica complessiva”. Ciò resta vero anche se nella sentenza del Tribunale di Milano non si sottolinea che il bene leso si pone, in questo

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specifico e particolare rapporto, come potenza e come attitudine del soggetto nei confronti delle perdite tipiche conseguenti e necessarie. Tuttavia è certo che, pur nell’ambito di queste evidenti e doverosamente sottolineate limitazioni, la sentenza del Tribunale sceglie consapevolmente la strada del diritto soggettivo costituzionalizzato, strada che si propone e che si è teorizzata – appunto – anche in questo libro per il danno alla salute ed in generale per qualsiasi terza categoria generale di danno a persona (e del referente di tutela costituzionale e della rilettura costituzionale posti a fondamento risarcitorio del danno esistenziale come figura e categoria generale di danno alla persona) pur non percorrendosi dal Tribunale questa strada sino in fondo. Basterebbe a questo punto semplicemente compiere altri due passi ed altre due scelte 1) enunciare, consapevolmente ed espressamente, che la serenità personale o familiare sta a significare la complessiva attitudine anche psichica del soggetto ad esprimersi e realizzarsi; 2) che la “lesione primaria” non è la lesione del singolo diritto codicistico come tale, almeno quando si parla di danno esistenziale: la lesione primaria è, anche e sopratutto, eo ipso la lesione del diritto soggettivo costituzionalizzato ed è, come tale, la premessa necessaria del danno esistenziale. Tuttavia in questa prospettiva deve essere chiaro che la lesione del singolo diritto soggettivo codicistico, la lesione primaria che fonda il risarcimento, la lesione del diritto soggettivo costituzionalizzato (diritto esistenziale), la lesione della attitudine complessiva (anche psichica) sono la stessa cosa o, comunque, sono altrettanto modi diversi di guardare alla stessa cosa.

Non sembra invece che di dover percorrere questa strada sia già del tutto persuasa anche Ziviz: non sembra, infatti, che a fronte del danno esistenziale si persuada che il fondamento del risarcimento non è nell’analogia con il danno già risarcito nel Libro IV Sezione IX del codice civile attraverso le figure codicistiche descritte appunto in quella sezione ma non è nemmeno e non può essere soltanto nella lesione del singolo diritto soggettivo codicistico (che viene “costituzionalizzato") e che viene considerata lesione primaria. Infatti dire che il singolo diritto soggettivo codicistico viene costituzionalizzato equivale necessariamente a prendere conoscenza e coscienza di tutti i punti che si sono premessi (e che di seguito si spiegano). Anche se si parla di lettura costituzionale dell’art.2059 (come già si è parlato da altri – la stessa sentenza del Tribunale di Milano – di lettura costituzionale dall’art.2043) sembra che non ci si voglia dichiarare espressamente consapevoli o comunque non si veda come la “lettura (o rilettura: v. 184/86) costituzionale” – auspicata del resto espressamente ed espressamente menzionata – implica non soltanto la scelta di un referente a livello costituzionale ma implica anche qualcosa di più. Infatti la strada, così scelta, implica necessariamente:

1) la identificazione di questo referente di tutela costituzionale come una categoria generale di diritto che corrisponde ad una categoria generale di danno;

2) la identificazione di questo referente di tutela costituzionale come un concetto più ampio e come una categoria più generale di diritto in cui i singoli diritti soggettivi codicistici (tutelati con il risarcimento del danno esistenziale) rientrano come casi particolari (perché proprio in ciò consiste l’argomento della 184/86 per cui la integrità psicofisica rientra nel bene salute e nel diritto alla salute e se ne fonda, proprio così, il risarcimento);

3) è la definizione di questo referente di tutela costituzionale in termini di nozione del diritto esistenziale che fonda il risarcimento del danno esistenziale;

4) la definizione di questo referente di tutela costituzionale come diritto esistenziale in termini di situazione di benessere esistenziale, attitudine, potenza del soggetto (di cui fa parte necessariamente anche una componente psichica) costituisce appunto la premessa necessaria, la “lesione primaria” che costituisce presunzione assoluta della perdita necessaria e tipica conseguente.

Concordo con Ziviz in molti punti del suo commento ed anche i punti per cui ritengo di non dover concordare (tabelle da predisporre per ogni singolo tipico e particolare danno esistenziale; lettura costituzionale dell’art.2059 anziché dell’art.2043; esclusione del danno psichico dal danno alla salute e dal danno esistenziale) ritengo altresì abbiano relativa importanza ai fini della costruzione di una teoria

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generale del danno esistenziale: si tratta di questioni accessorie (le prime due) o successive (la componente psichica). Ciò che invece ha molta importanza ed è essenziale al fine della costruzione di una teoria generale del danno esistenziale è la necessaria, concomitante e parallela, costruzione di una teoria generale del diritto esistenziale e la consapevolezza che questa costruzione del diritto esistenziale implica l’assorbimento (nel diritto esistenziale tutelato da una norma costituzionale direttamente precettiva) dei singoli diritti codicistici, fonda il risarcimento della loro violazione, implica un rapporto – lesione del diritto/danno evento – di presunzione logica assoluta e vicendevole, implica l’attribuzione di particolari caratteristiche (proprie della più moderna e depurata nozione di danno evento) con cui si sottolinea la presenza nella premessa (lesione del diritto) già di un aspetto costitutivo del danno che è la lesione della complessiva attitudine e potenza del soggetto. Ziviz ancora rifiuta di riconoscere questo aspetto del diritto esistenziale e lo rifiuta appunto perché guarda alla lesione del diritto esistenziale (intesa come lesione di una situazione di attitudine anche psichica) nella prospettiva riduttiva di un danno psichico e nella prospettiva (congiunta ad essa) di fonte di confusione e di fonte di duplicazione rispetto alla nozione del danno morale e fonte di un discorso invertito, magico o, addirittura, circolare.

Questi vizi dell’argomentazione (discorso invertito, magico, circolare) possono anche essersi talora presentati per difetto di chiarezza ma non sono affatto inerenti essenzialmente un discorso che definisca il rapporto fra diritto alla salute e danno alla salute o l’identico rapporto fra diritto esistenziale e danno esistenziale.

I punti in cui ritengo di non dover concordare con Ziviz sono 1) le tabelle del danno esistenziale:

Ziviz ha una intuizione validissima quando, a difesa della figura di danno esistenziale proposta come terza categoria generale di danno alla persona, propone anche il metodo equitativo per risarcire il danno ed il modello ed il riferimento delle tabelle del danno biologico. Dovrebbe tuttavia seguire sino in fondo questa intuizione e non lo fa, invece, quando addirittura auspica che siano create, in futuro, singole tabelle convenzionali per ogni singola figura particolare di danno esistenziale, sul modello delle tabelle del danno biologico. Come? Non si è ancora riusciti in dieci anni a proporre una (pur così importante) tabella unificata per il danno biologico e si vuol prospettare alla giurisprudenza il compito di costruire e proporre cento (in ipotesi), singole e diverse, tabelle particolari per ogni singolo caso di danno esistenziale tipico (in fieri)?!? Già era parso un compito superiore alle forze, anche organizzate, il primo: se poi consideriamo che le risorse della giurisprudenza dovrebbero esser immiserite dividendosi, nell’analisi, in tanti settori particolari diversi (tanti quanti i singoli casi particolari di diversi diritti e danni esistenziali) è agevole vedere che questa prospettiva, troppo specializzata, non può avere un futuro. Oltretutto non ve ne è alcun bisogno: basta tenere e usare, proprio come riferimento, la tabella del danno biologico e parzializzarla qualitativamente e quantitativamente nei particolari casi di danno esistenziale. Solo una parte del tempo dedicato, solo un ambiente in cui le attività della vita extralavorativa si svolgono, solo una parte di queste attività o solo una di queste attività si prospettano coinvolte dalla lesione del diritto e dal conseguente deficit realizzativo della persona nella vita, con riferimento al singolo caso di danno esistenziale (via via individuato) mentre, nel caso del vero e proprio danno biologico, tutte le attività di realizzazione della persona nella vita potenzialmente sono coinvolte (e tutte indennizza il parametro tabellare del danno biologico). 2) La lettura costituzionale dell’art.2059:

sotto un profilo soltanto logico ed astratto questa soluzione andrebbe altrettanto bene che una rilettura costituzionale dell’art.2043 ma ci esporrebbe appunto al limite intrinseco dell’art.2059 (e cioè il requisito della colpa penale). 3) Il danno alla salute è, anche, un danno psichico ma questa nozione di danno psichico non compromette affatto, come teme Ziviz, la distinzione del danno alla salute dal danno morale e non crea confusione né duplicazione risarcitoria. Infatti - da un lato ed innanzitutto – il danno morale è un danno, anche, psichico ma non soltanto psichico: infatti prima della vera e propria sofferenza psichica di carattere emotivo (per es. per la perdita di un congiunto) e prima ancora della sofferenza psichica di carattere morale (p.es.: per la dignità offesa) esiste nel danno morale una

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importantissima componente che è la sofferenza fisica o – se vogliamo altrimenti chiamarla – la sofferenza psichica che ha esclusiva causa nella sofferenza fisica: dunque il danno morale si prospetta come sofferenza, frustrazione, umiliazione fisica, psichica e morale. A sua volta anche il danno alla salute è un danno, anche, psichico perché non si esaurisce – come vuole Ziviz – in un fatto esterno ed obiettivo e non si esaurisce nella prospettiva della realizzazione della persona e del godimento della vita ma si sostanzia anche nella lesione del bene strumentale che è la necessaria premessa della realizzazione della persona e del godimento della vita (cioè nella lesione del benessere/attitudine): dunque di questo danno fa necessariamente parte un aspetto psichico ma esso, come le altre componenti dell’attitudine, viene in considerazione soltanto sotto il profilo, appunto, della attitudine e della potenzialità di realizzazione. Fra questi due aspetti diversi non esiste alcuna possibile confusione anche se non si può affatto negare che essi possano interagire: ma ciò che rileva è che, al fine delle due figure di danno da risarcire, questi due aspetti diversi vengono considerati e risarciti separatamente, in modo autonomo ed eterogeneo.

Quando, modernamente dopo la 372/94, sentenze come la 12195/98 e 4186/98 o 11236/97 parlano, in un nuovo senso, di danno evento esse parlano – appunto – di danno evento nel senso di danno presunto e cioè nel senso per cui il danno e la lesione del diritto si implicano reciprocamente e vicendevolmente, anche se non si identificano. In questo senso la nozione di danno alla salute in senso lato (ma anche e per identiche ragioni la nozione di danno esistenziale in senso lato) hanno come premessa la lesione del diritto (alla salute o esistenziale) e non c’è danno alla salute o danno esistenziale se non c’è la lesione del diritto. La lesione di questo particolare diritto, a sua volta – la lesione primaria: non il singolo diritto codicistico che viene costituzionalizzato ma il referente di tutela costituzionale che è anche la categoria generale in cui il singolo diritto è inquadrato – è lesione di un bene nella cui definizione rientra anche la psiche del soggetto intesa non come strumento passivo di sofferenza ma appunto (e con una autonoma valutazione di danno) come attitudine, potenza, strumento attivo di realizzazione della persona.

Il danno morale e il danno alla salute costituiscono due tipi diversi – distinti ed inconfondibili – di danno psichico e coinvolgono aspetti diversi della sfera psichica in relazione al comportamento del soggetto: allo stesso modo costituiscono due diversi distinti e inconfondibili tipi di danno (ed anche di danno psichico) la nuova categoria del danno esistenziale e la categoria del danno morale nel reciproco rapporto. Ciò deve essere evidenziato se ed in quanto, appunto, la nuova figura del danno esistenziale vuole sostituirsi e vicariarsi alla categoria generale del danno alla salute in senso lato e se ed in quanto vuole fare ciò proprio per mezzo dell’iter logico offerto dalla teoria e dal sistema del diritto soggettivo costituzionalizzato e dalla ripetizione ad hoc della procedura della rilettura codicistica in chiave costituzionale. Esiste un referente di tutela costituzionale del diritto e ogni singolo diritto codicistico leso (per cui, appunto, in caso di lesione del diritto si prospetta un danno esistenziale) è tutelato, per questo danno specifico, appunto perché è suscettibile di esser collegato a quel referente di tutela costituzionale. Tuttavia affermare che il singolo diritto è collegato a quel referente non significa nient’altro se non affermare che esso è collegato perché è ricompreso in quel referente. Dunque si deve essere chiaramente consapevoli che: 1) offriamo di quel referente di tutela costituzionale una definizione di carattere generale; 2) in questa definizione di carattere generale rientrano, come casi particolari, i singoli diritti soggettivi (per cui è prevista la tutela, in caso di lesione, attraverso il danno esistenziale);

3) chiamiamo diritto esistenziale il referente definito ed anche chiamiamo diritti esistenziali i singoli diritti soggettivi sanciti da norme codicistiche comuni che diciamo “costituzionalizzati”; 4) siamo consapevoli che la operazione per cui si individua, in un diritto soggettivo codicistico e dunque in una norma ordinaria, un diritto soggettivo costituzionalizzato (e per cui tale diritto viene tutelato come costituzionalizzato e quindi con il risarcimento necessario di tutte le conseguenze pregiudizievoli tipiche e necessarie) consiste appunto nella consapevolezza delle tre operazioni precedenti; 5) nel costruire e nel delineare la definizione di carattere generale di cui al punto 1) siamo consapevoli di evidenziare il legame di reciproca necessaria implicazione logica fra lesione e danno già evidenziato nella nozione di

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danno evento e nella nozione di lesione e danno in relazione al bene salute. Tale legame consiste anche nell’evidenziare nel bene salute leso (o nel diritto esistenziale leso) il danno stesso già esistente in potenza come deficit della complessiva situazione di attitudine del soggetto; l’aspetto psichico del danno alla salute e del danno esistenziale fa parte della complessiva situazione di potenzialità e di attitudine (nella definizione dell’attitudine e della potenzialità rientrano anche necessariamente aspetti psichici).

Se si arriverà a questa consapevolezza si arriverà anche ad un teoria generale del danno esistenziale perché si arriverà ad un teoria del diritto esistenziale (indifferente che il referente sia l’art.2 o 32 o 29 e 30 o tutte le norme complessivamente anzichè in alternativa) ed anche perché si arriverà alla piena consapevolezza che questo diritto (alla salute o, in alternativa, esistenziale) si descrive in termini di benessere esistenziale visto come attitudine e cioè come “potenza” della persona che si traduce in “atto”

(e in perdita conseguente in caso di lesione del diritto) nella realizzazione della persona e nel godimento della vita.

Questa “attitudine” meglio si descrive come un insieme di caratteristiche proprie della persona e considerate nella prospettiva attitudinale e cioè nella prospettiva di una potenzialità che si deve tradurre in atto nella realizzazione della persona e del godimento della vita:

1) della attitudine fan parte (innanzitutto) la incolumità della persona e la assenza di malattie fisiche o psichiche; 2) della attitudine fan parte le condizioni in cui la persona opera (appunto pienezza e totalità delle condizioni per la espressione ottimale); 3) della attitudine fanno parte anche la carica psichica, il modo di essere e le singole qualità personali con cui la persona opera (che, quando compromesse, non costituiscono di per sé lesione o malattia); 4) della attitudine fa parte anche il quadro di motivazione consapevole e razionale (valori, programmi, motivazioni, finalità) dell’agire della persona (quadro che, se compromesso, a sua volta non costituisce lesione o malattia).

Queste attitudini proprie del soggetto, quando sono menomate, divengono carenza di attitudine e perciò stesso fanno presumere, iuris et de iure, il danno: non sono malattie o lesioni e non sono malattie o lesioni psichiche ma sono tuttavia danni psichici e fanno parte del diritto alla salute inteso in senso lato e del danno alla salute inteso in senso lato (appunto come benessere esistenziale e attitudinale). Esse fanno parte – ad identico titolo – anche del diritto esistenziale inteso in senso lato (appunto se ed in quanto tale nozione voglia proporsi come figura alternativa e vicariante del diritto e del danno alla salute inteso in senso lato e inteso come terza categoria generale del danno a persona) e fanno parte anche del danno del congiunto (e costituiscono quella parte del danno del congiunto che non vediamo e non risarciamo se guardiamo soltanto al diritto verso il familiare e all’adempimento e all’inadempimento delle obbligazioni inerenti da parte del familiare e verso il familiare e che guardiamo e risarciamo, invece, se consideriamo il danno tipico del congiunto anche come danno alla salute in senso lato e dunque anche come danno psichico e nella prospettiva delle figure 3) e 4) più sopra delineate.

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