• Non ci sono risultati.

Attività Diabetologica e Metabolica in Italia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Attività Diabetologica e Metabolica in Italia"

Copied!
6
0
0

Testo completo

(1)

Attività Diabetologica e Metabolica in Italia

Congresso Congiunto SID-AMD Sezione Veneto-Trentino Alto Adige

Il Diabete Mellito – Gestione, Innovazione, Ricerca

Verona, 13 novembre 2010

Comitato Scientifico: R.C. Bonadonna, A. Morea

Riassunti

Diabete e gravidanza: effetto sulla qualità di vita Bonsembiante B1, Dalfrà MG1, Nicolucci A2, Masin M1, Cosma C1, De Cata AP1, Lapolla A1

1Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi di Padova; 2Dipartimento di Farmacologia Clinica ed Epidemiologia, Istituto M. Negri Sud, S. Maria Imbaro (CH) Introduzione. Esistono scarsi dati in letteratura riguardanti la qualità della vita in donne gravide diabetiche. Abbiamo pertanto ritenuto opportuno eseguire una valutazione della stessa utiliz- zando parametri sia generali sia specifici per diabete.

Materiale e metodi. Duecentoquarantacinque donne in gravi- danza (30 affette da diabete mellito di tipo 1, 176 affette da dia- bete gestazionale [GDM] e 39 controlli), tutte di razza caucasica e di età confrontabile, sono state invitate a compilare, al terzo tri- mestre di gravidanza e due mesi dopo il parto, un questionario consistente in 2 strumenti di misura generali (SF-36 health sur- vey, CES-D scale) al fine di esplorare differenti dimensioni della qualità di vita. Le gravide affette da diabete di tipo 1 e GDM hanno altresì compilato due questionari specifici per il diabete (diabetes related stress, diabetes health distress). I punteggi di qualità di vita dei vari gruppi sono stati confrontati tra loro mediante l’U-test di Mann-Whitney. Le differenze all’interno di ogni singolo gruppo sono state analizzate mediante il test dei ranghi di Wilcoxon.

Risultati. Riguardo ai punteggi SF-36, al terzo trimestre di gra- vidanza le donne affette da diabete mellito di tipo 1 e GDM hanno presentato un migliore PCS (physical component scale, sommario delle componenti fisiche) rispetto ai controlli (p < 0,0001 e p = 0,009 rispettivamente). Il punteggio relativo alla percezione generale dello stato di salute è risultato significa- tivamente inferiore nelle pazienti con GDM e diabete di tipo 1 rispetto ai controlli (p = 0,009 e p < 0,0001 rispettivamente);

inoltre, le gravide affette da diabete di tipo 1 hanno mostrato un punteggio MCS (mental component scale, sommario delle com- ponenti mentali) significativamente più basso rispetto ai controlli (p = 0,03). Le pazienti affette da GDM trattate con insulina hanno

presentato uno stress score e un distress score inferiori rispetto a quelle non trattate con insulina (cioè minore accettazione della malattia e maggiore frustrazione legata alla malattia; p = 0,008 e p = 0,07 rispettivamente). Tali punteggi non sono invece differen- ti tra pazienti affette da GDM insulino-trattate e diabete di tipo 1.

Il punteggio CES-D (depressione) non ha mostrato differenze significative fra i tre gruppi.

Dopo il parto, il punteggio MCS è risultato sovrapponibile fra i tre gruppi; al contrario, il PCS si è dimostrato significativamente più basso nelle pazienti affette da diabete di tipo 1 rispetto a quelle affette da GDM e ai controlli (p = 0,001). Il punteggio relativo alla percezione generale dello stato di salute è risultato significativa- mente inferiore nelle pazienti con GDM e diabete di tipo 1 rispet- to ai controlli (p = 0,008 e p < 0,0001 rispettivamente). Il pun- teggio CES-D è risultato significativamente più alto nelle gravide con diabete di tipo 1 e GDM rispetto ai controlli (p = 0,002 e p < 0,0001).

Conclusioni. Durante la gravidanza l’efficienza fisica è risultata migliore nelle pazienti affette da GDM e diabete di tipo 1 rispet- to ai controlli, a fronte di una peggiore percezione dello stato di salute generale. Le gravide con diabete di tipo 1 e GDM presen- tano un grado di depressione maggiore dopo il parto rispetto ai controlli. Tali dati evidenziano che il diabete come malattia ha un impatto sulla percezione della salute fisica e mentale delle donne in gravidanza e tale effetto perdura dopo il parto con uno stato depressivo più accentuato.

Effetti dell’ischemia-riperfusione sull’espressione di SIRT1 nel cuore isolato di ratto

Cattelan A1, Ceolotto G1, Vigili de Kreutzenberg S1, Frigo G1, Bova S2, Semplicini A1, Avogaro A1

1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale;

2Dipartimento di Farmacologia e Anestesiologia, Università di Padova

Introduzione. La riperfusione del miocardio ischemico si accompagna ad alterazioni funzionali e metaboliche che concor- rono al “danno da ischemia-riperfusione”. Durante la riperfusio- ne del cuore ischemico vengono attivati meccanismi molecolari antiapoptotici di cardioprotezione non ancora ben definiti che

(2)

portano all’attivazione di: proteina chinasi B/Akt, enzimi a rego- lazione extracellulare (ERK1/2) e heat shock proteins (HSPs). In vitro, l’attivazione dell’enzima sirtuina-1 (SIRT1) è in grado di atti- vare, mediante deacetilazione, la proteina HSF-1, coinvolta nella regolazione dell’espressione di HSPs. Lo scopo dello studio è stato di verificare, in vivo, nel cuore isolato di ratto, gli effetti del- l’ischemia-riperfusione sull’espressione di SIRT1 e l’interazione con HSF-1, ERK1/2 o Akt.

Materiale e metodi. I cuori, da ratti Wistar-Kyoto, sono stati perfusi secondo il metodo di Langendorff e sottoposti al proto- collo di ischemia-riperfusione (I/R; 30 min di ischemia globale seguiti da riperfusione di durata variabile fino alle 6 h).

L’espressione genica di SIRT1 e di HSPs è stata determinata mediante PCR real time. L’espressione proteica di SIRT1, l’atti- vazione di Akt e ERK1/2 è stata valutata mediante Western Blot, mentre i livelli di acetilazione di HSF-1 mediante immunoprecipi- tazione.

Risultati. L’espressione di SIRT1 è significativamente aumenta- ta (p < 0,01) nei cuori sottoposti a I/R per 4 h; l’acetilazione di HSF-1 è aumentata durante l’ischemia, quindi diminuisce durante riperfusione in modo tempo-dipendente. In presenza di resveratrolo (attivatore di SIRT1) durante I/R, si osserva una ridu- zione dei livelli di acetilazione di HSF-1 e un aumento dell’e- spressione di HSPs. In presenza di sirtinolo (inibitore di SIRT1) i livelli di acetilazione di HSF-1 permangono elevati nella condizio- ne di I/R. L’ischemia-riperfusione induce un aumento significati- vo della fosforilazione di Akt (p < 0,01) e di ERK1/2 (p < 0,01) rispetto ai controlli. L’aumento di espressione di SIRT1 I/R- dipendente non viene modificato da LY294002, inibitore di Akt e da PD98059, inibitore di ERK1/2.

Conclusioni. I nostri risultati dimostrano che durante riperfusio- ne l’espressione di SIRT1 aumenta in modo tempo-dipendente.

Il possibile meccanismo di cardioprotezione di SIRT1 è mediato dalla stimolazione di HSF-1, ma non coinvolge la via delle ERKs e Akt.

Elevati livelli di E-selectina si associano a una riduzio- ne dell’espressione genica di SIRT1 in linfomonociti di soggetti con sindrome metabolica

Ceolotto G1, Vigili de Kreutzenberg S1, Cattelan A1, Fabricio A2, Squarcina E2, Gion M2, Semplicini A1, Avogaro A1

1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Padova; 2Ospedale SS Giovanni e Paolo, Venezia

Premesse. La disfunzione endoteliale e l’infiammazione svolgo- no un ruolo fisiopatologico fondamentale nello sviluppo della sin- drome metabolica (SM) e delle sue complicanze cardiovascola- ri. Recenti studi hanno dimostrato che l’attivazione delle sirtuine (SIRTs), enzimi ad attività deacetilasica NAD+-dipendente, è ridotta nei linfomonociti (PBMC) di soggetti affetti da SM, ma le cause di quest’alterazione non sono ancora definite. Le SIRTs sono una famiglia di 7 enzimi (SIRT1-7) che vengono attivati dalla restrizione calorica, riducono l’apoptosi e regolano il ciclo cellulare. Scopo dello studio è stato studiare la relazione tra mar- ker di disfunzione endoteliale (ICAM, VCAM, E-selectina) ed espressione genica di SIRT1-7 in soggetti con SM.

Pazienti e metodi. Sono stati studiati 85 volontari sani (età 47

± 0,9, M 64 e F 21), di cui 23 affetti da SM secondo l’ATPIII. Le concentrazioni plasmatiche di ICAM-1, VCAM-1 ed E-selectina sono state analizzate su piattaforma Luminex (Bio-Plex System).

I valori di sensibilità ottenuti sono per ICAM-1: 0,08 ng/ml; per VCAM-1: 0,08 ng/ml; per E-selectina: 0,5 ng/ml. L’espressione genica di SIRT(1-7) è stata determinata in PBMC mediante ana- lisi quantitativa real-time PCR.

Risultati. La concentrazione plasmatica di E-selectina è risulta-

ta significativamente aumentata nei soggetti con SM rispetto a quelli non SM (32,2 ± 3 vs 22,7 ± 1 ng/ml; p < 0,001), mentre ICAM-1 e VCAM-1 non sono risultate differenti nei due gruppi.

I valori plasmatici di E-selectina correlano positivamente con pressione arteriosa, circonferenza vita, trigliceridi, glicemia e insulinemia. L’espressione genica di SIRT1 è risultata significati- vamente ridotta nei PBMC dei soggetti affetti da SM rispetto a quelli non SM (0,68 ± 0,1 vs 1,02 ± 0,2, p < 0,001), mentre l’e- spressione genica delle altre SIRT(2-7) non è risultata significati- vamente diversa. L’espressione genica di SIRT1 era correlata negativamente con la concentrazione plasmatica di E-selectina (r = –0,34, p = 0,012).

Conclusioni. Le alterazioni metaboliche presenti nei soggetti con SM si associano a un incremento della concentrazione pla- smatica di E-selectina e a una riduzione dell’espressione genica di SIRT1. La correlazione inversa tra E-selectina e SIRT1 sugge- risce un legame tra disfunzione endoteliale e la regolazione di un gene di rilevanza nella SM.

Correlazioni tra HbA1ce indicatori di variabilità glicemi- ca, controllo metabolico e iperglicemia in pazienti con diabete mellito

Chilelli NC1, Sartore G1, Burlina S1, Di Stefano P2, Mosca A3, Fedele D1, Lapolla A1

1Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Padova; 2Medtronic Italia, Milano; 3Centro Interdipartimentale per la Riferibilità Metrologica in Medicina di Laboratorio (CIRME), Università degli Studi di Milano

Background dello studio. I risultati dei trial DCCT- EDIC/UKPDS hanno dimostrato che pazienti con valori compa- rabili di emoglobina glicata (HbA1c) e glicemia media, possono presentare profili glicemici molto diversi. Tuttavia, vi sono dati limitati sulla relazione tra HbA1ce gli indicatori di variabilità glice- mica, e sull’influenza su di essi di alcuni parametri come la dura- ta di malattia e il tipo di terapia.

Scopo dello studio. Abbiamo ricercato una correlazione fra HbA1ce indicatori di variabilità glicemica (SD, CONGA, MAGE, MODD, LBGI, HBGI, BG ROC), controllo metabolico (AG e AUC totale) e iperglicemia (AUC postprandiali e AUC over 140), nei pazienti con diabete di tipo 1 (DM1) e di tipo 2 (DM2).

Soggetti e metodi. Sono stati studiati 68 pazienti consecutivi con DM1 e DM2. I pazienti sono stati suddivisi in 3 gruppi: 35 pazienti con DM1; 17 pazienti con DM2 in terapia insulinica mul- tiniettiva; 16 pazienti con DM2 in terapia con ADO e/o insulina basale. I valori di tutti gli indicatori sono stati ottenuti con un CGMS (continuous glucose monitoring system), eseguito per 48 ore consecutive. È stata rilevata l’HbA1cal basale e postmonito- raggio.

Risultati. L’HbA1c postmonitoraggio è risultata strettamente correlata agli indicatori di controllo metabolico e di iperglicemia considerati. Tra gli indicatori di variabilità glicemica soltanto HBGI e SD hanno presentato strette correlazioni con HbA1c. Alcuni nuovi indicatori (BG ROC e LBGI), predittivi di alta varia- bilità ed elevato rischio ipoglicemico, non sono risultati influenza- re il valore dell’HbA1c. È risultata una variabilità glicemica mag- giore nei pazienti con lunga durata di malattia rispetto a coloro con breve durata, a pari livelli di HbA1c. Infine l’approccio insuli- nico multiniettivo sembra essere il parametro che correla mag- giormente con il profilo glicemico, associato a una maggiore variabilità glicemica.

Conclusioni. L’HbA1c è espressione degli stati di iperglicemia persistente, mentre non sembra essere influenzata dalle ipogli- cemie e da situazioni di elevata variabilità glicemica. L’HbA1cper- tanto mostra alcuni limiti quale indicatore “gold standard” di

(3)

compenso glicemico. D’altra parte, gli indicatori di variabilità gli- cemica mostrano il peggioramento del controllo glicemico, evi- dente nel DM di lunga durata e associato alla terapia insulinica multiniettiva, con accuratezza maggiore rispetto alla sola HbA1c.

Iperandrogenismo clinico e iperandrogenismo biochi- mico sono associati a differenti alterazioni metaboli- che nelle donne con sindrome dell’ovaio policistico Di Sarra D, Tosi F, Bonin C, Zambotti F, Dall’Alda M, Donati M, Spiazzi G, Signori C, Moghetti P

Divisione di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo e Divisione di Ostetricia e Ginecologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona; Dipartimento di Medicina, Università di Verona

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è un disordine eteroge- neo, caratterizzato da iperandrogenismo e disfunzione ovarica.

Insulino-resistenza e altre alterazioni metaboliche sono aspetti spesso presenti nelle donne con questa sindrome. Attualmente è ancora poco chiaro se l’iperandrogenismo clinico e biochimico, elementi che possono essere entrambi utilizzati per la diagnosi di PCOS, in presenza di oligo-anovulazione e/o ovaie micropolicisti- che, sono ugualmente associati con le alterazioni metaboliche.

Per rispondere a questo quesito sono state studiate 61 donne con PCOS, diagnosticate secondo i criteri della Consensus di Rotterdam. L’iperandrogenismo è stato valutato attraverso l’esa- me obiettivo, verificando la presenza di irsutismo, acne e/o alope- cia, e calcolando il testosterone libero dai livelli di testosterone totale e SHBG, secondo la formula di Vermeulen (J Clin Endocrinol Metab 1999). L’irsutismo è stato definito sulla base di uno score di Ferriman-Gallwey > 7. La sensibilità insulinica è stata misurata con la tecnica del clamp euglicemico iperinsulinemico (velocità di infusione insulinica 80 mU/m2/min). Inoltre è stato effet- tuato un OGTT e sono stati dosati i lipidi ematici. La sindrome metabolica è stata diagnosticata sulla base dei criteri IDF (Alberti et al, Circulation 2009). L’età media (± SD) era 24,0 ± 6,8 anni e il BMI era 31,7 ± 8,6 kg/m². L’80% delle donne con PCOS aveva iperandrogenismo clinico (nel 64% irsutismo) e il 72% aveva iper- androgenismo biochimico. L’utilizzazione insulino-stimolata del glucosio durante clamp era ridotta nel 72% delle pazienti. Le donne con iperandrogenismo clinico differivano dalle non iperan- drogeniche solo per livelli più bassi di colesterolo-HDL. Quando l’i- perandrogenismo clinico veniva diagnosticato sulla base del solo irsutismo, le donne iperandrogeniche presentavano anche minore sensibilità insulinica e una maggiore circonferenza vita. Invece, le donne con iperandrogenismo biochimico differivano dalle non iperandrogenemiche per una minore sensibilità insulinica, più bassi livelli di HDL-colesterolo e più elevati trigliceridi, glicemia e insulinemia a digiuno, circonferenza vita, pressione arteriosa sisto- lica e diastolica. In conclusione, i nostri dati confermano che l’in- sulino-resistenza e le alterazioni della sindrome metabolica sono caratteristiche comuni nelle donne con PCOS. L’iperan - drogenismo biochimico, più dell’iperandrogenismo clinico, si associa con le anomalie metaboliche in queste donne.

Funzionalità beta-cellulare, insulino-sensibilità e BMI sono parametri predittivi per l’insorgenza del diabete in donne con storia di diabete gestazionale

Grassi A1,2, Tura A2, Pacini G2, Mari A2, Winhofer Y3, Kautzky Willer A3

1DEI, Università di Padova; 2ISIB-CNR, Padova; 3Dept.

Medicine 3, Università di Vienna

Introduzione e scopo. Dopo il parto, le donne con preceden- te diabete gestazionale (pGDM) spesso normalizzano i livelli gli- cemici, ma rimangono a maggior rischio di sviluppare diabete di tipo 2 (T2DM) rispetto a donne con gravidanze normali, soprat- tutto se presentano altri fattori di rischio (obesità, ipertensione, storia familiare di T2DM). Scopo di questo studio è individuare parametri nelle pGDM (soprattutto, insulino-sensibilità, IS, e fun- zionalità beta-cellulare, BCF) che, misurati subito dopo il parto, possano predire il futuro sviluppo di diabete.

Soggetti e metodi. Settantasette donne con storia di GDM sono state seguite per 3-5 anni dopo il parto. Annualmente è stato eseguito un test orale di tolleranza al glucosio (OGTT 3 h 75 g), con misura di glucosio, insulina e C-peptide. Sono stati individuati due gruppi sulla base del risultato dell’ultimo esame (3-5 anni dopo il parto): 17 donne hanno progredito alla condi- zione T2DM (PROG) e 60 sono rimaste non diabetiche (NON- PROG). IS è stata valutata con l’indice di sensibilità insulinica al glucosio orale (OGIS); BCF attraverso un modello matematico che fornisce la sensibilità beta-cellulare al glucosio (BGS) e un parametro di risposta insulinica precoce (BRS). Un modello di regressione logistica è stato utilizzato per capire se OGIS, BGS e BRS, assieme a età e BMI, sono predittivi del possibile svilup- po di T2DM.

Risultati. BMI, OGIS e BGS sono risultati statisticamente signi- ficativi, mentre età e BRS non sono predittivi. Nel modello con i soli parametri significativi sono stati stimati gli odds ratio OR e i relativi IC al 95%: ORBMI= 1,21 (IC al 95% 1,00-1,48; p = 0,03), OROGIS= 0,98 (0,97-0,99; p = 0,01), ORBGS= 0,96 (0,93-0,98;

p = 0,002). Si noti che l’interpretazione degli OR conferma i risul- tati attesi: un più alto valore di BMI determina un aumento del rischio di sviluppare diabete, mentre un più alto valore di OGIS o di BGS diminuisce tale rischio.

Conclusione. BMI, IS e BCF hanno dunque un ruolo predittivo nell’individuare subito dopo il parto le pGDM che svilupperanno il diabete in 3-5 anni. La valutazione tempestiva di questi para- metri metabolici potrebbe quindi rivelarsi utile per caratterizzare i soggetti a più elevato rischio, e permettere l’avvio di una pre- venzione precoce per contrastare lo sviluppo del diabete.

Indagine conoscitiva sul diabete mellito nelle case di riposo di due ULSS della Pedemontana vicentina Lombardi S1, Calcaterra F2, Casale M3, Toffanin R2, Bellometti SA1, Dian E1, Toffolo D2, Cassiano P2, Rappanello L2, Cataldi F2, Miola M2, Tommasi C1, Iaccarino M1

1UOD Diabetologia-Endocrinologia, ULSS 5 Regione Veneto;

2UOT Diabetologia-Endocrinologia, ULSS 4 Regione Veneto;

3Sanofi-Aventis

Introduzione. Il progressivo invecchiamento della popolazione determina un continuo incremento del numero di persone che trascorrono l’ultima parte della loro esistenza nelle case di ripo- so. Tra gli ospiti i diabetici rappresentano una percentuale non trascurabile, anche se i dati epidemiologici finora presenti non sono univoci e molto sporadici. Ciò pone particolari problemi di programmazione nell’assistenza diabetologica. Noi abbiamo voluto determinare lo stato dell’assistenza al 31/12/2009 nelle case di riposo di due ULSS della Pedemontana vicentina.

Materiale e metodi. Somministrazione di un questionario a tutti i medici operanti nella case di riposo delle ULSS 4 e 5 della Regione Veneto.

Risultati. Gli ospiti totali delle due ULSS sono risultati essere 2748, di cui 668 maschi (24,3%) e 2080 femmine (75,7%), l’età media rispettivamente di 78,7 (range 67-86) nei maschi e 84,1 (range 60-90) nelle femmine. Di questi i diabetici noti sono risul- tati essere 642 (23,4%), il 19,5% maschi e il 24,6% femmine.

(4)

I diabetici in trattamento con antidiabetici orali sono risultati essere 382 (13,9%) di cui 10% maschi e 15,1% femmine. I dia- betici in trattamento insulinico erano 260 (9,5%) di cui 9,4%

maschi e 9,5% femmine. Il 31% esegue una HbA1c ogni 3-4 mesi, l’8,6% ogni 6 mesi-1 anno e il 3,4% non l’ha mai fatta.

Nell’82,5% esistono procedure che prevedono il controllo delle glicemie capillari, ma solo il 51,5% dei diabetici in trattamento orale fa almeno un controllo della glicemia capillare alla settima- na. Di quelli in trattamento insulinico il 48,5% esegue tale esame tutti i giorni. Nella metà circa dei casi esiste una procedura per il trattamento delle ipoglicemie e solo il 50% delle case di riposo ha a disposizione fiale di glucagone.

Conclusioni. Il diabete mellito noto, nelle case di riposo, ha un’elevata prevalenza e per lo più la sua gestione non è ottimale, determinando elevati costi socio-sanitari e compromettendo la qualità di vita dei residenti. Ciò impone ai servizi di diabetologia di attivare processi di formazione per team medico-infermieristico operante in tali strutture e monitorare l’attività in esse svolte.

Rapporti fra attività fisica spontanea, insulino-resistenza e controllo metabolico nel diabete di tipo 2

Negri C1, Bacchi E2, Bressani A3, Bonadonna RC1,2, Bonora E1,2, Moghetti P1,2,3

1Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona; 2Dipartimento di Medicina e 3Facoltà di Scienze Motorie, Università di Verona L’inattività fisica è un fattore di rischio di insulino-resistenza e diabete di tipo 2 (T2DM) e costituisce uno dei bersagli dell’inter- vento attuato nei pazienti con T2DM. Scopo di questo studio è stato valutare l’attività fisica complessiva e il grado di insulino- resistenza in un gruppo di pazienti con T2DM di recente diagno- si, correlandoli con il controllo metabolico immediato e a distan- za. Sono stati studiati 49 soggetti con T2DM (età 59,7 ± 10,1 anni, BMI 35,6 ± 5,6 kg/m2). L’attività fisica è stata valutata regi- strando l’attività fisica spontanea nell’arco di 48 ore, mediante Holter Metabolico Armband, e la sensibilità insulinica è stata misurata attraverso il clamp euglicemico. Sono stati inoltre valu- tati parametri antropometrici e metabolici. Trentotto di questi soggetti sono stati rivalutati dopo due anni, con misura di attivi- tà fisica complessiva e parametri antropometrici e metabolici.

Al momento della valutazione iniziale l’HbA1cera di 7,1 ± 1,2% e il clamp indicava una marcata insulino-resistenza. Il dispendio energetico medio (1,3 ± 0,3 MET) e la spesa per attività supe- riori a 3 MET (587 ± 557 kcal/die) indicavano uno stile di vita sedentario. A due anni dalla diagnosi il peso medio era diminui- to di 2 kg (p = ns). L’HbA1cera di 6,8 ± 0,8% (p = ns), mentre i valori di colesterolo HDL e LDL e di pressione diastolica risulta- vano significativamente migliori. I dati dell’Holter metabolico non mostravano significative variazioni medie nello stile di vita.

Tuttavia, la variazione di attività fisica correlava significativamen- te con la variazione di BMI (r = 0,41, p < 0,01). Analizzando separatamente i soggetti sulla base del valore iniziale di spesa energetica per attività fisica, si osservava che i soggetti con va - lori iniziali sotto la mediana aumentavano il valore basale, men- tre quelli sopra la mediana mostravano un lieve decremento (p = 0,05 fra i due gruppi). La variazione di HbA1cdopo un anno correlava strettamente con quella dopo due anni (r = 0,86, p < 0,0001). In conclusione, questi dati confermano le caratteri- stiche sedentarie dei soggetti con T2DM e mostrano che gli interventi educativi attuati nella routine clinica non sono efficaci a modificare queste caratteristiche. L’Holter metabolico può essere uno strumento utile a monitorare l’attività fisica di questi soggetti e a verificare l’adesione a programmi di intervento diret- ti a incrementare tale attività.

Utilizzo di una nuova metodica per la misurazione di elasticità vasale in diabetici con e senza lesioni agli arti inferiori

Sambataro M, Almoto B, Orrasch M, Citro T, Kiwanuka E, Gobbo R, Campagnol L, Ciani T, Lessi D, Pizzolato D, Paccagnella A

Dipartimento di Medicine Specialistiche, UO Malattie Metaboliche e Nutrizione Clinica, Ospedale Regionale Ca’

Foncello, ULSS 9 Treviso

Introduzione. È noto che il diabete è caratterizzato da maggio- re incidenza di ipertensione arteriosa, ma anche da incremento della β-stiffness, una misura di capacità dei vasi di modificare il proprio diametro al passaggio dell’onda sistolica. L’indice di rigi- dità da esso derivato CAVI (cardio-ankle vascular index) ottenu- to da strumento VASERA misura la velocità di trasmissione del- l’onda sistolica lungo l’albero vascolare. Nel piede diabetico vascolare inoltre l’ossimetria transcutanea (TCPO2) è un accura- to indice prognostico di amputazione, ma è controversa la sua correlazione con indici indiretti di pervietà vasale come il rappor- to PAO caviglia/PAO radiale (ankle brachial index, ABI).

Scopo e metodi. Valutare l’indice CAVI in pazienti diabetici di tipo 2 con (T2R) e senza (T2) ischemia critica cronica (CLI) di - stale agli arti inferiori, nonché l’indice ABI misurato sia con meto- do oscillometrico durante CAVI (ABIO) sia con sonda doppler CW o vascolare ecodoppler (ABID) (ottenuto dalla media del rapporto tra la pressione sistolica dell’arteria tibiale posteriore e anteriore o pedidia/arteria radiale omolaterale). Nei T2R sottopo- sti a rivascolarizzazione distale è stata misurata la DTCPO2 pre- e post-manovra dopo 4 settimane e tale parametro è stato cor- relato con CAVI, ABIO e ABID.

Soggetti. Abbiamo valutato 25 T2 e 14 T2R a prognosi favore- vole per salvataggio d’arto, comparabili per età (67 ± 10 e 70

± 9, anni ± DS), neuropatia periferica, compenso lipidico e glu- cidico. Nove soggetti sani di età significativamente differente (34

± 6 anni) facevano da controlli (C).

Risultati. In T2, T2R e C, CAVI era rispettivamente a dx: 9,4

± 1,5, 9,9 ± 1,5, 6,5 ± 1, a sx 9,5 ± 1,5, 10,0 ± 1,5, 6,5 ± 1 (p < 0,001 T2 e T2R vs C); ABIO dx: 1,05 ± 0,11, 0,87 ± 0,15, 1,06 ± 0,07, ABIO sx: 1,04 ± 0,1, 0,85 ± 0,13, 1,05 ± 0,043 (p < 0,002 T2R vs T2 e C), ABIDm dx: 1,16 ± 0,14, 0,94 ± 0,26, 1,05 ± 0,06 ABIDm sx 1,17 ± 0,14, 1,01 ± 0,19, 1,05 ± 0,052 (p < 0,03 T2R vs T2). Nei T2R DTCPO2 (basale 24,8 ± 6 mmHg, media ± ES) risultava significativamente aumentata (+18 mmHg); correlava con CAVI (R2 0,6 p < 0,01) e ABIO (R2 0,48 p < 0,03) dell’arto affetto, ma non con ABID.

Conclusioni. L’indice CAVI sembra concorrere alla prognosi di sal- vataggio d’arto nel piede diabetico e depone per un effetto favore- vole della riperfusione distale. Nel diabete, l’ABI oscillometrico sem- bra ovviare alle calcificazioni della tonaca media ed è diagnostico di CLI per valori < 0,9 in presenza di ossimetria < 30-50 mmHg.

Studio della fatica muscolare in soggetti affetti da dia- bete mellito di tipo 2 e vasculopatia periferica

Spolaor F1, Agostini V2, Sawacha Z1, Guarneri G3, Vigili de Kreutzenberg S3, Galasso S3, Knaflitz M2, Cobelli C1, Avogaro A3

1Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università degli Studi di Padova; 2Dipartimento di Elettronica, Politecnico di Torino; 3Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Padova

Introduzione e obiettivo. La neuropatia periferica/autonomica (NP/NA) e la vasculopatia periferica (PAD) rappresentano le

(5)

complicanze più diffuse e invalidanti del diabete di tipo 2 (DM2) e sono la principale causa di amputazioni non traumatiche degli arti inferiori. Lo scopo di questo studio è valutare l’associazione tra le manifestazioni di fatica elettrica muscolare e NP/NA e PAD, in condizioni dinamiche, utilizzando l’elettromiografia di superfi- cie (SEMG), nel DM2 con e senza PAD di grado 1 e 2 di Lériche- Fontaine.

Materiale e metodi. In questo studio preliminare abbiamo stu- diato 19 soggetti DM2 (età 61,6 ± 6,8 aa, BMI 26,6 ± 2,6 kg/m2) e 11 soggetti sani di controllo (C) (età 61,1 ± 4,2 aa, BMI 24,1

± 2,1 kg/m2; p = ns) durante una camminata di 35 minuti su treadmill a 4 km/h con inclinazione del 2%. I segnali derivanti da 3 foot switches, 2 elettrogoniometri e 5 sonde SEMG posiziona- te su retto femorale, bicipite femorale, gastrocnemio laterale, tibiale anteriore (TA) e vasto laterale sono stati acquisiti utilizzan- do il sistema multicanale Step32 (DemItalia, Leinì, TO). Si sono eseguite l’analisi 1-way-ANOVA e l’analisi di correlazione al fine di evidenziare possibili correlazioni tra fatica muscolare e NP/NA e PAD.

Risultati. Un’alterazione del segnale di SEMG, espressione di fatica muscolare, è stata rilevata in 5 DM2 senza PAD, in 4 DM2 con PAD e in 2 C. Veniva rilevata una correlazione significativa tra PAD, NP e NA e fatica elettrica muscolare (0,96 > R > 0,6).

Conclusioni. L’utilizzo di SEMG è in grado di evidenziare mani- festazioni di fatica muscolare agli arti inferiori nel DM2; una SEMG alterata si associa a NP/NA e PAD e sembra essere in grado di rilevare la presenza di fatica muscolare anche in sog- getti senza segni clinici di insufficienza vascolare e neuropatia, permettendo un precoce inquadramento della complicanza periferica nel DM2.

Screening dalla vasculopatia periferica con indice di Winsor in pazienti con diabete mellito di tipo 2 – Follow-up a 5 anni

Strazzabosco M, Brun E, Simoncini M, Mesturino CA, Zen F UO Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Servizio di Diabetologia, Ospedale Regionale San Bortolo, Vicenza Introduzione. L’indice di Winsor (ABI) è un semplice test dia- gnostico che permette di individuare pazienti con vasculopatia periferica (PAD). È considerato patologico quando è inferiore a 0,9; tale test permette anche di individuare pazienti a maggior rischio cardiovascolare da sottoporre a screening della cardio- patia ischemica silente.

Attualmente, a parte in aree ristrette in cui l’integrazione ospe- dale-territorio è molto avanzata, lo screening della vasculopatia periferica nel paziente diabetico è a carico dei Servizi di Diabetologia.

Le carenze strutturali e di personale dei nostri centri rendono dif- ficile seguire le indicazioni degli standard di cura del diabete mel- lito che consigliano l’esecuzione dell’ABI in tutti i pazienti con diabete mellito di tipo 2 all’esordio e ogni 3 anni, in caso di nor- malità del test.

Scopo dello studio. 1) Valutare l’incidenza di vasculopatia in una coorte di pazienti screenati con ABI e seguiti nel tempo; 2) ricercare fattori di rischio che permettano di selezionare i pazien- ti da sottoporre a screening triennale, come da linee guida, oppure a intervalli più lunghi.

Pazienti e metodi. Sono stati valutati retrospettivamente, estraendo i dati dalla nostra cartella informatizzata EURO- TOUCH, 889 pazienti ai quali è stato eseguito un ABI al tempo 0 (ABI_0) e un ABI dopo un intervallo di tempo non inferiore a 3 anni (ABI_1). Sono stati esclusi dalla valutazione i pazienti con ABI_0 > 1,30 (mediocalcinosi). All’ABI_0 675 (75,9%) pazienti hanno presentato un valore > 0,9 e sono stati seguiti nel follow-

up oggetto del nostro studio mentre 214 (24,1%) sono risultati affetti da PAD e avviati a ecocolordoppler.

Risultati. Abbiamo seguito nel tempo i 675 pazienti con ABI_0

> 0,9; Il follow-up medio è stato di 4,8 ± 1,6 anni. Tali pazienti al basale presentavano età media: 63,3 ± 10,7 anni, durata di dia- bete: 13,0 ± 9,8 anni, HbA1c: 7,7 ± 1,4%, LDL-COL: 119,1 ± 34,7 mg/dl; pressione sistolica: 148 ± 20 mmHg, pressione diastolica:

80 ± 9 mmHg. Dopo tale follow-up, 598 (88,6%) pazienti presen- tavano ancora un ABI normale, mentre 77 (11,4%) erano divenu- ti patologici. I pazienti con ABI_1 patologico avevano presentato al tempo 0 un’età e una durata di diabete significativamente mag- giori rispetto ai pazienti con ABI normale, 62,5 ± 10,7 vs 69,6

± 8,5 (p < 0,01) e 17,2 ± 9,8 vs 12,5 ± 9,7 (p < 0,001), non c’e- rano differenze significative per quanto riguarda il controllo glice- mico, pressorio e lipidico e nemmeno per l’attitudine al fumo.

Alla regressione logistica multipla, dopo aggiustamento per le variabili metaboliche, solo l’età del paziente e la durata del dia- bete sono risultate significativamente correlate allo sviluppo di vasculopatia (p < 0,001).

Conclusioni. Nell’analisi retrospettiva dei pazienti sottoposti a screening della vasculopatia periferica le uniche variabili che si sono dimostrate predittive dello sviluppo di tale complicanza a un follow-up di 5 anni sono state l’età del paziente e la durata del diabete; nessuna correlazione invece abbiamo rilevato tra le variabili metaboliche e antropometriche e lo sviluppo di vasculo- patia periferica.

Pazienti con diabete mellito di tipo 2 di nuovo riscontro con età inferiore a 60 anni e privi di vasculopatia periferica hanno una bassissima probabilità di svilupparla nei successivi 5 anni.

Va però tenuto sempre presente che una vasculopatia a carico del circolo coronarico o dei tronchi sovraortici impone una mag- giore frequenza del follow-up.

Aumentata prevalenza di malattia renale cronica (CKD) in diabetici di tipo 1 con steatosi epatica non alcolica Targher G, Pichiri I, Zoppini G, Negri C, Stoico V, Bonora E Divisione di Endocrinologia e Metabolismo, Dipartimento di Medicina, Università di Verona e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona

Introduzione e scopo. L’epatopatia steatosica non alcolica (NAFLD) si associa a un aumentato rischio di malattia renale cro- nica (CKD) nel diabete di tipo 2. Attualmente non è disponibile alcuna informazione nel diabete di tipo 1. Valutare se la presen- za della NAFLD si associ a un’aumentata prevalenza di CKD nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1.

Soggetti e metodi. Sono stati arruolati 343 diabetici di tipo 1 (M/F = 156/187; età media ~45 anni) con e senza NAFLD che erano regolarmente afferenti presso la nostra divisione nel corso degli ultimi 2 anni, dopo esclusione di quelli che risultavano affet- ti da neoplasia, CKD in terapia dialitica ed epatopatia cronica da causa nota (alcol, virus, farmaci, altro). La NAFLD è stata dia- gnosticata mediante ecografia epatica in tutti i partecipanti. La presenza di CKD è stata definita come alterata albuminuria e/o filtrato glomerulare renale stimato (eGFR) < 60 ml/min/1,73 m2. Risultati. I pazienti con NAFLD (n = 182; 53% del totale) aveva- no livelli moderatamente ridotti di eGFR (83,2 ± 27 vs 93,3 ± 29 ml/min/1,73 m2; p < 0,001) e una maggiore frequenza di microalbuminuria (35,7 vs 18,6%; p < 0,0001), macroalbumi - nuria (14,3 vs 1,9%; p < 0,0001) e CKD (54,4 vs 24,2%;

p < 0,0001) rispetto ai pazienti che non avevano steatosi epati- ca (n = 161). Nell’analisi di regressione logistica multivariata, la NAFLD si associava alla presenza di CKD, indipendentemente da età, sesso, fumo di sigaretta, attività fisica, durata di diabete, emoglobina glicata, BMI, pressione arteriosa, lipidi plasmatici e

(6)

uso di farmaci antipertensivi e ipolipemizzanti (odds ratio aggiu- stata 1,94, IC al 95% 1,1-3,5, p = 0,02).

Conclusioni. I risultati di questo studio suggeriscono che la NAFLD, diagnosticata mediante ecografia epatica, si associa a una maggiore frequenza di CKD nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1, indipendentemente dai principali fattori di rischio concomitanti. Sono necessari ampi studi prospettici per definire il possibile ruolo causale della NAFLD nello sviluppo di CKD nei pazienti con diabete di tipo 1.

HELP (heparin-induced extracorporeal LDL precipita- tion) – Aferesi nel trattamento del piede diabetico ischemico. Case report

Zenti MG1, Targher G1, Stoico V1, Valvo E2, Pertica N2, Puppini G3, Bruti M4, Lupo A2, Bonadonna RC1, Bonora E1

1Divisione di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Divisione di 2Nefrologia, 3Radiologia, 4Chirurgia Plastica, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona Il piede diabetico è una comune, severa complicanza del diabe- te, caratterizzata dalla comparsa di ulcere sostenute da neuro- patia, vasculopatia periferica e infezioni. Oltre alle lesioni occlu- sive dell’albero arterioso periferico, questi pazienti con ischemia critica presentano anche alterazioni del microcircolo caratteriz- zate da disfunzione endoteliale e alterata emoreologia con atti- vazione dei leucociti e dell’infiammazione. La LDL-aferesi, con sistema HELP, oltre alla rimozione del colesterolo-LDL promuo- ve la funzione del microcircolo e migliora la viscosità plasmatica.

Obiettivo. riportare un caso pilota sull’uso della LDL-aferesi nel trattamento del piede diabetico ischemico.

Caso. Paziente di 65 anni, maschio, con piede diabetico

ischemico bilaterale (ulcera 1° dito piede sx-stadio IV di Wagner e ulcera tallone dx-stadio IV di Wagner), diabete mel- lito di tipo 2 noto da 5 anni, cardiopatia ischemica infartuale e vasculopatia periferica bilaterale documentata con studio angiografico. Nonostante la rivascolarizzazione percutanea periferica bilaterale, la terapia antibiotica mirata, lo stretto con- trollo glicemico e metabolico, la terapia medica-nutrizionale di supporto e le medicazioni avanzate delle ulcere, il decorso cli- nico ha presentato un progressivo peggioramento di entrambe le lesioni. È stato quindi avviato trattamento con HELP-aferesi con sedute a cadenza settimanale per un totale di 12 trat - tamenti aferetici. Prima e dopo ciascuna seduta di aferesi sono stati determinati lipidi plasmatici, fibrinogeno, PCR.

L’ossimetria transcutanea (TcPO2) è stata misurata prima di iniziare le aferesi e dopo 2, 10 e 12 settimane dall’avvio del trattamento aferetico.

Risultati. Parametri ematochimici basali: colesterolo totale 113 mg/dl, LDL-C 67 mg/dl, HDL-C 28 mg/dl, trigliceridi 90 mg/dl, Lp(a) 72,7 mg/dl, fibrinogeno 3,59 g/L, PCR 73 mg/L. TcPO2 basale: piede dx 19 mmHg, piede sx 3 mmHg. Dopo ciascuna aferesi si è ottenuta una riduzione del colesterolo LDL, della Lp(a), del fibrinogeno e di PCR rispettivamente del 60%, 65%, 52% e 62%. Dopo 12 settimane entrambe le ulcere hanno pre- sentato un netto miglioramento (1° dito piede sx: stadio 0 di Wagner; tallone dx: stadio II di Wagner). Il miglioramento clinico veniva supportato dai valori dell’ossimetria (TcPO2 dx: 53 mmHg; sx 75 mmHg). Il successivo follow-up a 6 mesi ha docu- mentato la guarigione anche della lesione al tallone dx.

Conclusione. Il trattamento con LDL-aferesi potrebbe rappre- sentare un nuovo approccio terapeutico da associare alla tera- pia tradizionale del piede diabetico ischemico. Sono auspicabi- li studi clinici randomizzati per verificare la reale efficacia di que- sta procedura terapeutica.

Riferimenti

Documenti correlati

In un gruppo di pazienti affetti da ridotta tolleranza ai carboidrati (RTC): 1) è stata valutata la correlazione tra il metabo- lismo basale (MB) calcolato mediante l’equazione

Nel 2005 i criteri diagnostici della sindrome metabolica (SM) sono stati modificati includendo un limite più basso di glicemia (100 mg/dl) (ATPIII 2005); inoltre

Dipartimento di Medina Interna, Università di Torino, Torino Quarantuno giovani pazienti con diabete di tipo 1 (età 31 ± 2 anni, durata di malattia 23 ± 4 anni), seguiti presso

Sono stati studiati 3 gruppi di soggetti dis- lipidemici: 43 non diabetici (gruppo 1) e 44 diabetici di tipo 2 (gruppo 2) trattati con dieta associata a riso rosso fermentato;.. 38

Tra 821 diabetici di tipo 2 consecutivamen- te afferenti all’ambulatorio di diabetologia della IV Medicina Interna della Seconda Università di Napoli sono stati reclutati 29

± 6 e diastolica 75 ± 4, reclutate al momento dell’accertamento dello stato di gravidanza, dopo aver ottenuto il loro consenso informato, sono state sottoposte a monitoraggio con

Sono state quindi valutate le caratteristiche dei pazienti che si associano a una maggiore attitudine alla corretta stima del peso degli alimenti.. Materiale

Centoottantotto pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 sono stati arruolati in questo studio; 96 sono stati randomiz- zati ad assumere acarbose 50 mg 3 volte al giorno e 92