• Non ci sono risultati.

Sisifo 29

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Sisifo 29"

Copied!
92
0
0

Testo completo

(1)

Sisifo

^ n v

Idee ricerche

* programmi ^ ^ ^ ^ piemontese

ottobre 1995

GARANZIE, AUTONOMIE, EQUILIBRIO DEI POTERI

IN UNA DEMOCRAZIA MAGGIORITARIA

INTRODUZIONE

di Silvano Belligni Hej/o numero monografico di "Sisifo" affronta alcuni aspetti di un problema cruciale del nostro tempo (ma in realtà di ogni epoca) e deI nostro paese (ma a ben vedere non solo di esso): quello del rapporto tra i poteri fondamentali in cui

convenzionalmente si articola ogni società evoluta, della loro regolazione e del loro bilanciamento.

I poteri in questione, da controllare ed equilibrare attraverso opportuni interventi riformatori sono, in primo luogo ed essenzialmente, quelli la cui separazione, gerarchica e contaminazione ha assillato la teoria politica della modernità e

minoranze

Paolo de Robertis

della democrazia in particolare: il potere politico, quello economico, quello ideologico-culturale. Allorché, parecchi mesi fa, progettammo questo numero della rivista ci pareva -e ci par-e tuttora - ch-e i rischi di sovrapposizione e di

concentrazione di questi tre domini nelle mani di pochi attori incontrollati fossero particolarmente forti in un 'Italia disorientata dallo shock di "Tangentopoli" e forse un po ' troppo in preda all'ebbrezza semplificatrice delle prime grossolane sperimentazioni di democrazia maggioritaria. Ci pareva inoltre che nella ridefinizione dei rapporti di forza tra questi poteri che si delineava, le suggestioni dell 'anti-politica e l'infatuazione acritica per le potenzialità taumaturgiche del mercato portassero a indebolire proprio il potere di cui si avvertiva una calibrata necessità, a presidio dell'effettualità dei diritti de! cittadino democratico e del corretto e non traumatico funzionamento del mercato

stesso: il potere politico. / rischi che i confini e le gerarchie tra i poteri venissero travolti andavano (e vanno) di pari passo con i pericoli di concentrazione monopolistica e di riduzione degli equilibri pluralistici interni a ciascuno di essi. Nel passato questo rischio era stalo avvertito

prevalentemente con riguardo

(2)

al potere politico e al ruolo in esso esercitato dai partiti: la formula della partitocrazia consociativa è stata usata e abusata in questa chiave per stigmatizzare la tendenza dei partiti a monopolizzare la sfera delle decisioni pubbliche, arrogandosi prerogative e competenze esorbitanti. Successivamente,

ridimensionatosi il potere partitico a seguito della

"rivoluzione italiana" degli anni novanta, è sembrato che il pericolo alla libertà e alle possibilità del confronto democratico derivasse soprattutto dalla concentrazione dei mezzi di comunicazione televisiva nelle mani di un unico, spregiudicato tycoon. Oggi i processi di concentrazione economico-finanziaria (oltre che editoriale)

in corso all'interno della fragile struttura del capitalismo italiano, e lo stesso profilo tecnico-economico dei governi che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni, suggeriscono che il pericolo è più generale e che i confini e gli squilibri entro e tra i diversi domini sono tuttora in discussione. Tutto ciò rende più necessario, ma insieme più arduo (data anche la vocazione di quei poteri a muoversi su scala

internazionale) fissare regole, garanzie, contrappesi in grado di salvaguardare la sostanza dei valori democratici e dei diritti di cittadinanza politica e sociale.

^ i fronte a queste f m tendenze, infine, si

trattava (e si tratta) di capire se le soluzioni e gli antidoti potessero e dovessero essere cercati, unicamente o prevalentemente, nella sfera dei controlli e dei contrappesi

"orizzontali", nella istituzione e nel rafforzamento di autorità di garanzie elevate a tutela della libera concorrenza economica, e nella competizione tra istituzioni territoriali, o se non restasse un ruolo significativo (ancorché emendato rispetto al passato) per gli istituti partecipativi "verticali" della

"societàpolitica" che nel bene e nel male (più nel male che nel bene, si tende oggi a pensare) avevano caratterizzato in modo anomalo la storia dell 'Italia repubblicana, i partiti politici, i sindacati, i movimenti sociali. Gli scritti contenuti in questo volume di "Sisifo" riflettono, con qualche lacuna e con qualche enfasi, questo percorso problematico. I diversi contributi, di carattere propositivo o espositivo, si snodano dalla messa a punto del nuovo scenario politico-istituzionale maggioritario, ali 'individuazione degli strumenti deputati a contrastare le confusioni e le

prevaricazioni fra e dei poteri (le autorità di garanzia nei settori della economia e dell' informazione), e a dare voce ai cittadini e efficienza alle istituzioni (il

ribilanciamento della pubblica amministrazione dai condizionamenti della "partitica " ai diritti degli utenti, la redistribuzione territoriale dei poteri e delle competenze fiscali), fino a investire, negli inten'enti particolarmente appassionati della parte finale, alcuni importanti problemi di legittimità ed efficacia nel rapporto tra società civile, società politica, stato, posti dall'insorgente modello costituzionale democratico-maggioritario della "seconda repubblica " verosimilmente destinato a governare il paese. Non c 'è bisogno di avvertire che l'ampiezza e la complessità dei temi affrontati non ha consentito che una prima messa a punto e una panoramica informativa dei problemi sollevati. L'augurio è che lo sforzo di quanti hanno partecipato alla redazione di questo numero, che ringraziamo per la loro paziente

collaborazione (nell 'ambito di una ricerca resa possibile da un contributo della Regione Piemonte)*, possa costituire uno stimolo a liberare la discussione attuale su questi temi dagli stereotipi faziosi della politique politicienne e a riportarla sul terreno del confronto elevato tra le idee di cui si è nutrita la stagione migliore del nostro dibattito costituzionale.

*Gli articoli pubblicati costi-tuiscono il rapporto finale della seconda fase della ricerca "Le r i f o r m e i s t i t u z i o n a l i : sistemi elettorali, forme di governo, ruolo delle R e g i o n i " oggetto della convenzione Rep. n. 4550 del 22/2/1995.

(3)
(4)

I GARANTI

DEL PLURALISMO

LE GARANZIE

DEL PLURALISMO

E DELLA

CONCORRENZA

/

e autorità di garanzia, si pensi alle banche centrali, alle commissioni per la tutela della concorrenza, ai garanti per l ' i n f o r m a z i o n e o alle agenzie per la

contrattazione salariale nel settore pubblico, sono una ragionevole risposta, non la sola, al dominio dei gruppi di interesse organizzati. Nelle società caratterizzate da un rapido c a m b i a m e n t o tecnologico e da una massiccia a c c u m u l a z i o n e di capitale finanziario, le continue opportunità create

dall'evoluzione d e l l ' e c o n o m i a sono sfruttate da gruppi, cartelli 0 singoli individui che concentrano in sé un potere e c o n o m i c o crescente e, oltre u n a soglia critica, incontrollabile.

1 m o n o p o l i diventano, così, una minaccia alla libera ed efficiente espansione della concorrenza, cui si c o n t r a p p o n g o n o , c o m e vedremo, idealmente e storicamente.

Il d o m i n i o di un g r u p p o organizzato è, inoltre, una minaccia al pluralismo politico, la cui p r i m a salvaguardia sta n e l l ' a u t o n o m i a delle sfere dell'attività u m a n a . T a n t o più una società è in grado di impedire concentrazioni monopolistiche nella sfera e c o n o m i c a , politica e culturale, tanto più sarà c a p a c e di impedire la pericolosa c o n f u s i o n e tra politica ed e c o n o m i a , tra cultura e politica e tra e c o n o m i a e cultura. L a scelta di ostacolare la concentrazione del potere e c o n o m i c o può, dunque, essere letta c o m e un tentativo di difesa di istituzioni pluralistiche, sotto il cui g o v e r n o sia impedito a chi detiene g r a n d e potere e c o n o m i c o di godere di una posizione dominante nella sfera

politica, a chi concentra in sé il li s potere nel m o n d o

d e l l ' i n f o r m a z i o n e e della

cultura di convertirlo in potere 3T e c o n o m i c o o politico.

Se, in linea di principio, è possibile disegnare istituzioni a £ » tutela del pluralismo e garanti d i il uno sviluppo e c o n o m i c o

efficiente e se è anche possibile sli< dimostrare che si tratta di una E scelta collettiva razionale, ossia nell'interesse di tutti, anche di it chi oggi, m a forse non più

domani, detiene posizioni di dominio monopolistico, tuttaviaBiv la loro realizzazione è difficile al sia per l ' i m p e r f e z i o n e delle regole, sia per l'azione

combinata di interessi politici e 3 i gruppi di pressione.

Per chiarire il senso del sistema üit delle garanzie per il sistema economico, ne e s a m i n e r e m o b r e v e m e n t e tre aspetti cruciali: ii .il limiti della scelta razionale di i creare autorità di garanzia, il contesto storico in cui nascono 01 le legislazioni

antimonopolistiche e le difficoltà di regolare una materia.

(5)

I LIMITI

DI UNA SCELTA

RAZIONALE

di Walter Santagata

e d r e m o nella prossima M f scheda, se pur per rapidi

accenni, c o m e le circostanze dello sviluppo capitalistico abbiano posto all'ordine del giorno dei governi dei paesi industriali il t e m a della legislazione antimonopolista. Qui cercherò di a f f r o n t a r e la questione in termini normativi: perché creare autorità di garanzia con il compito di regolare e sorvegliare l'applicazione delle regole in determinati settori della vita e c o n o m i c a ? Si possono dare vari tipi di risposta che si f o n d a n o di volta in volta su argomenti costituzionali, storici e razionali. Limiterò la discussione alle scelte razionali, perché mi p r e m e sottolineare una c o m p o n e n t e importante del «dover essere» efficiente di istituzioni democratiche pluraliste.

Sotto il profilo del c o m p o r t a m e n t o della classe politica, creare autorità di garanzia risponde all'esigenza di dare credibilità alle istituzioni politiche ed è un caso di quella f o r m a di azione razionale nota c o m e il legarsi le mani, metafora che deriva dalla strategia scelta di Ulisse davanti all'isola delle sirene.

V e d i a m o n e il perché r a g i o n a n d o su un caso tipico che si sviluppa in due periodi di t e m p o successivi (chiamiamoli Iq, il prima, e t+j , il dopo). Il

p r o b l e m a della credibilità può essere descritto nel seguente m o d o .

In tg il potere politico indica una strategia futura e fissa le regole del g i o c o che saranno applicate sia nel perìodo iniziale Uq), che nel periodo successivo (t_j_i ). L a strategia è ottimale sia per la società, che per le fortune politiche delle istituzioni. Se v o g l i a m o fare qualche esempio, si prenda il caso di un governo che fissi in tn le regole contro il m o n o p o l i o d e l l ' i n f o r m a z i o n e o gli obiettivi di politica salariale per il settore pubblico (o di Ulisse che decida di ascoltare il canto dolce e o m i c i d a delle sirene). Il g o v e r n o sa che in t, j, q u a n d o è in atto un processo di concentrazione delle reti televisive e q u a n d o sono in corso le trattative per il rinnovo dei contratti di lavoro, sarà sottoposto a insostenibili pressioni (sociali, politiche ed e c o n o m i c h e ) e che sarà suo interesse riottimizzare la strategia prescelta in tQ, ad e s e m p i o c e d e n d o in qualche misura agli interessi particolari dei gruppi che controllano le reti televisive o dei sindacati del settore pubblico in c a m b i o di benefici politici e materiali ( c o m e Ulisse s o c c o m b e r e b b e all'incanto delle sirene in c a m b i o del piacere).

0 1 problema è che in una j m società di attori razionali e M , sufficientemente

informati, tutti c o n o s c o n o gli incentivi del governo a cambiare strategia, anche il cosiddetto « u o m o della strada». In particolare coloro che seguono le regole e d e b b o n o prendere decisioni in IQ ad e s e m p i o quelli che investono rispettando le limitazioni alla concentrazione televisiva o che contrattano i livelli salariali del settore privato in funzione dei limiti posti a quelli pubblici) sanno che in t+i saranno

ingannati e che le scelte e gli eventuali investimenti fatti possono essere corretti solo a f f r o n t a n d o nuovi ed elevati costi. In sostanza in un contesto c o m e questo il governo non è credibile, dati i vincoli e il sistema di informazioni esistente.

Un modo per dare credibilità alla sua azione è legarsi le mani, trasferendo ad autorità autonome il compito di applicare le regole fissate in tQ. S i c c o m e le autorità di garanzia per definizione non subiscono il ricatto della pressione politica ed e c o n o m i c a , sono cioè sorde c o m e i c o m p a g n i che h a n n o legato Ulisse, le regole saranno rispettate.

Il vantaggio sociale è evidente: se il governo non ha credibilità, non c ' è né consenso, né adesione nei confronti delle regole pubbliche gli operatori economici non le rispettano e i costi di enforcement (per farlo rispettare) diventano proibitivi. Il vantaggio individuale altrettanto: un g o v e r n o (o una classe politica) non credibile non è in grado di realizzare alcuna politica e c o n o m i c a , perché gli operatori sono portati a non credere alla struttura di incentivi e opportunità proposta. D a t o u n o s c h e m a di questo genere risultano immediate le caratteristiche che d e v o n o possedere le autorità di garanzia. A f f i n c h é il g o v e r n o sia credibile, le autorità di garanzia d e v o n o essere: a. indipendenti. Q u e s t o criterio p u ò essere attuato in vari modi, più o m e n o efficaci. In primo luogo g a r a n t e n d o

l ' i n d i p e n d e n z a e l ' a u t o n o m i a dei m e m b r i dell'autorità con la nomina a vita ( c o m e per la corte s u p r e m a di giustizia degli Stati Uniti): è una scelta per ovvi motivi radicale. Altre possibili alternative sono m e n o efficaci: g a r a n t e n d o che non sia il g o v e r n o o la classe politica a n o m i n a r e i c o m p o n e n t i dell'autorità di garanzia o la m a g g i o r a n z a del suo consiglio di amministrazione; oppure i m p e d e n d o la possibilità di rielezione dei c o m p o n e n t i dell'autorità; oppure p r e v e d e n d o una durata della carica sufficientemente lunga (come per i giudici della corte costituzionale italiana); b. in grado di esercitare reali

(6)

poteri di controllo ed ispezione. In altre parole, se non si prevede un dispositivo per garantire l'applicazione delle regole e non si mettono a disposizione le risorse finanziarie necessarie, l'autorità non ha i mezzi per lavorare. Nel migliore dei casi diventa un profeta inascoltato, nel peggiore un c o m o d o paravento per transazioni illecite;

c. dotate di un sistema di sanzioni. Senza la possibilità di sanzioni, che disincentivino i c o m p o r t a m e n t i scorretti, il lavoro dell'autorità è purtroppo eludibile ad un costo molto basso.

Le autorità di garanzia italiane rispondono a questi requisiti? C o m e v e d r e m o molti problemi i m p e d i s c o n o di dare una risposta positiva. Dalle difficoltà di realizzazione concreta derivano i limiti di una scelta razionale c o m p l e s s a e camaleontica.

S e c o n d o principi coerenti con gli indirizzi costituzionali d a r e m o infine u n a i n f o r m a z i o n e di base su alcune delle più importanti e m e n o note autorità di garanzia.

LE ORIGINI

STORICHE

DELLE ISTITUZIONI

PER UN MERCATO

PIÙ EFFICIENTE

di Giuseppe Berta • 1 p r o b l e m a di una regolazione delle attività economiche, nei loro effetti sulle dinamiche di mercato, si affacciò tra le nazioni sviluppate verso la fine dell'Ottocento. Prima di allora, i tentativi di intervento che si erano verificati avevano avuto altri obiettivi e contenuti: per esempio, vi era stata anzitutto la legislazione sociale sulle fabbriche che aveva avuto di mira la salvaguardia della condizione delle fasce più deboli dei lavoratori (donne e bambini). M a una disciplina delle attività e c o n o m i c h e che regolamentasse anche aree soggette alla scelta

imprenditoriale era cosa affatto inedita e che a molti appariva sconcertante perché tendente a limitare la libertà d ' a z i o n e delle imprese.

A suscitare la controversia sull'opportunità o m e n o di imporre delle restrizioni all'attività e c o n o m i c a era la questione, che allora incominciava appena a profilarsi, dei monopoli. Il grande sviluppo delle imprese, la loro espansione dimensionale e l ' i m p u l s o ad assicurarsi quote crescenti di mercato, portavano le maggiori tra di loro a ricercare delle f o r m e di alleanza e di intesa strategica. Si avevano così casi di legami sempre più fitti fra attività finanziarie e industriali e f r a imprese appartenenti allo stesso settore (tipica in questo senso l'esperienza dei «cartelli» tedeschi), e casi di integrazione verticale (cioè f r a imprese che operavano su sequenze distinte del ciclo del prodotto). E r a n o da considerarsi legittime queste pratiche? A chiederselo erano evidentemente soprattutto coloro che si sentivano danneggiati da intese e c o n o m i c h e che minacciavano di soverchiare gli operatori economici di minori dimensioni, dotati di capacità operative e di margini di m a n o v r a assai inferiori rispetto ai loro concorrenti più grandi e agguerriti. E poi naturalmente pesavano, nel mettere a f u o c o il p r o b l e m a , le differenti tradizioni legislative e istituzionali di ogni paese. Nel R e g n o Unito, patria per definizione di un capitalismo propenso ad autogovernarsi fin d o v ' e r a

(7)

possibile e incline al

m a n t e n i m e n t o della cornice del liberismo, la Common Law, cioè il diritto consuetudinario, non dava spazio alla possibilità di far sorgere dei «cartelli» fra imprese, p r o g r a m m a t i c a m e n t e orientati a far blocco nella p r o m o z i o n e di un assetto compatto di interessi. Ciò in pratica significava che chi voleva apparentare tra di loro delle aziende non aveva aperta che la strada delle fusioni, con gli ingenti costi finanziari che questo processo comportava. Antitetica e originale, in c a m p o europeo, la via seguita dalla G e r m a n i a guglielmina. Qui non solo i «cartelli» erano del tutto leciti, m a il governo e la giurisprudenza incoraggiavano la f o r m a z i o n e di grandi complessi finanziari e industriali integrati, f a c e n d o dell'alleanza f r a la banca e l ' i m p r e s a e della f o r m a z i o n e di strutture consortili la chiave di volta strategica per il r a f f o r z a m e n t o d e l l ' e c o n o m i a nazionale. P r e n d e v a n o così consistenza i contorni di un capitalismo che, a partire dagli anni venti del nostro secolo, alcuni avrebbero etichettato c o m e «organizzato», allo s c o p o di porne in risalto il grado elevato di coesione sistemica.

^ a notare c o m e , proprio j j nel 1897, q u a n d o l'alta

corte tedesca riconosceva

definitivamente la legittimità dei «cartelli^, negli Stati Uniti la Corte S u p r e m a riconfermava la validità dello Sherman Act, la legge che nel 1890 a v e v a accolto e istituzionalizzato l ' o r i e n t a m e n t o

antimonopolistico presente in larghi settori della vita pubblica americana.

L o Sherman Act, che verrà applicato agli inizi del N o v e c e n t o e in particolare negli anni Dieci, durante la presidenza di T h e o d o r e Roosvelt, p o n e v a dei limiti alle intese e alle fusioni tra le società. Esse p o t e v a n o venire sciolte q u a n d o si configurassero c o m e delle vere e proprie pratiche di monopolio, tendenti a mettere fuori gioco la concorrenza fra una pluralità di operatori e soggetti e c o n o m i c i , con discapito sia dei produttori che dei consumatori. A volere lo Sherman Act erano stati numerosi imprenditori piccoli e medi, attivi e influenti

soprattutto nelle regioni del Mid-West degli Stati Uniti, dove essi o c c u p a v a n o dei posti di rilievo nella politica e nell'amministrazione. C o n t e m p o r a n e a m e n t e , incominciavano le grandi c a m p a g n e giornalistiche contro i robber barons, i magnati delle grandi corporations, accusati di tramare ai danni dei loro concorrenti minori e del pubblico americano.

0 n Italia? L'Italia in questo / m periodo era ancora

piuttosto lontana da simili preoccupazioni, perché la nostra base industriale era in corso di costituzione. All'inizio del N o v e c e n t o e, grosso m o d o , fino alla grande crisi degli anni Trenta, tuttavia, il modello prevalente s e m b r a v a non distantissimo da quello tedesco, grazie all'apporto determinante delle b a n c h e cosiddette «miste», sorte proprio grazie ai capitali germanici. Di qui l'esistenza di pacchetti azionari «incrociati" fra banche e imprese, al fine di alleviare le difficoltà di f i n a n z i a m e n t o dell'attività industriale e di espanderne le dimensioni. I crolli degli anni Trenta e la f o n d a z i o n e dell'Iri misero però fine a questa situazione.

Di una vera e propria legislazione rivolta contro le concentrazioni monopolistiche si parlerà soltanto alla m e t à degli anni Cinquanta, q u a n d o il t e m a verrà sollevato da un e c o n o m i s t a radicale, Ernesto Rossi, che si considerava erede delle battaglie d ' o p i n i o n e condotte da Luigi Einaudi ai primi del secolo contro i «trivellatori della nazione» (i gruppi siderurgici e zuccherieri). M a per arrivare all'attivazione dei primi strumenti di intervento, bisognerà lasciar passare ancora più di T r e n t ' a n n i .

Mimica Dengo

(8)

L'EFFICACIA

IMPERFETTA

DELLE REGOLE,

TRA GRUPPI

DI PRESSIONE

E INTERESSI

POLITICI

di Roberto Weigmann

/

e autorità amministrative indipendenti dal governo dovrebbero vigilare sull'applicazione delle regole fissate dal potere politico e cioè in primo luogo dal parlamento, espressione della volontà popolare. La loro azione incontra però, a l m e n o in Italia, limiti notevoli.

Anzitutto il contenuto delle n o r m e legislative è spesso necessariamente generico. Sul terreno e c o n o m i c o la realtà si evolve rapidamente, mentre la legge per sua natura tende alla fissità. Dallo sforzo di conciliare queste due contrapposte esigenze deriva l ' i m p i e g o , f r e q u e n t e nei testi di legge, di clausole generali, cioè di espressioni dal contenuto indeterminato, il cui a p p r e z z a m e n t o è lasciato all'autorità di controllo. Così, nella disciplina antimonopolistica, sono vietate (e quindi nulle ad ogni effetto) le intese f r a imprenditori che i m p e d i s c o n o , restringono o falsano in maniera consistente il gioco della c o n c o r r e n z a all'interno del m e r c a t o europeo, o di quello nazionale, o di una parte rilevante di esso. M a l'autorità garante p u ò autorizzare quelle intese che c o m p o r t i n o un sostanziale beneficio per i consumatori, perché a u m e n t a n o o migliorano qualitativamente la produzione, o f a v o r i s c o n o il progresso tecnico, o contribuiscono a rendere le imprese più competitive sul piano internazionale. A d esempio, si permette ai piccoli e m e d i imprenditori la creazione di un consorzio, cioè di u n ' o r g a n i z z a z i o n e c o m u n e , per le esportazioni. O p p u r e si lascia costruire un laboratorio congiunto di ricerche o di trattamento elettronico delle i n f o r m a z i o n i e della contabilità. E intuitivo però che la distinzione f r a intese cattive o b u o n e si f o n d a su un difficile pronostico riguardante l'evoluzione f u t u r a del sistema e c o n o m i c o . L a selezione dei casi da autorizzare è perciò in b u o n a misura discrezionale e la facoltà di scelta espone l'autorità garante a pressioni delle forze politiche e sociali, sia di parte imprenditoriale sia di parte sindacale. E d anzi, q u a n d o gli interessi nazionali a s s u m o n o m a g g i o r e rilevanza, una deroga alle regole consuete p u ò essere, in base alla legge, c o n c e s s a dal governo. Si vede a questo punto c o m e la soluzione del caso non sia più giuridica, cioè desumibile

dall'interpretazione di regole precostituite, m a politica. Ciò che avviene nei casi estremi illumina anche il contenuto delle scelte c o m p i u t e nelle questioni m e n o appariscenti: l'autorità non solo controlla che le n o r m e siano rispettate, m a fissa essa stessa l'esatta portata di molte regole. I giuristi dicono

che la decisione, invece che di legittimità, diventa di merito.

/

a e r i a m o un altro esempio. In molti paesi occidentali, per proteggere i risparmiatori che investono in borsa, si è introdotta la regola, di derivazione inglese, per cui chi acquista il controllo azionario di una società quotata deve presentare agli azionisti di m i n o r a n z a u n ' o f f e r t a pubblica di acquisto (OPA) delle loro azioni, per un a m m o n t a r e a l m e n o uguale al quantitativo di titoli venduto da chi ha trasferito il controllo e per un prezzo identico. In tal m o d o si cerca di garantire la parità di trattamento fra tutti coloro che o p e r a n o sul mercato dei valori mobiliari, grandi o piccoli che siano, allo scopo di alimentare la fiducia dei risparmiatori nell'equità delle regole e c o n s e g u e n t e m e n t e di favorire l ' a f f l u s s o degli investimenti in attività imprenditoriali. M a può succedere che una società quotata ne controlli indirettamente delle altre, pure quotate, mediante una catena di partecipazioni (A controlla la m a g g i o r a n z a del capitale azionario di B, la quale possiede il pacchetto di controllo di C, a sua volta socia di maggioranza di D). Se taluno acquista il controllo di A deve sicuramente proporre u n ' O P A agli azionisti di m i n o r a n z a di A. M a siccome, tramite A, lo stesso soggetto acquista a catena il controllo di B, di C, di D, deve presentare altre O P A sui rispettivi titoli di B . C . D ? A f a v o r e di una risposta positiva sta il fatto che, seppur indirettamente, il controllo delle società concatenate B, C, D è passato di m a n o . A f a v o r e della risposta negativa sta invece

l ' o s s e r v a z i o n e che f o r m a l m e n t e n e s s u n a azione di B, C, D ha c a m b i a t o proprietario, poiché la catena resta sempre saldata ad A, che è u n a persona giuridica, cioè un soggetto indipendente nel m o n d o del diritto. A i soci di m i n o r a n z a di B, C, D non è n e m m e n o possibile offrire il m e d e s i m o prezzo già pagato al socio di controllo, poiché, c o m e si è chiarito, sono state trasferite soltanto azioni della società A. È evidente che l'autorità di controllo, d o v e n d o scegliere f r a le due interpretazioni, ha un compito delicato. Se, in applicazione della regola, essa pretende delle offerte pubbliche a catena, carica un i m p e g n o gravoso sulle spalle

dell'acquirente e scoraggia così in linea generale il trasferimento del controllo delle società a capo di un gruppo, ove quotate in borsa. Se invece l'acquisto della m a g g i o r a n z a azionaria della controllante non obbliga a nessuna O P A sulle controllate quotate, si sacrificano le aspettative di coloro che h a n n o

(9)

investito i risparmi in azioni di queste ultime e ne vedono cambiare il padrone, nelle cui ; capacità manageriali avevano

magari confidato.

m er circoscrivere la loro W discrezionalità, le

autorità garanti spesso dunque preferiscono ! emanare dei regolamenti con i

quali chiariscono nei dettagli i criteri che si intendono seguire. 11 fondamento che rende legittimi questi regolamenti sta nella legge, che come norma primaria viene integrata da una disc iplina secondaria. Per ritornare all'esempio precedente delle società a catena quotate in borsa, l'organo di vigilanza può stabilire in linea di principio che diventa obbligatorio presentare u n ' O P A anche per le azioni della società figlia, quando l'intenzione di chi acquista la società madre è rivolta soprattutto ad entrare in possesso della società controllata. Tale proposito si presume quando la maggior parte del patrimonio della controllante A (in genere una società finanziaria) è investito nella partecipazione di controllo di B (in genere una società industriale). Ma che dire nei casi in cui solo una quota importante (ad es. un terzo) risulta così piazzata? E facile intuire che la società .compratrice della capogruppo

eserciti pressioni, con campagne di stampa o in altro modo, per convincere gli interlocutori che essa mira in via prioritaria soltanto alla società madre.

Lo sforzo di disciplinare nei particolari ogni fenomeno può condurre tuttavia a risultati controproducenti. L'eccesso di regole ne rende più difficile la conoscenza e l'osservanza, sia per gli operatori economici tenuti a rispettarle, sia per i funzionari che vigilano sulla loro corretta applicazione. Si può addirittura creare uno stimolo perverso: l'autorità garante, come ogni macchina burocratica, tende a legittimare se stessa, cioè ad affermare l'importanza e l'utilità sociale del proprio compito. L'abbondanza di norme ne diventa la prova ostentata. Ma la rete sempre più fitta di regole rischia di imprigionare il sistema economico,

aumentando i costi

amministrativi e scoraggiando le innovazioni. Di qui nascono aspre crìtiche che le dottrine liberiste più accanite muovono ad esempio alla disciplina antimonopolistica, a cominciare dal paese dove essa è nata ed ha messo più profonde radici, gli Stati Uniti d'America. Più in generale, si auspica il taglio dei tanti lacci e lacciuoli che legano le mani agli imprenditori.

/ A A n altro grosso ostacolo che le autorità garanti ^ ^ ^ devono affrontare è quello dell'ambito territoriale in cui sono competenti. Gli organi di vigilanza sono emanazione dei rispettivi paesi e ne subiscono i confini. E soprattutto nel campo penale che gli Stati sono gelosi della loro sovranità: in linea di principio non si possono punire in un paese gli atti compiuti in un altro. Eppure la sanzione criminale rappresenta spesso il deterrente più efficace per scoraggiare le condotte illecite. Nel mondo degli affari l'intreccio internazionale continua a crescere, non soltanto negli scambi, ma anche nella produzione e negli investimenti, compresi quelli finanziari. In Europa la City londinese assorbe da sola la metà di tutti gli scambi borsistici che avvengono nel continente e questi contratti, a loro volta, per metà riguardano titoli emessi da società straniere (479 delle quali alla fine del 1993 erano quotate a Londra). La vigilanza sulle operazioni economiche deve quindi essere impostata su basi

sovranazionali. Ciò può accadere in due modi. Anzitutto si possono fissare regole identiche, o almeno equivalenti, in più paesi ed istituire una autorità centrale dì controllo. È quanto si verifica per gli Stati aderenti all'Unione Europea. Le intese o le concentrazioni fra imprese concorrenti, quando rischiano di pregiudicare gli scambi fra i paesi della Comunità, sono vietate oppure autorizzate (se riconosciute benefiche) dalle norme e dagli organi dell'Unione. Le stesse regole italiane, che si applicano ai fenomeni monopolistici di rilevanza puramente intema, ricalcano quelle comunitarie e devono essere interpretate alla luce dei principi già espressi in quella sede.

Se non si superano

istituzionalmente i confini della sovranità statale, occorre favorire la cooperazione fra le corrispondenti autorità garanti, sollevandole reciprocamente dal segreto di ufficio ed anzi impegnandole a svolgere sul proprio territorio le opportune indagini. Spesso gli Stati stipulano appositi trattati bilaterali.

Ad esempio, in molti paesi si proibisce ì'insider trading, cioè il commercio di azioni di società quotate da parte di soggetti che, grazie alla loro posizione (di consiglieri di amministrazione, di dirigenti, di consulenti), vengono a conoscere una notizia capace di influenzare i prezzi di borsa prima che l'informazione venga divulgata. Nasce allora la tentazione di approfittarne, comprando magari a un costo più basso le azioni prima che la società comunichi ufficialmente

la scoperta di nuovi giacimenti petroliferi in qualche terra di sua concessione e poi

rivendendo i titoli non appena la quotazione salga grazie alla diffusione della buona notizia. Ora, se l'ordine di acquisto arriva per telefono da una misteriosa società di qualche paese tollerante, con il quale non esistono accordi di cooperazione in materia di vigilanza, diventa difficilissimo scoprire chi si nasconde dietro lo schermo ed ancor più infliggergli la sanzione.

0 n taluni casi la difficoltà di / m applicare le regole non è

A » solo pratica, ma anche teorica. Un paese può vietare ad una società controllata di comperare azioni della controllante, perché l'incrocio delle partecipazioni determina un annacquamento patrimoniale, creando un'apparenza di ricchezza sulla carta: infatti le risorse di A vengono investite nella controllata B e da questa, per ordine degli amministratori di A ai quali obbediscono quelli di B che dai primi sono nominati, ritornano ad A. Ma se B è una società straniera, che ha sede in un paese che non stabilisce un divieto cosi rigoroso (ma ammette, per ipotesi, che B possa acquistare azioni della sua controllante, purché impieghi allo scopo degli utili non distribuiti e purché la sua partecipazione non salga oltre il decimo del capitale di A), quale regola bisogna applicarle? Quella più stretta del paese della controllante A o quella più larga del paese in cui essa ha la sua sede ed alla cui legislazione pertanto soggiace? Lo stato di A comprensibilmente insiste perché la sua norma non sia svuotata per il tramite di società figlie straniere: però esso potrà vietare che B voti

nell'assemblea di A, convocata nel suo territorio, mentre più difficilmente riuscirà a costringere B a rivendere le azioni di A che essa, per la legge del suo paese, legittimamente possiede all'estero.

(10)

La Consob

(Commissione

nazionale

sulle operazioni

di borsa)

di Antonio La Spina

ià nel 1956 (progetto MM Ascarelli), e poi nel ^^ M 1961 (commissione

Santoro Passarelli) sono state elaborate proposte in materia di riforma della vigilanza sulle società quotate in borsa'. Il tema compariva nel programma del governo di centrosinistra, e gli venivano successivamente dedicati i lavori di un 'altra Commissione di nomina governativa (De Gregorio). In tali documenti, che rimasero allo stadio dell 'auspicio, si evidenziava la necessità di una istanza specializzata nel compito di vigilanza, ma la si individuava nella Banca d'Italia, o comunque in organi da essa dipendenti. Proposte più recenti (un d.d.l. di Lombardi, del 1972, che poneva la

Commissione alle dipendenze degli organi della

programmazione; e il c.d. progetto Marchetti del 1973),

invece, facevano riferimento ad un organo autonomo collegiale, composto da soggetti qualificati per competenza, esperienza e indipendenza. Un c.d. progetto La Malfa (allora ministro del Tesoro), prevedeva infine una Commissione composta in prevalenza da esponenti di tale Ministero, della Banca d'Italia e della Corte dei Conti, più due esperti esterni. Anche tali proposte sarebbero forse rimaste a lungo lettera morta, se non fosse inten'enuta una vicenda del tutto contingente: la necessità, da parte

democristiana, di ripristinare una agevolazione tributaria (la c.d. cedolare secca al posto della cedolare d'acconto sui titoli azionari), che indusse i socialisti a chiedere e ottenere come contropartita l'istituzione della Consob. Questa avvenne pertanto in tutta fretta, rimaneggiando il progetto Marchetti, addirittura per decreto-legge, e alquanto in sordina (sipario di «mini-riforma della società per azioni»).

La legge di conversione di tale d.l., la 216/74, lo modificò sostanzialmente, limitando pesantemente l'autonomia della

Consob: infatti, si ritenne che un organo dotato di poteri discrezionali tanto vasti e incontrollabili avrebbe potuto addirittura sostituirsi al Parlamento nella funzione normativa (così gli on.li La Loggia, allora ministro del Tesoro, e Visentini), e si preferì pertanto porlo alle dipendenze del ministero del Tesoro, cui spettava ad esempio di rendere esecutive, con suo decreto, le delibere Consob in materia di borsa. Alcuni commentatori osservarono che in tal modo la Consob era stata trasformata in un «profeta disarmato», o peggio in un «Polifemo accecato» (Minervini). «La conclusione è chiara: l'organo è tecnico, ma alle dipendenze

sostanziali del potere politico il Vi quale, se non gradirà talune scelte, potrà trasformare la Commissione in un ennesimo ente inutile tagliandole i viveri» « s (Santini). In effetti, che la percezione dell 'organismo da parte del governo fosse di tale genere, lo dimostra il fatto che si attese più di un anno prima di ìV> nominare i primi commissari. Nella fortunosa nascita della Consob, dunque, riscontriamo una tiepida, se non ritrosa, adesione del governo, e un certo ov interesse da parte di un partito < della coalizione governativa. Si i< può dunque ritenere che

l'origine del provvedimento (nella sua prima versione) sia da riconnettere a elaborazioni di ambienti «tecnici» vicini a

tale partito, in contrapposizione 9! alla scuola di pensiero che

voleva il controllo della borsa nella mani della Banca d'Italia. s Vi fu anche chi sostenne che, con la sottoposizione della Consob al Tesoro, non si faceva d che reintrodurre occultamente una dipendenza dalla Banca d'Italia (Cassese, Minervini, Caffé).

eniamo al funzionamento o della Commissione. I suoi so primi anni di vita furono 1 contrassegnati da un avvio

stentato e poco operoso (Cassese). Va anche ricordato, tuttavia, che svariate leggi e decreti delegati andarono incrementalmente ampliando le sue competenze in tema di controllo contabile e certificazione dei bilanci delle società quotate, organizzazione e funzionamento delle borse, ammissione dei titoli a quotazione, controlli e ispezioni, fondi comuni di investimento e sollecitazione del V pubblico risparmio, etc. Con la presidenza Rossi, poi, si tentò di ù sfruttare al massimo le

possibilità di inten'ento offerte da tali strumenti normativi, e fu s sempre più evidente come la Consob fosse divenuta un attore istituzionale dotato di una propria strategia, capace di fare autonomamente e

direttamente pressione sul Parlamento per ottenere gli inten'enti legislativi ritenuti necessari (stilando tra l'altro il documento «Proposte di modifiche della legge 7 giugno 1974, n. 216», che sarebbe stato o poi in larga misura recepito dalla legislazione successiva). Nonostante tale dinamismo, gradualmente in aumento, il giudizio complessivo sui primi anni di funzionamento della Consob è stato comunque negativo. Un momento di crisi, occasionato da un evento traumatico (la Consob ammise alla quotazione in borsa il titolo o del Banco Ambrosiano, appena un mese prima che questo crollasse), fornì, nel 1984, l'occasione di una indagine conoscitiva «sui problemi

(11)

relativi alla funzionalità e al livello di operatività della Consob», svolta per conto della VI Commissione Finanze e Tesoro della Camera dei deputati. Tale indagine, pur i segnalando esigenze di

intervento legislativo. | evidenziava al contempo gravi : disfunzionalità, ritardi e

inefficienze nell'operato della Consob (in tema di controllo delle società di revisione e dei bilanci certificati, di mancato esercizio della potestà regolamentare, di ammissione di valori mobiliari discutibili, di accettazione di prospetti incompleti, di vigilanza sulla borsa-valori).

Ma con la I. 2S1/75 il dato strutturale muta radicalmente, talché, da questo momento la Consob può essere ascritta a pieno titolo al novero delle autorità indipendenti. Nello stesso anno la Commissione per la modernizzazione delle istituzioni (c.d. Commissione Piga) aveva dedicato un denso paragrafo alle

«amministrazioni indipendenti ad alto tasso di imparzialità ». /

• n effetti il ministro del ^È Tesoro presentava due

^ diversi disegni di legge, rispettivamente in tema di identificazione dei soci delle società con azioni quotate in borsa e delle società per azioni esercenti il credilo, e di attuazione delle direttive Cee n. 79/279, 80/390 e 82/121 in materia di mercato dei valori mobiliari. Da tali disegni di legge, tuttavìa, derivano, con rilevanti modificazioni, soltanto sette dei ventisei artìcoli della I. 281/85. Per il resto, come ha osservato Guido Rossi, la legge è figlia del Parlamento, e più precisamente di un comitato ristretto della VI Commissione della Camera dei deputati. Tra l'altro, la versione approvata non soltanto non recepiva le indicazioni del Governo desideroso di accentuare il collegamento funzionale tra Consob e Ministero, ma aggiungeva di sana pianta, ad esempio, gli arti, da 1 a 4, che rivoluzionavano la natura della Commissione. I risultati sono, tra l'altro: l'eliminazione del decreto ministeriale ai fini dell'esecutività delle

sconfitto. Non siamo dunque davanti ad una politica regolalìva voluta e guidala dal! 'esecutivo. Dobbiamo allora parlare dì modalità partitiche di policy making? Diremmo proprio di no. Manca uno scontro vero e proprio lungo linee di partito, e l'aula, tìpica sede di confronti siffatti, non viene affatto investita della questione. L'arena rilevante è la Commissione, che agisce peraltro all'unìsono. Il «comune sentire» che ha preparato la riforma è condiviso da specialisti gravitanti sia sui diversi partili della maggioranza (Piga, Piro) che sull'opposizione (Minervinì). Piuttosto che linee partitiche le schermaglie ripercorrono probabilmente contrapposizioni fra istituzioni (Direzioni ministeriali, Banca d'Italia, Consob). In definitiva, rispetto ai mercati finanziari sembra essersi strutturato un solido issue network, il quale prescinde in larga misura da affiliazioni partitiche e da programmi di partito che sovente tacciono sul tema (con diversa terminologia, tale è

Ci

risultari dell'indagine conoscitiva prima richiamata, unitamente alle pressioni della stessa Consob. spìngevano all'adozione di nuove normative (in una inten'ista Rossi dichiarava: «...colpisce, da un lato, la velocità con cui il Parlamento, acconsentendo alle pressanti richieste che gli erano giunte dall'organo amministrativo, ha provveduto nel 1981 all'emanazione della legge n. 175, istitutiva della seconda sede della Consob in Milano dell 'organico. Analogamente, occorre segnalare l'intensa partecipazione svolta dalla Consob formazione del testo definitivo della l. n. 77, con riferimento in particolar modo agli artt. 12 e 13, ed ancora la costante presenza di rappresentanti ufficiali della Consob nel corso delle indagini conoscitive sul funzionamento delle Borse valori, sulla Consob stessa, nonché sugli intermediari finanziari e sull'attuale situazione della legislazione bancaria»).

deliberazioni Consob: l'attribuzione di potestà normative, in determinate materie, da esercitarsi in totale indipendenza da atti di controllo dell'esecutivo; l'attribuzione alla Consob della personalità giuridica di diri Ilo pubblico; l'audizione dei commissari designati dal Governo, prima del perfezionamento della loro nomina, da parte delle commissioni parlamentari competenti, il che avvicina molto tale modalità di designazione alla nomina parlamentare tipica delle autorità della seconda generazione: la necessità che il Presidente de! Consiglio motivi al Parlamento l'eventuale proposta di scioglimento della

Commissione.

Come valutare tale turning point legislativo nei termini della supposta pervasività del party government italiano? Certamente il Governo si è manifestato refrattario a privarsi di potere a vantaggio della Commissione, ed è stato

anche l'opinione di un ossenntore privilegiato come Predieri). Il Parlamento, o meglio le Commissioni, agiscono da luoghi decisionali «trasformativi».

L'adozione di un processo legislativo «vischioso» e frammentato come quello

italiano sembra favorita dalla forte integrazione dello issue

network di tecnici e

professionisti (probabilmente sensibili alle esigenze delle lobbies di operatori del settore, e spesso deliberanti a spese delle indicazioni governative e in assenza di quelle partitiche), dal meccanismo della delega (all'agenzia), dal metodo incrementale (le competenze della Consob vengono accresciute pezzo per pezzo, da un «diluvio» - l'espressione è di Minervini di provvedimenti parziali), e infine dalla presenza di un attore

istituzionale, la stessa Consob, interessato ad irrobustire la propria posizione.

(12)

onferma di quanto appena M s detto, ritroviamo le stesse

caratteristiche del policy process che ha condotto alla I. 281/85 in altri successivi provvedimenti concernenti i poteri della Consob, richiesti pressantemente dalla medesima (cfr. il suo libro bianco Linee dì progetto per una riforma del mercato borsistico, del 1987). La l. 157/91. in tema di insider training, ad esempio (cui seguiranno la l. 1/91, sulle Società di intermediazione mobiliare, e la I. 149/92, sulle offerte pubbliche di acquisto), è anch 'essa il risultato della fusione, ad opera di un altro

comitato ristretto della VI Commissione della Camera, di più disegni di legge, di cui soltanto uno di fonte governativa. Si poneva, tra l'altro, il problema della posizione da attribuire alla Consob in riferimento alla proposizione dell 'azione giudiziaria contro eventuali usi abusivi di informazioni riservate, e si riteneva, da parte del governo, che ciò dovesse avere delle ripercussioni sulla composizione e sul

funzionamento della Consob medesima. Anche in questo caso, il braccio di ferro istituzionale si è concluso a favore della Consob. Infatti, le è

stato attribuito in via esclusiva il compito di precisare gli obblighi di informazione e l ' e n f o r c e m e n t dei divieti introdotti, eliminando l'intervento del ministro del Tesoro, orig inarìamente previsto nel testo approvato dalla Camera dei deputati. Inoltre, alcune ipotesi di modifica della Consob, provenienti dalla maggioranza (tra cui quella di trasformare la Commissione in un organo monocratico), furono eliminate in Senato così come fu eliminato il riferimento al ministro del Tesoro in relazione alle modalità dell'informativa al pubblico. Infine, il potere di denuncia dei reati è stato attribuito esclusivamente al presidente della Consob. Con l'emanazione dei suddetti provvedimenti legislativi la Consob, che resta intatta nella sua struttura, si trova ormai in possesso di gran parte dei poteri necessari per svolgere incisivamente le sue funzioni. Andrebbe analizzato sistematicamente, pertanto, il funzionamento concreto della

Commissione. Va segnalato, comunque, che fino a poco tempo addietro fra i commentatori era diffusa la convinzione che l'azione della Consob, nonostante tutto, restasse inefficace quando si trattava di incidere sugli interessi dei potentati economici e dei protettorati dei partiti cui i commissari dovevano la loro nomina lottizzata. Vengono menzionati dalla stampa numerosi casi discutibili di

esercizio dei poteri

discrezionali, regolamentari, di vigilanza (quotazione della Premafin di Ligresti; fusione Ferfin-Meta; passaggio della Finsiel dall'In alla Stet; indulgenze verso la Lombardfin, o in tema di obblighi di opa; ritardi nell 'adozione della disciplina dei riporti o nella vigilanza su aumenti di capitali e fusioni; ammissione alla quotazione in borsa di società con scarso flottante e in generale scarso rigore nell 'autorizzazione alla quotazione; scarsa attenzione verso le operazioni

intragruppo). Ma l'episodio topico, analogamente a quanto avvenne dieci anni prima con il crac dell'Ambrosiano, è il caso Ferruzzi-Montedison. nel quale due presidenti Consob, il defunto Franco Piga e Bruno Pazzi, sono accusati di aver svolto un ruolo, percependo le relative ricompense.

^^L ali indagini, ancora in K . corso, riveleranno

probabilmente aspetti occulti degli intrecci tra Consob, ceto politico e grandi gruppi finanziari. Che tale intreccio esistesse era peraltro, come si è detto, opinione invalsa tra gli operatori. Nell'attesa della conclusione dell 'azione penale, si è autorizzati a ritenere che possa essersi talvolta verificata, nel caso della Consob, la «cattura» paventata da certi critici statunitensi delle Independent Regulatory C o m m i s s i o n s . Si tratta tuttavia di una cattura differente, anzi di una duplice cattura: nelle agenzie Usa essa avverrebbe ex post facto, da parte dei gruppi di interesse regolati, una volta che l'agenzia stessa è stata creata. Ne! caso italiano, invece, i rapporti tra regolatori e interessi economici sono stati mediati dai partiti, o meglio da uomini di partito, non soltanto attraverso contingenti pressioni sui commissari, ma fin dal momento della nomina di questi ultimi. Anche prima del suo insediamento, dunque, la Commissione appare già «catturata», e doppiamente. Se ciò è vero, occorre distìnguere la struttura della nuova Consob, che è sempre più quella di una autorità indipendente a partire dal 1985, dal suo

funzionamento, che avrebbe obbedito alla logica della «doppia cattura» almeno fino a tutta la presidenza Pazzi (gennaio 1992). Va detto, peraltro, che la successiva Consob, presieduta da Berlanda, si è

immediatamente distinta dalla gestione precedente, avviando una riorganizzazione interna della divisione del lavoro. Purnondimeno. a pochi mesi dalla nomina uno dei commissari, Artoni, si è polemicamente dimesso

lamentando una «continuità» con le pratiche operative della gestione Piga e una

deresponsabilizzazione dei commissari circa il caso Ferruzzi. A parte questo incidente, la Consob attuale propone un 'immagine di controllore assai più visibile (diversi giornali hanno attivato rubriche in cui la Consob risponde alle richieste dei lettori), vigile e severo che in passato. Infine, secondo la bozza di legge finanziaria per il 1995, la Consob dovrà gradualmente autofinanziarsi imponendo tariffe sui servizi da essa prestati a Sim. società di revisione, promotori di servizi finanziari. Si tratta di un

ulteriore, pronunciato passo verso l'indipendenza strutturale.

'Per un inquadramento più generale cfr. A. La Spina, Partiti e mercato: le politiche di regolamen-tazione, Relazione al Seminario «Un gigante dai piedi d'argilla» (Certosa di Pontignano, Siena, 24-26 novembre 1994.

(13)

L'autorità

garante della

concorrenza

e del mercato

di Antonio La Spina el senso connine l'imparzialità è un mito, e qualunque decisione va interpretata riconducendola a interessi occulti retrostanti. Tale scetticismo viene diretto anche verso le autorità indipendenti. Soltanto un anno fa, nella rassegna «Una, dieci, cento Consob», un influente

quotidiano nazionale insinuava che in Italia «Quando si vuole evitare di controllare un settore, si crea un 'Authority». Alcune esperienze recenti, tuttavia, sembrano smentire questa ipotesi gattopardesca. Il punto di svolta potrebbe essere costituito dalle autorità della seconda generazione, il Garante per la radiodiffusione e l'editoria, e l'Autorità Garante della concorrenza e del

mercato, entrambe istituite nel 1990.

Per molti anni il sistema di governo italiano è rimasto pressoché inerte in tema di antitrust. Lo S h e r m a n Act statunitense rimonta al 1890. I principali paesi europei affrontarono la questione nel secondo dopoguerra. Numerose direttive comunitarie hanno atteso per lungo tempo attuazione. Soltanto nel 1986 (tralasciando la commissione Ferri, che nel 1983 redasse una bozza dì «codice dell'impresa» che toccava tra gli altri il punto della tutela della concorrenza) il ministro dell'industria Zanone formò una commissione presieduta dall'economista Romani, che fu prorogata dal successivo ministro dell'industria. Battaglia (repubblicano), e terminò i suoi lavori nel 1988. Va notato che l'adozione della legge antitrust era stata inclusa nel programma del governo De Mita, in assenza di pressioni da parte dei partiti della coalizione. Tale governo entrò in crisi nel luglio del 1989 e fu immediatamente sostituito da un altro guidato da Andreotti. Va anche notato che i partiti dì appartenenza di Zanone e di Battaglia erano in linea dì principio particolarmente sensibili ai valori dell'efficienza economica e della protezione dei consumatori.

Il rapporto Romani si ispirava alla recente ortodossia economica della scuola di Chicago, suggerendo di eliminare qualunque barriera ali 'ingresso di concorrenti sui mercati e di autorizzare le concentrazioni a certe condizioni. Tali principi incontrarono tuttavia le critiche dell'opposizione di sinistra, che presentò un suo disegno di legge, ispirato da Guido Rossi, ove gli obiettivi principali della politica erano indicati nella tutela del consumatore e nella repressione delle concentrazioni e degli abusi di posizioni dominanti (ma anche qui si ammettevano alcune eccezioni).

La filosofia del rapporto Romani fu quasi totalmente accolta nel disegno di legge presentato dal ministro Battaglia, che formerà la base della l. 287/90. Secondo tale progetto, la politica antitrust doveva far parte della più generale strategia di politica economica nazionale. Talune concentrazioni venivano non solo consentite, ma addirittura favorite. Deroghe al divieto generale di concentrazione potevano essere concesse dall'Autorità Garante (nella versione finale del

provvedimento, tuttavia, tali deroghe possono essere concesse sulla base dei criteri deliberati dal consiglio dei ministri). Questa disposizione insieme ad altre, forniva al governo la possibilità di proteggere i «campioni nazionali», le cui strategìe dì concentrazione avrebbero potuto essere tollerate, contro

la concorrenza internazionale. Il processo decisionale in Parlamento non fu

particolarmente conflittuale. I partiti della maggioranza sostennero piuttosto acriticamente il disegno di legge governativo, mentre l'opposizione comunista fu «costruttiva», appuntandosi soltanto su alcuni aspetti di esso. Sì ritenne infatti che sussistesse il pericolo di un eccesso di protezione delle industrie nazionali così come di un eccesso dì poteri devoluti all'Autorità Garante. Altri rilevanti riserve vennero dalla Banca d'Italia, che temeva la perdita di potestà sulle aziende creditìzie. Ma tali ostacoli vennero superati con relativa facilità, almeno rispetto alla

prassi italiana, e la legge fu approvata nell'ottobre del 1990.

^ ^ nche la politica M M , antitrust, come quella di

regolazione dei mercati mobiliari, è a costi concentrati e benefici diffusi, il che rende particolarmente difficoltosa la sua adozione. Infatti, il ritardo rispetto agli altri paesi europei è stato assai pronunciato. Come spiegare, tuttavia, l'interruzione di tale inerzia ? Un 'ipotesi potrebbe essere che, rispetto alle sue finalità manifeste, il provvedimento abbia modificato la sua natura, aspirando alla produzione di benefici concentrati. Verso quali beneficiari? Appunto verso le industrie nazionali, sottoposte ad una sempre più minacciosa concorrenza internazionale. In assenza di una normativa nazionale, le grandi imprese italiane potevano essere sottoposte alla più svantaggiosa normativa comunitaria. Infatti, l'articolo 25, comma 2 della I. 287/90 prevede che, in deroga alle norme comunitarie, il presidente del consiglio dei ministri, su proposta del

(14)

ministro dell'industria e dopo deliberazione consiliare, possa inten'enire su una

concentrazione in

considerazione della nazionalità delle imprese coinvolte. Ciò potrebbe spiegare perché i potentati economici italiani, prima sfavorevoli, divennero dei convinti avvocati della politica antitrust negli anni Ottanta. In questo caso l'interprete di tali esigenze fu l'esecutivo, già a partire dal governo De Mita, che promosse una apposita commissione per fornire la necessaria base tecnica e teorica. Certamente, l'appartenenza partitica dei due ministri dell'industria ricordati ha giocato un qualche ruolo. Ma essa conferma, in realtà, l'impressione di una larga autonomia dell'esecutivo rispetto ad un presunto dominio dei partiti. Infatti, sia i liberali che i repubblicani erano partiti di modesta entità, e i loro orientamenti favorevoli al mercato non erano condivisi dai partiti maggiori. Il fatto che tali orientamenti si siano tradotti nella legge prova che i partiti più importanti non presero in realtà posizione ( con

l'eccezione dell'opposizione di sinistra). Diversamente opinando, dovremmo concludere che i partiti liberale e repubblicano furono i dominatori del policy process. La legge contiene in sé, come si è accennato, i semi della possibile replica di una autorità italian style, vista la possibilità di ingerenza de! governo sull 'attività discrezionale dell'Autorità. Per altro verso.

però, i commissari sono nominati dai presidenti delle Camere, senza ingerenze dell'esecutivo; il potere regolamentare di autoorganizzazione viene esercitato del tutto

autonomamente; non sussistono di norma (salva la materia del finanziamento) rapporti dì

natura organizzativa o funzionale con organi

dell'esecutivo; e all'Autorità sono stati direttamente attribuiti ampi e penetranti poteri, specie in campo ispettivo. Quali che fossero le intenzioni reali del

legislatore del 1990, è indubbio che, nei suoi quattro anni di vita l'Autorità Garante abbia acquisito un ruolo di spicco. Un indizio importante di una indipendenza sostanziale dagli intrecci fra partiti e potentati economici è il fatto che in più occasioni (ad esempio a svantaggio della ex Sip, e più di recente di una ipotesi di raccordo Stet-Rai) l'Autorità non si sia fermata davanti agli interessi dei monopoli e delle grandi imprese pubbliche. Recenti valutazioni delle prestazioni di tale organismo mostrano uno straordinario attivismo (magari talvolta rivolto verso ipotesi di concentrazione irrilevanti). Anche se alcune voci si sono levate a proporre aggiustamenti nelle competenze e nelle soglie oltre le quali scatta il controllo dell'Autorità, il giudizio complessivo diffuso fra gli osservatori è quello di un funzionamento efficace.

(15)

L'agenzia per

la rappresentanza

negoziale nel

pubblico impiego

di Giovanni Villani ell'ambito m ^ / dell'ambizioso progetto di privatizzazione del pubblico impiego di cui al D. Lgs. 3 febbraio 1993. n. 29 (e successive modificazioni), una disposizione di notevole carica innovativa è quella che prevede l'istituzione della Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni in sede di contrattazione collettiva (art. 50, come modificato dall'art. 17 del D. lgs. n. 470 del 1993; nel testo originario, l'Agenzia era denominata "per le relazioni sindacali"). Con essa il legislatore sostituisce alle varie delegazioni di parte pubblica un 'unica, stabile, controparte. In precedenza la legge quadro sul pubblico impiego ( n. 93/19831 prevedeva che il datore pubblico partecipasse alla trattativa con una delegazione mista presieduta comunque dal Ministro o da un suo delegato assicurando così al vertice dell'esecutivo il ruolo di interlocutore decisivo. All'Agenzia, dotata di personalità giuridica, è attribuita la rappresentanza obbligatoria delle amministrazioni pubbliche, a livello di contrattazione collettiva quadro o di comparto. Si ritiene che la creazione di questo nuovo organismo persegua l'obiettivo di sottrarre la contrattazione collettiva ai pericoli di inquinamento cui in precedenza poteva essere esposta a causa delle forti tensioni politiche che si scaricavano sull'attività dì gestione delle relazioni di lavoro nel settore pubblico.

ppartiene alla comune esperienza che il

precedente meccanismo delle rappresentanze

contrattuali non poteva impedire che si verificassero accordi "sotto banco ", praticabili dall'autorità di

Governo quando intravedeva nei pubblici dipendenti, appartenenti all'area interessata alla contrattazione, una risen'a di consensi elettorali.

Si è parlato perciò di restituzione di tecnicità e trasparenza ai contenuti di una gestione che pareva appesantita da logiche di carattere politico. Ci si attendeva infatti, da parte del legislatore, la

predisposizione di meccanismi che garantissero ali 'istituenda Agenzia un certo quantum di indipendenza dall'esecutivo. Ciò, del resto, sulla falsa riga di quanto era già stato fatto, sempre nel nevralgico settore delle relazioni sindacali pubbliche, con l'istituzione della Commissione dì Garanzia ad opera della legge n. 146 del 1990 sullo sciopero nei servìzi pubblici essenziali. Invece i legami tra Agenzia e

potere esecutivo già sulla carta appaiono alquanto stretti, sia sotto il profilo strutturale (cioè della sua composizione, sia sotto il profilo funzionale (cioè delle modalità della sua attività).

Assai poco può dirsi quindi che essa abbia in comune con il modello dell'autorità amministrativa indipendente, dotata di libera capacità di autodeterminazione.

uanto alla composizione, t / t ì commi 2° e 3° dell 'art.

50 del D. Lgs. n. 29/1993 prevedono che: «Il Comitato direttivo dell'Agenzia è costituito da cinque

componenti nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri...» (comma 2°). «I componenti sono scelti tra esperti di riconosciuta competenza in materia di relazioni sindacali e di gestione del personale, anche estranei alla pubblica amministrazione... Non possono far parte del Comitato persone che rivestano cariche pubbliche elettive, ovvero cariche in partiti politici o in sindacati dei lavoratori, nonché coloro che abbiano avuto nel biennio precedente od abbiano incarichi direttivi o rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni. Il Comitato dura in carica quattro anni e i suoi componenti possono essere riconfermati...» (comma 3°).

È peraltro da sottolineare che nella riscrittura della norma operata dal D. Lgs. n. 470/1993 è venuto meno il disposto che prevedeva che il direttore dell'Agenzia venisse nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consìglio dei Ministri (precedente comma9°).

a è specialmente sul versante della individuazione dello spazio di azione e movimento riservato all'Agenzia che si potrebbe intravedere un filo che

la lega all'esecutivo. Non solo è espressamente prevista la sottoposizione dell 'Agenzìa alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della funzione pubblica (art. 50, comma 1°), ma è anche disposto che durante tutto il corso del suo operato essa deve attenersi alle direttive impartite dal Presidente del Consiglio dei Ministri «previa intesa con le amministrazioni regionali per il personale dipendente dalle regioni e dagli enti regionali e previo parere delle province e dei comuni per il personale rispettivamente dipendente» (art. 50, comma 4°). Tali direttive, come continua il

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

[r]

Graduatoria Posizione Punteggio Tipo Nomina Inclusione con riserva. Nomina per

Chiarimenti sulla correzione dei propri esercizi saranno possibili venerdì 15 marzo alle ore 9.00 presso l'ufficio

Chiarimenti sulla correzione dei propri esercizi saranno possibili venerdì 15 marzo alle ore 9.00 presso l'ufficio

Gli studenti di tutti i Gruppi del Turno 2 salvo 1,5.8,10, sono pregati di presentarsi in Lab.108 alle ore 14.00 di giovedì 12-4 per la discussione delle schede di laboratorio

Dr.ssa Berto Gloria fraz.. Bressan srl Via Ognibene dei

[r]