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Nel documento Sisifo 29 (pagine 61-69)

3 constatazione, infine, che anche i i partiti di sinistra,

1 tendenzialmente favorevoli al 3 diretto collegamento tra giudici 3 . e sovranità popolare mediante il ?. sistema elettivo, non si spinsero 3 oltre le affermazioni di principio i in tale senso. Tanto è vero che 1 l'art. 106 comma 1° indica il d concorso come la forma o ordinaria di reclutamento dei t magistrati.

^ ^ nche i controlli politici L M A / del potere' legislativo sul

giudiziario non hanno ti trovato spazio nel testo 0 costituzionale, orientato q piuttosto a garantire

1 l'indipendenza della

a magistratura da qualsiasi potere, •i ivi compreso quello legislativo, o come è reso esplicito dal q principio, sancito dall'art. 104 o comma Io, secondo cui "la n magistratura costituisce un o ordine autonomo e indipendente b da ogni altro potere".

J L'affermazione che vuole la g giustizia amministrata in nome >b del popolo costituisce quindi un IE anticipazione del principio della >2 soggezione dei giudici alla si legge, espresso con maggior ri rigore tecnico-giuridico nel 32 secondo comma dell'art. 101, di io cui converrà ora occuparsi. 3 Con il termine "giudici" si fa n riferimento ai titolari di funzioni ig giurisdizionali facenti parte jb dell'ordine giudiziario, cioè ai 32 soggetti chiamati

jq permanentemente ad applicare eI la legge e, quindi, a decidere i GOicasi concreti sottoposti al loro ig,giudizio.

1A Ma vi sono compresi anche 02: soggetti che svolgono solo joioccasionalmente tale funzione. .'/liNon vi rientra la figura del iqipubblico ministero, anch'egli qfl;appartenente all'odine

igSgiudiziario, ma privo di funzioni ¡"¡giurisdizionali e decisorie.

costituzionali, in particolare dall'art. 112, ove è affermato il principio di obbligatorietà dell'azione penale.

La soggezione dei "giudici alla legge" implica l'obbligo incondizionato di applicare qualsiasi legge (non potrebbe ad esempio il giudice rifiutarsi di applicare una norma di cui non condivide l'ispirazione, la disciplina ovvero le

conseguenze della decisione nel caso concreto); l'ulteriore precisazione che i giudici sono soggetti "soltanto alla legge" configura la principale garanzia di indipendenza della funzione giurisdizionale, che il giudice deve essere libero di esercitare in totale autonomia, senza essere soggetto a ordini, direttive o pressioni di qualsivoglia natura o provenienza, esterna ed anche interna alla stessa magistratura. La soggezione alla legge comporta, poi, che il giudice non è abilitato a creare norme nuove, e non può quindi mai svolgere una funzione sostitutiva nei confronti del legislatore.

^ a sfera di autonomia M riservata al giudice dal

principio della soggezione "soltanto alla legge" ha trovato attuazione in precise norme costituzionali poste a tutela della sua indipendenza. Da un lato il principio secondo cui "la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere" (art. 104 comma 1°) mira soprattutto a garantire la magistratura nel suo insieme (e dì riflesso i singoli giudici nel momento del giudizio) da qualsiasi interferenza esterna e, segnatamente, del potere esecutivo (c.d. indipendenza esterna); dall'altro il principio

dai giuristi. Anche nei periodi storici - soprattutto a partire dalla metà degli anni Sessanta -in cui le correnti

dell'Associazione Nazionale Magistrati attestate su posizioni progressiste hanno incominciato a rivendicare il diritto-dovere di applicare la legislazione vigente, allora in gran parte risalente all'ordinamento fascista, alla luce dei principi costituzionali, nessuno ha mai teorizzato l'adesione alle teorie del c.d. diritto libero. Si è al riguardo parlato di interpretazione evolutiva o adeguatrice, in un contesto in cui il giudice rivendicava il diritto-dovere di applicare la legislazione vigente, allora in gran parte risalente all'ordinamento fascista, alla luce dei principi costituzionali, nessuno ha mai teorizzato l'adesione alle teorie del c.d. diritto libero. Si è al riguardo parlato di interpretazione evolutiva o adeguatrice, in un contesto in cui il giudice rivendicava il diritto-dovere di riferirsi alle norme

costituzionali come fonte primaria di interpretazione del diritto vigente.

Diverso dai rapporti tra soggezione alla legge e diritto libero è anche il problema della c.d. supplenza giudiziaria. Non vi è dubbio che, soprattutto nell'ultimo ventennio, mano a mano che la crisi politica ha reso sempre più deboli i controlli preventivi - di natura politica ed amministrativa -sulle illegalità e sugli abusi del ceto di governo e degli apparati amministrativi, gli interventi della giustizia penale hanno assunto una crescente incidenza politica: la mancata

applicazione delle sanzioni tipiche della responsabilità politica (destituzione, revoca, non rielezione, dimissioni dalla

carica) ed amministrativa (dichiarazione della illegittimità degli atti, procedimenti disciplinari) ha costretto la magistratura ad intervenire in prima battuta con gli strumenti del processo penale nei confronti di reati commessi da uomini di governo,

parlamentari, pubblici amministratori in carica, dando l'impressione che i giudici svolgessero funzioni spettanti al potere politico. In realtà, la magistratura si è limitata a svolgere il ruolo, assegnatole dalla Costituzione, di applicare la legge penale nei confronti dei reati da chiunque commessi. Non può quindi parlarsi di supplenza giudiziaria, quanto di mancato funzionamento dei controlli preventivi e delle sanzioni politiche ed amministrative, a nulla rilevando che tale situazione abbia "caricato" gli interventi giudiziari di rilevanti riflessi politici.

Analoghe considerazioni valgono per l'azione giudiziaria volta a dare attuazione a rilevanti interessi collettivi - ad esempio, in tema di tutela dell'ambiente, della sicurezza e dell'igiene del lavoro, della genuinità e salubrità degli alimenti - sacrificati dall'inerzia o dal ritardo del legislatore nell'apprestare una idonea disclipina legislativa. In questi settori la magistratura si è limitata a "cercare" nella legislazione vigente spunti normativi che consentissero di dare tutela a tali interessi, svolgendo non tanto un ruolo di supplenza, quanto un'azione di stimolo nei confronti del legislatore. Autogoverno della m a g i s t r a t u r a e garanzie di indipendenza (articoli 104, 105,106) Il complesso disegno costituzionale volto a garantire ai magistrati ordinari le più ampie garanzie di indipendenza ha come perno centrale il Consiglio Superiore della Magistratura. Non è quindi casuale che l'art. 104, dedicato alla composizione di tale organo, si apra con

l'affermazione dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura da ogni altro potere: nell'impianto costituzionale il CSM è infatti l'organo destinato a rendere effettive le garanzie di autonomia e di indipendenza dell'intero ordine giudiziario nei confronti degli altri poteri dello Stato.

In quest'ottica vanno appunto lette le scelte operate dagli articoli 104 e 105, rispettivamente in tema di composizione e di competenze del CSM. Attraverso una opportuna mediazione tra le varie posizioni emerse nel

dibattito alla Costituente, la composizione dell'organo di autogoverno riflette la duplice esigenza di evitare un'eccessiva "separatezza" o chiusura corporativa della magistratura e di creare forme di collegamento con il potere politico che non riproducessero il rapporto di subordinazione al potere esecutivo che aveva caratterizzato i precedenti ordinamenti. Sono queste le ragioni per cui non ha trovato accoglimento né lo schema di chi voleva un CSM composto di soli magistrati, né

l'orientamento volto a mantenere organiche forme di collegamento con il potere politico, chiamando il ministro della giustizia a farne parte di diritto in qualità di

vicepresidente.

Le esigenze dell'autonomia si sono tradotte nel prevedere: che due terzi dei componenti del CSM (pari a 20 consiglieri) siano eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie (giudici di merito, di cassazione, pubblici ministeri); che ne facciano parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della cassazione, che rappresentano rispettivamente il vertice della magistratura giudicante e di quella requirente; che il CSM sia presieduto dal Presidente della Repubblica, nella sua qualità di organo di equilibrio nei rapporti tra i poteri dello Stato, rappresentante dell'unità nazionale.

Il raccordo con il potere politico ha trovato espressione in primo luogo nell'elezione da parte del Parlamento in seduta comune di un terzo dei componenti (pari a

10 consiglieri), scelti tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di servizio.

La presenza politica risulta così mediata dai requisiti di professionalità e di preparazione tecnico-giuridica dei

componenti laici, nonché dal

quorum previsto per la loro

elezione (tre quinti dei componenti dell'assemblea nei primi due scrutini e tre quinti dei votanti dopo il secondo scrutinio), tale da imporre l'accordo tra un arco di forze politiche che dovrebbe essere più vasto della maggioranza di governo. Inoltre il vice-presidente, chiamato a sostituire 11 Presidente in caso di assenza o di impedimento e, quindi, a svolgere ordinariamente le funzioni di vero e proprio presidente, deve essere eletto dal Consiglio tra i componenti designati dal Parlamento. a) Le competenze del C S M sullo stato giuridico dei magistrati Combinando insieme la composizione del CSM con le

competenze elencate nell'art. 105, emerge un quadro consapevolmente volto a rovesciare il sistema che sino alla caduta del fascismo aveva consentito al potere esecutivo, mediante il controllo su tutti gli aspetti dello stato giuridico dei giudici, di esercitare incisive interferenze sulla loro indipendenza. Alla stregua dell'art. 105, spettano infatti al CSM le assunzioni, le assegnazioni di sedi e di funzioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei confronti di tutti i magistrati, ivi compresi, dunque, i pubblici ministeri. Sotto questo punto di vista, appare quanto mai appropriato riferirsi al CSM come organo di autogoverno della magistratura, posto che l'attribuzione di tutte le competenze sullo stato giuridico garantisce ai magistrati la sicurezza che eventuali scelte giudiziarie sfavorevoli agli interessi politici del governo non avranno ripercussioni negative. Nel quadro di tali competenze si inserisce anche la garanzia della inamovibilità, disciplinata dal successivo art. 107 comma 1°, secondo cui i magistrati (e quindi anche i pubblici ministeri) non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del CSM: anche qui è evidente l'intento di rompere con la consolidata tradizione che riconosceva al ministro della giustizia il potere di trasferire qualsiasi magistrato "per l'utilità del servizio", vera e propria spada di Damocle sulla sorte dei giudici scomodi o poco sensibili alle esigenze del potere politico.

La linea di fondo di trasferire al CSM tutte le competenze prima attribuite al ministro della giustizia trova poi una significativa e speculare conferma nell'art. 110, che riserva a quest'ultimo solo compiti attinenti all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Così chiarito il quadro generale entro cui si collocano le funzioni di organo di autogoverno del CSM e le "residue" competenze del ministro della giustizia, le attribuzioni descritte dalli'art. 105 possono essere così sintetizzate. La competenza relativa alle "assunzioni" dei magistrati va collegata all'art.

106, che indica il concorso come principale criterio di nomina dei magistrati (comma

1°), prevedendo poi la possibilità di nomina, anche elettiva, di magistrati onorari fra le funzioni attribuite ai giudici singoli (comma 2°).

Finora la norma di magistrati onorari (affidata al CSM) ha riguardato la c.d. giustizia minore (giudici conciliatori, poi 62

sostituiti con 1.21 novembre 1991. n. 374, dai giudici di pace, cui verrà attribuita competenza anche in maniera penale, vice pretori onorari, vice procuratori onorari nel processo di pretura.

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a scelta del concorso come principale critrio di reclutamento si ricollega all'esigenza di privilegiare la preparazione tecnico-giuridica dei magistrati, in ossequio al principio che li vuole soggetti "soltanto alla legge" (art. 101, comma 2°). Anche i provvedimenti relativi all'assegnazione delle sedi e delle funzioni ed ai

trasferimenti, che rappresentano momenti essenziali dello stato giuridico del magistrato, vanno inquadrati nell'esigenza di assicurare l'autonomia dell'ordine giudiziario e l'indipendenza dei singoli magistrati. L'assegnazione della sede opera soprattutto in occasione dell'ingresso in carriera dei magistrati risultati vincitori del concorso, in quanto i successivi spostamenti da sede a sede rientrano nella disciplina i dei trasferimenti. Le funzioni a • cui il magistrato può essere

assegnato si articolano nelle ) categorie generali delle funzioni ; giudicante e requirente, nel cui ; ambito sono organizzati gli i uffici del pubblico ministero, i nonché di merito (di primo

grado e di appello) e di I legittimità (corte di cassazione).

Su un diverso terreno si parla di I funzioni direttive, con i riferimento alla nomina dei i magistrati a capo degli uffici > giudiziari, per la quale è ] previsto il "concerto" del i ministro della giustizia sul i nome del magistrato designato 3 dal C S M a dirigere l'ufficio. Il 3 consenso del ministro trova l giustificazione nelle sue 3 competenze in tema di 3 organizzazione e funzionamento 3 dei servizi relativi alla giustizia: a è infatti evidente che la scelta di j un magistrato idoneo a ricoprire 1 la carica di capo dell'ufficio è ì funzionale ai compiti 3 organizzativi riservati al i ministro stesso.

0 1 tema dei trasferimenti da V u n a ad a't r a s ed e o t funzione si intreccia con la

garanzia della ii inamovibilità, disciplinata b dall'art. 107 comma 1°. I t) trasferimenti si riferiscono alla n normale movimentazione dei n magistrati, che per le più

r2 svariate ragioni (di famiglia, di ri ritorno alla città di origine, di 2 svolgimento di una funzione più '3 consona alle proprie attitudini, >3 ecc.) chiedono di essere e assegnati ad un'altra sede o ad IJ un'altra funzione nella n medesima sede (ad esempio, b dalla procura della Repubblica [E al Tribunale o viceversa), sulla

base dei posti vacanti in organico. Qui la garanzia risiede nel fatto che il CSM, ove vi siano più domande relative alla medesima sede o funzione, deve deliberare il trasferimento sulla base di criteri obiettivi e predeterminati (anzianità, attitudine alle funzioni, riunificazione del nucleo famigliare), tali da escludere privilegi e favoritismi, i meccanismi descritti dall'art. 107 comma 1° in tema di deroghe alla garanzia della inamovibilità si riferiscono invece alle situazioni patologiche in cui il magistrato non è più in grado di esercitare le proprie funzioni alla stregua dei canoni di efficienza, imparzialità ed indipendenza. Di qui l'esigenza che i necessari provvedimenti di dispensa dal servizio (ad esempio, per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica), di sospensione cautelare (in caso di sottoposizione a procedimento disciplinare per gravi violazioni), di trasferimento d'ufficio ad altra sede o funzione vengano disposti esclusivamente dal CSM, e solo nei casi espressamente previsti dall'ordinamento giudiziario e con le opportune garanzie di difesa.

Per quanto riguarda in particolare i trasferimenti d'ufficio, la disciplina è tuttora quella contenuta nell'art. 2 r.d.lgs. 31 maggio 1946. n. 511, che consente di trasferire ad altra sede o di destinare ad altre funzioni i magistrati che "per qualsiasi causa, anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede che occupano, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario". Al di là dell'eccessiva genericità di tale formulazione, non vi è dubbio che la garanzia della inamovibilità deve venire meno in situazioni in cui il magistrato, anche se non è autore di veri e propri illeciti disciplinari, ha perso la credibilità e la fiducia di cui debbono essere circondate le sue funzioni. Si pensi ai casi, purtroppo frequenti negli ultimi anni, di magistrati raggiunti da voci, illazioni e sospetti di contiguità con persone ed ambienti esposti ad influenze mafiose, ovvero con centri di potere politico o economico, nazionali o locali, portatori di interessi configgenti con la libertà e l'autonomia delle funzioni giudiziarie, nei cui confronti il C S M ha aperto procedimenti per il

trasferimento d'ufficio ad altra sede, quasi sempre risoltisi con la richista dello stesso magistrato di essere trasferito, ovvero con le sue dimissioni dall'ordine giudiziario. In tali situazioni la (residua) garanzia consiste appunto nella disciplina che attribuisce esclusivamente al CSM il potere di disporre il

trasferimento d'ufficio, mediante un procedimento in cui sia assicurato il diritto di difesa del magistrato "amovibile".

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e promozioni costituiscono un altro nodo centrale dello stalo giuridico dei magistrati, coessenziale al libero esercizio delle funzioni giudiziarie. Il tema va correlato con il principio enunciato dall'art. 107 comma 3°, secondo cui i magistrati "si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni". Mediante

quest'ultima norma il legislatore costituzionale ha inleso rovesciare la tradizionale organizzazione gerarchica della magistratura, che si traduceva in poteri diretti o indiretti di supremazia e di controllo dei magistrati di grado superiore nei confronti di quelli di grado inferiore, con evidente lesione dell'indipendenza e

dell'autonomia anche di giudizio dei giudici posti alla base della scala gerarchica; tanto è vero che durante l'ordinamento liberale e nel regime fascista era usuale distinguere tra alta e bassa magistratura. In particolare, i giudici "superiori" della Cassazione, nella loro qualità di componenti delle commissioni dei concorsi per esame o per titoli o negli scrutini per merito distinto o per merito per la progressione in carriera, tendevano a valutare i candidati anche in relazione alla conformità delle sentenze da loro emesse ai principi giurisprudenziali enunciati dalla Cassazione stessa.

Il principio secondo cui i magistrati si distinguono soltanto per diversità di funzioni ha reso in un certo senso marginale la competenza del CSM in tema di promozioni, la cui nozione va interpretata come progressione tra le diverse funzioni, da attribuire alla stregua di una valutazione comparativa dell'idoneità professionale dei vari candidati. Il ridimensionamento del tradizionale sistema delle promozioni ha trovato conferma in due leggi del 1966 e del 1973, che hanno rispettivamente disciplinato la promozione da giudice di tribunale a consigliere di appello, e da quest'ultimo a consigliere di cassazione, sulla base dell'anzianità di servizio, salvi casi di evidente demerito. Soprattutto negli anni più recenti questo sistema di progressione automatica ha suscitato vivaci polemiche, essendo ritenuto causa di un sostanziale allineamento verso il basso delle capacità e

dell'impegno professionale dei magistrati: l'auspicabile potenziamento di criteri selettivi basati sul merito e sull'operosità

dovrà comunque essere finalizzato ad un più rigoroso accertamento delle attitudini professionali del singolo magistrato in rapporto alle funzioni che sarà concretamente chiamato a svolgere, senza tradursi in forme indirette di discriminazione ideologica o politica. ^ A ultima delle W ^ competenze riservate in via esclusiva al C S M dall'art. 105 si riferisce ai provvedimenti disciplinari. Premesso che l'iniziativa dell'azione disciplinare è attribuita sia al ministro della giustizia (art. 107 comma 2°), sia al procuratore generale presso la corte di cassazione, la competenza a decidere spetta ad una speciale commissione del C S M composta di nove membri e presieduta dal vice presidente. L'esigenza di assicurare la piena indipendenza dei magistrati esclude il sindacato disciplinare sugli atti e sui provvedimenti emessi nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, fermo restando che il magistrato verrà comunque chiamato a rispondere in sede penale ove il provvedimento sia frutto di corruzione o concussione, ovvero in sede civile se nell'atto si riscontrino estremi di responsabilità professionale dovuta a dolo o colpa grave. L'estrema genericità degli estremi della responsabilità disciplinare, descritti dall'art. 18 r.d.lgs. 511/1946 (è soggetto a sanzioni disciplinari "il magistrato che manchi ai suoi doveri o tenga in ufficio o fuori condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell'ordine

giudiziario") è stata sottoposta a fondate e ricorrenti critiche, in quanto attribuisce al C S M un eccessivo potere discrezionale nella determinazione dei comportamenti suscettibili di sanzione discliplinare. Le numerose proposte avanzate per definire con maggior precisione gli illeciti discliplinari non hanno sinora avuto seguito, per cui le necessarie esigenze di tipicizzazione sono rimaste affidate all'elaborazione giurisprundenziale del CSM. La responsabilità disciplinare è accertata mediante un vero e proprio procedimento giurisdizionale, modellato sui meccanismi e sulle garanzie del processo penale, a cominciare dal diritto di difesa (che può peraltro essere esercitata solo da altri magistrati); la relativa decisione può essere impugnata avanti alle Sezioni Unite civili della Cassazione, sia dal magistrato incolpato che dal sostituto procuratore generale della Cassazione che ha svolto funzioni di pubblico ministero.

b) Le funzioni " a t i p i c h e " e la cosiddetta

"politicizzazione" del C S M Le funzioni sinora descritte, attinenti allo stato giuridico dei magistrati, sono definite "tipiche" in quanto espressamente previste dalla Costituzione ed hanno per lo più carattere amministrativo (ad eccezione del procedimento disciplinare, che ha natura giurisdizionale).

Nell'esperienza ormai più che trentacinquennale di attività del C S M (istituito con grande ritardo solo col 1. 24 marzo 1958, n. 195, ed entrato in funzione l'anno successivo) si sono poi progressivamente delineate altre sfere

d'intervento: qualificate c o m e "atipiche" dal punto di vista formale, in quanto non espressamente descritte d a m m a Costituzione, sul terreno sotanziale rientrano tra le attività di indirizzo politico o, meglio, di politica giudiziaria, ovvero tra gli interventi strumentali all'esercizio delle funzioni attinenti allo stato giuridico dei magistrati. Nella prima categoria rientrano la relazione annuale al Parlamento sullo stato

Nel documento Sisifo 29 (pagine 61-69)

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