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IL FINANZIAMENTO DELLE REGIONI E

Nel documento Sisifo 29 (pagine 35-41)

DEGLI ENTI LOCALI

dì Mario Rey

P r e m e s s a

• I termine «federalismo fiscale» viene usato negli studi di economia e finanza pubblica per indicare i profili economici e finanziari del decentramento territoriale del settore pubblico, o, se vogliamo essere più precisi, l'analisi economica di un sistema dì governo a più livelli: nel caso italiano, c o m e prevede la nostra Costituzione, questi livelli di governo sono precisamente lo Stato, le Regioni, le Province e Comuni. Due sono f o n d a m e n t a l m e n t e i problemi affrontati dagli studi sul «federalismo fiscale»: il primo concerne la ripartizione dei compiti tra livelli di governo, cioè chi fa che cosa: chi è responsabile di garantire (non necessariamente produrre) che i cittadini siano forniti di istruzione, acqua potabile, trasporti, difesa; o di assicurare, attraverso sussidi e servizi gratuiti, una maggiore equità nella distribuzione del reddito e della ricchezza; o di predisporre misure contro l'inflazione, la disoccupazione, il sottosviluppo. E opportuno fare notare che, da un lato, la piccola dimensione verso il basso, c o m e nel caso dei comuni piccoli e medi agevola la partecipazione e l ' i m p e g n o civile; dall'altro lato, molti problemi d e v o n o essere affrontati a dimensione regionale, o nazionale o addirittura sovranazionale, a causa di fenomeni che gli economisti c h i a m a n o e c o n o m i e di scala o effetti di

traboccamento.

Un secondo tema affrontato dal «federalismo fiscale» riguarda il finanziamento delle attività attribuite a ciascun livello di governo: esso può derivare da due canali: fonti autonome, cioè imposte oltreché rendite da patrimoni e entrate da tariffe, prezzi, rette per i servizi resi ai cittadini; ovvero fonti derivate, cioè trasferimenti di s o m m e finanziarie erogate da enti di livello superiore, cioè dallo Stato ai livelli inferiori, e dalle regioni agli enti locali, cioè province e comuni. Da queste due costruzioni scaturiscono le caratteristiche delle relazioni istituzionali e finanziarie tra enti dello stesso livello, ad esempio tra i comuni di un'area metropolitana, o tra enti di diverso livello. S o n o in particolare queste seconde, di tipo verticale, ad essere la spina del «federalismo fiscale», in circostanze di maggiore integrazione e sovrapposizione, nel caso che un certo compito veda coinvolti più livelli di governo o nel caso di programmi settoriali di trasferimento finanziario, ovvero di maggiore separatezza e autonomia, sia nella responsabilità di assolvere ai compiti assegnati, sia nel reperimento delle risorse

finanziarie.

Si deve sottolineare che il termine «federalismo fiscale» ha poco a che fare con la distinzione tra «Stato unitario» e «Stato federale», in quanto i problemi indicati sono del tutto simili per Siati unitari c o m e la Francia o la Gran Bretagna, per Stati federali, come l'Australia e la Germania o per le situazioni intermedie, che p o t r e m m o indicare c o m e Stati regionali, quali la Spagna e l'Italia.

0 I termine «federalismo / U fiscale» è stato associato

^ nel recente dibattito italiano fondamentalmente al secondo dei temi indicati, certo quello che da un punto di vista politica, civile, e tecnico è più scottante ed impegnativo: il finanziamento delle regioni, delle province e dei comuni italiani. Scopo di queste pagine è individuare i punti problematici dell'attuale evoluzione della finanza regionale e locale. Il 1993 segna al riguardo una svolta significativa: sono trascorsi vent'anni da una riforma tributaria caratterizzata in senso radicalmente centralizzatore, a cui si sono accompagnati altri

provvedimenti, quali la legge di finanza delle regioni a statuto ordinario e la riforma sanitaria, che hanno consolidato il prevalere del sistema di finanza derivata di trasferimento. L ' i n v e r s i o n e di tendenza attuata dalla legge delega n. 4 2 1 / 1 9 9 2 merita un'analisi che va inquadrata in un contesto culturale e civile, oltreché e c o n o m i c o e tecnico-finanziario, di cui si cercheranno di tracciare i caratteri. In altre parole la legge delega, al di là dei suoi limiti, primo f r a tutti quello di attribuire in prevalenza al livello c o m u n a l e le potestà tributarie decentrate, è un importante tassello, che segue altri provvedimenti, quali la legge delega n. 158/1991 in materia di finanza regionale, e la istituzione d e l I T C l A P , di una svolta significativa. L'interrogativo di fondo concerne il quanto, il c o m e e il perché regioni ed enti locali d e b b a n o farsi finanziare dal bilancio dello Stato, ovvero il quanto, il c o m e ed il perché d e b b a n o farsi finanziare dai propri cittadini mediante tariffe e imposte locali. La tesi centrale di questo scritto è che tali temi non sono solo un fatto tecnico, ma hanno pesanti riflessi politici e civili, c o m e tutto quanto concerne il potere di imposizione. L ' e v o l u z i o n e c u l t u r a l e ^ ifficilmente sarebbe ^ M possibile c o m p r e n d e r e l'evoluzione della finanza locale nel nostro e in altri paesi negli ultimi vent'anni senza tenere

conto della parallela evoluzione del dibattito culturale coinvolgente i rapporti tra Stato e società, tra Stato e mercato. Gli anni dal dopo guerra alla fine degli anni Settanta sono stati dominati da due culture economiche che profondamente hanno inciso sulle politiche economiche e sociali adottate dai vari paesi industriali dell'Occidente, spesso indipendentemente dalle posizioni ideologiche delle maggioranze al governo. Ci riferiamo in primo luogo agli indirizzi keynesiani di politica di bilancio, volti a individuare nella spesa pubblica, specie se finanziata da debito pubblico, il motore della espansione dell'economia, della produzione e dell'occupazione. Ed in secondo luogo alla realizzazione del cosidetto Stato Sociale, il Welfare State degli anglosassoni, con l'enfasi sull'espansione dei servizi sociali rivolti alla universalità della popolazione in condizioni di totale o quasi totale gratuità. Sono noti i caratteri di questo tipo di Stato: uno Stato dove è rilevante la regolamentazione pubblica, la produzione pubblica ed il finanziamento pubblico soprattutto affidato alle imposte sul reddito. Meno avvertiti sono i riflessi consapevoli o inconsapevoli di queste concezioni sui rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali decentrati. Lo Stato keynesiano e lo Stato sociale sono Stati fortemente centralizzatoli. Secondo talune teorie (Musgrave, Oates) sia il controllo degli squilibri macroeconomici, sia le finalità redistributive non possono che essere ruoli del governo nazionale. In particolare per le finalità redistributive non si può non ricordare che più un sistema è decentrato, più il cittadino viene trattato diversamente, il che contrasta con le visioni egualitaristiche che hanno fondato lo Stato sociale. Ne deriva che è una incoerenza pensare di poter sposare l'uguaglianza di trattamento con l'autonomia regionale e locale. Autonomia implica

necessariamente diversificazione e

differenziazione. Per questo la Stato keynesiano e sociale è uno Stato fortemente centralizzatore. Si può osservare come questo tratto marcatamente centralizzatore dello Stato keynesiano e sociale si sia non solo e non tanto manifestato nei decenni del dopoguerra in una tendenza ad assumere dirette responsabilità gestionali da parte del governo centrale, e quindi con spostamento di competenze funzionali, quanto in una forte espansione del finanziamento centrale a carattere generale o settoriale. Alla sottolineatura delle insufficienze, inefficienze e distorsioni tecniche e anche

politiche della fiscalità locale tradizionale si è voluto contrapporre il ruolo integrativo, sostitutivo, perequativo e di sostegno dei servizi locali, aventi rilevanza nazionale, della finanza basata sui trasferimenti centrali, la cosidetta finanza derivata.

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o Stato keynesiano-sociale è non solo centralizzatore, ma, in coerenza con il suo carattere paternalista e protettore, è anche un grande elargitore, un grande elemosiniere. La crescita della spesa centrale di trasferimento verso famiglie, imprese ed enti di decentramento territoriale è una delle caratteristiche salienti dell'evoluzione della finanza pubblica post-bellica in tutti i paesi industrializzati. Inoltre la finanza derivata, come meglio si ripeterà in seguito, finisce per informare e condizionare le relazioni istituzionali e organizzative tra livelli di governo provocando una marcata integrazione verticale tra livelli amministrativi, secondo lo schema del cosidetto «federalismo cooperativo», agevolmente applicabile anche agli Stati non federali, come è il caso italiano.

C o m ' è noto la crisi economica degli anni Settanta ha provocato profondi ripensamenti negli atteggiamenti culturali e nelle proposte politiche per quanto concerne i rapporti Stato ed economia. Stato e società. Varie scuole, come quella della «Public Choice», e teorie economiche, come quella dal lato dell'offerta, quella dell'organizzazione e quella dei diritti di proprietà hanno portato l'enfasi sulle motivazioni microeconomiche dei comportamenti dei vari operatori, cioè su motivazioni orientate al calcolo e all'opportunismo economico. Queste nuove concezioni economiche hanno prodotto non pochi ribaltamenti. In

particolare lo Stato provvidenza, strumento asettico, parametrico e fedele veicolo dell'interesse pubblico, attraverso un serrato processo di endogenizzazione, cioè di analisi dal di dentro, si è riscoperto piuttosto delegittimato.

Le politiche, che hanno preso corpo da questo ribaltamento, sono state diverse ma tutte dominate da analoghe preoccupazioni. La deregolamentazione, le privatizzazioni, nelle varie accezioni del termine, la modificazione nella struttura delle entrate, con la maggiore ricerca di neutralità del sistema tributario ed un più esteso ricorso a prezzi e tariffe pubbliche, sono tutte politiche nelle quali si è voluto riaffermare le ragioni dell'efficienza economica a scapito tal volta dell'equità.

soprattutto nella versione egualitaristica del termine.

utto questo non ha l a s c i a t e c i ^ T indenne il tema dei

Wr rapporti tra Stato e enti di it decentramento territoriale, .si In particolare la minore

rilevanza delle tematiche macroeconomiche e la riscoperta del ruolo degli enti locali nelle politiche

redistributive, specie per quanto ot riguarda la fornitura di beni pubblici «meritori», come scuola e assistenza, hanno messo in crisi i pilastri della teoria tradizionale delle relazioni finanziarie tra livelli di ib governo. Queste revisioni della £ teoria tradizionale non sono tali il da aver prodotto una nuova concezione organica dei rapporti tra autorità centrali e livelli di autonomia. Si tratta tuttavia di un mosaico significativo, che si è concentrato in particolare sui limiti e sulle distorsioni

provocati da una estesa finanza £ degli enti decentrati basata su trasferimenti centrali. Non è questa la sede per analizzare nel dettaglio queste critiche. Sarà sufficiente una rapida elencazione. Si è voluto dimostrare che la finanza derivata provoca inefficienze nel comportamento degli enti locali percipienti, o comunque non ne incentiva l'efficienza e il li grado di responsabilità. Questo è dovuto al cosidetto «effetto dei soldi degli altri»: a causa di questo lo sforzo di essere più efficienti non si risolve a vantaggio dei contribuenti locali, semmai dei contribuenti dello Stato. Si è inteso sostenere 3 che il finanziamento centrale delle attività degli enti locali, diversamente da quanto

comunemente si sostiene, non è : un modo per controllare la espansione della spesa pubblica i locale, ma al contrario può essere una fonte della sua dilatazione. Inoltre la teoria economica dell'informazione può essere utilmente applicata alle relazioni Stato - erogatore (il principale) e ente locale -percipiente (l'agente) per rimarcare i possibili comportamenti opportunistici del secondo volti a deludere ed eludere gli intenti del primo. Infine nel cercare di spiegare il forte sviluppo della finanza dei trasferimenti centrali, sembrano < prevalere i modelli politici di interpretazione delle relazioni Stato - governi decentrati. In particolare la scuola della «Public Choice» ha stabilito una E stretta correlazione tra più decentramento, anche fiscale, e meno Stato (il Leviatano). E ancora la scuola del cosidetto «Rent-seeking» (lett. ricerca di rendita), partendo dalla constatazione di come

facilmente si formino coalizioni i e collusioni intorno a istituzioni che hanno il potere di applicare

imposte e distribuire redditi, ha rilevato quanto sìa attraente il f i n a n z i a m e n t o centrale della spesa locale. La collusione tra amministratore locale, che non vuole sopportare il costo politico delle imposte e delle tariffe locali, e il parlamentare, preoccupato del proprio collegio (al fine di «brìng home the bacon». lett. portare a casa il prosciutto) è la vera molla dell'espansione della finanza di trasferimento.

Infine molteplici revisioni hanno subito le motivazioni della centralizzazione del sistema tributario dominanti venti o trenta anni or sono. Oltre alla già ricordata minore enfasi sulle ottiche m a c r o e c o n o m i c h e e sul ruolo del governo centrale nelle politiche redistributive, è stata messa in dubbio la reale portata dei limiti

tradizionalmente imputati alla fiscalità locale, in particolare in tema di concorrenza fiscale e di esportazione. L ' u n i c o vero elemento limitante che s e m b r a sussistere a carico della fiscalità locale s e m b r a essere l'aspetto di e c o n o m ì a di scala

nell'assolvimento della f u n z i o n e tributaria e di t r a b o c c a m e n t o per talune basi imponibili, temi che s e m m a i concernono i comuni minori, e non i comuni maggiori e gli enti intermedi di area vasta (quali le nostre province e regioni).

L a logica d e l l ' a u t o n o m i a i m p o s i t i v a degli enti locali: d a l l a r i f o r m a t r i b u t a r i a alla legge d e l e g a n . 421/92.

X

I caratteri della finanza regionale e locale in Italia negli ultimi veni 'anni. Alla luce delle analisi sopra descritte, il quadro italiano si presenta particolarmente significativo perché con la riforma tributaria, la normativa i sul finanziamento delle regioni a statuto ordinario e del servizio sanitario nazionale, si è impresso un carattere fortemente centralizzato al sistema tributario.

C o n s e g u e n t e m e n t e la finanza derivata ha assunto connotati difficilmente riscontrabili in altri paesi dell'area O E C D . In questi anni infatti le regioni a statuto ordinario sono dipese dal finanziamento centrale per oltre il 9 0 % delle loro risorse, e gli enti locali per oltre 2/3. N o n è qui il caso di riportare in dettaglio dati che sono già stati esposti in numerose altre sedi scientifiche e politiche. Basterà ricordare le anomalie salienti di questa situazione:

a) c o m e si è già fatto notare, il nostro paese ha registrato una asimmetria difficilmente riscontrabile in altri paesi, confrontabili per dimensione e struttura politica ed e c o n o m i c a , tra compiti di spesa, e c o n s e g u e n t e m e n t e sua dimensione totale, e

responsabilità nel reperimento delle risorse per finanziarla. La misura di questa asimmetria è direttamente fornita d a l l ' a m m o n t a r e dei

trasferimenti centrali sul totale delle entrate ordinarie: b) fatti salvi i tentativi di parametrizzare su base prevalentemente prò capite i riparti del F o n d o sanitario nazionale, e fatta eccezione per la c o m p o n e n t e perequativa dei trasferimenti erariali a province e c o m u n i , il criterio di riparto dei trasferimenti di

f i n a n z i a m e n t o ordinario è stata la spesa storica, vale a dire la ratifica delle spese deliberale da ciscun ente. Non si può non riscontrare in questo criterio il m a s s i m o d e l l ' i n e f f i c i e n z a e il m a s s i m o di iniquità, ma soprattutto il venir m e n o di criteri razionali (quali i fabbisogni, le sperequazioni della fiscalità locale, ecc.), cui affidare l'intervento finanziario statale a f a v o r e delle collettività regionali e locali;

c) coerentemente all'analisi prima ricordata e riferita ad altri paesi, nel dare vita a questo sistema, che ha modellato la finanza regionale e locale, s e m b r a aver operato un gigantesco modello politico collusivo. In esso gli attori sono stati i partiti politici: quelli m a g g i o r m e n t e rappresentativi delle aree meridionali del paese, sia per l'obiettiva m a g g i o r povertà di tali aree, sia per la bassa propensione all'imposizione che vi si riscontra; il maggiore partito di opposizione, ben felice di scaricare sul governo centrale i livelli di spesa m e d i a m e n t e più elevati esibiti dalle regioni e dagli enti locali da esso amministrati. A questo disegno di consociativismo fiscale, p o t r e m m o aggregare con diversa motivazione i grandi c o m u n i , le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, la burocrazia centrale del Ministero delle Finanze. Al cuore di questi c o m p o r t a m e n t i vi è pur sempre l'illusione finanziaria di evitare il costo politico d e l l ' i m p o s i z i o n e e della tariffazione locale, tentando di scaricare l ' o n e r e della spesa regionale e locale sul bilancio dello Stato, a sua volta finanziato largamente dallo strumento indolore del debito pubblico. Potrebbe essere un'utile c a m p o di ricerca il chiedersi se la contestualità di due f e n o m e n i - centralizzazione tributaria e l'inizio del massiccio ricorso al debito pubblico (a partire dal 1 9 7 5 ) -costituisca un casuale fatto di contemporaneità, ovvero se tra di due f e n o m e n i sussista un nesso di casualità;

d) inoltre non è fuori luogo rilevare che nell'analisi e nelle proposte giuspubblicistiche gli aspetti finanziari e la loro influenza sono largamente sottovalutati. Pare sia un dato

ricorrente il ritenere da parte dei costituzionalisti che i profili finanziari siano un e l e m e n t o del tutto secondario: definili i profili istituzionali e

organizzativi, la finanza seguirà. Al contrario il dilatarsi della finanza derivata di trasferimento nel nostro e in altri paesi può dimostrare che in molti casi sono i falli finanziari a produrre conseguenze inintenzionali di ordine istituzionale e

organizzativo. Infatti il modello di relazioni intergovernative a forte integrazione verticale per moduli settoriali, il cosidetto federalismo cooperativo, non è altro che la conseguenza del dilatarsi della finanza di trasferimento, con forti connotali settoriali, e con riparti a più stadi. Si pensi al caso del f i n a n z i a m e n t o del Servizio sanitario nazionale. C o m e è stato detto, nel caso del nostro paese, ad un modello di relativa separatezza di compili e di finanza, rispettoso dell'unita delle singole istituzioni amministrative, c o m e pare a d o m b r a t o dalla Costituzione, si è andato s o v r a p p o n e n d o un sistema di responsabilità miste e sovrapposte, con strutture di settore verticalmente integrate, dove il f i n a n z i a m e n t o di settore ha giocato la parte trainante e modellante;

e) infine il sistema così creato, che secondo l'allocuzione americana a b b i a m o definito c o m e il federalismo cooperativo, è l'antitesi di uno s c h e m a di competizione senza mercato, c o m e è ritenuto auspicabile da numerosi studiosi (Breton, Brosio) per la vitalità delle istituzioni locali.

La finanza locale nella legge ^ ^ n. 142/90 art. 54. La legge n. 142/90 sul nuovo ordinamento delle autonomìe locali stabilisce un primo quadro di riferimento generale in ordine alla finanza degli enti locali. Essa afferma sia il principio della autonomia finanziaria, sia quello dell'autonomia nel campo delle risorse (imposte, tasse, tariffe) riconoscendo necessaria la revisione della legislazione tributaria vigente. In ordine alla tipologia delle entrate da fonti locali, che rientrano nella sfera della autonomia, l'art. 54 della legge 142/90 fornisce nulla di più che un elenco, enumerando imposte proprie, addizionali

(sovraimposizioni) e compartecipazioni ad imposte erariali e regionali, tasse e diritti per i servizi pubblici (nella cui dizione possono farsi rientrare i prezzi e le tariffe pubbliche), le altre entrate proprie anche di natura patrimoniale. Nessun particolare elemento di indirizzo programmatico viene indicato al riguardo.

Al contrario il ruolo della finanza derivata trova una maggiore specificazione, sia sotto il profilo degli scopi cui deve essere preordinata sia sotto il profilo dei criteri di riparto. Infatti i trasferimenti erariali devono prioritariamente essere rivolti a garantire i servizi locali indipensabili ed essere ripartiti sia tenendo conto di indicatori di fabbisogno, quali popolazione e territorio e condizioni socio-economiche, sia tenendo conto delle esigenze di perequazione in relazione agli squilibri della fiscalità locale. Inoltre vengono previsti due fondi per investimenti, l'uno ordinario per opere pubbliche di preminente interesse sociale ed economico, ed uno speciale, per finanziare con criteri

perequativi investimenti in aree e per situazioni definite. In altre parole la legge n. 142/90, pur riaffermando certi principi che la riforma tributaria e i comportamenti fiscali susseguenti avevano messo in forse - autonomìa di entrata; riparto dei trasferimenti con criteri diversi dalla spesa storica - non fornisce indicazioni in merita all'equilibrio relativo tra fonti autonome e fonti derivate, cioè in merito al maggiore o minore grado di decentramento fiscale, che costuisce il nocciolo centrale di questa analisi.

J

, motivi cinici di una svolta: la legge delega IL 421/92 e il risanamento della finanza statale. Come aumentare la pressione tributaria?

Per trovare il punto vero di inversione nei rapporti finanziari Stato e regioni. Stato e enti locali occorre arrivare all'art. 4 della legge delega n. 421/92, che recita «al fine di consentire alle regioni, alle province e ai comuni di provvedere a una parte rilevante del loro fabbisogno finanziario attraverso risorse proprie...». Nella relazione di

accompagnamento vengono indicate due fondamentali motivazioni di questo indirizzo: incoraggiare la responsabilità gestionale degli amministratori e concorrere al superamento delle rigidità del bilancio statale.

In realtà la vera molla che ha rotto la grande coalizione consociativa, che aveva favorito la nascita e perpetuato per vent'anni il regime di finanza di trasferimenti ripartiti secondo la spesa storica, è stato il programma di risanamento della finanza pubblica. Occorre per altro ammettere, come è stato messo in luce da un Libro bianco edito dall'ANCI, che dopo un periodo di vacche grasse nel finanziamento ordinario e nel finanziamento per investimenti, da vari anni i trasferimenti statali avevano largamente fatto le spese delle manovre restrittive del governo, di fatto subendo un decremento globale in termini reali. Se alle restrizioni sulla competenza, aggiungono politiche di tesoreria dilatorie nelle erogazioni di cassa, ci si rende conto di come la finanza derivata si sia trasformata in una trappola per il funzionamento delle regioni e degli enti locali. La motivazione principale della l.d. 421/92 è stata dunque quella di realizzare un aumento della pressione tributaria. Occorre quindi prendere realisticamente atto che le nuove imposte sono per i contribuenti in larga misura aggiuntive alle imposte esistenti, pur tenendo conto delle imposte soppresse specie l'ILOR sui redditi di fabbricati e l'INVIM a partire dal 2003. Con riferimento alle entrate regionali e locali le nuove risorse sono inoltre largamente sostitutive e non aggiuntive ai trasferimenti erariali. Pertanto da un lato si è verificato un aumento a livello nazionale della pressione

tributaria complessiva, e dall'altro una diversificazione dei livelli di pressione tributariaici"

Nel documento Sisifo 29 (pagine 35-41)

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