MAGISTRATURA
di Guido Neppi Modona
Le pagine che seguono sono la sintesi di un più ampio commento ai prìncipi ed alla disciplina costituzionale della
magistratura, Inserito in un Commentario della Costituzione scrìtto da più Autori,
recentemente edito da "Il Saggiatore" sotto il titolo "Stato
della Costituzione". Ringraziamo l'editore per
averne cortesemente concesso la pubblicazione.
idea guida attorno a cui ruota la maggior parte delle norme che c o m p o n g o n o il titolo della Costituzione dedicato alla magistratura è certamente quella di assicurare ai singoli magistrati ed all'ordine giudiziario nel suo complesso la piena indipendenza da qualsiasi altro potere e, segnatamente, dal potere esecutivo. Le
dichiarazioni di principio in tale senso, contenute nell'art. 101 c o m m a 2° ("I giudici sono soggetti soltanto alla legge") e nell'art. 104 c o m m a 1° ("La magistratura costituisce un ordine a u t o n o m o e indipendenza a ogni altro potere"), si sono tradotte in specifici istituti e meccanismi volti a dare attuazione all'effettiva indipendenza della magistratura, tra i quali a s s u m o n o particolare rilievo: il Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104), cui sono attribuiti, in piena indipendenza dal governo (c.d. indipendenza esterna), i provvedimenti sullo stato giuridico di tutti i magistrati ordinari, sia giudici che pubblici ministeri (art. 105) la garanzia della inamovibilità per tutti i magistrati (art. 107 c o m m a 1°)
la distinzione tra i magistrati "soltanto per diversità di f u n z i o n i " (c.d. indipendenza interna - art. 107 c o m m a 3°) il principio di legalità o di obbligatorietà dell'azione penale, cui è sottoposta l'attività del pubblico ministero (art. 112). L e r a g i o n i s t o r i c h e e i s t i t u z i o n a l i d e l l ' i n d i p e n d e n z a nel d i b a t t i t o a l l ' A s s e m b l e a C o s t i t u e n t e . L ' i d e a f o r z a d e l l ' i n d i p e n d e n z a della magistratura trova la sua ispirazione nella concezione di stampo illuminista e garantista della divisione dei poteri propria dello stato di diritto liberale ottocentesco, e m b l e m a t i c a m e n t e rappresentata dalle posizioni sostenute a l l ' A s s e m b l e a Costituente da Piero
Calamandrei. Questa ispirazione di f o n d o a sua volta f u alimentata d a l l ' e s i g e n z a più p r o p r i a m e n t e politica di dettare una disciplina che suonasse c o m e una decisa reazione alla recente esperienza storica dei rapporti tra magistratura e potere politico nel periodo fascista, nonché dalla c o n s a p e v o l e z z a che lungo tutto il corso della storia italiana, d a l l ' U n i t à sino alla caduta del fascismo, la magistratura non aveva mai goduto di effettiva indipendenza dal potere esecutivo, con riferimento sia alla collocazione istituzionale del pubblico ministero che alla disciplina riservata allo stato giuridico dei giudici. Il primo era un funzionario del governo, definito dall'art. 129 Alfredo De Santis
) dell'ordinamento giudiziario del 1865 come "il rappresentante > del potere esecutivo presso I l'autorità giudiziaria" e posto
"sotto la direzione del ministro J della giustizia". La dipendenza i gerarchica dal ministro si i realizzava in primo luogo t mediante circolari inviate ai } procuratori generali presso le 3 corti di appello, e da questi t ritrasmesse ai procuratori del Re 1 presso i tribunali, mediante le 0 quali il governo orientava
1 l'esercizio dell'azione penale, 2 sollecitando gli uffici del q pubblico ministero a procedere o con tempestività e rigore per b determinate categorie di reati ) (ad esempio, quelli commessi in o occasione di scioperi, conflitti ?. sociali, manifestazioni di b dissenso politico). II silenzio n nei confronti di altre forme di li illegalità veniva al contrario li interpretato come implicito li invito a non esercitare l'azione q penale o, quantomeno, a non b dimostrare particolare zelo n repressivo. Tanto è vero che n raramente il pubblico ministero q procedeva nei confronti degli li illeciti commessi da esponenti b del ceto politico di governo o b della pubblica amministrazione. 3 Ove la risposta giudiziaria a |2 specifici episodi di conflittualità q polìtica o sociale dì particolare il rilevanza richiedesse una te strategìa concordata tra governo
3 e magistratura, il ministro della § giustizia, sollecitato dal .q presidente del consiglio e/o dal TI ministro dell'interno, poteva IG anche inviare istruzioni ir riservate sulle modalità di n conduzione dì singoli iq procedimenti, invitando ad '3 esempio il pubblico ministero >B ad emettere ordini di cattura, a )3 contestare reati di particolare ig gravità, ovvero ad astenersi ;b dall'esercitare l'azione penale. O Grazie a questi poteri di J2 supremazia gerargica sul jq pubblico ministero, il governo 13 era quindi in grado di esercitare tuun controllo preventivo sui casi foche sarebbero stati portati le all'esame dei giudici, così iqpredeterminando alla stregua ìbdelle convenienze politiche ,'ll'area di intervento della mmagistratura giudicante.
iversa era la posizione istituzionale dei giudici, in conformità alla tradizione liberale della ibdivisione dei poteri. I principi sbdello Statuto Albertino e /D'ordinamento giudiziario del 8 Iil 865 riconoscevano
[o'tformalmente l'indipendenza dei lisgiudici, ma la disciplina del loro d a t a t o giuridico lasciava ampio ;qsspazio a condizionamenti ed tniinterferenze del potere jzeesecutivo. Ingresso in camera, vjassegnazione delle sedi, ncpromozioni, trasferimenti, ornomina dei capi degli uffici, nCDrovvedimenti discliplinari nierano attribuiti alla competenza
iffli commissioni istituite presso il
ministero della giustizia, saldamente controllate dal ministro stesso. Quest'ultimo aveva inoltre la facoltà di trasferire qualsiasi giudice "per l'utilità dei servizio", nonché, grazie ai poteri di "alta sorveglianza" su tutti i giudici, di ammonirli e di chiamarli a sè per rispondere dei fatti a loro addebitati.
Tale disciplina spiega perché il regime fascista non abbia avvertito l'immediata necessità di una completa riforma dell'ordinamento giudiziario ereditato dallo Stato liberale, ma si sia limitato, prima attraverso riforme parziali, poi con il nuovo ordinamento giudiziario emanato con r.d. 30 gennaio
1941. n. 12, a perfezionare l'ormai collaudato sistemi dei controlli sulla magistratura, rendendo più organico l'allineamento dei giudici alle direttive del regime (ad esempio, nel ventennio fascista le circolari ministeriali venivano inviate anche ai presidenti delle corti di appello, e da questi poi ritrasmesse ai presidenti dei tribunali).
Non bisogna poi dimenticare che tale assetto istituzionale dei rapporti tra magistratura e potere politico era congeniale all'estrazione socio-economica dei magistrati, reclutati pressoché esclusivamente tra la borghesia medio-alta: questo dato spiega perché, sia nel cinquantennio liberale che durante il regime fascista, si sia realizzato un "naturale" allineamento agli interessi del ceto politico di governo, ben mascherato dai miti del carattere asettico e neutrale del
tecnicismo giuridico e della imparzialità del giudice nell'applicazione dei precetti legislativi.
Nella memoria storica dei Costituenti era dunque ben presente la realtà di una magistratura che, proprio perché priva delle garanzie di indipendenza, non aveva apprestato alcun argine contro le violenze dello squadrismo negli anni precedenti all'avvento del fascismo e si era poi
supinamente adeguata alle direttive del regime. In questo clima, l'indipendenza della magistratura era un valore condiviso pressoché unanimente dalla comune matrice
antifascista dell'Assemblea Costituente, ma non appena dalle affermazioni di principio si passa alle scelte attraverso cui dare concreta attuazione all'indipendenza emergono posizioni culturali, giuridiche e politiche assai differenziate, che si riflettono anche all'interno dei singoli partiti.
Sulla base dei tre progetti preparatori, predisposti rispettivamente dagli onorevoli Calamandrei (Partito d'Azione), Leone (DC) e Patricolo (Uomo Qualunque), il dibattito sul tema della giustizia si incanala lungo
una serie di opzioni di fondo, di cui peraltro non sempre gli stessi Costituenti seppero cogliere le lince di coerenza interna.
/ 0 A n a prima opzione si M ^ t s ispira al tradizionale
filone di stampo liberale ottocentesco, di cui si fanno portavoce gli esponenti del partito liberale. Dai principi della supremazia della legge e della certezza del diritto, riaffermali in polemica con la matrice totalitaria della teoria del diritto libero della Germania nazista e dei primi anni del regime sovietico, vengono fatti discendere i seguenti corollari: esclusiva soggezione del giudice alla legge; natura apolitica, neutrale ed imparziale dell'attività giurisdizionale (e quindi espresso divieto di iscrizione dei magistrati ai partiti politici); indipendenza di tutti i magistrati (giudici e pubblici ministeri) dal potere esecutivo; rigorosa separazione del giudiziario dagli altri poteri dello Stato, realizzata mediante un organo di autogoverno (Consiglio Superiore della Magistratura - d'ora innanzi CSM I composto di soli magistrati; eliminazione del ministro della giustizia, le cui funzioni vengono ritenute incompatibili con la piena indipendenza della magistratura dal governo; reclutamento dei magistrati per concorso e sfavore della partecipazione di giudici "laici"
all'amministrazione della giustizia, nell'alveo di una concezione tecnico-burocratica dell'organizzazione giudiziaria (Crispo, Villabruna). All'estremo opposto stanno le posizioni dei partiti della sinistra, peraltro non sempre emergenti in modo uniforme e lineare. E comunque possibile delineare alcune linee di tendenza, sulla base della convinzione che in un sistema di democrazia parlamentare, caratterizzato dalla sovranità popolare e dalla centralità del parlamento, l'indipendenza della magistratura non può tradursi in una autonomia assoluta e sottratta a qualsiasi forma di controllo politico della rappresentanza popolare (Togliatti) ed a qualsiasi collegamento con la realtà sociale e politica del paese (Laconi). Da queste premesse discendono le proposte: di introdurre una rappresentanza politica all'interno del CSM, attribuendo in particolare una posizione di spicco al ministro della giustizia, che avrebbe comunque dovuto svolgere un'azione di vigilanza sull'intera magistratura; di garantire forme di partecipazine diretta del popolo
all'amministrazione della giustizia mediante l'elezione quantomeno di alcune categorie
di giudici, nonché attribuendo funzioni giurisdizionali ad elementi "laici", capaci di offrire al giudice "togato" le aperture per una interpretazione della legge a diretto contatto del popolo.
ullo sfondo di tali proposte stanno una concezione ^ ^ ideale diametralmente opposta all'impostazione liberale classica dell'esclusiva soggezione del giudice alla legge e la constatazione del ruolo "conservatore" svolto dalla magistratura nella storia italiana, sia pure mascherato dai miti del tecnicismo giuridico e della apoliticità del giudice (Laconi). Per i comunisti la legge non è l'unica forma di mediazione dei conflitti sociali, ma i giudici, mediante l'opportuna partecipazione di elementi laici, avrebbero potuto e dovuto interpretare la legge in modo rispondente alle aspirazioni ed ai bisogni delle masse popolari (Cullo).
^ a constatazione storica del W ruolo conservatore della t y magistratura venne
condivisa da socialisti e azionisti. In effetti, da una lato erano più che legittimi i dubbi sulla "fedeltà" al nuovo ordinamento democratico di una magistratura che si era formata durante il ventennio fascista e che non era praticamente toccata dall'epurazione (Calamandrei, Lussu, Mancini), dall'altro l'esperienza storica di un lungo periodo collegava i magistrati alla repressione delle proteste del movimento operaio e contadino e poi
dell'opposizione politica al fascismo, sì da far parlare di vocazione dei giudici ad un ruolo gregario della borghesia (Laconi). I controlli del potere politico erano cioè visti come strumento per evitare che una totale autonomia e separatezza dalla società civile creasse gravi contrasti tra il tradizionale atteggiamento della magistratura ed il nuovo clima politico e sociale del paese.
Più articolate risultano le posizioni delle altre forze politiche. Per il partito d'azione Calamandrei, pur innestandosi nel solco tradizionale dei principi della certezza del diritto e della supremazia della legge, e pur pronunciandosi conseguentemente contro il reclutamento elettivo dei giudici e la partecipazione di componenti di estrazione politica al C S M , riteneva necessarie f o r m e di collegamento con gli altri poteri dello Stato. Tale esigenza si tradusse nella proposta di istituire un procuratore generale
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commissario della giustizia, scelto tra i procuratori generali delle corti di appello e nominato dal capo dello stato su designazione del parlamento, con facoltà di partecipare alle riunioni del consiglio dei ministri: il nuovo organo, in cui le funzioni del magistrato si sarebbero accompagnate alla legittimazione politica, sarebbe stato chiamato a rispondere davanti al parlamento del buon andamento degli affari giudiziari.
• nftne, all'interno della D C / U le comuni premesse della
soggezione del giudice soltanto alla legge e dell'indipendenza della magistratura non impedirono che venissero prese posizioni assai differenziate sulla disciplina dei singoli istituti. L'idea iniziale di un C S M composto di soli magistrati venne poi corretta dalla proposta di inserirvi alcuni componenti laici eletti dal parlamento, al fine di assicurare l'opportuno collegamento con gli altri poteri (Leone, Scalfaro, Bettiol).
L'ostracismo di Leone alla partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia non impedì che altri esponenti democristiani (La Pira, Gronchi, Moro) si pronunciassero a favore della partecipazione di giudici laici. L'affermazione
dell'indipendenza non venne ritenuta in contrasto con la proposta di porre il pubblico ministero alle dipendenze dell'esecutivo (Leone). Infine, vale la pena di ricordare, a titolo di mera curiosità, che il divieto di ammissione delle donne in magistratura, sostenuto da numerosi esponenti democristiani, venne giustificato sulla base di una "naturale incapacità fisiologica" a svolgere le funzioni giudiziarie.
E appunto alla luce di queste articolate e variegate posizioni che vanno descritte e valutate le norme costituzionali che hanno dato attuazione al principio dell'indipendenza della magistratura, tenendo presente che i profili per molti aspetti di sconcertante attualità del dibattito alla Costituente vanno calati nella peculiarità del periodo storico - il biennio successivo alla caduta del
fascismo - e rimeditati alla luce delle successive esperienze dei rapporti tra magistratura e potere politico nel cinquantennio repubblicano. Valgano per tutti, da un lato, la sostanziale sfiducia dimostrata dai partiti di sinistra verso la magistratura e le conseguenti posizioni in favore di forme di controllo politico sui giudici; dall'altro il ruolo di controllo delle illegalità da chiunque commesse effettivamente svolto dalla magistratura a partire dai primi anni Settanta e gli attuali
attacchi delle forze di centro-destra all'indipendenza dell'ordine giudiziario che si accompagnano alla tormentata transizione verso un sistema politico maggioritario.
L a soggezione del giudice "soltanto" alla legge (art. 101) Il titolo IV si apre con una norma (l'art. 101 ) in cui sono sinteticamente delineati da un lato i rapporti tra funzione giurisdizionale (qui definita con il termine "giustizia") e sovranità popolare (comma 1°), dall'altro quelli tra il giudice e la legge (comma 2°). Tenendo conto della formulazione dell'art. 68 dello Statuto Albertino del 1848 ("La Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo nome dai Giudici che Egli istituisce"), l'attuale formula costituzionale ("La giustizia è amministrata in nome del popolo") esprime l'opposta volontà dei Costituenti di ricollegare la funzione giurisdizionale alla sovranità popolare e di affermare la legittimazione democratica dell'attività giudiziaria.
I rapporti tra giustizia e sovranità popolare possono esplicarsi mediante l'elezione diretta dei magistrati, che divengono così rappresentativi e politicamente responsabili nei confronti del corpo elettorale, ovvero sottoponendo gli organi giudiziari a forme di controllo politico del potere legislativo, attraverso cui si esplica appunto la sovranità popolare, ovvero ancora stabilendo un collegamento tra giustizia, sovranità popolare e supremazia della legge.
La costituzione ha certamente aderito a quest'ultima forma di collegamento con la sovranità
popolare, che trova tra l'altro conferma nel comma 2° dell'art.
101 ("I giudici sono soggetti soltanto alla legge").
Avvalorano quasta conclusione: l'ostracismo ripetutamente manifestato nel corso dei dibattiti all'Assemblea Costituente verso il c.d. diritto libero, a cui sarebbe appunto congeniale un giudice elettivo e politicamente responsabile: la scarsa dimestichezza della cultura giuridica italiana verso i sistemi di comnm law, basati sull'elettività dei giudici; la
Compiti principali del pubblico ministero sono infatti quelli di investigazione e di azione, cioè di svolgere le indagini necessarie in vista dell'esercizio dell'azione penale e della sottoposizione del caso alla decisione del giudice. 11 fatto che il testo dell'art. 101 comma 2° faccia riferimento solo ai giudici non significa, peraltro, che il pubblico ministero non sia anch'egli soggetto alla legge e non goda delle garanzie di indipendenza: tali principi sono infatti desumibili da altre norme
secondo cui "i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni" (art. 107 comma 3°) vuole evitare che la libertà di giudizio del giudice possa essere condizionala da rapporti di subordinazione gerarchica nei confronti di altri magistrati (c.d. indipendenza interna).
Il principio della soggezione del giudice alla legge,
profondamente radicato nella cultura giuridica italiana, non è mai stato posto seriamente in discussione nè dai giudici, nè