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IL SISTEMA DEI PARTITI

Nel documento Sisifo 29 (pagine 69-76)

NELLA

TRANSIZIONE

ITALIANA.

FRA LEGGI

ELETTORALI

"NUOVE"

E REGOLE

"VECCHIE"

di Franco Pizzetti II saggio riproduce in parte (soprattutto al paragrafo II) il contenuto di uno studio dal titolo Sistema dei partiti e sistemi elettorali nella «lunga transizione» di prossima pubblicazione su Studi Parlamentari., 1995, n. 2 II tenore, l'oggetto e l'ampiezza

dei due lavori sono però sostanzialmente

diversi. Ciascuno dei due ha infatti una sua propria autonomia, tanto che l'eventuale lettura di entrambi può essere utile per una visione più organica delle vicende che hanno

caratterizzato la «rottura» del nostro sistema politico a partire dalla X legislatura. 1. L a v i c e n d a c h e h a c a r a t t e r i z z a t o la «via i t a l i a n a alla t r a n s i z i o n e » /. IM scheda elettorale del 1995 e il mutamento del sistema politico italiano

Chi, con "attenzione e m e m o r i a storica", avesse messo a confronto la scheda delle elezioni amministrative del 1995 con quella delle precendenti elezioni amministrative del 1990, avrebbe potuto facilmente constatare che praticamente nessuno dei partiti che erano stati presenti con la propria sigla e con il proprio simbolo alle elezioni del 1990 ha partecipato, con le m e d e s i m e " i n s e g n e " alle elezioni del 1995.

La stessa Lega Nord, che pure è certamente il m o v i m e n t o politico m e n o toccato dai m u t a m e n t i di questi cinque anni, è stata i m m u n e da questo f e n o m e n o . Alle elezioni del 1990, infatti, si era presentata nelle singole regioni con denominazioni "regionali" (Lega Nord Piemonte, Lega L o m b a r d a , Liga Veneta) mentre nelle ultime è stato

assolutamente prevalente il dato unificante della d e n o m i n a z i o n e nazionale.

Questo c a m b i a m e n t o "visivo", evidente sulla scheda elettorale, è il riflesso del grande "terremoto" che ha colpito il sistema politico italiano. Negli ultimi cinque anni si è avuto infatti nel nostro Paese un grande m u t a m e n t o che, eccezione fatta per le leggi elettorali, pur lasciando sostanzialmente i m m o d i f i c a t e le istituzioni formali, ha f o r t e m e n t e innovato il sistema politico. 2. Una transizione senza mutamenti istituzionali Il caso italiano d u n q u e si segnala oggi per questa n u o v a e ulteriore peculiarità.

A differenza di q u a n t o è accaduto in altri tempi e in altri Paesi, noi non a b b i a m o avuto un m u t a m e n t o attraverso una "rottura" della Costituzione formale o attraverso sostanziali modificazioni delle "regole" che governano le modalità di f u n z i o n a m e n t o delle istituzioni della democrazia.

A b b i a m o avuto invece, a l m e n o sinora, un m u t a m e n t o per "frattura del sistema politico". Non vi è dubbio, infatti, che la grande "transizione" italiana ha finora toccato essenzialmente il sistema politico lasciando invece immutato, a l m e n o dal punto di vista formale, quello istituzionale. Le sole modificazioni normative connesse con la "grande transizione" sono state infatti quelle relative ai sistemi elettorali.

Il dibattito sulle riforme

istituzionali ha ormai c o m p i u t o più di venticinque anni giacché il tema fu posto ufficialmente per la prima volta con il messaggio sul f u n z i o n a m e n t o delle istituzioni che, nell'ottobre

1975 il Presidente Leone inviò alle Camere; il messaggio peraltro fu volutamente ignorato dal Parlamento che, presone alto, decise di "passare ad altro punto all'ordine del giorno". M a l g r a d o un cosi lungo periodo di discussioni e di progetti la nostra Costituzione è rimasta, in questi stessi venticinque anni, sostanzialmente immodificata, salvo che per le parti relative alla r i f o r m a della resposabilità ministeriale, dell'amnistia e dell'indulto e delle i m m u n i t à parlamentari: modificazioni, queste, di grande importanza, anche sul piano dei principi, ma destinate in sostanza più ad ampliare i poteri della Magistratura che a cambiare sostanzialmente il sistema istituzionale.

N é é sufficiente a mutare questo quadro la sola modifica che, in questi venticinque anni, ha toccato davvero il f u n z i o n a m e n t o del sistema politico, c a m b i a n d o la disciplina del c. d. "semestre b i a n c o " (art. 88 Cost.). S i è trattato infatti di una modifica oggettivamente legata alla contingente necessità di evitare il temuto "ingorgo costituzionale" che avrebbe potuto verificarsi alla fine della X legislatura, q u a n d o la scadenza del m a n d a t o del Presidente Cossiga e la fine naturale della legislatura rischiavano di venire a coincidere.

E invece assolutamente e m b l e m a t i c o , c o m e indice della incapacità (o non volontà) di rispondere alla crisi di sistema con m o d i f i c h e istituzionali il fatto che la C o m m i s s i o n e bicamerale per le riforme istituzionali costituita all'inizio della XI legislatura (la terza, d o p o i Comitati di studio sulle riforme istituzionali presso le C o m m i s s i o n i Affari costituzionali di C a m e r a e Senato, istituiti nell'ottobre 1992 e la C o m m i s s i o n e bicamerale per le riforme istituzionali istituita nell'ottobre del 1983 e presieduta d a l l ' o n . Bozzi), abbia terminato i suoi lavori nel dicembre del 1993 c o n s e g n a n d o il proprio rapporto a un P a r l a m e n t o ormai sul punto di essere sciolto.

L o stesso p u ò dirsi delle modifiche introdotte n e l l ' o r d i n a m e n t o con leggi ordinarie o con innovazioni ai regolamenti parlamentari. Le ultime significative riforme su questo terreno risalgono alla X legislatura, f r a il 1988 e il 1990 (legge sulla Presidenza del Consiglio: m o d i f i c h e dei regolamenti parlamentari; l.n.

142 del 1990 di riforma dei comuni e delle province). N e s s u n a rilevante innovazione ordinamentale che possa

considerarsi una risposta puntuale al verificarsi del grande cambiamento in atto é stata invece introdotta nella XI e nella attuale legislatura, contestualmente.

Tanto il Governo Amato quanto quello Ciampi, infatti, hanno cercato di adottare incisivi provvedimenti di razionalizzazione di settori strategici dell'ordinamento (i decreti delegati in materia fiscale, sanitaria, di riforma del pubblico impiego del Governo Amato; la imponente opera di delegificazione e di riforma della Amministrazione tentata o comunque impostata dal Governo Ciampi; la strategica riforma del sistema dei controlli attraverso la nuova disciplina della Corte dei conti, opera congiunta di entrambi i governi.) Resta vero però che nessuno di questi interventi è stato decisivo per innovare nell'ordinamento istituzionale con pari incisività di quanto è accaduto invece per il sistema politico.

Per contro merita di essere fortemente sottolineato che alla sostanziale continuità del nostro ordinamento costituzionale e legislativo si contrappone il fatto che in questi cinque anni sono cambiati tutti i sistemi elettorali, da quelli che disciplinano Comuni e Province a quelli per Camera e Senato a quello, ultimo adottato, che regola l'elezione dei Consigli regionali.

Proprio la modifica dei sistemi elettorali, stimolata e imposta dalla pressione referendaria che si è sviluppata nel nostro Paese fra il 1991 (referendum sulla legge preferenza unica per la Camera dei deputati) sino al

1993 (referendum sulla legge elettorale del Senato e sospensione del referendum sul sistema elettorale di comuni e province come conseguenza del fatto che, un mese prima della data, il Parlamento aveva approvato la nuova legge sull'elezione diretta del Sindaco e del presidente della

provincia), ha costituito la «via italiana» alla riforma del sistema istituzionale. Del resto anche il referendum sul sistema elettorale dei comuni dell'11 giugno 1995 ha tentato di innescare una volta di più il circuito: referendum su una legge elettorale in vigore-abrogazione referendaria-mutamento del sistema elettorale come "via" per il mutamento del sistema politico (in questo caso del sistema politico che è venuto delineandosi negli ultimi due anni per i comuni superiori a quindicimila abitanti). Ripensando alle vicende che hanno caratterizzato questi cinque anni della "grande transizione italiana", si può riconoscere dunque che il solo settore dell'ordinamento giuridico che è stato davvero

interessato a tale trasformazione è stato sinora il complesso dei sistemi elettorali.

3. Le "ragioni" del mutamento dei sistemi elettorali e il referendum sui sistemi elettorali come manifestazione del "diritto di resistenza È importante domandarsi perché comunque le sole modifiche ordinamentali di un qualche rilievo introdotte nel sistema italiano riguardino tuttora praticamente soltanto i sistemi elettorali.

Due paiono le rsposte possibili. La prima risposta è che in questi anni il vero punto di

scollamento fra cittadini e sistema istituzionale si è manifestato come scontro fra società civile e classe politica. Questo scontro è stato "vinto" dalla prima per il concorrere di tre diversi fenomeni:

a) il mutamento di alcuni partiti (scioglimento del PCI e nascita del PDS e di Rifondazione Comunista); la nascita di nuovi movimenti (LN ma anche la Rete e in parte i Verdi); la oggettiva "chiusura" della maggioranza di governo che si verifica sulla 1. 142 del 1990 con l'apposizione della fiducia per respingere gli emendamenti sull'elezione diretta del sindaco) e soprattutto sulla legge Mammì nella primavera-estate del 1990 (con l'uscita dal governo dei ministri della "sinistra" democristiana per opposizione alla linea del governo); tutte queste vicende, fra loro diverse ma connesse, determinano la rottura di consolidati modelli comportamentali di reciproca solidarietà fra le forze politiche; b) lo svilupparsi, specialmente a partire dai primi mesi del 1992, delle inchieste della

magistratura (Mani Pulite e Tangentopoli), con conseguente perdita di ogni legittimità da parte di una classe politica, anche e soprattutto

parlamentare, improvvisamente rivelatasi agli occhi di tutti

come corrotta.

c) il ricorso, per ben tre volte e per un numero rilevante di richieste, all'istituto referendario visto

oggettivamente come il modo moderno di esercitare il "diritto di resistenza" contro il potere costituito (la classe politica al potere). Peraltro il ricorso al referendum in materia elettorale è promosso dal Movimento Referendario proprio nell'aprile 1990, dopo che il governo Andreotti ponendo la questione di fiducia per respingere gli emendamenti a favore dell'elezione diretta del sindaco ha non solo dimostrato la "chiusura" del suo governo verso le altre forze parlamentari ma anche l'assoluta incapacità delle forze di maggioranza di comprendere a fondo la domanda di cambiamento che già saliva prepotentemente dalla società italiana.

Di questi tre fenomeni quello che appare oggettivamente più rilevante dal punto di vista che qui interessa è proprio l'uso dei referendum abrogativi delle leggi elettorali.

Esso dimostra infatti che lo scontro che ha dato origine alla "grande transizione" è stato sentito dalla società civile proprio come uno scontro, diretto ed immediato, con la classe politica di governo. Proprio questo consente però di proporre la seconda risposta possibile alla domanda sul perché il solo mutamento intervenuto ha riguardato proprio, e sinora soltanto, i sistemi elettorali.

Tenendo conto di quanto si è sottolineato, infatti, non è più "strano" che le principali modifiche di carattere istituzionale sinora introdotte nel sistema giuridico italiano riguardino essenzialmente i sistemi elettorali.

Poiché come è stato detto, le leggi elettorali sono in democrazia ciò che la legge di successione al trono è per la monarchia (e cioè la fonte di

4 u t

legittimazione del potere), il ricorso all'esercizio legìttimo dell'istituto referendario sulle leggi elettorali è stato sentito dal Paese come se fosse stato, appunto, il ricorso all'attivazione del "diritto di resistenza" per "liberarsi" di una classe politica ormai divenuta insopportabile.

4. Conseguenze della strategia adottata Questa strategia, tutta incentrata sull'obbiettivo di cambiare la classe politica attraverso l'iniziativa referendaria di abrogazioni delle leggi elettorali ha avuto almeno due

. conseguenze assolutamente rilevanti:

la prima, che il "cambiamento" sì è sviluppato attraverso l'adozione di sistemi elettorali diversi l'uno dall'altro e tutti rispondenti a logiche fra loro differenti pur se tutti condizionati dalla comune indicazione referendiaria a favore di meccanismi maggioritari o che comunque garantissero un'evoluzione in senso bipolare del sistema : italiano.

la seconda, che si è passati da i un sistema istituzionale e i costituzionale basato tutto sul [ principio proporzionale a un

sistema improntato alla logica i maggioritaria senza modificare i né le regole, costituzionali e i non, che disciplinano i rapporti I fra le istituzioni né, soprattutto, ; gli istituti di garanzia, a > cominciare dallo stesso [ procedimento di revisione della ) Costituzione.

1 Entrambe queste conseguenze > sono di grande rilevanza.

4. 1.1 sistemi elettorali

s e le loro diversità 1 II cambiamento imposto ; attraverso l'approvazione di 1 sistemi elettorali diversi ha j certamente favorito il 2 superamento di un sistema q politico "terremotato" dalle sue ) tensioni interne, dalle vicende l giudiziarie e dalla oggettiva

"ribellione" sociale, ma ha reso 0 oggettivamente difficile il 1 formarsi di nuovi equilibri 3 concorrendo a rendere più lunga 3 e più "confusa" la transizione in e atto.

I Volendo infatti qualificare i a sistemi elettorali oggi in vigore q possiamo proporre la seguente 3 elencazione.

ìj a) il sistema elettorale per i

3 comuni sotto i quindicimila

n abitanti, pur prevedendo 1 l'elezione diretta del sindaco, è 2 sostanzialmente maggioritario b di lista a turno unico. L'ipotesi b di un secondo turno di d ballottaggio fra due candidati a iz sindaco è del tutto residuale, v verificatosi solo nel caso che b due candidati abbiano al primo n turno esattamente lo stesso n numero di voti. Un sistema di p questo genere, prevedendo

formalmente il voto diretto al ,3 candidato sindaco, attribuisce

grande rilevanza anche alla lista con esso collegata e comunque, essendo a turno unico, obbliga gli apparentamenti prima del voto. Favorisce cioè le alleanze fra i partiti e le organizzazioni politiche.

b) il sistema elettorale per i comuni sopra i quindicimila abitanti è invece un sistema proporzionale con elezione diretta del sindaco che garantisce comunque al vincitore di avere una maggioranza assicurata in Consiglio grazie a un premio di maggioranza che corregge incisivamente la regola proporzionale nell'assegnazione dei seggi del Consiglio. Questo sistema prevede come normale il secondo turno e come assolutamente eccezionale il turno unico (nel caso che un candidato abbia al primo turno più del cinquanta per cento dei voti). Esso dunque favorisce le alleanze fra gli elettorati al secondo turno e rende meno necessarie le alleanze fra i partiti.

c) Con qualche lieve modifica, legata al fatto che i seggi sono distribuiti sul territorio in collegi uninominali, è organizzato nel medesimo modo del precedente il sistema elettorale per le province. Anche questo sistema, prevedendo come "normale" il secondo turno fra i primi due candidati alla presidenza, spinge alle alleanze fra gli elettorati al secondo turno piuttosto che alle alleanze fra i partiti prima della formazione delle candidature.

d) Il sistema della Camera dei deputati, così come quello del Senato, sono sistemi prevalentemente maggioritari con una quota di proporzionale. Pur dando luogo a qualche diversità, soprattutto legate al diverso sistema di votazione e al fatto che il numero di seggi della Camera è doppio rispetto a quello del Senato, e dunque è doppio (in cifra assoluta) anche il numero di seggi da assegnare con la proporzionale, resta fermo che sono sistemi che spingono all'alleanza preelettorale, per i seggi da assegnare nei collegi, ma consentono anche la presenza separata di ciascun partito nella quota proporzionale. e) Il sistema recentemente adottato per le regioni, infine, è un sistema prevalentemente proporzionale, con una quota di seggi attribuiti col meccanismo maggioritario a turno unico alla lista regionale collegata col candidato Presidente della regione che abbia ottenuto il maggior numero di voti rispetto ai suoi concorrenti. Poiché però la legge garantisce comunque che il Presidente designato vincitore abbia comunque non meno del cinquantacinque per cento (ovvero, a seconda dei casi, del sessanta per cento) dei seggi del Consiglio, la legge prevede anche un vero e proprio

premio di maggioranza che può scattare ove sia necessario. Peraltro la legge stabilisce anche una sorta di premio di minoranza (o di quota minima di seggi assegnati alla minoranza) che scatta nel caso in cui la maggioranza abbia più del sessanta per cento dei seggi del Consiglio eletti

direttamente. E questo un sistema che spinge alle alleanze preelettorali (come tutti i sistemi a un turno unico) ma che, avendo una quota elevata di proporzionale, consente anche di presentarsi separatamente.

Come si vede, siamo in presenza di sistemi fra loro molto diversi, che in qualche modo spingono a

comportamenti elettorali diversi a seconda del tipo di

competizione.

Vi è poi un altro aspetto da tenere presente.

La continua produzione di nuove regole elettorali ha oggettivamente ingenerato nel Paese un orientamento secondo il quale è possibile e legittimo mutare sistema elettorale con grande facilità.

Il che può indurre i diversi soggetti politici a puntare, per vincere, più su eventuali modifiche ai sistemi elettorali che non a costruire solide alleanze e chiari progetti politici attraverso comportamenti e prassi davvero coerenti con la nuova logica del maggioritario. La molteplicità dei sistemi elettorali, compresa da ultimo la specificità di quello regionale, è infatti la spiegazione della grande varietà di "coalizioni" alle quali, a destra come a sinistra, è stato dato vita a seconda del tipo e del modo di competizione elettorale. Dalle alleanze "a geometria variabile" promosse da Forza Italia soprattutto nella consultazione del marzo 1994, alla costruzione organica del "polo" come soggetto politico unitario in alcuni casi, concorrente con i suoi stessi alleati (Ccd e An) in altre competizioni, che ha caratterizzato invece le elezioni del 1995;

dall'alleanza dei Progressisti, specìfiche delle elezioni '94, alle diverse liste maggioritarie che hanno caratterizzato le elezioni regionali di quest'anno sul versante del Centro-Sinistra; dalle e molte diversificate forme di partecipazioni alle elezioni comunali o provinciali dominate dalla logica del doppio turno (e quindi dalle alleanze tra elettorati e non tra partiti) alle coalizioni che anche per questi livelli si sono verificate in concomitanza delle

consultazioni regionali: i mille "modi di partecipazione" alle competizioni elettorali che abbiamo dovuto registrare in questi mesi sono tutti dì tale rilevanza da imporre una seria riflessione. In sostanza, infatti.

pare che il sistema politico fatichi molto ad organizzarsi secondo quella logica maggioritaria e bipolare che è stato il principale obbiettivo del processo in corso in questi anni. Tre in particolare, sembrano essere i fenomeni che sono allo stesso tempo "causa" ed "effetto" di questa situazione: a) l'essere i partiti tuttora prevalentemente organizzati secondo logiche indipendenti dagli effetti propri del sistema maggioritario;

b) il bisogno di forme organizzative di "presenza elettorale", legate, queste sì, in modo prevalente alla logica propria di ciascuna competizione;

c) l'idea che si possa facilmente porre mano a una riforma degli stessi sistemi elettorali; idea che viene spesso avanzata con almeno tre obbiettivi diversi: -qualcuno vorrebbe piegare le norme elettorali a una logica più proporzionale; - altri, invece, per accentuare gli elementi di maggioritario vorrebbero rafforzare le ipotesi che prevedono il turno unico e l'assegnazione di tutti i seggi in collegi uninominali (a questo mira appunto il referendum del 1995 sul sistema elettorale per i comuni sopra i quindicimila abitanti);

altri, al contrario, vorrebbero invece estendere la logica del doppio turno alle competizioni elettorali, considerando questo come il sistema che consente di marcare le differenze fra le forze politiche mentre favorisce, invece, le alleanze fra gli elettorati.

Tutti questi fenomeni, in un contesto così fortemente "strutturato" sul versante dei diversi soggetti politici e, al medesimo tempo, così "destrutturato" dal punto di vista della logica delle competizioni di tipo maggioritario, determinano forme di presenza fra loro variabili e differenti a seconda del livello della competizione elettorale.

4.2. Il problemma delle nuove regole Più grave ancora è il problema posto dal verificarsi di una "transizione per sole modifiche elettorali".

In qualche m o d o si può dire che tanto è stato ed è difficile modificare la Costituzione, tanto invece è stato ed è facile mutare i sistemi elettorali. Il che oggettivamente è un singolare elemento di destabilizzazione del sistema complessivo. Si è infatti modificato l'asse del nostro sistema politico, senza riequilibrare il sistema costituzionale. Una Costituzione tutta "centrata" sulla logica del proporzionale e costruita intorno a un sistema di garanzie in larghissima misura legate a un Parlamento eletto in modo

proporzionale, è rimasta tuttora immodificata malgrado il passaggio alla logica maggioritaria.

E lo stesso può dirsi per quanto riguarda le altre "regole", almeno formalmente non costituzionali, che presiedono al funzionamento delle istituzioni della politica.

4.3. Le questioni irrisolte Dall'analisi sin qui svolta due sono le questioni che emergono prepotentemente all'attenzione. La prima questione: quale il futuro dei partiti tradizionali in un sistema come questo? Come si può adattare la "struttura-partito" al sistema maggioritario?

la seconda questione: fino a che punto possiamo continuare ad affidare ai soli effetti dei sistemi elettorali maggioritari la spinta innovativa del sistema politico e in che misura, invece, è ormai necessario prendere atto che questo non basta più ed occorre invece porre mano alla "progettazione" di nuove "regole della politica"? Entrambi questi problemi sono ormai presenti nel dibattito politico e assumono di volta in volta, a seconda delle circostanze, aspetti e coloriture diverse.

È ovvio, peraltro, che essi si basano sul presupposto fondamentale che il Paese sia ormai entrato saldamente nella logica dei sistemi maggioritari bipolari.

Non mancano certo oggi, in Italia, quanti sperano che possa invece ulteriormente estendersi, e tornare ad essere dominante, la logica proporzionale. In questo caso la maggior parte dei problemi che qui si affrontano muterebbe di segno e perderebbe d'importanza. Resterebbe il "valore" della ricostruzione delle vicende di questi anni che qui si è tentata, ma certo l'analisi dei problemi che ci troviamo di fronte dovrebbe mutare radicalmente. Va detto però che l'ipotesi di un

Nel documento Sisifo 29 (pagine 69-76)

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