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COME GARANZIA

Nel documento Sisifo 29 (pagine 76-80)

DEMOCRATICA

dì Alfio Mastropaolo

utto sta nell'intendersi sul • significato attribuito a Wr parole e concetti. Se si adotta una concezione minimale della d e m o c r a z i a e per tale s ' i n t e n d e unicamente la s o m m a di s u f f r a g i o universale più elezioni libere e realmente competitive, una d e m o c r a z i a senza partiti non è troppo difficile da immaginarsi. Anzi, non solo può benissimo esistere, ma probabilmente esiste già: in fin dei conti, c o s ' a l t r o è se non una d e m o c r a z i a senza partiti quella americana, dove i partiti ci sono, m a sono nient'altro che vaghe etichette, d e b o l m e n t e sorrette da apparati che si ridestano solo in occasione delle elezioni, e f f i m e r e f o r m e organizzative che sostengono i candidati in c a m p a g n a elettorale per essere subito d o p o ibernate? una democrazia, è quella americana, in cui il c o n f i n e tra partito e non partito è sottilissimo e dove non a caso assai di recente un candidato a n o m a l o alle elezioni presidenziali ha proprio dimostrato c o m e dai partiti si possa senza troppi danni prescindere.

Ben altrimenti stanno le cose -ovvero, più problematica è l'analisi - se l ' i m p o s t a z i o n e si rovescia: se si adotta una c o n c e z i o n e più esigente di democrazia, m a anche del partito politico. Se la

d e m o c r a z i a non la si riduce alla d e m o c r a z i a politica e formale, m a la si estende a n c h e alla d e m o c r a z i a sociale e sostanziale; e se per partito s ' i n t e n d o n o più riduttivamente le organizzazioni di m a s s a radicate nel sociale che h a n n o segnato l ' e s p e r i e n z a e u r o p e a da un secolo in qua, il nesso tra d e m o c r a z i a e partiti appare ben più intricato da sciogliere. L a conclusione che si p u ò trarre sulla base delle esperienze di cui d i s p o n i a m o , è che una d e m o c r a z i a , c o m e dire, più intensa - non m a s s i m a , giacché da un p e z z o a b b i a m o rinunciato ad ogni m a s s i m a l i s m o -, è strettamente correlata all'esistenza di partiti forti e strutturati, ovvero dei cosiddetti partiti di massa: legittimando il sospetto che il venir m e n o di partiti di questo genere comporti il rischio, magari non

i m m e d i a t o , di u n ' a t t e n u a z i o n e della democrazia. E s e m p i o eccellente ancora una volta è la d e m o c r a z i a americana, la quale, pur pretendendosi una grande d e m o c r a z i a politica, non ha conosciuto, se non e p i s o d i c a m e n t e o

m a r g i n a l m e n t e , u n ' e s p e r i e n z a analoga a quella dello Stato sociale, che ha costituito finora

la sostanza di una democrazia non meramente formale, che democratica è solamente per chi non veda la propria libertà annichilita dal morso della povertà e dell'emarginazione.

r

a g i o n i a m o in prospettiva storica. Il nostro a r g o m e n t o per ora è il seguente: la versione più tipicamente europea di democrazia, e a nostro avviso più compiuta (malgrado difetti e contraddizioni), ovvero lo Stato sociale di diritto, che coniuga libertà ed uguaglianza, o meglio il pluralismo politico con il riconoscimento del diritto al lavoro e con la garanzia di determinati standard in fatto di reddito, assistenza, istruzione, e tutela della salute, si è realizzata solo laddove esistevano partiti di massa strutturati radicati socialmente. Di qui a concludere che tale modello di d e m o c r a z i a non possa sopravvivere ai partiti, beninteso ce ne corre. M a è difficile non sospettare che il modello europeo di d e m o c r a z i a sia in larga misura un effetto dei partiti, alle cui pressioni si devono, seppure non in via esclusiva, acquisizioni d e m o c r a t i c a m e n t e decisive quali il s u f f r a g i o universale, ovvero la generalizzazione dei diritti politici (con qualche eccezione), e

l'universalizzazione dei diritti sociali. Se la libertà, di pensiero, di espressione, di voto, si è i n s o m m a coniugata stabilmente con u n ' a p p r e z z a b i l e dose di uguaglianza, la quale finora non ha significativamente ristretto la libertà, c o m e teme qualche suo critico, ciò si deve p e r b u o n a parte al binomio vincente democrazia-partiti. Sono i partiti di m a s s a i n s o m m a , che, f a c e n d o irruzione nei regimi liberal-censitari, hanno consentito l'evoluzione del quadro politico-istituzionale democratico. C o s a è però il partito di m a s s a ? Q u a n d o si parla di partiti stabilmente strutturati, capillarmente diffusi sul territorio, dotati di una m a c c h i n a organizzativa permanente, in cui, insieme ai leaders, che di n o r m a ricoprono cariche elettive nelle istituzioni, interagiscono quadri, militanti ed iscritti, simpatizzanti, e la cui f u n z i o n e non si esaurisce nella ricerca di consensi elettorali, ciò cui i m m e d i a t a m e n t e si allude sono i partiti di classe. I quali h a n n o poi fatto scuola, nel senso che tale modello è stato replicato, specie dai partiti

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cristiano-sociali e, talora, da taluni partiti moderato-conservatori. Ebbene, senza Cedimenti alla mitologia democratica e a quella del movimento operaio, questo modello di partito, ridotto all'essenziale, altro non è che un'agenzia finalizzata a convertire interessi e identià in risorse spendibili sul mercato politico. 11 partito di massa, in altre parole, è lo strumento che ha permesso ad attori che aspiravano alla leadership. sprovvisti di altre risorse da investire sul mercato politico, di acquisire risorse alternative.

e non che, una definizione tanto fredda e disincantata, tutta interna all'approccio elitista e che sottovaluta il cospicuo patrimonio di esperienze associative spontanee, dì ascendenza corporativa, che stanno all'origine del movimento operaio, non impedisce di affermare che è grazie a quella geniale innovazione nella tecnologia politica che è stata il partito di massa, che in genere opera in stretta connessione con le organizzazioni sindacali e con una fitta trama di organizzazioni collaterali specializzate, che la democrazia è riuscita ad affermarsi e a compiere passi avanti risolutivi.

Avanzando una prospettiva di riscatto sociale, ma anche d'integrazione strutturata nel quadro di una società squassata dallo sviluppo dell'industria, per le classi lavoratrici e gli strati sociali più deboli, stimolando tali strati sociali all'azione collettiva e solidale, creando forme di «controsocietà» e ponendosi esso stesso quali «Stato nello Stato» il partito di massa ha consentito alla democrazia d'impiantarsi e rapprendersi.

Non solo, ma il paradosso è che attraverso i partiti, seppur eterodirette, le masse sono entrate da protagoniste sulla scena della storia: le folle scomposte della Grande Rivoluzione il partito le ha promosse a soggetto politico, i cui interessi, il cui potenziale d'azione collettiva e le cui rivendicazioni, attraverso il circuito della rappresentanza pluralistica si sono trasformate in componente irrinunciabile del meccanismo democratico, definitivamente spezzando l'identificazione

primoottocentesca tra classes

laborieuses et classes dangerous.

Il percorso della democrazia in realtà non è stato così lineare. C'è una componente octroyée nella democrazia che sarebbe storicamente improprio sottovalutare. Il suffragio universale nasce anche per concessione dall'alto, talora favorita dalle componenti più conservatrici delle élites

dirigenti. Non diversamente le prime forme di Stato

assistenziale le hanno promosse i conservatori in primo luogo per neutralizzare la pressione dal basso dei partiti di classe. Ciò non toglie però che tali partiti abbiano svolto una decisiva funzione democratica, che permane anche dopo che hanno varcato la soglia della rappresentanza parlamentare e dopo che i loro esponenti sono addirittura ammessi a sedere sui banchi del governo.

j t f razie ai partiti di massa M/M organizzati, insegna ^ ^ W Roberto Michels, è

stato possìbile colmare il gap di risorse che separava i ceti economicamente forti da quelli economicamente più deboli. Sempre grazie ai partiti è stato possibile aprire un nuovo canale permanente di accesso alle élites, allargandone e democratizzandone il bacino di reclutamento. Ancora i partiti hanno svolto una essenziale funzione pedagogica nei confronti dei loro aderenti e dello stesso elettorato. Coltivando la partecipazione, la militanza, e più in generale la cultura "civica", per quanto eterodirette esse fossero, e per quanto filtrate

dall'arroccamento burocratico cui va soggetto ogni genere di organizzazione di massa, il partito non solo era una scuola di democrazia, ma accumulava un potenziale di mobilitazione collettiva che in pochi casi è stato speso a difesa ancor più che della democrazìa sostanziale, di quella formale. La storia dei partiti di massa, anche di quelli appartenenti alla tradizione comunista, dimostra come proprio da tali partiti sia sovente venuta la più convinta e determinata difesa del pluralismo partitico e della stessa democrazia liberale. E non solo. Specie dacché hanno superato la soglia della rappresentanza, i partiti di massa hanno anche operato quale canale di comunicazione permanente, e bidirezionale, tra istituzioni e società. E ciò in un duplice senso. Per un verso, se la democrazia non si è limitata alle liturgie elettorali, se è consistita anche in una attenzione diffusa e quotidiana per quanto avveniva nella sfera della rappresentanza e della decisione politica, ciò si deve in special modo ai partiti. Per un altro verso, i partiti sono stati filtro e coagulo nei confronti degli interessi. Vettori privilegiati delle domande politiche, i partiti, assumendo ideologie e programmi quali punti di riferimento, hanno provveduto a selezionarle e gerarchizzarle, impedendo che scompostamente si riversassero sulle istituzioni rappresentative e su quelle di governo. Infine, i partiti di massa hanno

svolto una decisiva funzione di stabilizzazione dell'elettorato e della pubblica opinione. L'attuale condizione di altissima "volatilità" elettorale consente di apprezzare questo ruolo. Le appartenenze suscitate dai partiti, in termini ideologici, subculturali, organizzativi e talora anche solo

programmatici, sono valse a lungo a impedire quei

movimenti erratici dell'opinione pubblica dalla destra alla sinistra, da un'estrema all'altra, che sono tra le cause dell'attuale poco rassicurante instabilità di gran parte dei sistemi politici occidentali, anche per questa ragione costretti sia ad eccessi di immunizzazione della sfera della decisione da quella della rappresentanza, e di questa dal contesto sociale, sia a forme d'involuzione tecnocratica difficilmente apprezzabili da un punto di vista democratico.

pperò, se il partito di

Ms massa, nei termini di cui

si è detto, unitamente allo Stato sociale, che esso ha decisivamente contribuito a costruire, è stato lo straordinario antidoto politico con cui la società si è difesa dal mercato, addomesticandone gli spiriti animali, nonché un presupposto della democrazia che

conosciamo, piaccia o non piaccia, le condizioni che ne avevano consentito la fioritura non esistono più.

Paradossalmente, se tali condizioni sono mutate è dovuto ai partiti di massa medesimi e al loro successo. E la democrazia dei partiti, in altri termini, che ha posto le condizioni per il transito verso un modello diverso, forse non ancora consolidatosi, in cui difficilmente i partiti potranno trovar posto e magari assai meno "democratico" di quello che l'ha preceduto.

Potremmo riassumere il successo dei partiti di massa con la formula, sovente utilizzata, della statizzazione dei partiti. Giunti al governo, avendo allargato al massimo il perimetro della cittadinanza politica, i partiti si sono fatti Stato, o, per viceversa, lo Stato si è fatto partitocrazia. Il loro personale politico è penetrato nelle istituzioni e negli apparati, rapidamente trasformando il movimento ascendente della politica partittizzata si è trasformato nel movimento discendente della partitocrazia. Anziché suscitare consenso mediante la partecipazione degli aderenti, anziché tener in funzione la complessa macchina di partito e ripetere le faticose liturgie del partito-comunità, per i partiti giunti più o meno direttamente al potere, si è rivelato assai più economico riprodurre e allargare il proprio seguito elettorale

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impiegando le risorse di autorità cui avevano accesso.

Al tempo stesso, una volta che l'obiettivo fondamentale, se non unico, per i partiti, è divenuto il successo elettorale, lo sforzo di massimizzare il consenso ha considerevolmente attenuato le differenze fra loro. Il concetto di partito "pigliatutto" suggerito da Kirchheimer tende ad appiattire eccessivamente specificità programmatiche che pure permangono. Ciò non toglie che i partiti si siano fortemente elettoralizzati e che per disputarsi le preferenze degli elettori, avanzino sul mercato elettorale proposte di policy se non proprio simili, comunque convergenti e in ogni caso oltremodo generiche. Inoltre, per accreditare codesti prodotti sul mercato, alle vecchie forme di propaganda, di

organizzazione, di partecipazione, è stato giocoforza sostituire tecniche di persuasione e manipolazione sofisticate, affidate a specialisti di marketing politico, e non ai quadri e ai militanti tradizionali.

a il successo dei partiti di massa ha trasformato altresì il contesto sociale su cui erano attecchiti. Lo sviluppo economico, i processi di secolarizzazione culturale e dì differenziazione sociale, ma anche l'azione egualitaria del welfare e dei consumi di massa, hanno cancellato le grandi aggregazioni di classe, le identità collettive e le subculture tradizionali, nonché la disponibilità all'azione solidale che di norma accompagna le situazioni di disuguaglianza e di conflitto. E ben vero che il partito di massa riplasmava il suo retroterra sociale. Ma era un retroterra disponibile a lasciarsi

riplasmare. Viceversa, la società postclassista è una società altamente differenziata e ancor più frammentata,

strutturalmente apatica e incline al privatismo, disposta al più a forme di attivazione provvisoria e monotematica, come quella dei movimenti postmaterialisti, ovvero al corporativismo degli interessi, ovvero ancora alle chiusure localistiche: fenomeni, questi, che per un verso destrutturano il partito di massa, per un altro ne fanno una tecnologia politica e sociale obsoleta, rispetto alla quale più efficaci appaiono - con buona pace della democrazia - o l'ingegneria elettorale e istituzionale, che da una parte riproducono artificialmente le identità partitiche, dall'altra tecnocraticamente tutelano, pur ridimensionandolo, lo Stato sociale, ovvero le forme di ricomposizione virtuale degli interessi attraverso la leadership evocata dai media, e dietro cui si dissimula la ricomposizione

sostanziale operata dagli interessi privati più forti.

^ f t t f uale futuro è f l / M prefigurabile, dunque,

M per i partiti di massa? Stando alle tendenze che è possibile estrapolare dall'attualità, si tratta di un futuro assai gramo. I partiti sono destinati a sopravvivere soprattutto quali macchine elettrorali, sostenute magari finanziariamente dallo Stato, onde alleviare le differenze che un tempo venivano colmate dal partito d'integrazione di massa. Dipenderà cioè dallo Stato se i partiti che non dispongono d'ingenti risorse economiche riusciranno a sopravvivere e se, in ogni caso, sarà possibile frenare il ricorso a forme illegali di finanziamento. Ma che razza di democrazia sarà quella affidata a codesti partiti? Lo spettacolo poco

entusiasmante che offrono senza eccezioni le democrazie occidentali, fra le quali si salvano forse quelle che sono riuscite a dotarsi per tempo di efficienti apparati

amministrativi, nonché a predisporre filtri istituzionali efficaci nei confronti degli interessi, che l'omologazione tra i partiti ha sospinto a premere autonomamente sui vertici del sistema politico, anticipa ampiamente tale futuro. Nell'ipotesi più favorevole, la democrazia senza partiti è una tecnocrazia temperata, alternarsi al governo di diverse équipes elettive, cui sono affidate anzitutto funzioni simboliche, nonché dalla competizione oligoplistica fra gli interessi più forti. Che poi i soggetti sociali più deboli, e la democrazia sostanziale, possano trovare anch'essi tutela in tale cornice, c ' è da dubitarne ampiamente. Anzi, sono tali soggetti, oggi ricacciati ai margini della struttura sociale, incapaci come sono di aggregarsi e di agire collettivamente, le vittime designate di una competizione di marca darwiniana che si è già scatenata e il cui unico limite forse sarà l'eventuale maggior convenienza delle politiche di welfare - non più intese pertanto come diritto - rispetto a quelle repressive, onde controllare le forme di devianza

inevitabilmente alimentate dalla crescita della povertà e del disagio sociale.

Tutto questo a meno che qualcuno, di cui siamo ancora ben lungi dal l'intravedere le fattezze, non riscopra le potenzialità della politica, il cui valore aggiunto consiste in realtà nell'operare in controtendenza: lungi dall'essere l'arte del possibile, la politica vera è l'arte dell'impossibile, che opera in special modo consapevolmente proponendo alla collettività fini, valori e modelli dì

comportamento. 11 partito era una tecnologia che sfruttava le risorse disponibili - risorse come i conflitti, le identità, la disponibilità a cooperare di particolari soggetti sociali -innovativamente

ricomponendole al servizio di un sistema di valori e di un progetto politico. E proprio certo che nella società in cui viviamo, per quanto

differenziata e disincantata essa sia, risorse e potenzialità analoghe manchino del tutto? Ed è sicuro che la politica non le possa sfruttare, magari in forme diverse dai partiti di massa, colmando il vuoto che questi ultimi si sono lasciati alle spalle?

Nel frattempo, li dove i partiti sono riusciti a sopravvivere, è saggio preservarli. Saranno pure una specie in via di estinzione, ma non è detto che, in mancanza di meglio, la loro estinzione non la si possa rinviare, né che non si possano contrastare sia il declino della partecipazione, sia l'anoressia programmatica, sia ancora la deriva personalistica cui i partiti elettoralizzati vanno soggetti. Nel dir questo non v ' è ombra di nostalgia per i disastrati e corrotti partiti che hanno popolato quella che ci siamo abituati a chiamare, seppur a malincuore, "Prima Repubblica". S'intende dire unicamente che taluni difetti potevano esser curati, senza necessariamente cancellare i partiti. E che i partiti meno coinvolti nel degrado, anziché accelerare consapevolmente la loro involuzione elettoralistica (per qualcuno di essi, più avventuroso, in direzione addirittura dei non-partiti statunitensi), passivamente adeguandosi per lo più all'imperante paradigma neoliberale, avrebbero potuto provare a difendere, oltre che i loro valori di riferimento, seppur aggiornandoli, il proprio radicamento territoriale e il proprio patrimonio di militanza.

a non è detto che non possa rallentare la tendenza

all'involuzione elettoralistica, se non all'atrofia, dei partiti italiani: tendenza accentuata tanto dalla drammatica crisi di legittimazione che ha colpito l'intero sistema partitico, cancellando d'un tratto tradizioni decadute magari, ma pur sempre ragguardevoli, quanto dal nuovo regime elettorale uninominale e maggioritario, che tra i tanti effetti che ha promesso, uno sicuramente l'ha mantenuto: quello di rafforzare la tendenza alla personalizzazione della competizione elettorale In attesa che si manifesti l'involuzione notabiliare del personale politico che tale sistema notoriamente favorisce.

È d'altra parte verosimile che. superate le incertezze, spesso inquietanti, del presente, allorché il sistema tornerà a stabilizzarsi, i partiti siano destinati non già a sopravvivere - perché in realtà sono già sopravvissuti, c o m e trasformazione dei vecchi o c o m e nuovi partiti - bensì a riprendere la loro parabola evolutiva. Per assestarsi in una forma con ogni probabilità intermedia tra il modello europeo e quello americano, date le rotture che la crisi di legittimazione ha provocato con la tradizione.

È però un caso che un leader nascente, mentre per un verso si rifiuta di trasformare in organizzazione stabile la sua iniziativa politica, per un altro si ' contraddica p r o v a n d o a dotarsi

di terminali disseminati sul territorio? Ed è casuale l'insistenza di taluni dirigenti di uno dei nuovi partiti

sull'opportunità di dotarsi di una struttura territoriale m e n o provvisoria di quella fornita dalle aziende di proprietà del leader? E può ancora ritenersi casuale che la difesa più efficace contro i rischi di deriva populista-plebiscitaria della democrazia italiana l ' a b b i a n o offerta i partiti tradizionali, quelli scampati al naufragio, forti della loro organizzazione, e di quanto rimane della loro m e m o r i a storica e del loro capitale di valori? Salvo appagarsi di una democrazia ridotta ad alternanza, e lobotomizzata dai media, e di una società abbandonata a sé al mercato, oppure, nell'ipotesi più propizia, alle tecnocrazie pubbliche, è evidente c o m e dal punto di vista adottato in questa sede al partito elettorale lasci a desiderare parecchio. Ed è evidente, che se d o v e s s i m o scegliere, p r e f e r i r e m m o di gran lunga a quello n o r d a m e r i c a n o il modello europeo, il quale ha saputo Jospin insegna -conservare con la tradizione qualche significativo legame. In ogni caso, c o n f i d i a m o nella politica affinché restauri uno

strumento che si è finora rivelato utilissimo per la funzionalità dei regimi democratici e delle stesse società di mercato. F e r m o restando che tale restauro, a m e n o d'inversioni di trend attualmente difficili da prevedere, sarà c o m u n q u e provvisorio, anche se non e f f i m e r o , d a n d o respiro magari alla fantasia politica per escogitare la f o r m u l a di una d e m o c r a z i a senza parliti, più in sintonia con l'attuale condizione delle società sviluppate.

Carìn Buffa

I SINDACATI

Nel documento Sisifo 29 (pagine 76-80)

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