cronache
economiche
mensile a cura della camera di commercIo indusfria e agricoltura di forinonumero 251 - novembre 1963
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sommano
Lo funzione delle Co:nere cl; commercio ;nclustria e agricoltura nell'economia clel ,,;ongolo ;nclus'riole • Convegn,:, clelle Camere cli commercio industrio e 09,;colturo clello Liguria, della Lombardia e del Piemonte (31 ottobre 1963).
G. M. Vllelli Dlscor~o di aperlura. G. An.elmelll Salulo. G. Pella Relazione inlrodulliva. E. Ridice Fonali
Le Camere di commercIo e lo sviluppo economico regionale.
Le Camere di commercloo e I problemi della Comunità Economica Eu-ropea.
F. Cost.
L'azione di « promotion» delle Camere di commercio per lo svtluppo delle esporlazioni.
C. EI.I
Le Camere di commercIO e le Borse Valori. M. Morini
Le Camere di commercio per la formazione professionale. A. Ricevuti
Le Camere di commercio e i problemi della dislribuzione. J. Cle,ici
Le Camere di commercio per il potenziamento delle comunicazioni in-terne e con l'estero.
G. Clfone
Le Camere di commerCIO e I problemi del turismo. G. logni
Le Camere di commerCIO, oggi. J. Mern.ud
38 - L'accerlamento della lealtà delle informazioni commerciali. G. D. Wood.
44 La collaborazione finanziaria internazionale. 50 In biblioteca.
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ETTO CHDUCO l\1ERCEOLOGICO(presso la Borsa ~(erci) _ Via Andrea Doria, 15. Telefollu: 55.35.09.
In questo numero sono raccolti scritti de:
La funzione
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nell' economia
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Discorsi
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31 ottobre 1963.
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del Presillente della
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ommercio industria e agricoltura
di Torino
ignor ~1inistro, Eccellenze, Signori,
in qualità di Presidente dell' nione delle Camere di Commercio del Piemonte e della Valle d'Aosta che, insieme alle Unioni Ligure e Lombarda, ha promosso questo Convegno
e
come Presidente della Camera di commercio industria e agricoltura di Torino che que-sto Convegno ha l'onore di ospitare, porgo il saluto più deferente a .E.
l'Ono ProE. Giuseppe Togni Mi-nistro dell'industria e del commercio, all'Ono Prof. Giu eppe Pella Presidente dell'Associazione Piemonte-Italia. al quale si deve l'idea del Convegno e che diri-~erà i nostri la\ ori, a tutte le Autorità qui pre. enti; rivolgo il benvenuto più cordiale ai colleghi Presidenti, ai \'Iembri di Giunta e ai egretari Generali delleCa-Giovanni
_
U
.
Vitelli
mere di commercio industria e agricoltura della Li-guria, della Lombardia e del Piemonte; e primo il rin-graziamento più vivo ai relatori, per la loro preziosa e feconda collaborazione.
E' la prima volta che gli Ammini tratori delle Ca-mere di commercio appartenenti alle Regioni del co-iddetto triangolo industriale si riuniscono in assem-blea tanto qualificata per ricordare a e stessi e alla pubblica opinione quello che le Camere di commercio sono; per precisare il loro punto di vista sui più impor-tanti problemi economici del momento; per indicare le vie attraver o le quali questi organi mi si propongono di partecipare ancora più attivamente all'azione di pro-gresso economico e sociale del Pae e.
Le Camere di commercio sono specificatamente in-dicate per questo compito, in funzione della loro qua-lità di Enti eminentemente tecnici, situati al di fuori delle contese di parte. D'altro canto esse raccolgono nel loro seno l'espressione delle forze economiche de-terminanti, impresa e lavoro, e realizzano in tal modo un effettivo e immediato contatto con la realtà del mondo produttivo. Su questo piano sono pienamente giustificate la considerazione e l'attenzione che da par -te dei pubblici poteri, delle private associazioni e de-gli operatori singoli si rivolgono agli orientamenti e all'azione delle Camere di commercio.
Se questo discorso è valido in linea generale, è an-cora più consistente quando si tratta delle Camere di commercio delle tre regioni più industrializzate d'Italia. Se vogliamo lasciare la parola alle cifre, i dati di fatto sono questi: nelle circoscrizioni delle Camere di commercio della Liguria, della Lombardia e del Piemonte, con una superficie che è pari al 18,1 % e una popolazione che rappresenta soltanto il 26,2 % di quella italiana, si produce il 37,6 % dell'intero reddito nazionale, il 40 % del reddito netto del settore privato e ben il 46,2 % del reddito proveniente dalle attività industriali, commerciali, creditizie, assicurative e dei trasporti.
Possiamo anche aggiungere che l'occupazione nelle attività secondarie e terziarie è pari al 41,9 % dell' am -montare nazionale, e tale percentuale sale al 51,3 % se si ha riguardo alla sola industria manifatturiera.
Bastano questi elementi per definire in tenl1ini pre -cisi il peso economico delle tre regioni e di conseguen-za l'importanza delle rispettive Camere di Commer-cio, cui istituzionalmente compete il coordinamento e la promozione delle attività produttive.
Mi sia consentito però di sottolineare che qui le Camere di commercio sono presenti non tanto come unità singole, ma soprattutto come componenti delle tre Unioni regionali. Queste, delle istanze economiche di ciascuna circoscrizione provinciale, rappresentano in certo modo la sintesi organica e la mediazione ra-zionale. Oggi è a tutti chiaro che la risoluzione dei più importanti problemi delle varie province non è possi-bile se non attraverso il coordinamento e la composi-zione dei diversi interessi in una superiore unità. D'al-tra parte queste più comprensive formazioni sono
ef-fettivamente in grado di inserire validamente le pro-prie finalità in un' ottica nazionale.Il Convegno delle Camere di cOmmercio della Liguria, della Lombardia e del Piemonte, realizzato ath-averso la volontà delle loro Unioni regionali, signi-fica pertanto che, ad esempio, il problema della loca-lizzazione industriale vuole essere visto non soltanto in funzione dei grandi poli di attrazione di Milano, di
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I
CRONACHE ECONOMICHETorino e di Genova, ma anche in connessione delle aspirazioni dei centri minori. Significa che i problemi degli scali marittimi non vengono sentiti come que-stioni squisitamente liguri, ma anche piemontesi e lom-barde. Significa che le esigenze del turismo nelle pro-vince alpine e in quelle delle riviere marine e lacuali vengono inserite nel contesto della realtà sociale di tutta l'Italia Nord-Occidentale. Significa che le diffi-coltà dei mercati finanziari, di cui sono espressione eminente le nostre Borse Valori, non toccano soltanto i tre capoluoghi di regione ma anche gli interessi e le preoccupazioni dell'intera struttura produttiva del triangolo industriale.
Ho voluto accennare ad alcuni particolari aspetti che saranno trattati nel corso dei lavori, proprio per sottolineare la nuova ottica in funzione della quale questo Convegno deve orientare la comune azione dei nostri Enti.
Nel realizzare questo incontro, i miei colleghi ed io siamo stati mossi dalla speranza e dal desiderio che esso costituisca solo un primo passo, un avvio verso una collaborazione più stretta tra le Camere di com-mercio delle tre regioni e quindi anche verso un'azione più incisiva delle loro Unioni. La nuova dimensione dei problemi, o meglio una più illuminata coscienza di essa, mi fa esprimere l'augurio che su questa strada si continui a camminare il più rapidamente e decisa-mente possibile.
Iniziative comuni, nel campo sia della ricerca che dell'attività pratica, costituiranno una forma veramen-te efficiente, concreta e feconda di programmazione, per giunta realmente democratica in quanto saldamente ancorata alla realtà del tessuto economico e sociale. Da questo punto di vista le Unioni delle Camere
di
commercio della Liguria, della Lombardia e del Piemonte - e le singole Camere aderenti - pur non rinunciando ad alcuna delle attribuzioni che leggi ed esperienza consolidate hanno assegnato loro, determi-nate come sono a offrire in misura crescente l'apporto delle proprie energie allo sviluppo economico-sociale della nazione, sono aperte alla più ampia collabora-zione verso tutti quegli Enti ed Organismi ammini-strativi ed economici che localmente operano a van-taggio del pubblico bene.Le Camere di commercio delle tre Unioni non pongono preclusioni e non intendono elevare muri di divisione: sono disposte alle intese più ampie e alla messa in comune delle esperienze e degli strumenti di cui dispongono, naturalmente nel pieno rispetto delle prerogative di ciascuno.
Saluto
del
Il Sindaco di Torino proclama di essere fortunato nel poter portare il saluto ad un Convegno triangolare di questa importanza.
Non è il primo Convegno h·iangolare che a Torino si sviluppa, un alh·o ebbe luogo per iniziativa proprio del Comune di Torino, e allora erano i Comuni che si riunivano per confrontare i loro problemi, valutarne l'importanza, analizzarne i particolari, e quel Conve -gno triangolare ebbe risultati, senza alcun dubbio, in-teressanti ed importanti, se non altro per riconoscere in quali diverse od uguali situazioni le Amministra-zioni operavano.
Questo Convegno mi pare abbia una este nsio-ne molto maggiore, e a leggere i temi che qui ve r-ranno trattati, c'è da credere che realmente qui si vo-glia entrare nel vivo di problemi che assillano tutti coloro, e modestamente anche il sottoscritto, che sono interessati ai problemi economici e finanziari.
Uno fra essi mi pare di estrema importanza anche per la città di Torino, e cioè la funzione della Camera di Commercio nel Mercato Comune.
Mi soffermo solo su questo perchè mi colpisce l'idea che si intenda veramente puntualizzare la posizione che le Camere di Commercio nel Mercato Comune devono assumere.
A parer mio esse hanno ancora da compiere una funzione di grandissima importanza affinchè il Mer-cato Comune non sia solo una idea vuota di ogni con-tenuto e soprattutto che si concretizzi, come noi de-sideriamo vivamente che avvenga.
Il problema per una Città come la nostra che deve necessariamente non essere solo manifatturiera per il mercato italiano, ma deve essere essenzialmente Città esportatrice, ha una importanza che non vi sto a dire quanto noi valutiamo e quanto per noi sia interessante. Auguro quindi a questo Convegno, che così corag-giosamente l'Onorevole Pella ha voluto promuovere al quale partecipa il Ministro dell'Indush"ia e Commer-cio, e quindi Convegno che realmente è fatto per dire
S
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ndaco di Torino
Giancarlo
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nel linguaggio più chiaro, più schietto e più comp e-tente, quello che occorre affinchè il triangolo indu-striale e commerciale itali.ano abbia a svilupparsi, au-guro che questo Convegno abbia il migliore risultato.
Mi pare che i nomi dei Relatori siano una garan -zia, ma mi pare soprattutto che vi sia l'intenzione di fare sul serio entrando profondamente nel vivo dei vari problemi, problemi che anche per le Pubbliche Amministrazioni sono di essenziale importanza.
Noi guardiamo alla congiuntura economica, Voi potete immaginare con quanta trepidazione e con quanta attenzione: Città del tipo nostro, Torino, Mi-lano e Genova, non possono fare a meno di essere sen -sibilissime, direi di avere una sensibilità quasi epid er-mica, per la congiuntura economica.
Il fatto che le Camere di Commercio di questi pro-blemi vogliano interessarsi unitamente e congiunta-mente è per noi motivo, direi quasi, di sicurezza, vuoI dire che non resteremo isolati ognuno per conto nostro a considerare i fatti propri, ma potremo mettere in-sieme esperienze, potremo mettere insieme anche for-ze, in quanto come, giustamente il Presidente Vitelli ha rilevato, in questo triangolo nasce, si può dire, la maggior parte del reddito e della produzione italiana. Pertanto che questo triangolo possa esporre un suo pa-rere, una sua opinione e definire delle aspirazioni, è più che legittimo ed è giusto.
Con questo non intendiamo affatto
di
presentare, sono sicuro che Voi lo condividerete, di presentare al resto dell'Italia una specie di conto, nè di manifestare delle particolari benemerenze, è però giusto che si faccia sulla nostra posizione il punto e che alla nostra voce si dia quel suono che essa realmente merita, o meglio ancora, che questa nostra voce abbia un eco in quegli ambienti in cui si decidono i destini, della economia nazionale.Con il più profondo augurio che questo triangolare incontro dia risultati concreti, il Sindaco di Torino Vi porge il saluto della sua Città.
Relazione introduttiva
del Presidente del Conveg
no
Signor Ministro, amico Ministro, amico Sindaco, amici Presidenti, Eccellenze, Signore e Signori, brevis-sime parole di introduzione.
In primo luogo il ringraziamento personale per aver voluto riservare a me l'onore di presiedere questa riunione.
Tra i pochi titoli che una persona può annoverare, ormai ho maturata una certa anzianità, e quindi credo di dover attribuire specialmente a questo titolo l'onore che mi è riservato.
Ma desidero unire a nome Vostro un pensiero di fervido ringraziamento verso il Ministro Togni, il qua-le ha voluto con la sua presenza rendere estremamente significativa la riunione odierna.
Lo ringrazio di cuore e lo assicuro che il Convegno di oggi non costituirà una presentazione di richieste che in definitiva sono l'espressione di coloro che non hanno fiducia in se stessi; invece il Convegno di oggi vuoI puntualizzare la economia di un triangolo che ha molta fiducia in se stessa; vuole essere la riaffermazio-ne di un impegno ad andare più oltre, al di là di quelle che possono essere le preoccupazioni e le difficoltà dell'ora.
Sono estremamente grato che il signor Sindaco e il presidente Vitelli abbiano voluto riallacciare la riu-nione di oggi ad una idea che sorse in seno all' Associa-zione Piemonte Italia, idea che d'altra parte era già largamente maturata presso le Camere di commercio e in particolare nel]' animo del presidente delle Came-re di commercio italiane, Conte Radice Fossati, del Presidente Vitelli di Torino e del Presidente Risso di Genova.
L'Associazione che ho l'onore di presiedere ha uno scopo molto modesto e molto ambizioso: non vuole at-tribuirsi nessuna prerogativa se non quella di essere veicolo di buona volontà fra tutti quelli che deside-rano collaborare a risolvere i problemi della economia piemontese proiettata su un piano nazionale e coll e-gata con le economie limitrofe.
Penso, infatti, Signori, che la riunione di Torino assieme alle Camere di commercio di Lombardia e della Liguria, voglia significare la aperta consapevo-lezza della economia piemontese di non dover
com-6\
CRONACHE ECONOMICHE011,.
G.
Pella
mettere l'errore di rinchiudersi in se stessa. Il rilancio o il potenziamento di una economia regionale non può che essere coordinato con le economie limitrofe, per cui le formule interregionali, se si vuole prendere atto delle esigenze della realtà, mi sembrano le formule di cui dobbiamo sempre di più fare uso.
Ma la riun:one di oggi vuoI essere non soltanto la proiezione di un collegamento interregionale: vuoI an-che esprimere sul piano nazionale un contributo, vuoi di esperienze tecniche, vuoi di amore di rischio, e vuoi anche di investimenti di capitali, allo sviluppo di altre aree italiane; ed è per questo che parliamo di Piemon-te Italia.
Noi non potremmo concepire lo sviluppo del trian-golo industriale, se non pensassimo di concorrere an-che a sviluppare tutta l'economia italiana in base al-l'esperienza acquisita da Milano, da Torino, da Ge -nova; credo che immense possibilità si aprano al Fu-turo, possibilità che per noi devono corrispondere ad altrettanti immensi impegni.
Se è vero che continueremo a dilatare il nostro reddito nazionale nella misura del 5/5,5 % all'anno in termini reali, se è vero che lasciando libertà di for-mazione del risparmio, però senza offendere la libera formazione del risparmio, probabilmente di questo in-cremento il 4 % andrà a migliorare il tenore di vita in sede di consumi e un altro 1/1,5 % si aggiungerà sem-pre di più alla fonnazione del risparmio, noi arrive-remo alla fine del decennio ad avere una massa di consumi di ottomila miliardi circa superiore alle di-mensioni attuali di consumo e una massa di risparmio superiore di alcune migliaia di miliardi rispetto al ri-sparmio attuale, monetario e non monetario.
Quindi un orizzonte meraviglioso si presenta di-nanzi a noi; esso deve veramente darci il senso di una grande responsabilità. Le perplessità passano, il fondo positivo delle situazioni deve restare.
Termino, Signori, le brevi considerazioni, auguran-do che in questa sede, particolarmente cara all'anima piemontese e cara anche perchè così affezionati ed ammirati delle doti del Presidente Vitelli, si possa dav-vero dire che le Camere di commercio hanno il diritto ed oso dire, il dovere di affermare e difendere le pro -prie competenze. Mi auguro che sfruttando al massimo la realizzazione dei diritti e dei doveri che conseguo-no dall'attribuzione di specifiche competenze, il centi-naio di Camere di commercio italiane abbiano ad es -sere altrettante forze vitali, e si.ano la sede in cui for-tunatamente non ci sia
r
obbligo, talvolta pesante, tal-volta complicatore, di troppi dibattiti di idee; mi au-guro che entro le C.arnere di commercio soprattutto si cerchi di realizzare delle opere non in nome di un egoismo individuale o di astratte ideologie, ma in nome del desiderio di servire l'interesse della propria im-presa, presentato come un addendo di quella grande somma che è l'interesse nazionale.Si è parlato di iniziativa privata, si è parlato di pro-grammazione; io credo che non possa essere posto in dubbio l'afflato sociale dell'amico Ministro Togni. Se egli viene qui a parlare delle funzioni delle Camere di commercio e quindi delle funzioni dell'iniziativa privata non è certamente per detenninare una posi-zione involutiva di un processo sociale che deve an-dare al largo nell'interesse di tutti.
La sua presenza e la nostra riunione vogliono si-gnificare che !'iniziativa privata deve continuare ad essere la grande molla di sviluppo di tutto il sistema economico italiano.
Integrazione da parte dello Stato, certamente inte-grazione. Ma ricordiamoci che l'iniziativa privata non signinca solo alcune centinaia di grandi complessi, si-gninca milioni e milioni di medi e di piccoli operatori economici, che chiedono aiuto e appoggio alle Ca-mere di commercio.
Intervento dello Stato sì, intervento dello Stato
ac-centuato nei processo di distribuzione del reddito af-finchè questa distribuzione abbia sempre più luogo se-condo i criteri del merito e della competenza, nella realizzazione di una politica di eguaglianza dei punti di partenza. Ferma restando la esigenza di un inter-vento incisivo nella distribuzione, che non offenda il concetto di libertà, per quanto riguarda la fase ant e-riore della produzione del reddito non si può rinunciare alla grande forza dell'iniziativa privata e dell'amore del rischio privato.
Vi ringrazio di avermi concesso di esprimere alla presenza del Ministro queste mie modeste conside ra-zioni; e passiamo all'ordine dei lavori che è piuttosto lungo.
L'onore di presiedere mi comporta anche un d o-vere di una certa barbarie procedurale, per cui, se vogliamo toccare tutti gli otto punti dell'ordine del giorno, ogni relatore è pregato di contenere il riassunto della sua illustrazione in dieci minuti; e ogni intervento sulle relazioni non può andare oltre qualche minuto. Siccome dobbiamo concludere entro le 12,30, in quanto l'Onorevole Ministro prenderà la parola a quel-l'ora, e non potrebbe prenderla più tardi per altri im-pegni, penso che questo Convegno costituirà un grosso punto di partenza più che una occasione di esaurime n-to di temi; se perciò da questo Convegno dovessero nascere altri Convegni nelle diverse Città che possono essere più interessate, probabilmente i Presidenti delle Camere di commercio non si rifiuterebbero di pren-dere atto di questa opportunità.
Le
Call1ere
di
COilllnercio
e lo sviluppo economico regionale
Quando si parla dei problemi dello sviluppo eco -nomico con riferimento all' attività delle Camere di Commercio, Industria e Agricoltura o di altri Enti, non si tiene talvolta sufficiente conto che le Camere di Commercio hanno in proposito una competenza di-retta, specificamente attribuita loro dalla legge.
Ricordiamo che già la legge del 1910 sulle Camere di Commercio ed Arti, con una formula che è stata pres-so a poco ripetuta o richiamata nelle leggi successive, dichiarava che le Camere di Commercio hanno per iscopo di rappresentare presso il Governo gli interessi
commerciali ed industriali del proprio distretto e di
assicurarne e promuoverne lo sviluppo in annoni,a con
gli interess'i generali economici della Nazione. Tale funzione è più importante ora che i ceti imprenditoriali hanno insignificanti rappresentanze negli organi le -gislativi.
Ed in effetti sempre le Camere di Commercio ita-liane si sono occupate di questi problemi: ma ovvia-mente in una economia modesta e ancora, direi, esse n-zialmente casalinga, quale era quella di 50 anni fa, i problemi si manifestavano e si risolvevano in una sca-la ben di versa da quella che è oggi imposta dall' evo l-versi dei tempi nell' economia delle singole province, nelle regioni, negli Stati, nella loro particolare s trut-tura e nei loro reciproci rapporti.
Comunque si deve riconoscere che le Camere di Commercio italiane, pur con una legislazione per :lItri sensi ancora incompleta, hanno progredito anche in questo settore fondamentale, per forza propria, adat-tandosi in modo ammirevole alle esigenze di un nuovo sistema politico-economico, rendendo un servizio utile, imprevedibile in altri tempi, procedendo via via a svolgere un' azione sempre più pronta ed adeguata alle necessità del momento ed alle esigenze dello sviluppo futuro.
Riconosciuta dunque la piena legittimità e il do-vere dell' azione camerale nei riguardi dei problemi dello sviluppo economico è necessario esaminare quali
81
CRONACHE ECONOMICHEEugenio Radice Fossati
sono i fini da perseguire e quali sono i mezzi per at-tuarli.
Qui il discorso si fa più difficile, perchè se è vero che mai si è parlato tanto di sviluppo economico e dei suoi problemi come in questi ultimi anni, è anche vero che esiste in proposito una notevole confusione nelle lingue e nei concetti: la confusione deriva non da poca chiarezza di idee ma dalla diversità delle impostazioni,
sia per quanto riguarda la estensione in senso t erri-toriale dei problemi, sia per quanto riguarda i criteri in base ai quali lo Stato o gli Enti amministrativi mi-nori debbono o non debbono intervenire per studiare questi problemi o per risolverli o per incoraggiare l'at-tività privata o per indirizzarla verso determinate di-rezioni o per sostituirsi ad essa.
Si parla così di piani nazionali, regionali, rrnvin-ciali, zonali: si parla di piani indicativi e di piani nor-mativi; ci si è chiesti se è da un piano generale na-zionale - di qualunque natura esso sia - che debba discendere l'azione di sviluppo nei singoli ambiti t er-ritoriali, o il contrario. Ci sia consentito di non entrare nel dettaglio di queste distinzioni; è comunque indub-bio che una politica di sviluppo non possa essere ba-sata che su una economia di mercato, nella quale ha eventuale azione diretta da parte delle imprese del settore pubblico non precluda la massima possibilità di scelta per gli investimenti ed i consumi nel settore privato: nei riguardi del quale l'intervento pubblico dovrebbe agire soprattutto in via indiretta, attraverso freni ed incentivi, con un' azione essenzialmente gene-rale, indicativa, integrativa, propulsiva, che non mor-tifichi l'iniziativa privata e non tenda a sostituirla.
di azioni, immediate e mediate e in una visione aene -ralc del]' economia nazionale. o
Per quanto riguarda le Camere di Commercio, esse sono pronte ad assumersi la loro parte di compiti. Ed in relazione alla loro competenza istituzionale, di cui ho parlato, ed anche e soprattutto perchè esse vivono
a quotidiano contatto con la realtà economica e ne sentono gli interessi, le necessità, le carenze, si sono
già mosse, hanno già lavorato e stanno lavorando a
questi fini.
I vari Governi che si sono succeduti negli ultimi
anni hanno riconosciuto nelle Camere di Commercio
gli Enti idonei a promuovere indagini e studi per la
identiBcazione e la conoscenza delle zone verso le quali le iniziative di sviluppo possono essere prefe
ri-bilmente indirizzate, per compiere una funzione di
raccolta e di ordinata esposizione dei vari elementi
che dO\Tanno concretarsi nei previsti piani regionali. , Questi elementi sono quelli relativi alla conosce
n-za delle eventuali risorse naturali, alle necessità di in -frastrutture, alle prospettive demografiche, alla st rut-tura agricola e industriale, esistenti in ciacuna
provin-cia e in ciascuna regione.
Sono stati anche costituiti presso alcune Camere di Commercio dell'Italia centro-meridionale dei Co-mitati regionali per la formulazione di programmi di
espansione economica. Questi Comitati hanno svolto una notevole azione nello studio e nella ricerca ed han-no pubblicato interessanti relazioni. Del resto, anche indipendentemente da veTÌ e propri piapi regionali o
almeno in anticipazione su di essi, le Camere di Com-mercio sono state già chiamate più volte a dare la loro collaborazione con studi e proposte per
l'attua-zione di provvedimenti parziali che prevedevano
in-centivi o altri interventi a favore delle zone depresse o sottosviluppate, rientranti nell' ambito generale de l-l'azione per lo sviluppo economico.
E' da considerare d'altra palte che, indipende nte-mente da quella che possa essere l'azione da svolgere da tutte le Camere di Commercio per l'attuazione di piani nazionali o regionali, i problemi che si prese n-tano anche in questo settore alle Camere di
Commer-cio del Nord-Italia, e particolarmente a quelle di que
-sto nostro « triangolo» (per il quale il prof. Tagliacar-ne ha elaborato interessantissimi dati di confronto, di
cui vi cito il più significativo: il reddito delle attività industriali e terziarie è qui di oltre il 45
DIo
rispetto al totale d'Italia, mentre la popolazione non vi raggiunge il 26DIo)
i problemi, dicevo, di questo nostro «trian-golo» che oggi è qui così degnamente rappresentato,
sono in palte diversi da quelli che inlpegnano e
im-pegneranno le Camere di altre zone.
Quando, come si leggeva nella relazione della 5" Commissione permanente della Camera dei Deputati sul di egno di legge concernente lo stato di previsione della spesa al Ministero del Bilancio per l'esercizio 1961-62, gli obiettivi essenziali imposti da una poli-tica di sviluppo sono l'assorbimento delle unità lavo
-rati ve disponibili, il miglioramento del processo di distribuzione del reddito fra i diversi fattori della
pro-duzione e fra i singoli individui ed il superamento de -gli squilibri settoriali, è evidente che almeno uno di
questi problemi è per noi in atto: quello dell'asso rbi-mento delle forze di lavoro disponibili, che ci crea il problema di qualificare le forze di lavoro eli Tecente
imm.igrazione e di estendere l'ish'uzione tecnica e
pro-fessionale, mentre gli organi locali in generale deb-bono provvedere all'immissione di queste forze di
la-voro nella società locale, adeguando ed ampliando
tutte le attrezzature collettive.
Per quanto riguarda il superamento degli squili -bri territoriali, sul quale del J;esto influisce ancile il flusso migratorio dal Sud al Nord, le nostre Camere di Commercio, e fra le altre quella di Milano, hanno svol
-to una notevole azione per richiamare l'attenzione de -gli operatori economici lombardi sulle possibilità di
investimento in varie regioni del Mezzogiorno; ciò non solo per alte ragioni umane, ma anche per dimostrare che è un errore ritenere che il rihno di incremento del
-lo sviluppo del Mezzogiorno debba aumentare a sca -pito di quello delle regioni settentrionali: se ciò
acca-desse si comprometterebbe proprio il risultato che si
intende di raggiungere. Si tratta invece di potenziare
e stimolare 1'economia generale in tutto il Paese co-gliendo tutte le possibilità vantaggiose che si possono
presentare, cercando di promuovere e proteggere
l'ini-ziativa privata e orientare il più opportunamente
pos-sibile l'intervento pubblico per accelerare lo sviluppo
anche nel Mezzogiorno.
Dunque, si facciano o non si facciano i piani na-zionali o regionali, sta di fatto che i problemi dello
sviluppo esistono e sono resi più ardui dalla celerità di
espansione, da un'imponente immigrazione interna e
dalla trasformazione agricola, che agisce in senso di-verso da ogni programma fin qui previsto, e che le Camere di Commercio, anche e specialmente le no-stre, debbono studiarli, dibatterli e coordinarli su basi regionali ed interregionali. E desidero ritornare a quan-to accennato in principio circa i mezzi con cui l'azione
delle Camere può esplicarsi.
Gli accennati compiti di studio e di ricerca sono esplicati dagli Uffici Studi che le Camere maggiori hanno già in atto da tempo e che continuamente po-tenziano; il coordinamento ed il rilancio regionale de-gli studi e delle ricerche possono attuarsi attraverso appositi Centri studi, quali quello predisposto dalla
Unione delle Camere di Commercio della Lombardia e che inizia in questi giorni a Milano la sua attività. Esso rappresenta in un certo senso 1'organo tec -nico dell'Unione regionale delle Camere lombarde e
potrà diventare l'organo propulsivo dell' attività delle
singole Camere, stimolando la loro opera, integrandola e coordinandola, al fine di raggiungere risultati di sem -pre maggiore rilievo nell'ambito della regione. Organo non solo di studio, ma anche di intervento economico. Con questi nuovi organi regionali l'azione delle
Camere di Commercio nell'ambito dello sviluppo eco-nomico viene ad inserirsi con mezzi propri più ade -guati, in quanto mentre le singole Camere non dispo-nevano in genere che di personale preparato sul piano amministrativo, possono ora invece contare sul con-tributo di studiosi, di tecnici, di specialisti per le va-rie materie, in grado di affiancare l'opera degli organi responsabili delle Camere stesse moltiplicandone l'at-tività: ciò in quanto difficilmente può accadere che l'azione di una singola Camera si esaurisca nell'ambito del proprio territorio, piccolo rispetto ai problemi at-tuali, o quanto meno si esaurisca in quell'ambito quan-do si tratta di gravi problemi. E' auspicabile che l'azio-ne di Centri del genere o di altri analoghi, che anche nelle altre regioni sono sorti o stanno sorgendo, possa coordinarsi al fine di ampliarne gli effetti, consenten-do così di rendere sistematiche quelle azioni sporadi-che che già in passato singole Camere avevano con-dotto.
Questi, dunque, dello studio e della ricerca, sono i compiti essenziali delle Camere di Commercio nei riguardi dello sviluppo economico, indipendentemente da qualificazioni di programmi o di piani.
La ricerca economica è il loro campo: le Camere di Commercio possono e debbono fare la diagnosi dei mali, degli scompensi, degli squilibri; possono anche
10 \ CRONACHE ECONOMICHE
suggerire in qualche caso le cure, ma non dovrebbe spettare a loro attuare la necessaria terapia.
Ciò non esclude che le Camere di Commercio
ope-rino anche in senso pratico e tangibile per lo sviluppo economico. E' da rilevare anzitutto che anche in pro-posito esse hanno una specifica indicazione dalla l eg-ge. Si tratta della legge 29 luglio 1957, secondo la quale le Camere possono partecipare a Consorzi, con altri Enti pubblici, per eseguire, sviluppare e gestire
le opere di attrezzatura di aree territoriali, quali gli allacciamenti stradali, gli impianti di approvvigiona-mento di acqua e di energia elettrica, le fognature ecc., per favorire nuove iniziative indush·iali di cui sia pre-vista la concentrazione nelle aree stesse.
Desidero infine TÌcordare tutte le iniziative, tutti i contributi cospicui che le nostre Camere di Commercio dedicano alla istruzione tecnica-professionale a tutti i
livelli, al potenziamento produttivistico ed al miglio-ramento delle strutture nel commercio, nell'artigiallato,
nell'industria, nell' agricoltura, nelle comunicazioni e
Le
Camere di commercIo
•
proble
mi della Comunità Econo
mica Europea
el
Più che fare una reln ione, esporrò degli elementi
di informazione che sono quelli di mia competenza
come Segretario generale dell'Unione italiana delle Camere di commercio, per sottolineare alcune cose.
Tengo anzitutto a dare due cifre, quelle degli scam-bi ha l'Italia e i Paesi della Comunità Economica Europea.
Le esportazioni italiane verso i Paesi della Comu-nità rappresentano più di mille miliardi di lire e le
importazioni anch' esse qualche cosa di più di mille miliardi di lire: ciò significa che l'interscambio dell'
Ita-lia coi Paesi della Comunità Economica Europea
rap-presenta un terzo di tutti gli scambi, esportazioni e
im-portazioni, dell'Italia. E siccome parlo a Torino, in
questo Convegno che io direi non tanto del triangolo
industriale ma dell'Italia nord-occidentale, rileverò che
l'apporto
eli
queste tre regioni è, per l'esportazione verso il Mercato Comune, del 62 % e per l'importa-zione del 72 %.Questo dimostra l'importanza enorme che ha l'eco
-nomia di queste tre regioni per i rapporti col Mercato
Comune.
Devo ora ricoTcùare alcune iniziative.
La prima è quella di un Corso, che è stato tenuto
nei primi giomi dell'aprile del 1958, vale a dire a pochi
giorni dall'entrata in vigore del trattato di Roma un
corso che è stato organizzato dall'Unione italiana delle
Camere di Commercio per i funzionari di grado
ele-vato delle Camere di Commercio, per infOl1nadi dei
vari problemi, delle varie questioni, delle varie con-tingenze che nascevano dall'applicazione del Trattato
di Roma.
Questo corso è stato iniziato alla presenza del
Mini-stro per l'Industria e il Commercio, presente il nostro
indimenticabile Presidente ing. Brun, e con una pro-lusione affidata all'attuale Governatore della Banca
d'Italia, Dott. Cadi.
Le lezioni, svolte da docenti universitari, da alti
funzionari del Ministero degli Affari Esteri, del Mini -stero del Commercio Estero e del Ministero
dell'In-dustria e del Commercio, sono state riunite in un
volume che si è esaurito pochi giorni dopo la pubbli
-cazione ed è stata chiesta l'autorizzazione alla
tradu-Guglielmo Tagliacarn
e
zione anche in altri Paesi della Comunità, Francia,
Belgio e Gelmania.
Un'altra realizzazione che desidero ricordare è
quella della Conferenza permanente delle Camere di Commercio della Comunità Economica Europea.
L'iniziativa è stata presa dall'Italia. Abbiamo chie-sto alla Camera di Commercio Internazionale di
costi-tuire un raggruppamento delle Camere di Commercio
del Mercato Comune, per dar luogo ad una
organiz-zazione che fosse specifica delle Camere di Commercio, per far sentire alle autorità del Mercato Comune la
voce, il pensiero, le esigenze delle Camere di
Com-mercio.
La proposta è stata subito accolta, specialmente
dalla Francia e dalla Germania, e ricordo che il
Mi-nistro dell'Industria e Commercio francese dispose che
il Segretario generale della Camera di Commercio di
Parigi, d'accordo col Segretario generale della
Ca-mera di Commercio di Bonn, in rappresentanza delle Camere di Commercio· dei due Paesi venissero in Ita -lia per combinare immediatamente con l'Unione
italia-na delle Camere di Commercio, l'attuazione dell'ini-ziativa.
E' nata così la Conferenza pel1nanente delle
Ca-mere di Commercio della C.E.E., che ha avuto la sua prima riunione a Lussemburgo il 28 febbraio del 1958. Evidenti dunque la tempesti\"ità, la prontezza delle
Camere di Commercio nel presentarsi di fronte a l-l'ampio mercato comunitario.
La Conferenza lavora attraverso Assemblee e Com-missioni. Si tengono due Assemblee all'anno, una
sem-pre a Bruxelles, e l'altra in una città del Mercato Co-mune; l'ultima è stata tenuta a Roma, presso l'Unione
italiana delle Camere di Commercio, la prossima sarà a Bruxelles fra pochi giorni, il 14 di novembre.
Ci sono dieci Commissioni che lavoTano: per gli affari giuridici, per i problemi finanziari, per i problemi dell'istruzione, per i problemi della distribuzione, de l-!'industria, dei mercati d'oltre mare, ecc.; abbiamo adottato trenta risoluzioni, tutte di grande impor -tanza.
E' un lavoro complesso quello che si deve svol-gere per mantenere in efficienza questo Organismo che
abbiamo voluto creare, lavoro complesso perchè si tratta di prendere contatto, conoscenza, di studiare qualche volta a fondo tutte le legislazioni, le rego la-mentazioni dei singoli Paesi e presentarsi a una discus-sione con elementi precisi, concreti, che non è sempre facile ottenere.
Lo scopo principale della Conferenza permanente è di mettere in azione le Camere di Commercio nel-l'ambito del Mercato Comune, e cioè di far sentire la loro voce, di dare la loro collaborazione, e devo dire che l'apporto delle Camere di Commercio è molto desiderato, per il fatto che esse rappresentano interessi generali. A Bruxelles c' è un'associazione per i ban-chieri, un'associazione per gli assicuratori, un'assoc ia-zione per i trasportatori, un'associazione per gli indu-striali, ecc., e tutti fanno sentire istanze settoriali; solo le Camere di Commercio si presentano con un oriz-zonte più ampio, più obiettivo, non sezionale, e quindi il loro punto di vista è ascoltato con particolare inte -resse.
La Conferenza cerca in special modo di studiare le forme deli' armonizzazione delle legislazioni, delle regolamentazioni che disciplinano la produzione e gli scambi dei V<ili Paesi, di promuovere
r
espansionedel-l'Europa dei Sei all'Europa completa, di prestare colla-borazione ai Governi dei singoli Paesi, alle varie Am-ministrazioni Pubbliche.
Un' altra attività che desidero ricordare è quella informativa che l'Unione realizza, attraverso un « Fo-glio di notizie» trasmesso a tutte le Camere di Com-mercio e anche ad altri Uffici, intorno all' azione, ai pro-blemi, alle questioni che sorgono nell'ambito del Mer-cato Comune. Spesse volte gli operatOli lamentano infatti di non essere documentati, di trovare difficoltà a informarsi sulle questioni, i problemi, i dati, gli el e-menti, tutte le notizie che riguardano il Mercato Co-mune. E questa è una osservazione che ho sentito varie volte ripetere e perciò pubblichiamo, ogni quindici giorni, il citato notiziario.
E' un servizio che l'Unione rende specialmente alle Camere di Commercio minori, perchè è evidente che per le Camere di Commercio più importanti tale documentazione è più agevolmente a portata di mano. Da ultimo voglio accennare ad una piccola que-stione che tocca a fondo le Camere di Commercio, relativa a quegli organismi ché sorgono vantando e abusando del nome prestigioso, storico di «Camere di Commercio ».
12]
CRONACHE ECONOMICHESono state create tre Camere di Commercio, aut o-denominate in vaT~a forma del Mercato Comune. Tutte tre sono nate a Bruxelles, perchè Bruxelles è la ed della Comunità, ottengono facilmente una iscrizione in un « Moniteur Officiel» del Belgio, e con questa iscrizione, che non conta niente, che non ha nessun carattere eli ufficialità perchè è una semplice anno-tazione in un Bollettino, si vantano di es ere organi mi ufficiali, mentre invece non hanno nessuna ufficialità. Che cosa si può fare nei riguardi di queste Camere di Commercio, contro l'abuso del nome di Camera di Commercio?
Il giorno 7-8 di novembre a Parigi si terrà appunto una riunione della Camera di Commercio Internazio-nale per trattare questo argomento dell'abuso, quindi della protezione del nome di Camera di Commercio; a questa riunione parteciperà il Presidente dell'Unione ing. Radice Fossati e anche il sottoscritto, e si cer-cherà di vedere che cosa si può fare.
Accanto a queste tre Camere di Commercio, ne è sorta in questi giorni un'altra, autodefinitasi Camera di Commercio Italiana per il Mercato Comune.
Queste pretese Camere di Commercio vendono fumo e noi vendiamo fatti, vendiamo notizie, vendiamo un' assistenza vera. Se noi faremo conoscere quello che le Camere di Commercio veramente fanno, i ser-vizi che effettivamente rendono, il grado della lOTO
efficienza, l'attrezzatura di cui dispongono, credo che servirà molto di più che pretendere qualsiasi legge per la tutela del nome.
Questo è il nostro compito, che dobbiamo svolgere con quello spirito che è stato dimostrato più volte dalle Camere di Commercio, spirito di prontezza, di sensibilità.
l'azion
e di {( promotion)} delle Camere di
per lo sviluppo delle
co
mmercIo
esportazioni
FiLippo
Costa
La Commissione Intercamerale di Studio per il Commercio Estero presieduta dall'Ono Mariano Trom-betta, e della quale mi onoro di far parte in rappre-sentanza delle Camere di Commercio della Liguria, nella sua ultima riunione ha predisposto un documen-to programmatico, che verrà sottoposto al Consiglio dell'Unione Italiana delle Camere di Commercio, nel quale, dopo una parte introduttiva che mette in evi-denza la vitale importanza dell'accrescimento delle no-stre esportazioni come indispensabile premessa per il miglioramento della nostra bilancia commerciale, vie -ne avanzata una serie di proposte, graduate ed indi-rizzate a precisi obiettivi tecnici, per dare l'auspicato incentivo alle nostre espOltazioni. Si tratta di un do-cumento ponderato e responsabile che rappresenta il frutto degli apporti e delle discussioni tenute
sull'm'-gomento presso le Sezioni Camerali di Commelcio
Estero delle principali Camere di Commercio d'Italia, e quindi proveniente dalle categorie operative diret-tamente interessate. In tale documento, che ci augu-riamo possa costituire un concreto apporto alle Auto-rità di Governo per la scelta e l'attuazione dei provve-dimenti necessari, viene sottolineata 1'opportunità che, all'azione di promotiol1 tanto utilmente svolta al cen-tro dall'Istituto Commercio Estero, venga affiancata un'azione periferica e capillare di assistenza delle m e-clie e piccole imprese, e si suggerisce a questo Bne di valer i degli uffici camerali di commercio estero.
Non si tratta però di un'idea nuova, e mi sia qui consentito di ricordare che sin dal gennaio 1961, in occasione della visita a Genova dell'allora Ministro del Commercio Estero, On.le Martinelli, la nostra Camera di Commercio propose la stessa idea all'attenzione delle autorità competenti per la sua realizzazione coor-dinata su scala nazionale. Del resto in altri Paesi la stessa iniziativa è già stata realizzata con buoni frutti: in Gran Bretagna il Board of Trade opera con nove ufBci regionali decentrati, tutti dipendenti dall'ufficio centrale di Londra, con il compito di reperire e for-mare nuovi
e
portatori.In Francia il Centre Nationale du Commerce Ex-térieur (simile al nostro Istituto Nazionale Commercio Estero) opera con un ufBcio centrale e con ben 43
uffici periferici. Compito di tali uffici periferici è
quel-lo di fornire le informazioni sul commercio estero e sui
mercati alle ditte che operano con l'estero, mentre
una particolare ed accurata opera di consulenza
tec-nica e commerciale viene prestata alle ditte non
an-cora operanti con l'estero, onde iniziarle alle esporta-zioni fornendo loro tutti i chiarimenti e l'assistenza del caso. Per le pratiche più complesse si fa ricorso all'uf-ficio centrale che, a seconda del caso, provvede epi-stolarmente o addirittura con l'invio in lo co di un suo funzionario consulente nei casi urgenti ed importanti.
In Italia manca sinora un tale genere di promo'tion
capillare all'interno e di qui il suggerimento al Mini-stero commercio estero di utilizzare le Camere di
Com-mercio di svolgere questa azione di formazione di
nuo-vi espoltatori.
Nessun dubbio che per le unità produttive, pic-cole o grandi, sia onnai di vitale esigenza l'espansione sui mercati esteri per contenere e bilanciare la concor-renza proveniente dall'estero sul mercato nazionale. In questo sforzo di trovare nuovi sbocchi
compensa-tori all'estero, le unità produttive verranno stimolate
a rivedere costi e produttività aziendali il che servirà
nel contempo a difendere le vendite all'interno dalla sempre più aggressiva concorrenza estera che aumenta col procedere della integrazione europea.
D'altra parte una recente statistica ha messo in
evi-denza l'attuale peso delle piccole e medie aziende nel
commercio di esportazione italiano. Basti citare che
per le aziende con vendite all'estero Bno a 100 milioni
di lire all'anno la quota di partecipazione
all'esporta-zione sale dal 9,9
Ofo
del 1960 al 15,1Ofo
del 1962. Per le medie aziende, con esportazione Bno a l miliardo all'anno, l'aliquota sale dal 341/2Ofo
del 1960 al 46.6 %del 1962.
E'
noto che i servizi che l'I.C.E. può offrire hannouna utilità soltanto marginale per le maggiori imprese
che dispongono di loro organizzazioni in Italia e
al-l'estero, ma sono invece essenziali per le aziende
mi-nori che non sono in grado di affrontare le ingenti spese
della prospezione sui mercati esteri. La nostra
propo-sta mirava a superare le difficoltà riscontrate dagli
ope-ratori di avvalersi delle prestazioni dellTC.E. in
quan-to la sua funzione informativa è stata sin qui
accen-trata nella capitale.
Una settimana fa è giunta notizia che l'Istituto per il commercio estero ha allo studio la creazione, nei
principali cenh·i della Penisola, di un certo numero di
suoi uffici periferici. Nel comunicato stampa datato da Roma il 24 ottobre si annuncia questa novità e la
si illustra con gli stessi argomenti che hanno a suo te
m-po ispirato la nostra proposta. Dice infatti il
comuni-cato: « E' attualmente all'esame dell'Istituto per il
commercio estero una interessante iniziativa; essa si
inquadra nelle finalità da tempo perseguite dall'Istituto stesso, di portare sempre meglio a disposizione delle piccole e medie imprese i servizi che gli organi
del-n .G.E. sono in grado di offrire alle medesime. Si trat-ta dell'apertura nei principali centri della Penisola di
un certo numero di "uffici periferici" ai quali gli ope-ratori potranno rivolgersi senza necessità di dover far capo, ogni volta, alla sede centrale di Roma ».
Vogliamo essere i primi a rallegrarci che l'Istituto
commercio estero abbia fatta sua questa iniziativa, ve-nendo incontro in tal modo, anzi prevenendo, le
pro-poste contenute nel documento della Commissione
in-tercamerale di studio per il commercio estero, ma a questo punto ci domandiamo se la creazione degli uffi-ci periferici dell'ICE debba proprio far scartare la
col-laborazione degli uffici camerali di commercio estero. Dal comunicato a cui ho fatto riferimento, cito un altro brano: «Il problema più impegnativo che si prospetta al riguardo (cioè per la creazione degli
uf-fici periferici) consiste nel poter disporre di personale adeguato. Ai funzionari incaricati di tale incombenza si richiede infatti, oltre all'indispensabile competenza tecnica in fatto di commercio con l'estero, una
men-talità ed uno stile di lavoro adeguati alle moderne es
i-genze degli scambi internazionali ».
Orbene, noi diciamo che un certo numero di que-sti funzionari esistono già, e sono i segretari delle se-zioni camerali di commercio estero, che sono già
pron-14
1
CRONACHE ECONOMICHEti e dei quali è possibile servirsi subito. Noi desid e-riamo pertanto da questa tribuna riproporre all'Istituto commercio estero la collaborazione delle Camere di
Commercio per realizzare più rapidamente e con
mi-nore sforzo il suo programma. Crediamo che non sia
impossibile superare le difficoltà burocratiche e
for-mali per cui certi uffici camerali possano funzionare come uffici periferici dell'ICE per questa opera di
pro-motion delle esportazioni. I funzionari camerali,
chia-mati a tali nuovi compiti dovrebbero svolgere un tiro-cinio presso i servizi per l'esportazione dell'ICE o
fre-quentare corsi di aggiornamento che lo stesso ICE do-vrebbe organizzare anche per arn10nizzare sul piano
della conoscenza personale con i funzionari del Mini-stero commercio eMini-stero, e dello stesso ICE, cui far capo successivamente a mezzo telefono dalle rispettive sedi
periferiche.
Le Camere di Commercio dovrebbero
adeguata-mente potenziare i propri uffici camerali del commer-cio estero per svolgere la necessaria azione e per poter estendere al di fuori della sede camerale l'assistenza che in parte oggi essi forniscono direttamente agli
ope-ratori che li visitano o l'interpellano telefonicamente.
Il funzionario preposto a questi uffici dovrebbe fare
una ricerca sistematica delle aziende produttrici della sua zona, ma non ancora esportatrici, studiarne le pos-sibilità di sbocco sui mercati esteri e visitarle per inte-ressarle e sensibilizzarle su questo problema.
Noi riteniamo che così fondendo le grandi
possibi-lità informative ed orientative dell'ICE con l'azione
diretta di funzionari che già conoscono capillarmente
le aziende locali, le loro possibilità e le loro difficoltà,
l'azione di promotion possa risultare veramente effi-cace e contribuire tangibilmente ad aumentare il tasso
Le
Camere
e le
di
conlmerClo
Borse
Nella complessa struttura giuridica ed amministr a-tiva in cui le Camere di Commercio svolgono la loro multiforme attività, assumono particolare rilievo
de-tenninati compiti loro conferiti in materia di Borsa.
E' noto che le Camere di Commercio, enti a ca-rattere pubblicistico, proiettano la loro efficace azione nell'ambito della attività economica, inserendosi nella
compagine dello Stato senza ledere tuttavia la loro
formale autonomia. Esse possono così, entro i limiti
della propria giurisdizione, assicurare e promuovere
il coordinamento e lo sviluppo dei vari complessi
pro-duttivi e commerciali, in armonia con gl'interessi ge
-nerali della nazione. Si tratta, in genere, di delicati
compiti di vigilanza, di tutela e di propulsione,
eserci-tati in favore dei vari istituti di carattere pubblico e
privato, operanti sul piano della produzione, degli
scambi, del credito, del risparmio ecc.
Nel settore del credito e della finanza ritroviamo
la Borsa Valori, la quale, in realtà, altro non è se non
una sezione del più ampio mercato finanziario; una ce
l-lula viva e dinamica nel plasma finanziario della
na-zione. Fin dal loro sorgere le Borse Valori hanno
biso-gno del crisma della Camera di Commercio: esse ne
propongono l'istituzione, in base alla quale viene em
es-so il decreto costitutivo dal presidente della Re pubbli-ca. La legge indica inoltre altri numerosi compiti, atti
a disciplinare i rapporti che legano l'istituto della Borsa alla Camera di Commercio: si tratta di poteri di
vigi-lanza ul regolare funzionamento del mercato, sulla
nomina degli operatori, sull' accettazione dei titoli quo-tati, sull' esame delle tariffe di mediazione ed altre
man-ioni che non è qui il caso di analizzare.
Dove però meglio si esplica la loro alta funzione di
attiva ed efficace collaboratrice con gli altri settori ec
o-nomici è nella parte che liguarda le iniziative che esse promuovono per sollecitare la soluzione di determinati
problemi d'interesse pubblico.
Merita a tale riguardo di essere ricordato il co
n-vegno delle Borse Valori della Comunità Economica Europea svoltosi in Torino nell' ottobre del 1961,
au-spice questa Camera di Commercio in collaborazione
con quelle di Milano, Roma e Genova, al quale
parte-ciparono oltre 300 rappresentanti dei sei Paesi della
Comunità.
Valori
Carlo
Etzi
Il tema proposto: « La funzione della Borsa Valori
nel sistema economico del MEC » venne analizzato con
alto senso di obiettività e con sicura competenza dai
vari relatori italiani e stranieri, i quali hanno
ripro-posto all'attenzione degli studiosi i principali problemi di attualità: la libera circolazione dei capitali
nell'am-bito della Comunità Europea, la pubblicità dei bilanci
delle Società quotate in Borsa, i rapporti fra
maggio-ranza e minoranza azionaria, la funzione
dell'Investi-ment Trust, le prospettive delI'azionariato popolare
ec-cetera.
Gli studi e le discussioni che hanno dato vita a
questo Convegno non potevano certo considerarsi privi
di ulteriori indagini; i problemi dibattuti dovevano essere ripresi e, a tal fine, questa Camera di Commer-cio ha costituito un Centro di studi e di document
a-zione del quale fanno parte personalità del mondo
dello studio, economisti e finanzieri, i quali confidano
di stabilire efficienti rapporti tra i paesi del MEC con l'aiuto delle rispettive autorità politiche.
Ebbi l'onore di partecipare al Convegno quale
re-latore, ed ora faccio palte del Centro studi, per cui
posso affermare che, nonostante le difficoltà da sup
e-rare nell'adeguamento delle disposizioni che regolano
l'attività delle varie Borse e le differenti incidenze di
ordine fiscale, si ha motivo di sperare su esito favore -vole, confortati dalla persuasione che più notevoli e
continuativi sono i rapporti economici tra i popoli, meglio si delinea la possibilità di una facile intesa an
-che sui problemi che interessano altri settori.
Intanto pare opportuno rilevare che dalle illustr
a-zioni fatte dai relatori stranieri, noi abbiamo avuto la spiacevole conferma che il nostro mercato finanziario,
pur possedendo una struttura tecnicamente organica, manca ancora di una legislazione soddisfacente, ferma
come è alla legge basilare del 1913, mentre il mondo
economico e finanziario progredisce celermente, pr
o-ponendo problemi nuovi e nuovi istituti adottati al
-trove da lungo tempo con pregevoli risultati.
Dobbiamo in proposito osservare che qui il pro-blema delle Borse ha interessato sì il legislatore ma per vibrarle delle dolorose sferzate: dall'art. 17 che la tenne depressa dal 1956 al 1959, alla nazionalizzazio-ne delle Imprese elettriche che l'ha fatta precipitare a
fondo valle dopo il breve periodo del cosiddetto mi-racolo economico e poi la mal congegnata imposta ce -dolare che ha determinato un fuggi fuggi generale d e-gli investitori e rispanniatOli, spingendoli verso altri beni di rifugio all'interno ed all' estero.
In merito all'imposta cedolare è bene dire chiara-mente che nessuno contesta la sua legittimità, mentre appare criticabile il complesso, dispendioso e pesante
sistema di applicazione della legge stessa. Le
inda-gini, i controlli, le comunicazioni al nuovo schedario di Roma, la iscrizione sul libro dei soci che dovre b-bero avere lo scopo di stabilire la distribuzione dei ti-toli azionari, quale risultato possono avere se l'incasso della cedola anzichè un dovere a scadenza fissa per tutti è un diritto che può essere esercitato entro cin-que anni? Chiaro che i dati raccolti ammalmente si riferiranno sempre ad un solo gruppo di azionisti e non alla totalità di essi, con l'aggravante che colui che ha incassato la cedola subito dopo la rileva zio ne può vendere il titolo, perdendo così la sua qualifica di socio. Tutto considerato, si può affermare che si deve a questo sistema di rilevazione il subitaneo impulso de
-gli investitori al realizzo dei propri titoli, il recente
crollo delle quotazioni ed il conseguente deplorevole massiccio esodo dei capitali, fenomeno, questo, che purtroppo non si riesce a contenere o reprimere, men -tre una saggia politica economica può e deve pre-venirlo.
L'esperienza insegna infatti che i capitali non sop -portano vincoli, corrono verso le zone libere e di
mag-giore convenienza e non soffrono di sentimentalismo. Luigi Einaudi, con la solita concettosa semplicità soleva ripetere: « Il capitale è un animaluccio es tre-mamente timido; quando sente parlare di sè si na-sconde o fugge ».
Circa i rapporti che legano le Camere di Com-mercio alla BQrsa Valori osserviamo che, non potendo
esse intrevenire a correggere o prevenire gli effetti di
certe disposizioni di legge avverse al nostro mercato, potrebbe invece aiutare ed incoraggiare validamente l'azione tendente alla maggiore diffusione dei titoli presso i vari ceti sociali.
E' un problema che Tichiede una sollecita solu-zione, aderente al progredire dei tempi. Infatti, se esa-miniamo il progressivo svilupp'o della linea del 1'ed-dito nazionale e la compariamo con la curva dei red-diti individuali, notiamo un certo appiattimento di quest'ultima per l'accresciuto numero dei partecipan-ti, cioè per la maggiore p1'esenza di nuove leve di 1'i-sparmiatori.
E' su queste che bisogna indirizzare un'efficace propaganda andando incontro a loro con nuove forme d'in1piego atte a facilitare e garantire anche i medi e piccoli investimenti in valori mobilia1'i.
Abbiamo al riguardo esempi altamente indicativi di altre nazioni ove, correlativamen te al manifestarsi del fenomeno, sono fioriti i cosiddetti «Investiment Trusts », conseguendo 1'isultati eccellenti presso la
16
i
CRONACHE ECONOMICHEmassa dei risparmiatori ed apportando un efficiente appoggio al mercato finanziario con l'aumento degli scambi e la maggiore selezione dei titoli quotati.
In Italia mancano ancora appropriate disposizioni di legge che permettano il sorgere di questi istituti i quali, operando con estrema cautela e temp
estivamen-te, procedono alla raccolta dei titoli meglio qualificati amalgamandoli e riducendoli in quote minime da co l-locare presso il pubblico investitore.
Così facendo, il titolo emesso dalI'« Investiment
Trust» garantisce la ripartizione del rischio quale coa-cen'o di un vasto gruppo di titoli quotati e permette anche alle modeste fortune di partecipare alla vita produttiva del Paese senza dover procedere alla diretta scelta dell'impiego.
Può darsi che col fluire del tempo e con il conso-lidarsi ed estendersi dei rapporti con gli altri paesi del MEC, anche qui si senta finalmente la necessità di
of-frire al mercato finanziario quei validi appoggi che de-vono ad esso pervenire dai settori esterni: Banche, So-cietà finanziarie e privati risparmiatori.
L'istituto dell' « Investiment Trust» potrebbe in
realtà risolvere, almeno in parte, questo problema, dando soprattutto un efficiente impulso all' auspicato azionariato popolare.
Su questo argomento si è già scritto e discusso
suf-ficientemente per dimostrare i grandi vantaggi insiti in una più ampia diffusione dei titoli azionari. Tutta-via, le idee in proposito non sembrano del tutto chiare: si confonde ]' azionariato popolare con l'azionariato
operaio, due aspetti completamente diversi del pro-blema, sebbene i risultati possano in certo modo equi-valersi.
La differenza essenziale consiste nel fatto che, men-tre l'azionariato popolare può ottener si mediante una buona ed appropriata propaganda svolta nelle sfere dei piccoli risparmiatori, come avviene in America, in Inghilterra e Germania, dove la distribuzione
aziona-ria è divenuta veramente capillare, l'azionariato ope-raio ha bisogno di particolari norme di legge che pre-vedano, tra l'altro, una complessa organizzazione atta a regolare e disciplinare la massa dei nuovi parteci-panti ai vari complessi produttivi, quali soci dir
etta-mente ed economicamente interessati alle sorti del-l'azienda.
E' un problema importante e suggestivo, finora
appena sfiorato qui e altrove, attraverso l'offerta di modesti pacchetti azionari ai propri dipendenti da parte di qualche grossa azienda; le azioni hanno
ca-ratteristiche speciali ma tutto ciò, a parere nostro, non risolve il problema se non in palte.
Si nota tuttavia nell'ambiente degli studiosi della
materia una certa ansia nella ricerca della formula atta a risolvere tale interessante problema.
popo-lare; azionariato popolare in cui chiaramente si deli-nea un nuovo promettente aspetto della democrazia economica.
A tal fine l'azione più efficace non può venire che dalle superiori autorità economico-finanziarie attraver-so nuove disposizioni atte ad eliminare l'alone di dif-fidenza tuttora incombente sulla Borsa Valori, ad at-tenuare i gravami fiscali a carico delle singole opera-zioni, a modificare i rilevamenti inopportuni sugli in-cassi delle cedole, ad evitare le minacce continue ed opprimenti sugli investitori, in una parola a fare rina
-scere la fiducia sull'impiego nel titolo azionario. Solo così potrebbe ritornare la normalità, condi-zione affinchè molti capitali trovino la convenienza di rientrare per essere immessi nelle nostre aziende pro-duttive il cui ammodernamento dei mezzi di produ-zione richiedono capitali sempre più cospicui per of -frire maggior copia di prodotti a prezzi più conve -nienti e competitivi all'interno ed all' estero.
Noi siamo persuasi che gli stati di normalità o anormalità della vita politica, economica e finanziaria di un Paese si possano riscontrare anche scorrendo giornalmente il Listino ufficiale delle quotazioni di Borsa.
Infatti essendo demandata all'Istituto Borsistico la delicata funzione di esprimere giorno per giorno la valutazione reale di gran pmte della ricchezza mo-biliare del Paese, tale valutazione rivela all' opinione pubblica lo stato d'animo dei risparmiatori i quali
ope-rano più che sui fatti contingenti, sui riflessi che que-sti fatti avranno nell'avvenire.
Una Borsa alimentata da vivaci scambi con quo-tazioni al rialzo denoterà sempre una situazione ge-nerale prospera e ben promettente per il futuro; una Borsa depressa, atona e priva di attività ci dirà invece che nubi grigie si stagliano sull' orizzonte economico della nazione, detenninando incertezza e sfiducia da palte del risparmiatore.
Se consideriamo poi la sensibilità con cui opera la Borsa, il suo insostituibile compito di raccogliere le ricchezze dormienti per convogliarle nel crogiuolo ar-dente della produzione trasfonnandole così in capitali produttivi di reddito e di lavoro, possiamo bene ac-cettare la definizione del grande pensatore francese: « la Borsa è lo strwnento economico più perfetto del-la civiltà moderna ».
Del resto, in essa riponeva estrema fiducia anche il nostro grande Cavour il quale, con mirabile auda-cia, nel novembre del 1850 istituiva la Borsa Valori in Torino. Il piccolo regno Sardo-Piemontese conta\'a allora poco più di 4 milioni di abitanti, era oberato di debiti, non aveva un'attrezzatura bancaria nè indu-sh'iale per cui gli oppositori andavano dicendo: qui si vuole immettere, nel corpo di un neonato, il cuore di un uomo adulto. E' vero, rispondeva Cavour, vedrete però che con questo gran cuore il corpo del neonato crescerà rapidamente. E fu proprio così.