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Cronache Economiche. N.243, Marzo 1963

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Olivelli

Audil

rispond

ad ogni

a

contabile

Ricchezza di dati, certezza di Informazione, possibilità di verifica: di questo ha bi-sogno un'azienda moderna. Ma l'Informazione completa, verificata, esatta, può darla, e In ogni momento, solo la contabilità meccanlzzata.

Già da anni la Olivetti ha diffuso In tutto il mondo migliaia e migliaia di macchine esemplari come le Audit 202 () le Audit 302. Esse ha~:-;" esteso anche ad aziende di dimensioni piccole e medie i vantag-gi della meccanizzazione contabile. I nuovi modelli Audit 402,413,502 e 513 sono ancora piCi ricchi di automatismi e di prestazioni, ma non meno economici. Con questi modelli il campo di applicazione delle contabili Olivettl si allarga fino ad includere qualsiasi esigenza amministrativa e statistica. Una esperienza organizzativa di vari decenni ha consentito alla Oli-vetti di preparare un personale élltamente specializzato che può fornire, senza impegno alcuno, ogni forma di assistenza e consentire cosi di utilizzare nei modo migliore le macchine secondo i piani e le necessità di ogni singola azienda.

(3)

cronache

economiche

mensile a cura della camera di commercio industria e agricoltura di tori no

numero 243 - marzo 1963

Corrtspondenza. manoscritti, pubblicazioni deb-bono euer. indirizzati alla Direzione della RI. ",.sfa. l'accetlazione degli articoli dipende dal giUdIZio insindacabile della DireZione. Gli seri Il i f,rmali e s,glafi rlspecchiano sollanto il pen-\18rO dell'autore e non impegnano la Direzione della Rivista ne "Amministrazione Came,ale. Per le recemionl le pubblicazioni debbono es-se'e Inviate in duplice copu •. E' vietala la fI-ptOdulione degli articoli e delle note senza l'oulonllllzione della DIrezione. I manoscritll, anche se non pubbl cati, non si restituiscono.

Comitato di reduione: Ono 0011. Giuseppe Alpino Pro!. Dott. Augusto Bargonl Pro!. 0011. Arrigo Bordln

0011 Clemente Celidonio Pro!. 0011. Giovanni Dalmasso Doti Giuseppe Franco

0011 Giacomo Friselli Pro!. Dott. F. Palazzi - Trivelli

Direttore responsabile: Prof 0011. Giuseppe Carone

sommano

3 Origini, tradizioni e diffusione del Vermouth Inter .... isla con Il Cav. del llv. Conte Enrico Marone Cinzano E. Zlcclgnlni

7 Sul monopolio

G. f. Michelelli

15 Piccole aziende industriali e "automazione Il

C. livrea

20 Tutela e sicurezza del lavoro nel quadro della previdenza e assistenza sociale

C. M. Turchi

29 La forza potenziale del consumatore per la tutela del suoi interessi

35 Sul più recente andamento del costo della vita, a cura dell'UfficIo Documentazione e Ricerca della C.C.LA. di TOrino

G. Dalmlsso

44 Vite e vino nell'U.R.S.S.

u. Bardelli

53 Acque minerali appenniniche in Piemonte

C. Coslantino

57 Quarant'anni di politica errata nei confronti della bielrcoltura

62 Rassegna della Tecnica, a cura di G. F. Micheletli

68 In biblioteca

La fotografia della copertina è stata fornita dalla Società CtNZANO

Direzione, redazione e amministrazione:

(4)

CAMERA DI

CO:\IMERCIO !ND

STRIA E AGRICOLTURA

E UFFICIO PROVI

T

C

IALE

INDUSTRIA E COM:\1ERCIO

Sede: Palazzo Lascaris - Via Vittorio Alfieri, 15. Corrispondenza: Via Viltorio Alfieri, 15 - Torino (120) - Casella Poslalc 413. Telegrammi: Camcomm.

Telefoni: 55.33.22 (5 linee). C/c postale: 2/26170.

Seroizìo Cassa: Cassa di Risparmio di Torino - Sede Centrale - CI c 53.

BORSA VALORI

BOR

A MERC

I

Via San Francesco da Paola, 2 . Telegrammi: Borsa.

Telefoni: Uffici 54.77.04 - Comitato Borsa 5·1.77.43 - Ispettore Tesoro 54.77.03.

Via Andrea Doria, 15.

Telegrammi: Borsa 'lerci - Via Andrea Doria, 15. Telefoni: 55.31.21 (5 linee).

GABI~ETTO

CHIMICO

1ERCEOLOGICO

(presso la Borsa ~lerci) - Via Andrea Doria, 15. Telefono: 55.35.09 .

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L'INTERVISTA DEL MESE

Origini,

tradiziolli e

diffusione

del V

ermouth

D, - Qllali 'ono i principali problemi che ince-S/OIlO oggi Il sl'lIore italiano del VeT/nollth?

R, - Per il momento sul mercato interno si può dire non ('sistano problemi particolari e specifici che inH'stano !'industria del Vennouth, Provvidenziale in questo campo fu infatti l'emanazione della Legge l6·3-HJ56 nr. lO (sulla disciplina della produzione e dd commercio del \'ennouth e dei dni aromatizzati), grazie alla quali si ottenne una adeguata tutela del prodotto contro la più sfrenata concorrenza, l'assoluta libertà d'azione allora imperanti - sia nella fase di produzione conw in quella commerciale - ciò che a lungo andare non poteva che portare ad una grave crisi di !'>\'ilinH'nto e di decadenza del prodotto te so con comegUl'nze faciln1l'ntt' immaginabili: il prodotto scadente o cattiYo, a basso prezzo, finisce per scaCCIare dal lIlercato il prodotto buono e porta poi alla progres-Si".l riduzione, se non addirittura all'estinzione, del COllsumo,

Con Il' nuove norme invece. che mettono l'intero ciclo produttivo. sotto il controllo degh Uffici Tecnici Finanziari e ~tabiliscono che la circolazione del pro-dotto a\'\'t'nga solo in recipienti chiusi. di capacità non slIlwriorl' a due litri. il produttore, oltrechè di fronte all.l Il'gge assunw. con la paternità. tutte le rt'spon 'abilit,\ connesse soprattutto di fronte al consumatore -che h.l diritto di l'sere di/e o e !,'{arantito - ,

Il Cav. del lav. Conte En,ico Marone Cinnno·

D, - Po/rebbe illdicarci gli aspelli concorrenziali saliellti del StiO settore ed il ruolo giocatoci dalla 1mb-blicitò?

R. - Per il mercato nazionale del ennouth gli aspetti concorrenziali più salienti sono, a mio avviso, i seguenti:

l)

lotta errata di prezzo fra produttori delle marche secondarie e correnti per realizzare le più alte vendite, tenuto conto che la quota di mercato di tutte que te marche messe as, ieme costituisce la gran parte del m<.'rcato totale;

2) lotta di qualità. pre tigio, pubblicità propa-ganda fra i produttori delle marche ptimarie per rea-lizzare la più alta vendita nell'ambito della più limitata quota di mercato residua che è appannaggio di queste marche nel loro complesso. e sforzo colletti"o tendente ad intaccare la ben più rilevante quota di mercato cui si è fatto cenno al punto

l),

In particolare, per quanto riguarda gli effetti della pubblicità. e qualora fosse vero che essa abbia il potere assoluto, eli qualificare un prodotto e guidarlo al suc-cesso per an'me suscitato. ostenuto ed incrementato la richiesta e quindi il con umo, dovremmo veramente essere soddisfatti della pubblicità da noi \'olta, consi-derando i risultati ottenuti, peci e in quest'ultimo de-cennio. dalla nostra Casa: infatti i traguardi commer-ciali ch(', dagli inizi o man mano. ci siamo posti. sono

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stati raggiunti e superati anche se a tappe talvolta faticose.

Ritengo però che analoghi risultati possano aver raggiunto anche alcune tra le nostre Concorrenti più qualificate, per 'cui penso si possa affermare che l'ap-porto della pubblicità, in un mercato concorrenziale, non può valutarsi a sè stante, isolatamente ed indipen-dentemente da quello degli altri settori operanti nel-l'ambito aziendale, non può cioè essere considerata l'unica e fondamentale molla e causale dei possibili successi aziendali. Altri fattori vi sono collegati, di non trascurabile momento: penso quindi che la pubblicità può giocare un ruolo valido ed ottenere risultati dura-turi e persistenti solo se essa abbia a propagandare e difendere un prodotto onesto, un prodotto leale, che mantiene ciò che promette.

D.

-

Quali fattori hanno contribuito a localizzare geogm[ìcamente l'industria del Ve1'1nouth?

R. - E' notorio che il Vermouth (nella sua veste attuale di aperitivo e non certo in quella di vino medi-camentoso dei tempi di Ippocrate e Plinio) è nato a Torino qualche secolo addietro: è logico quindi che proprio Torino (ed in seguito il Piemonte), ricollegan-dosi a questa priorità di nascita, abbia potuto offrire all'industria del Vermouth un ambiente ideale per il suo sviluppo e per la sua trasformazione dalle primi-tive forme casalinghe, artigianali, a quelle man mano più vaste ed organizzate, sino agli attuali complessi industriali moderni.

Tra le molte ragioni che hanno contribuito a tale localizzazione geografica va ricordato, in primo luogo come la regione piemontese sia stata e sia una fertile produttrice di vini adatti alla fabbricazione del Ver-mouth - ciò che in passato, con una Italia divisa e con mezzi di trasporto e di conservazione difficili e scarsi, aveva un peso di gran lunga maggiore dell'at-tuale nel vincolare topograficamente l'elaborazione di questa materia prima.

D'altro canto, non va dimenticato che, ad una re-gione tradizionalmente viti-vinicola, faceva evidente-mente riscontro un popolo ab'irtuato ed educato ad una tradizione di buoni conoscitori e produttori di vini, e dotato di quelle altre caratteristiche di serietà, di intra-prenden.za, non disgiunta da prudente avvedutezza, di tenacia, grazie alle quali una industria come quella del Vermouth potè svilupparsi, da un lato nel rispetto di sistemi tradizionali di fabbricazione e nella fedeltà alle caratteristiche qualitative originarie del prodotto, e dall' altro nel continuo perfezionamento originato dai progressi della tecnica produttiva, dall'applicazione delle nuove e più profonde conoscenze scientifiche e dalla via via crescente complessità, funzionalità e ra-zionalità degli impianti.

Non dimentichiamo, però, che l'elemento catalizza-tore del sorgere di questa attività, l'elemento senza il quale, a parer mio, difficilmente avrebbero potuto

coa-41

CRONACHE ECONOMICHE

gularsi in una struttura organizzata i vari fattori sopra accennati per dare luogo ad una industria così carat-teristica quale è quella del Vermouth, va ricercata nella vicinanza della zona di produzione alla catena alpina, nelle cui valli e sulle cui montagne è possibile racco-gliere in gran copia la maggior parte di quelle piante officinali che sono indispensabili alla produzione del Vermouth. In tempi più recenti, poi, lo sviluppo indu-striale è stato affiancato dalla attività della Scuola Enologica di Alba che diploma, da oltre un secolo, tecnici esperti e competentissimi, e dalLa più recente Stazione Chimica Enologica di Asti, per la collabora-zione tecnico-scientifica di studi, ricerche e assistenza che presta ai produttori.

D. - N elI' ambi.to nazionale esiste una forte diffe-renza di consumi tra il N01'd ed i.l Mezzogiorno?

In caso affermativo quali ne sono i motivi?

R. - Per quanto riguarda il consumo di Vermouth in genere nelle famiglie, direi che non esistono app rez-zabili differenze tra il Nord ed il Sud come stanno ad indicare i consumi pro-capite, che risultano essere pressochè analoghi in questo ambito.

Per contro, se ci riferiamo al consumo del Ver-mouth negli esercizi pubblici, constatiamo che sussi-stono forti differenze, per le ben più elevate quantità pro-capite assorbite dal Nord rispetto al Sud ed il motivo principale di tale disparità va ricercato nella scarsa consuetudine di consumare aperitivi fuori di casa, che contraddistingue i consumatori del Sud, quale conseguenza di molteplici ordini di fattori, facil-mente intuibili, di natura ambientale, storica, econo -mica e sociale.

D. - Nell'andamento dei consumi esiste una sta-gionalità?

Quali ne sono le cause ed i possibili rimedi?

R. - I consumi di Vennouth in genere sul mercato nazionale reg~strano, a quanto ci risulta, un andamento pressochè costante con due sole punte in aumento per quanto riguarda i consumi nelle famiglie: una intorno al periodo pasquale - con un incremento che si va-luta pressochè doppio rispetto alla media - ed uno più accentuato nel periodo natalizio - con un incre-mento che si valuta pressochè triplo.

Difficile, per non dire impossibile, tentare di ov-viare a queste « punte}) - che corrispondono a parti-colari momenti della vita sociale di ogni persona -legate a specifiche ricorrenze tradizionali e spesso in concomitanza con particolari maggiori disponibilità finanziarie.

(7)

D. - In che rapporto sono i nostri consumi di Ve r-mouth rispetto a quelli di altri Paesi?

R. - I consumi di Vermouth in Italia sono molto alti ed il nostro Paese è certamente tra quelli che pre-sentano i maggiori indici di consumo totale.

Va tuttavia ricordato che in Europa il Vermouth è pure molto consumato ed apprezzato in Germania, Svizzera e Paesi Scandinavi; anche in Francia i con-sumi sono notevoli, nonostante la presenza e la tradi-zione di bevande locali caratteristiche (quali i vari « pastis », « quinquina », ecc.).

D'altra parte, giudicando i consumi in argomento da un punto di vista comparativo che tenga conto della popolazione, credo si possa affermare che, con ogni probabilità i consumi pro-capite in certi Paesi del Sud America, quali l'Argentina e il Brasile, sono da anno-verare tra i maggiori di tutto il mondo, anche in con-siderazione del fatto che ivi il Vermouth è considerato, nella maggior parte dei casi, più che un aperitivo, un vino « ad alto livello », per cui l'unità di misura passa, ovviamente, dal bicchiere alla bottiglia.

D. - Quali sono i nost1·i. principali mercati di esportazione nonchè i problemi dell' exp01t italiano di

Vermouth?

R. - Il Vermouth viene distribuito praticamente in tutto il mondo. In parte viene esportato dall'Italia ed in parte viene prodotto localmente da numerose consociate e filiali di ditte italiane situate in Europa, America, Africa ed Australia.

I principali mercati di esportazione sono !'Inghil-terra, la Germania e la Svizzera in Europa, gli USA e Portorico in America.

Le esportazioni di Vermouth dall'Italia sono co-stantemente in aumento, indice di sempre più vasta affermazione di questo prodotto tipicamente italiano. Naturalmente, come in tutti i campi esistono pro-blemi, anche nel campo dell'esportazione di Vermouth dall'Italia se ne riscontrano. Essi sono determinati principalmente dal fatto che certuni Paesi limitano -in base all'andamento della bilancia dei loro scambi commerciali - le importazioni di Vermouth istituendo contingenti ed apposite licenze di importazione.

Qualche volta inoltre è necessario effettuare l'espor-tazione a mezzo di scambi bilanciati o di triangolazioni o di compensazioni, operazioni complesse che richie-dono molto lavoro ma che, almeno per quanto ci

ri-guarda direttamente, finora ci hanno sempre consen-tito di ottenere risultati soddisfacenti.

D. - Quali sono gli aspetti positivi e negativi per

il

suo settore determinati dalla progressiva attuazione del Mercato Comune Etl1"opeo?

R. - Ogni cambiamento nelle forme e nelle s trut-ture di un mercato, crea nuovi e complessi problemi, nuove situazioni, e talvolta anche squilibri e sconvolgi-menti, con conseguenze in cui possono prevalere, di volta in volta, elementi positivi o negativi. Così è oggi anche per il MEC, ma nel caso dell'industria del

Ver-mouth, si può dire che gli aspetti positivi si presentano oggi largamente superiori a quelli negativi.

Infatti la progressiva riduzione, già in corso, e la successiva totale eliminazione delle barriere doganali, porterà alla libera circolazione del Vermouth nei Paesi del MEC, che in genere ne sono buoni consumatori; è pertanto fatale che la produzione del Vermouth, in quegli altri Paesi comunitari che lo fabbricano, andrà gradualmente calando, a favore della importazione del prodotto originale italiano, che gode maggior prestigio presso il consumatore. Valga a questo proposito l'e-sempio della Germania che già ora ha visto in breve arco di mesi ridursi la propria produzione di Deutscher Vermouth di circa i 2/3.

Aspetti negativi, almeno immediati, non ne vedo: nella libera circolazione del prodotto, tutt' al più, po-tranno entrare in Italia aperitivi di altri Paesi comu-nitari quali tipici aperitivi francesi, che sono però in genere poco graditi al gusto degli italiani, e, per ora anche poco conosciuti, sicchè è difficile pensare che possano giungere a conseguire una rapida « presa» sulla clientela, salvo forse ristretti circoli.

D. - Come giudica, ai fini della nostra produzione, il regolmnento europeo pe1' i vini aromatizzati, elabo

-rato 1"6centemente dalla sotto commissione C.E.E.? R. - Dopo oltre due anni di incontri e di discus-sioni, attraverso numerose tappe - da Torino (primo incontro) a Venezia, a Stresa, a Parigi, a Madrid, al Lussemburgo, a Brema - , superando contrasti, diffi-coltà e divergenze di vedute, si è finalmente arrivati, in conformità alle norme ed allo spirito dei trattati di Roma, ad un regolamento comunitario per la produ-zione e la circolazione dei vini aromatizzati.

Tale regolamento elaborato ed approvato dalla ap-posita Sottocommissione C.E.E., è stato un grande successo dell'Italia - particolarmente interessata in questo settore - in quanto esso rispecchia e ricalca quasi fedelmente le nostre norme interne sulla produ-zione e circolazione del Vermouth e vini aromatizzati, salvo lievi e non sostanziali modifiche per particolari esigenze di altri paesi membri.

L'Italia in questo campo, che è di suo particolare interesse e competenza, ha potuto quindi veramente dire la sua parola, conducendo le trattative e dando il proprio contributo per giungere ad un accordo comu-nitario che non potrà che dare, a scadenza, i migliori vantaggi all'industria del Vermouth e dei vini aroma-tizzati.

C'è da augurarsi che anche in altri settori produt-tivi della C.E.E. si possa arrivare, come nel nostro, ad accordi e regolamentazioni, con spirito di unità e com-prensione reciproca nell'interesse comune.

D. - Quando ritiene che sarà possibile l'abban-dono dei contenitoTi tradizionali (bottiglie di vetro) per altri di diversa sostanza (recipienti di plastica ecc.)? R. - Le sostanze che possono sostituire il vetro nella fabbricazione di contenitori per bevande in

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nere sono oggi la banda stagnata, il cartone e le ma-terie plastiche: la prima, che è già stata impiegata nel campo della birra, non risulta che finora abbia intac-cato notevolmente le posizioni acquisite in tale campo dal contenitore di vetro, mentre il cartone sterile è stato impiegato per contenitori di latte, ed anche con una certa diffusione in alcuni Paesi come !'Inghilterra; tuttavia, anche in questo campo, la bottiglia di vetro tiene ancora bene le sue posizioni.

Per quanto riguarda le materie plastiche, come il polietilene, il moplen, ecc. esse ancora stentano ad e n-trare nell'uso come contenitori per bevande in quanto da un lato, il loro costo non è ancora così basso da costituire stimolo determinante, mentre d'altro lato, ad alcuni vantaggi, quali l'infrangibilità, minori esigenze

d'imballaggio, e simili, si contrappongono svantaggi, come minor stabilità sui nastri trasportatori dei gruppi d'imbottigliamento, minor resistenza sotto la pressione delle macchine tappatrici o capsulatrici, possibilità di deformazioni al trattamento della pastorizzazione.

In considerazione di quanto sopra, e poichè per di più fra il pubblico dei consumatori paTe trovi sin ora scarsa adesione l'uso dei recipienti in plastica per be-vande, l'abbandono dei tradizionali contenitori di vetro si può ritenere ancora abbastanza lontano tanto più se le vetrerie, come pare sia l'orientamento, perfezionando ulteriormente le caratteristiche della materia vetro nonchè le loro attrezzature di produzione, saranno in grado di ridurre adeguatamente il prezzo di fornitura dell' articolo alle indush'ie utilizzatrici.

(0) Ultilmati gli studi egli si arruolava volontario nell'esercito Italiano, il 24 maggio 1915. Terminava la guerra come Tenente

di Artiglieria ed appena smobilit~to, entrava nell'azienda paterna, « Francesco Cinzano & Cia. S.p.A.».

Egli si dedicò in modo particolare allo sviluppo degli affari in Sud America, dove impiantò varie fabbriche: in Chile, Brasile

e Perù, e dopo la guerra 1940-45, in Venezuela e Colombia.

Dal 1929, egli ricopre la carica di Presidente della Soc. An. Vinicola Italiana Florio & Cia.

Dal 1933 è Presidente della S.p.A. Francesco Cinzano & Cia. di Torino e di tutte le Società Cinzano all'estero, carica che ricopre tu ttora.

Dal 1930 al 1940, è stato Console Generale di Bulgaria a Torino.

E' stato per molti anni membro della giunta della Connndustria, carica che abbandonò per incompatibilità, quando assunse la Presidenza della Camera di Commercio di Torino.

E' stato inoltre Membro della Federazione Italiana Vini e Vice Presidente dell'Unione delle Camere di Commercio Italiane.

Dal 1930 è Membro della commissione di sconto del Banco di Napoli, sede di Torino, e da oltre lO anni Consigliere di

Ammi-nistrazione del Banco stesso.

Nel maggio 1940 il Re d'Italia gli conferì il titolo di Conte.

Nel 1942 è stato nominato Cavaliere del Lavoro.

Nel 1943 ha dovuto lasciare l'Italia e rifugiarsi in Svizzera per ragioni politiche e si armolava nel Servizio Americano O.S.S.

In tale veste egli ha assicurato, fra l'altro, un collegamento fra le Autorità Alleate ed il Comitato di Liberazione di Torino. Nell'ottobre 1945, egli ebbe un encomio solenne da parte del Ministro della Guerra Italiano per i servigi resi alla Causa

della Liberazione. Contemporaneamente, per gli stessi motivi, ebbe un encomio ufficiale da parte delle Autorità Americane.

Nel 1945, appena rientrato dalla Svizzera, è stato nominato Presidente della Camera di Commercio, carica che ricoprì solo temporaneamente poichè dopo 6 mesi dette le dimissioni.

Nel 1951, su insistenza del Governo, accettò di assumere nuovamente la carica di Presidente della Camera di Commercio di Torino, carica che mantenne fino al marzo 1958.

Da oltre lO anni, egli è Membro del Consiglio della Compagnia Anonima di Assicurazioni di Torino e tuttora è Membro del Consiglio di Amministrazione della Banca Mobiliare Piemontese.

(9)

E. Zaccagnini

1. - Il monopolio quale aspetto singolare delle con-traddizioni economiche del capitalismo.

La libertà, sorgente profonda dei nlori dello

spi-rito umano, ci appare quale nucleo essenziale dell' il-luminismo ed al nostro sguardo le sue articolazioni nel mondo economico si rivelano con questo emblema di

nobiltà.

Ciò risulta in particolare nelle due grandi dottrine

economiche della fisiocrazia e del liberismo: quest'ul-tima sembra informare tutto il mondo economico

de-gli ultimi due secoli.

Non si confonda tuttavia scienza economica e dot-trina economica: la distinzione, anche ai fini del

pro-blema in esame, è doverosa. E se è pur vero che alla dottrina liberistica sembrano dar valida trama e giusti-ficazione razionale dapprima gli economisti classici e

poi, nella seconda metà del XIX secolo, gli economisti

matematici, dal Walras al Pareto al Jevons, l'analisi più attenta ha messo ormai in piena luce gli elementi

eterogenei che compongono ogni dottrina economica. Agli aspetti scientifici risultano strettamente connessi quelli etico-politici, così che]' analisi tendente alla loro nitida distinzione appare spesso compito non facile. SifIatta eterogeneità risulta non di rado inavveltita

ai molti scrittori interessati ai problemi economici; in

essa, quale appariva nei più diversi saggi ed articoli

polemici, aveva trovato prezioso alimento al suo noto irriverente sarcasmo ViIfredo Pareto, negli ultimi

de-cenni dell' ottocento. Sarcasmo che si palesava talora nei

suoi scritti attraverso un compiaciuto disordine ver-bale, più apparente che sostanziale, che non riusciva d'altra parte a velare la validità delle sue penetranti osservazioni critiche.

Per quanto si è detto la dottrina liberista implica dei « giudizi di valore », nel senso cioè di un implicito riferimento delle sue proposizioni fondamentali ad

al-cuni principi etico-politici, mentre per la libera con-correnza, intesa quale definito regime di scambio, si

è pervenuti ad una coerente costruzione scientifica; da questo campo strettamente razionale si allontana in-vece il concetto di capitalismo, quale aspetto econo-mico di un determinato periodo storico, di cui si tenta fissare gli aspetti significativi; la dottrina ed il regime di scambio appaiono come due di questi aspetti, senza tuttavia esaurirne ]' ampia varietà. Ma nel linguaggio degli economisti del secolo scorso i tre concetti veni-vano tra di loro identificati o visti quanto meno come

Sul

monopolio

aspetti diversi dello stesso fenomeno storico: sovente

questi termini venivano alternativamente usati a ttri-buendo loro uno stesso incerto significato. Vi si

aggiun-geva quello di società borghese, intesa come società capitalistica. Ma già per gli economisti più attenti il capitalismo appariva solo come aspetto di un parti-colare periodo storico in cui imperando la libera con -correnza i fenomeni economici risultavano svolgersi in modo vantaggioso all'universale. Questo giudizio e la sua giustificazione, che sintetizza una folla di elabora -zioni concettuali, trovavano nella dottrina liberistica

una sua compiuta costruzione. Con riferimento a que-sto giudizio sifIatto regime sembrava dar vita feconda al gran sogno di un' armoniosa visione del mondo

eco-nomico che nella libertà trovava la sua scintilla i

spi-ratrice: la Bibbia del liberismo restava la grande opera di Adamo Smith del 1760.

Quasi un secolo dopo, nel 1850, Federico Bastiat, singolare figura di pensatore ed animatore, organizza-tore e segretario, tra l'altro, del l' Associazione del li-bero scambio, lasciava, quale nobile testimonianza del suo spirito, il primo volume di un'opera che la morte gli aveva impedito di portare a termine con un secondo

volume, appena iniziato.

Da Les harmonies économiques si eleva un inno al liberismo, modulato sul tono di un ottimismo pole-mico, che riassume il pensiero a cui si era pervenuti sia attraverso l'esperienza economica concreta sia attra-verso il processo dialettico svoltosi nel secolo ormai tra-scorso dall'apparizione della grande opera dello Smith. Si riafIerma con il Bastiat come l'azione dei singoli si riveli spontaneamente coordinata da un insieme di soli-darietà che s'incrociano e come la società trovi il suo nucleo ispiratore, la sua elevazione economica, nella libertà. Questi motivi essenziali, di cui i successivi scrit-tori, da Adamo Smith in poi, appaiono via via più con-sapevoli, trovano una delle loro più genuine e persua-sive espressioni nell' opera del Bastiat.

Ma, per non risalire più indietro nel corso dei se-coli, sin dall'inizio del XVIII secolo si potrebbero già rilevare nei classici della scienza economica gli ele-menti di una nuova corrente d'idee che si palesa in contrasto, talora lieve talora profondo, con la corrente liberista, pur apparendo ancora nel solco di una la-tente tendenza unificatrice.

Questa dialettica interna dei sistemi ideologici, ed in particolare delle dottrine economiche, liberismo,

so-cialismo, comunismo, si rivela, a chi ben guardi, come

(10)

aspetto apparente di un fenomeno assai complesso. L'osservazione della evoluzione nel tempo, sia del pen-siero politico e delle dottrine economiche dominanti, sia del loro affermarsi, non rivela soltanto l'evoluzione

e lo sviluppo di una corrente di pensiero che, con il

suo esaurirsi, genera l'affermarsi e lo sviluppo di una contraria o contrastante ideologia. Pone quasi sempre in luce, invece, la coesistenza di altre correnti di pen-siero che, rispetto a quella dominante, possono appa-rire marginali, ma che acquistano via via un loro

rile-vante vigore per prorompere poi, in un successivo pe-riodo, con forza estrema che pare trarre impulso dalla precedente contenuta violenza. Ciò accade talora pro-prio in un tempo nel quale appare affermarsi ed in

pieno sviluppo, o comunque ben lontana da un suo declino, la corrente dominante. A questo processo è legato a sua volta con vincoli e leggi ben di rado pa-lesi, il mondo reale, ed in particolare l'evoluzione tem -porale della sua struttura economica.

Ma anche se, in periodi transitori o no, permane un evidente conflitto ideologico, almeno per alcuni

de-gli aspetti essenziali - si pensi al regime capitalista

ed a quello comunista - i temi direttivi di una ideo lo-gia sembrano, poco a poco, informare o modificare in misura maggiore o minore quelli delle altre. Certo è

che la grande corrente dottrinale che si può sintetizzare nel socialismo, appare influire non poco, nell' oggi, su alcune costruzioni ideologiche, variamente denominate

ma di comune contenuto e che dal liberalismo trag-gono origine, quali l'Economia del benessere, l'Econo-mia di mercato, l'economia del bisogno ecc., e di qui su gran parte della politica economica del mondo occi-dentale.

La svolta improvvisa che, nella prima metà del se-colo scorso, si rileva nelle dottrine economiche, sem-bra porre in luce un significativo esempio del fenomeno, già rilevato, della coesistenza di concezioni diverse e

del prorompere poi di correnti che potevano prima ap-parire marginali, rispetto alla dottrina dominante. Due lottatori dominano la nuova scena: Marx ed Engels. Dalle affermazioni teoriche degli economisti clas-sici, segnatamente di Ricardo, alla teoria dello sfrutta-mento di Marx è breve, nel .campo delle idee, la di-stanza: questa affermazione dell'Amoroso si presta però alla polemica.

Non più il pacato ragionare di Ricardo, in quella battaglia d'idee con Say, Sismondi e Malthus, attuata in dialoghi suggestivi, in un ambiente spiritualmente sereno, ricreato poi nel Political Economy Club. Se è pur vero infatti che il Sismondi è stato denominato dal-l'Einaudi economista appassionato e che era stato de-finito come spirito dissidente e critico, non è men vero che gli era stata liconosciuta una personalità «

candi-da e piacevole ». Malthus, a sua volta, poteva esser giu-dicato come rivoluzionario per il noto saggio sulla po-polazione, saggio certo non conformista rispetto alle tesi ottimistiche esaltate in quel periodo dai più vari scrittori, non ultimo il Godwin. Ma anche se pensiamo alle venti edizioni della sua opera, apparse in soli

cin-81

CRONACHE ECONOMICHE

que anni, ed alle sue ripercussioni pubbliche, si pensi che il dibattito a cui essa diede origine indusse Pitt il vecchio a non presentare una legge sui poveri già pre-disposta, siffatti termini ci appaiono certo eccessivi

quando si confronti la sua opera con quella veramente

rivoluzionaria del Marx, nei suoi effetti sulla struttura

sociale. Il carattere dominante di Malthus, ha

sotto-lineato un suo biografo, era la tenerezza del suo cuore; nè Malthus nè Sismondi hanno mai immaginato alcun

piano di ricostruzione della società nè promosso alcuna

agitazione. Inoltre se alla fervida disputa, svoltasi in-torno al 1820, sull'indirizzo e su alcune proposizioni fondamentali della scienza economica, furono attratti, oltre che il Ricardo, il Sismondi, il Malthus, altri no-bili spiriti - dal Torrens al Tooke, - la discussione

si svolgeva pur sempre fra una ristretta cerchia di pe r-sone qualificate per preparazione e per attitudine al

dialogo scientifico, in un clima di serenità ed

ogget-tività attraente.

Il manifesto dei comunisti, del 1848, rivela un altro

drammatico atteggiamento; non si dimentichi che esso

prelude ai moti rivoluzionari dello stesso anno e che viene considerato il Vangelo del socialismo.

Se già nel 1845 Marx .aveva formulato il pensiero della impotenza della critica filosofica a mutare la

strut-tura sociale e della esigenza di una violenta azione rivo-luzionria, con il Manifesto appaiono delineati con mag-giore nitidezza gli elementi direttivi del marxismo: in

particolare dominano i concetti della logica interna della economia capitalistica e di quella del suo supe-ramento. Per il Manifesto Marx ed Engels danno così

impulso dinamico ad una dottrina economica che risul-terà animata nel corso del tempo da una schiera di

ardenti profeti nei quali pensiero ed azione appaiono slrettamente riuniti.

Sarà Lenin infatti, secondo grande teorico del

co-munismo, che, contro il volere di Trotzkij, deciderà nel 1903, la formazione dei rivoluzionari di professione, al fine di rendere certo il dominio del proletariato. Alla vigilia della rivoluzione dell' ottobre, egli riaffermerà gl'ideali del Marx, integrandone però la costruzione ideologica; l'imperialismo è visto come ultimo tempo della civiltà capitalistica, l'era dei grandi monopolii come aspetto dominante della sua struttura economica.

E di nuovo pensiero ed azione si uniscono: a meno di un anno dall'apparizione di questa sua ultima opera, il 3 aplile 1917, egli giunge a Pietro grado accolto come un profeta e lancia il suo famoso messaggio, Ai cittadini

clelia Russia. Ma astraendo dalle vicende storiche, a

giudicare !'influenza profondissima di questa corrente d'idee si ricordi soltanto il titolo di una delle più signi-ficative opere dell'ultimo periodo storico: Decandenza

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ten-denti al dominio dei singoli, come essenziale impera -tivo di politica economica.

Per l'ideologia collettivista il liberismo ed il capi -talismo, in cui, come si è visto, si può identificare il regime che a quella dottrina aderisce ed a cui con modalità varie, ma con comune fondamentale direttiva, informa la propria politica economica, crollerà per la logica del suo superamento, per le sue contraddizioni interne.

Di fronte a queste drammatiche profezie i posteri potrebbero non a torto giudicare evanescenti e ridicole alcune contemporanee sottili elaborazioni teoriche sul liberismo, astratte disquisizioni di cui si discute acca -dcmicamente « mentre l'ariete infrange le porte della città ».

Attraverso quale processo, nello stesso tempo di-struttore e creatore, crollerà il capitalismo?

Il libro dei nuovi profeti quale risposta dà a questo urgente problema?

Saranno le sue contraddizioni interne che porte -ranno ad una crisi finale con lo spontaneo determinarsi del crollo, oppure sarà l'impeto rivoluzionario del proletariato, illuminato dalle prime, che dovrà compie -re 1'opera di distruzione e di rinnoyamen to?

Marx sembra indeciso; l'esame del suo pensiero, quale appare nei suoi poderosi volumi ed in quelli dei suoi più ardenti proseliti, è a tutt' oggi ben lungi da l-l'esaurirsi - si pensi all'opera dell'Istituto Marx- En-gels-Lenin - ed esula da queste brevi note.

Ma al fine di evitare il crollo, fatalmente dete r-minato, direttamente od indirettamente, secondo que -ste profezie, dalle anzidette contraddizioni interne, è sufficiente allora, nella difesa sia di quei valori dello spirito assunti dal mondo occidentale come sacro pa -trimonio umano, sia degli asseriti valori economici del regime liberistico, ricondurre l'attività economica in quelle « regole del gioco» distrutte dalla tendenza mo-nopolistica e che appaiono invece quale esigenza prima della libera concorrenza?

Non oseremmo affermarlo, chè questo obiettivo non esaurisce certamente nè le direttive generali, nè le mo-dalità di attuazione della politica economica del mondo occidentale. Ne rispecchia sì una linea di sviluppo, un tema rilevante, che rientra in un più ampio quadro di riforme strutturali, in un « secondo tempo de ll'illumi-nismo ». Ma i problemi più vari si presentano al nostro sguardo con un tale pluralismo prospettico che anche la politica economica in atto appare necessariamente assai varia e talora non priva di incoerenza. Si tende a conciliarne i contrasti, a coordinarne con maggiore razionalità l'efficacia attraverso una programmazione che tenga conto dell'interdipendenza generale dei f e-nomeni economici. Ma si tratta ancora di timidi te n-tatiù oggetto di studio e d'indagine.

La lotta contro il monopolio appare comunque quale aspetto particolare di questo vasto orizzonte, nel quale risalta il drammatico conflitto ideologico tra oriente ed occidente. Ma si peccherebbe di semplic

i-mo eccessivo se si volesse riconoscere nel regime libe

-ristico, genericamente inteso, la causa necessaria e sufficiente all'affermarsi del monopolio, confermando così implicitamente che questo regime genera esso s tes-so i moth'i del suo tramonto. Il processo storico dal quale sorge e si afferma il monopolio è invece co m-plesso, si pensi ai suoi legami con il progresso tecnico e con]' economicità della grande impresa; è certo tu t-tavia che il termine stesso di monopolio viene assunto, anche in sede teorica, quale netta antitesi della libera concorrenza, che del liberismo risulta il concreto, eco-nomico manifestarsi.

Antitesi che, almeno ad un primo esame, anche la scienza economica, dopo aver affermato trattarsi di due aspetti che non si rilevano mai nella loro compiuta espressione teorica, assume come casi limite di quella varietà di aspetti del reale la cui dovizia conferma an -cora una volta come questo si presenti tanto più com-plesso, ed oseremmo dire tanto più sofisticato, di quanto gli schemi mentali, per la loro tendenza all'unificazio -ne, non rappresentino. Quando e dai temi ideologici e dalle teorie economiche si passi all' esame dei fenomeni concreti, sotto l'impulso tendente alla soluzione dei più urgenti fenomeni reali, nascono spontanee, rivolte all' ente pubblico, le proposte d'intervento. Più gene-ralmente sorge la formulazione di una politica econo -mica intesa proprio ad eliminare quegli aspetti del ca -pitalismo che, quali sue interne contraddizioni, si r i-velano come lati negativi e forse fatali alla sua vitalità. E' sotto questo aspetto che, come si è detto, il problema del monopolio appare oggi come uno dei maggiori in-terrogativi del mondo economico occidentale.

2. - Definizione e fonne del monopolio; la scienza eco -nomica di fronte al problema del monopolio. Se le note sin qui esposte tendono ad un franco riconoscimento dell'importanza che il problema del monopolio ha assunto nel quadro del contrasto

ideo-logico anzidetto, non vorremmo che siffatti lineamenti, fossero giudicati, da un punto di vista storico, di una eccessiva superficialità. Come s'intuisce si è voluto in-vece fissare soltanto un momento dell'ultimo periodo storico, momento che ci è parso dominante, per la sua importanza, rispetto alla odierna posizione del pro-blema. Ad evitare siffatta accusa, del resto spontanea, potremmo ridiscendere i secoli, con una se pur faticosa non difficile erudizione: la coltura è « il più prezioso tesoro dei popoli, la più alta testimonianza della loro nobiltà originaria» ed il rilevare i passi successivi a t-traverso i quali il fenomeno in esame si è attuato non sarebbe certo inutile. Qui ci si limita a poche note essenziali, a qualche scorcio che ci appare non privo d'interesse. Vorremmo infatti risalire al

III

secolo ava

n-ti Cristo ed iniziare una suggestiva rievocazione con il richiamo agli accaparratori di grano ed alle leggi di Atene contro il loro monopolio? No certo; è il problema odierno che intendiamo sottoporre ad un breve esame e per questa finalità appare essenziale porre in luce i monopolij duraturi o temporanei dell'oggi, la loro s

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tura, le varie modalità attraverso le quali si manife

-stano, l'atteggiamento della società politica nei loro

confronti. Un'adeguata soluzione del problema, l'esi

-stenza del quale implica l'implicito riconoscimento di aspetti negativi del fenomeno, di turbamenti del mon-do economico derivanti dal loro sorgere, dal loro affer -marsi, dal loro moltiplicarsi, esige siffatta conoscenza. A prima vista alcuni termini economici appaiono,

avere, come nel caso del monopolio, con riferimento al signifìcato più comunemente loro attribuito, un de-finito valore. Ma non appena si passi dal linguaggio e dal ragionamento ordinario a quello scientifico, nel quale si palesa con forza via via maggiore l'esigenza di un alto rigore concettuale, o meglio di un nitido rigore rappresentativo della realtà, s'incontrano

diffi-coltà non lievi. Si potrebbe obbiettare che esse non

sono maggiori di quelle che s'incontrano quando si voglia dare validità costruttiva ai termini più elemen-tari del nostro linguaggio quotidiano. Si pensi al con-cetto del «tempo»; « Se mi chiedono che cos' è non lo so, se non me lo chiedono lo so» disse un grande spirito del passato; affiora spontanea alla memoria l' af-fermazione del Peano sulle idee primitive non su scet-tibili di ulteriore spiegazione attraverso idee più ele-mentari.

Non è tuttavia questo il caso che si presenta con il termine monopolio; si hanno di questo le più varie definizioni, ma non è difficile rilevare che esse si com-pletano l'un l'altra e che quasi sempre ciascuna di esse

coglie un aspetto particolare del fenomeno senza che perciò risultino tra di loro in contraddizione. E poichè nella evoluzione storica le fonne del monopolio ap-paiono mutevoli e non di rado nuove, legate come sono alla evoluzione della struttura economico-sociale,

si è sempre attratti non solo all'indagine di queste

forme, attraverso una osservazione via via più vigile del reale nella sua ampia varietà di aspetti, ma a dare una definizione che risulti quale essenziale nucleo originario di uno schema teorico che risulti sempre più adeguato alla realtà stessa.

Si è detto come gli economisti considerino oggi i due regimi, della libera concgrrenza e del monopolio, quali limiti estremi di un campo di variabilità nel quale si manifestano i più diversi regimi in cui si svol-gono la produzione e lo scambio. Sembrano guidare all'appeJ;cezione di un aspetto fondamentale della li-bera concorrenza i tennini stessi usati per denominare siffatto regime: gli operatori concor'/'ono tra di loro pel raggiungimento del fine economico, comunque sia que-sto definito; in generale si parla del massimo di pro-fitto o di utilità. Il postulato edonistico, assunto quale elemento vitale del mondo economico, deve manife-starsi attraverso una sentita rivalità, una lotta viva che si rinnovi di continuo e si accentui non appena ci si allontani dall'equilibrio. In generale qualora si tratti di produttori combatteranno l'affermazione economica dei rivali attraverso ribassi nel prezzo o miglioramento nella qualità.

10

I

CRONACHE ECONOMICHE

Queste considerazioni sembrano sottolineare oprat-tutto la dinamica di avvicinamento ad una posizione di equilibrio, nella quale il prezzo diventa unico

(prin-cipio d'indifferenza di }evons). Su questo ultimo aspetto si sofferma invece la scienza economica: si assume l'ipo-tesi di un numero altissimo di operatori alla vendita od

all'acquisto; in particolare si parla di una pol verizza-zione dell'industria, di una concorrenza atomistica. Per questa ipotesi il numero dei produttori e dei

consu-matori è tanto grande che ciascuno di essi non influi

-sce sul prezzo di mercato; l'esperienza suggerisce quin-di a ciascuno di essi di considerare il prezzo una

co-stante a cui adeguare il proprio comportamento. Le definizioni date dal Pareto conservano una certa

ambiguità. «Lo scambista subisce i prezzi di mercato senza tentare di modificarli di proposito »". «La per-sona accetta i prezzi che trova sul mercato e cerca di soddisfare i suoi gusti con questi prezzi. Ciò facendo

egli contribuisce, senza volerlo, a modificare questi prezzi, ma non agisce direttamente con l'intenzione di modificarli ». La costanza dei prezzi risulterebbe una presunzione errata del!' operatore, non una realtà

og-gettiva. Come abbiamo avuto occasione di precisare in altra sede questa concezione della libera concorrenza può essere denominata soggettiva in contrasto a quella oggettiva che si è affermata nella Economica, almeno presso i suoi più autorevoli cultori. Scrive l'Allen: « La libera concorrenza si ha quando nessun consumatore ha una qualsiasi diretta influenza sui prezzi di mercato, che sono gli stessi per tutti i consumatori, poichè cia-scuno di essi può solo scegliere l'ammontare dei varii beni che egli acquista ai prezzi esistenti»; ma il

con-cetto deve farsi risalire al Cournot nella sua opera fon-damentale del 1838.

Il postulato edonistico che nell' osservazione prece-dente appare elemento motore della libera concorr en-za, qui non risulta che attraverso la ricerca di un mas-simo nel campo lasciato libero dai vincoli di mercato (prezzi costanti).

M.a la lotta, implicita nella libera concorrenza quale dinamica di avvicinamento ad una soluzione di

equi-librio - si pensi alla teoria dello sviluppo economIco

dello Schumpeter - non è solo un aspetto particolare della vita economica. Per alcuni sociologi essa assume invece una validità più generale, appare cioè come

elemento essenziale per la vitalità della società stessa:

le modalità, le forme, le regole, !'intensità ed i fini della lotta possono mutare, ma il principio della gara,

come competizione, della rivalità, della concorrenza, deve rimanere (W. G. Hamilton).

Tuttavia, anche quando essa si manifesti viva ed

operante nel mondo economico, un intervallo tempo-rale appare necessario per ricreare, attraverso il

con-correre degli altri operatori, 1'equilibrio. In questo in-tervallo possono manifestarsi, come noto, delle posi-zioni di monopolio: uno o più operatori sono in grado

cioè di influire direttamente sui prezzi. In generale

hanno il potere di fissare il prezzo più adeguato alla

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del regime di monopolio. Nell'esempio si tratta, com'è ovvio, di monopoli temporanei che si manifestano nel periodo necessario pel raggiungimento dell' equilibrio. Ad evitare il sorgere di questi ultimi, ecco il rilievo dello Streller: si avrebbe libera concorrenza quando ri-sulti possibile effettuare tutte le trasformazioni oppor-tune in un tempo zero e con un costo zero. A questa concezione si riallaccia l'Amoroso: si avrebbe mono-polio non soltanto quando vi sia un'impresa unica ed un numero limitato di imprese, ma quando sia difficile accrescerle come dimensioni o come numero; l'immo-bilità temporanea o duratura che ne risulta dimostra che non vi è più libera concorrenza. Per le condizioni imposte dallo Streller il sorgere di un monopolio t em-poraneo, che può ad esempio esser determinato da una innovazione, provocherebbe un'immediata reazione del mercato tendente ad eliminare la posizione di privi-legio dell'impresa, a ricreare in un tempo zero, con effetto istan taneo cioè, le condizioni della libera con-correnza.

Ma nel tentativo di completare il quadro delle con-dizioni che caratterizzano la libera concorrenza e che, nella loro assenza, parziale o totale, provocano il sor-gere di monopolii temporanei o duraturi ecco un'altra folla di condizioni. Ne ha poste in luce alcune, con suggestiva chiarezza, lo

J

annaccone: vi deve essere un'assoluta identità e sostituibilità tra le singole unità del bene, non devono esistere ostacoli alla loro mobilità da un punto all'altro del mercato, deve esser ricono-sciuta la libertà per ogni operatore di contrattare e ricontrattare, di acquistare e di vendere le quantità che ritiene più opportune; si può aggiungere la cono-scenza da parte di ogni venditore o compratore di tutti gli elementi di mercato economicamente rilevanti.

Il verificarsi di queste condizioni, quale premessa al prezzo di equilibrio, all'uguaglianza fra domanda ed offerta, rende poi verificato il principio di

J

evons del prezzo di mercato unico.

A chi osservi con vigile sguardo l'insieme dei vari elementi esposti per i quali s'intendono porre in luce le note organiche concettuali che integrano opportuna-mente la definizione del monopolio, apparirà chiara-mente delineata !'importanza di un più adeguato e coerente coordinamento dei vari citati aspetti. Non soltanto per la finalità scientifica, o se si vuole acca-demica, di una rigorosa costruzione teorica, che nella definizione e nelle sue premesse trovi il proprio nucleo originario ricco di virtuali sviluppi, ma proprio al fine sia di riconoscere a quali unità produttive vadano im-poste le norme regolamentari che s'invocano contro il monopolio, sia gli interventi di politica economica atti ad attenuare gli aspetti negativi od in particolare a ricreare le condizioni necessarie per l'avverarsi della libera concorrenza. E s'intravvede, da queste brevi e semplici note, come non sia facile il compito affidato di recente in Italia alla Commissione di studio sul mono-polio.

Siffatto regime economico assume in pratica i più diversi aspetti che non è detto debbano conservarsi

im-mutati nel tempo; l'ultimo periodo storico ha visto infatti il sorgere di enti di diritto pubblico variamente configurati e di ardua classificazione poichè mal rien-trano nelle forme tradizionali; sorti come istituti tran-sitori atti ad attenuare le conseguenze talora gravi di un periodo di congiuntura sfavorevole si affelmarono in seguito come enti di diritto pubblico aventi proprie finalità, una loro autonomia totale o parziale, e con singolari aspetti monopolistici variamente giudicati.

Nel tentativo di porne in luce gli a petti essenziali, di coglierne cioè quelli economicamente significativi, si sono proposte classificazioni varie. Non è compito di queste rapide note discuterne la razionalità; un breve richiamo sarà sufficiente.

Dalla classificazione in monopoli naturali o giuri-dici si passa a quella degli accordi monopolistici, che non escludono ovviamente obiettivi di economicità produttiva o di gestione; poichè non sono resi noti che di rado, non è facile approfondire il funzionamento,

ri-levarne i più vari aspetti.

In particolare i consorzi, i sindacati, i cartelli, i gruppi assumono nella vita economica dell'oggi un' im-portanza rilevante. Le imprese conservano qui una loro parziale autonomia, pur essendo vincolate da un ac-cordo quasi sempre volontario, che tende ad unificare la loro condotta al fine di realizzare profitti aventi ca-rattere monopolistico. Quale variabile strategica si assume generalmente il prezzo, strumento idoneo al raggiungimento dell'anzidetto obiettivo; non mancano però accordi nei quali il vincolo si riferisce alla qua n-tità, al riparto dei mercati, alle condizioni di vendita, e per alcuni ai diritti di esclusiva, al boicottaggio col

-lettivo a danno di quanti non rispettano tali esclusive concessioni. Anche i gruppi ed i complessi, verticali od orizzontali, tendono ad una gestione comune, raggiun-ta attraverso modalità varie, sia nella forma del trust sia in quella della holding, sia infine con la fusione che dà luogo ad una unica impresa. Nella società ano-nima a catena infine ogni impresa vincola, attraverso la cessione di metà dei propri titoli azionari ad un' altra del gruppo, la propria condotta. Il quadro non è co m-pleto; astraendo dagli accordi fiduciari, accordi sulla parola, ecco le imprese pubbliche. Secondo qualche autore è opportuno riconoscerne tre classi: la prima è quella delle imprese condotte da organi statali; tabac-chi, ferrovie, poste e telegrafi ne sono un esempio. Nella seconda rientrano molti enti pubblici, costituiti con capitale dello Stato, che esercitano imprese finan-ziarie, bancarie, assicurative, industriali, di trasporto o commerciale, come principale e spesso esclusiva atti-vità. Si tratta di enti pubblici economici: per l'Italia ne sono tipici esempi l'IRI e l'ENI. In una terza vengono infine classificate le imprese delle quali lo Stato pos-siede un certo numero di azioni, ma non sempre la maggioranza.

Il problema si amplia e si presenta con nuovi aspet-ti che suggeriscono soluzioni diverse quando si cons i-deri la politica dei prezzi multipli.

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Poichè l'omogeneità del prodotto, più generalmente dei beni, costituisce, come si è visto nell'esame delle varie definizioni del monopolio, uno degli essenziali

elemen ti della libera concorrenza, lo sforzo dell'

opera-tore alla vendita tende a cancellarla: la politica dei prezzi discriminati o multipli assume questo scopo. Se il perfezionamento tecnico effettivo giustifica la diffe

-renza di prezzi tra due prodotti questa corrispondenza

non si rileva in altri casi. La semplice modificazione ne l-la forma, foggia, colore rompe l'omogeneità e perme

t-te di vendere il prodotto a prezzi diversi. A loro volta i negozi di vendita al pubblico possono, sia con l'ele

-ganza dell'ambiente, sia con la scelta di una ubicazione particolare, conferire ai beni in vendita un maggior

apprezzamento a cui corrispondono prezzi maggiori e

l'affermarsi di una marca può, pur con una parità so-stanziale nei caratteri tecnico-merceologici del

prodot-to, dar luogo a profitti di monopolio. Più in generale quando si tenga conto anche di questi aspetti del

pro-blema si parla di concorrenza monopolistica (F. Ze u-then) o di monopoli in concorrenza (F. Y. Edgewort).

La discussione sul monopolio, inteso come termine di riferimento e con implicita inclusione dei regimi di

oligopolio, si ridesta a brevi intervalli e talora con tale violenza da conferire al tema in esame l'aspetto di un

problema vitale della vita economica dell'oggi. Come accade in ogni polemica su elementi dominanti della

nostra struttura economico-sociale, anche in questa sul

monopolio si amplia spontaneamente il campo d'

inda-gine ed i temi più varii si contrappongono e s'inte-grano in una discussione nella quale non di rado la spe-cifica ideologia politica dei partecipanti al dibattito informa a priori il loro giudizio. Siffatta ideologia viene

talora assunta con tale fermezza da assumere un

aspet-to dogmatico che si riferisce ai punti fermi del «

pro-gramma » politico del partito o del gruppo.

In un convegno sul monopolio, del 1955, si dichia-rava, ad esempio, che una discussione sulle premesse ideologiche non sarebbe stata accettata: i promotori dava·no per ammessa ed assunta dagl'intervenuti al di-battito la loro impostazione ideologica. Nelle loro

pa-role: « Riteniamo che il regime di concorrenza e di libera iniziativa contenga e sviluppi in sè medesimo

delle forze che rapidamente ne corrompono la natura

ed inclinano il sistema verso forme di restrizionismo e di monopolio, con grave danno degli interessi generali e con crescente pericolo per le istituzioni ».

Con questa premessa vengono richiamati i vari temi

nei quali si articola la polemica. Il rincaro del bene, nel

passaggio dalla libera concorrenza al monopolio, è uno degli elementi essenziali della teoria economica sul

monopolio, ove si dimostra la perdita netta che il

mo-nopolio determina con il raggiungimento del punto di

equilibrio. Ma vi si uniscono altri rilievi, come la lotta

contro i nuovi operatori, lotta che non rifugge da mezzi illegali al fine di mantenere il potere sul merca-to; la tendenza, in alcuni casi ad esaurire le risorse naturali; l'imposizione di acquisti congiunti a prezzi multipli; vi si aggiunge che i costi aumentano, permane

12

1

CRONACHE ECONOMICHE

la disoccupazione, lo spirito di inventiva si attenua o si cancella, lo sviluppo tecnico-economico rallenta e si

tende ad uno 'stato di marasma. Ancora: il potere

poli-tico, in un regime economico in cui domini il mono-polio, è sottoposto a continue pressioni ed il monopolio appare influire negativamente sulla stabilità e lo

svi-luppo delle istituzioni liberali e democratiche. Afferma-zioni difficilmente accettabili senza un esame vigile e senza rilevazioni statistiche persuasive.

A questi elementi negativi, respinti in tutto od in parte da autorevoli studiosi, si contrappongono quelli positivi.

Domina tra questi la possibilità per il gruppo, il complesso, il consorzio o l'impresa nuova, con

carat-tere monopolistico, di raggiungere una ubicazione ed

una dimensione ottima, nel senso marshalliano.

Non è detto che quest'ultima debba attuarsi attra-verso le dimensioni dell'unica grande impresa che tutte

le imprese precedenti fonde ed unifica in una

concen-trazione opportuna. La direzione talora coordina

sol-tanto le attività delle singoIe imprese, concedendo loro

una certa autonomia amministrativa e specializzandole

in un solo prodotto, coordinando razionalmente le

loro direttive di sviluppo. Talora invece, ai fini di una

maggiore economicità, conviene effettivamente rag-gruppare in una sola le diverse imprese prima esistenti; si raggiungono così i vantaggi della grande impresa;

l'acquisto delle materie prime e semilavorati in grande

quantità, nei -luoghi di origine, senza intermediari; la adozione della .produzione in gran serie di uno o pochi

prodotti tipicizzati, fuso di immobilizzazioni tecniche e di costose macchine automatiche; l'adozione di

ca-tene di montaggio, economiche soltanto per imprese di grandi dimensioni, la centralizzazione degli uffici di

ricerca e studio, la completa riorganizzazione

ammi-nistrativa e tecnica attraverso una razionale applica-zione dei principi del taylorismo, della organizzazione scientifica del lavoro; vi si aggiungono rutilizzazione

dei sottoprodotti, la riduzione del numero delle agen-zie e delle spese di pubblicità ed altri fattori di eco-nomica convenienza. Maggiormente discusso è il

pro-blema della stabilità economica, perseguita secondo

qualche autore dalle imprese in monopolio, implicita, per alcuni, nella politica economica delle imprese stesse.

La libertà delle imprese, senza vincoli riguardo agli accordi od a posizioni monopolistiche, parrebbe dar

luogo in ultima analisi a risultati vantaggiosi.

D'altra parte, anche senza l'intervento dello Stato,

il monopolio incontra limiti rilevanti al suo affermarsi.

Si noti infatti, quale primo rilievo, come il monopolio

non sia mai completo, chè i beni supplementari, suc-cedanei, surrogati dànno vita ad una concorrenza effi-cacissima; ma più diretta è l'influenza delle imprese

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e riprendere la produzione. La storia è ricca di esempi al riguardo. Si può dire che il fenomeno anzidetto sia apparso come elemento decisivo nel corso dei tentativi

di valorizzare alcune merci aventi mercato inte rna-zionale, attraverso accordi tra le imprese; ne furono oggetto lo zolfo, la gomma, lo zucchero, il grano ed il caffè. L'entità dello stock unico deprime inoltre il me r-cato peggio dei piccoli accumuli eseguiti da molteplici proprietari: questi sono meno noti ed è probabile non abbi.ano vendite concentrate.

L'esperienza dimostra infatti, anche per gli accordi monopolistici, la difficoltà di mantenere stabili i prezzi di merci soggette a fluttuazioni continue, od improv-visi sbalzi nella quotazione di mercato. Di qui il

limi-tato potere del monopolista sul prezzo.

Motivo dominante della polemica è l'assunto della economicità della libera concorrenza di fronte al mo-nopolio, da cui sorgerebbero vantaggi rilevanti per la collettività. Ma non mancano, specialmente nell'ultimo

periodo storico, gli studi rivolti a porre in evidenza gli aspetti negativi deHa libera concorrenza. E non sol-tanto dal punto di vista economico, ma anche da quello sociale: in realtà uno Stato non si concepisce senza

una sua etica che ponga chiaramente in luce le

fina-lità da perseguire od a cui subordinare l'opera dei s

in-goli; di qui l'impegno implicito dell'uomo di governo

di fronte ai vari aspetti della "ita economica e sociale. Si rifletta al contrasto tra l'assunzione del principio edo-nistico nella forma datagli da Adamo Smith, per il quale l'egoismo contribuisce al benessere della società più

che l'altruismo, e l'invito implicito, che informa la

legislazione sociale, ad una sacra solidarietà umana.

Il principio edonistico, se assunto senza restrizioni,

non può che eccitare l'avidità, la cupidigia, la frode, una condotta cioè priva di lealtà e verità, di aspirazione verso una vita più seria e nobile, più pura ed alta. Così, mentre il passaggio dal monopolio alla libera concorrenza costituisce, per il liberismo, una riaffe r-mazione del credo più volte affermato come vantag-gioso, per una parte della generazione odierna esso appare come una scelta del minor male, di cui si è ormai pienamente consapevoli; ciò vale, per questa corrente d'idee, anche quando si osservi soltanto il lato ec

o-nomico.

3. - La politica economica e gli accordi 1710nopolistici.

Sull'impo sibilità di realizzare gli obiettivi di una «Economia del benessere", attraverso un regime di libera concorrenza sembra si sia raggiunto l'accordo e la pregevole opera del Pigou appare aver adeguata-mente illuminato il problema. Ma i legami tra

mono-polio e libera concorrenza e progresso tecnico sono ben

lungi dall'essere chiariti in una costruzione soddisfa-cente. La teoria dello sviluppo economico, stretta-mente legata al progresso tecnico ed alle innovazioni, ha avuto una uggesti\'a formulazione da parte dello

Schumpeter, con l'introduzione della figura de ll'im-preditore innovato re, ma questa teoria appare monca

ed unilaterale nel quadro della determinazione delle

cause necessarie e sufficienti allo sviluppo economico. Si tende perciò alla costruzione di uno schema più ge-nera-le che comprenda il precedente come caso sin go-lare. Ne è pregevole se pur parziale testimonianza il

programma di studio assunto dal Massachussetts Insti-tute of technology, dal significativo titolo Studies in innouation, ove il progresso tecnico appare come nucleo

essenziale della dinamica economica.

Si conferma infine, lo sottolinea ancora l'He

nnip-man, come la concorrenza ed il monopolio non ope

-rino quaoli isolati fenomeni rispetto a tutti gli altri che li condizionano e ne sono condizionati, e come essi debbano perciò esser studiati nel quadro di una più generale teoria del progresso o dello sviluppo sino ad oggi incompiuta. Si vedrà come questi rilievi, che toc-cano i punti decisivi della conoscenza e del dibattito, siano stati ripresi con piena consapevolezza dalla

Co;n-missione parlamentare d'inchiesta sui limiti della con

-correnza. Non è detto tuttavia che siffatta compiuta conoscenza teorica possa trovare origine neH' opera del -la citata Commissione; il superare le difficoltà di una sua rigorosa formulazione sarà opera di intere genera

-zioni di studiosi. Nulla vieta che le elaborazioni con-cettuali della Commissione possano offrire alcuni va -lidi elementi primi per l'elaborazione di un rigoroso schema teorico dello sviluppo economico. L'opera d

e-gli economisti sensibili a questa sempre rinascente

aspirazione ad una teoria che sia una più rigorosa

rap-presentazione della rea-Ità, non ha fine.

Conviene dare invece un brevissimo cenno sulla

politica della Comunità Economica Europea riguardo a questo problema.

Le discussioni sulle intese ed accordi aventi car at-tere monopolistico non sono rimaste nel campo teorico, ma confluirono, in questo ultimo periodo, in una disc i-pli!1a antimonopolistica. H Trattato di Roma prevede

infatti all' art. 87 disposizioni legislative vincolanti

di-rettamente gli operatori economici appartenenti alla

Comunità.

D'altra parte mentre in Italia il progetto di legge Col9mbo sulla tutela deHa libertà di concorrenza ve-niva considerato quale premessa ad una efficace poli-tica economica anti-trust, fu proposta ed accettata

dalla Camera nell'aprile 1961 la nomina della già citata

Commissione d'inchiesta sui limiti della concorrenza;

con rara ampiezza di compiti, che risultavano quali

an-ticipazioni necessarie ad una compiuta legislazione

an-timonopolistica. Nel marzo 1962 il Consiglio della CEE è addivenuto all'emanazione di un Primo Regolamento di applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato; regolamento ormai in vigore ed obbligatorio in cia

-scuno degli Stati membri della Comunità. E sarebbe in-teressante esaminare il capitolo relativo alla concessione delle autorizzazioni alle imprese - poichè vale il prin-cipio di divieto delle imprese salvo autorizzazione -con diretto riferimento agli aspetti positivi del m ono-polio.

Da parte sua l'economista più che agli aspetti g

(16)

ridici si rivolge con maggiore interesse alla V1SlOne

economica del problema ed alla conoscenza della sua evoluzione nel più recente periodo storico.

Sotto questo profilo si può subito rilevare come

sugli accordi e sulle limitazioni alla concorrenza in

Italia non si abbiano rile\'azioni attendibili. Tuttavia pel problema metodologico apparvero di utile riferi-mento aHa oòierna Commissione parl.amentare sia

1'In-chiesta

J

acini, svolta nel 1877 per il settore agrario, sia

l'Inchiesta sui contadini delle provincie meridionali e

sulla Sicilia, del 1906.

Solo nel 1945 si ha un'indagine statistica sulle

so-cietà per azioni, svolta dalla Commissione economica c'reata presso il Ministero per la Costituente ed avente

per oggetto la rilevazione della concentrazione ec ono-mico-finanziaria, degli accordi ed intese che trovano le

loro origini nella compartecipazione azionaria; l'ind a-gine della Commissione anzidetta offrì in realtà alcuni validi elementi alla maggiore conoscenza del tema in

esame.

Le tendenze monopolistiche furono studiate dalla

Commissione del 1945, come risulta dalla Relazione del 1947, con riferimento ai dati offerti dal censimento in-dustriale del 1937-1939; oltre alla Relazione altri due volumi, appaTsi quale risultato delle indagini di questa

Commissione, possono dare tuttora un valido contri-buto allo studioso: Organizz'azione del capitale finan-ziario italiano, del 1948, e Struttura dei monopoli indu-striali in ItaUa, del 1949.

In particolare la Relazione riconobbe come fesame

condotto dimostri che in numerosi 'settori dell'industria

italiana si sia venuta determinando una notevole

con-centrazione industriale; se questa può trovare in a l-cuni casi la sua ragion d'essere in manovre finanziarie, in altri casi la trova in motivi reali di ordine tecnico ed organizzativo.

Con un'impostazione da ogni punto di vista più

completa ci appare l'attività della recente Commissione parlamentaTe d'inchiesta sui limiti della conCOTrel1za

141

CRONACHE ECONOMICHE

(1961). Le conclusioni già sfiorate in precedenza

dal-l'economista, sulle difficoltà di una definizione

soddi-sfacente dei termini « concorrenza» e « monopolio »,

trovano un' eco nella relazione dell'Ono TremeHoni, già

presidente della Commissione.

Le stesse parole « monopolio» e « concorrenza », scrive il prof. Tremelloni, presentano tale ditticoltà di

accezione sul terreno concreto, da esigere uno sforzo

per precisare ulteriormente di quale concorrenza

desi-derabile e di quale monopo'lio temibile si debba parlare. In questa opera chiarificatrice la Commissione ha TÌ-conosciuto, come feconda la distinzione tra

concor-renza pura ed operativa, attiva ed inerte, innovatrice e !imitatrice, ai fini di un dialogo tecnico che risulti una rappresentazione della realtà più fedele di quanto

non siano alcuni schemi teorici. E l'economista leggerà con piacere nella relazione Tremelloni 'l'impegno

as-sunto dalla Commissione per uno studio che tenga

conto dell'interdipendenza generale che lega tra di

loro gli elementi economicamente rilevanti. Si tratta

di rilevare le varie forme di concentrazione del potere economico, sia nei riflessi del consumo, sia in quelli

delle innovazioni e dello sviluppo economico; siffatto esame implica inoltre riferimenti razionali al progresso

tecnico e di qui alla concentrazione tecnica, alle poli-tiche doganali, alle imposizioni fiscali. La visione si

amplia ancora quando si voglia tener conto dei vincoli logici esistenti in periodo dinamico tra l'attività dello

Stato e delle imprese tutte, rispetto alla concorrenza.

Compito non fa6le e da seguire con vigile interesse.

Ci è impossibile in queste brevi note esaminare e discutere le norme che trovano origine nel Trattato

di Roma e nel primo regolamento della C.E.E. per la

tutel.a della libertà di concorrenza.

Sia motivo sufficiente aver sottoHneato i temi

fon-damentali del dibattito, affrontato oggi con serietà di

proposito, e con ampia promettente visione scientifica.

All'uomo polihco, al legislatore, il compito più arduo

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