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Il Consiglio Superiore è da tempo impegnato nel promuovere iniziative finalizzate a migliorare la risposta di giustizia nell’ambito della violenza familiare e di genere

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Academic year: 2022

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Fasc. 5/PO/2016 - “Monitoraggio sull’attuazione delle direttive consiliari di cui al protocollo numero 5030 del 18 marzo 2014 in materia di violenza intra-familiare negli uffici di Procura di Tribunale”.

Il Consiglio Superiore è da tempo impegnato nel promuovere iniziative finalizzate a migliorare la risposta di giustizia nell’ambito della violenza familiare e di genere. Nella seduta dell’11 febbraio 2009 il Consiglio aveva approvato una risoluzione di indirizzo, raccogliendo i risultati di un importante studio effettuato dall’Associazione “Donne in Rete contro la violenza ONLUS”, che aveva messo in luce alcuni profili critici negli uffici di primo grado, esaminati a campione su tutto il territorio nazionale.

Nella seduta del 30 luglio 2010, su impulso della Settima Commissione, il Consiglio si era occupato nuovamente della questione, ed aveva accertato che, nonostante l'ampia diffusione della risoluzione di indirizzo del 2009, permaneva una situazione assai disomogenea, negli uffici giudiziari giudicanti e requirenti, in ordine all’adozione delle misure sollecitate nella risoluzione. Anche nel settore civile veniva raccomandata l'adozione di metodi organizzativi volti ad assegnare la trattazione, in via esclusiva o comunque prevalente, di tutti gli affari riguardanti la famiglia a sezioni o settori di magistrati specializzati, dovendosi in essi sicuramente ricomprendere i ricorsi presentati ai sensi degli artt. 342 bis e ter c.c..

Sempre su impulso della Settima Commissione consiliare, nel 2013 il Consiglio aveva deliberato di operare un monitoraggio presso gli uffici di primo grado, giudicanti e requirenti, diretto a verificare l'adozione di soluzioni organizzative mirate a fronteggiare il fenomeno, in attuazione delle ricordate direttive consiliari. All’esito del monitoraggio si era evidenziato il permanere di una situazione organizzativa ancora estremamente disomogenea.

Le maggiori criticità erano state evidenziate negli uffici giudicanti nei quali non erano stati adottati - come invece suggerito dalle sopra citate delibere consiliari di indirizzo - appositi moduli organizzativi volti alla trattazione tempestiva ed efficace dei procedimenti penali in materia di violenza familiare e di genere, sebbene a tali procedimenti venisse riservata ordinariamente una “corsia preferenziale”, compatibilmente con lo stato dei ruoli.

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Nel frattempo il fenomeno della violenza di genere ha mantenuto la sua dimensione di allarmante gravità in tutto il territorio nazionale.

Recentemente la Corte Edu, muovendosi sulle linee fissate nei casi Osman c. R. Unito, cit.

e Opuz c. Turchia (Corte Edu, 9 giugno 2009, ric. n. 33401/02) ha condannato l’Italia (caso Talpis c. Italia, ric. n. 41237/14) affermando la violazione degli artt. 2 e 3 Cedu. La Corte ha rilevato che nei confronti dei soggetti vulnerabili, fra i quali vanno inseriti i minori e in generale i soggetti che subiscono violenze domestiche, lo Stato ha l’obbligo di apprestare misure capaci di salvaguardare in modo efficace i beni supremi della vita e dell’integrità delle persone quando vi è un rischio immediato e reale che quei diritti possano essere aggrediti. Ha, altresì, affermato che l’attività d’indagine deve essere improntata a canoni di ragionevole celerità (§ 99 e § 106) assicurando un corretto bilanciamento fra gli interessi coinvolti. La violazione dell’art. 3Cedu, in particolare, è stata ricondotta alla mancata adozione di misure idonee ad accertare le gravi condotte di maltrattamento (perpetuate, nel caso in questione, in danno della ricorrente) ed a prevenire ulteriori forme di maltrattamenti in danno dei soggetti vulnerabili, in quanto vittime di violenze domestiche. La Corte Edu ha, inoltre, riconosciuto a carico dello Stato italiano la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 14, 2 e 3 Cedu ritenendo integrata una forma di discriminazione indiretta fondata sul sesso. Ha valutato che la mancata protezione, da parte dello Stato, delle donne vittime di violenza domestica comportasse la violazione del loro diritto ad un’uguale tutela da parte della legge, configurando un effetto discriminatorio in danno delle donne, vieppiù rafforzato da alcuni rapporti resi dal Comitato Cedaw – Rapporto sull’Italia (26 luglio 2011) e dall’Istat, dai quali era emersa la persistente esistenza di condotte di femminicidi e di violenze domestiche in danno delle donne, unito ad un clima sociale di persistente tolleranza nei riguardi di tali fenomeni.

Questo Comitato, alla luce di tutto ciò, ritiene necessario prospettare alla settima Commissione di sollecitare nuove iniziative volte a migliorare la risposta di giustizia nell’ambito della violenza familiare e di genere, anche tenuto conto che il precedente monitoraggio è stato effettuato nel 2013 e non appare più idoneo a fotografare l’attuale

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situazione degli uffici giudiziari.

Questo Comitato evidenzia la necessità che le eventuali iniziative siano estese anche agli uffici giudiziari giudicanti di secondo grado, non attenzionati nel precedente monitoraggio.

Ciò in considerazione del fatto che alcune criticità si presentano anche nel giudizio di secondo grado, soprattutto in relazione alla ritardata trattazione dei processi in danno delle c.d. fasce deboli (proprio recentemente ha avuto larga risonanza nei mass media la sentenza di prescrizione in grado di appello per un grave reato di abuso sessuale).

Parimenti prospetta la necessità che vengano monitorati i tempi di trattazione dei procedimenti in fase di indagini e nel corso del giudizio di primo e secondo grado.

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