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COLLEGIO DI BARI. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa degli intermediari.

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COLLEGIO DI BARI composto dai signori:

(BA) DE CAROLIS Presidente

(BA) TUCCI Membro designato dalla Banca d'Italia

(BA) CAMILLERI Membro designato dalla Banca d'Italia

(BA) APPIO Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(BA) COSTANTINO Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore ESTERNI - MASSIMIANA COSTANTINO

Seduta del 25/07/2019

FATTO

Dopo aver esperito infruttuosamente il reclamo in data 13/02 e 13/06/2018, parte ricorrente in data 25.01.2019, ha proposto ricorso, nel quale rappresenta, nella qualità di titolare di un’attività di ristorazione, di aver stipulato con l’intermediario un’apertura di credito in c/c a tempo indeterminato per l’importo di € 15.000,00. Peraltro, nonostante i rapporti con la filiale siano sempre stati improntati alla correttezza e trasparenza, improvvisamente e senza alcun preavviso, la banca, con la lettera del 04/12/2017, riduceva l’affidamento a € 12.000,00 e introduceva la scadenza del 31/01/2018, così trasformando l’apertura in contratto a tempo determinato. La ricorrente, al fine di provvedere al rientro nel breve termine così inserito dalla banca, è stata quindi costretta ad attivarsi presso altri intermediari e a richiedere un fido di € 5.000,00 e un mutuo chirografario di €10.000,00, con conseguente soggezione a “costi ben più alti per le condizioni repentinamente sottoscritte”. Tra l’altro, espone di essere titolare di 400 azioni emesse dall’intermediario che, a causa della loro illiquidità (non comunicata, in sede di acquisto, da parte della banca), non potevano essere svincolate per rientrare nei nuovi limiti di fido. L’intermediario si è costituito, facendo pervenire le proprie controdeduzioni in data 14/03/2019, nelle quali eccepisce, in via preliminare, l’incompetenza per materia dell’Arbitro con riferimento alla domanda relativa ai titoli azionari. Si tratta infatti di questione attinente ai servizi d’investimento e non alla materia bancaria. Eccepisce poi l’inammissibilità del ricorso per mancanza di reclamo in quanto la ricorrente, nel reclamo, ha contestato “genericamente” la “revoca” dell’affidamento e non invece, come nel ricorso,

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la sua riduzione, trattandosi di questioni affatto diverse. Inoltre, nel reclamo, diversamente che dal ricorso, la ricorrente non ha allegato di essersi dovuta rivolgere ad un terzo intermediario per reperire la provvista necessaria a ripianare il fido, né ha domandato il risarcimento del danno subìto. Inoltre, nel reclamo, la ricorrente asseriva che “a causa della richiesta di rientro da parte della banca è stata costretta a sottoscrivere l’ordine di vendita dei titoli azionari”, mentre nel ricorso contesta l’impossibilità di “utilizzare il controvalore dell’investimento azionario” per ripianare il fido. Nel merito, la resistente precisa di aver ridotto l’affidamento in c/c da € 15.000 a € 12.000 e, di fatto, di non aver richiesto alla ricorrente alcun improvviso “rientro”, considerato che, alla data della riduzione, il fido era utilizzato per € 12.122,66. Sottolinea comunque che la lettera del 4/12/2017 con cui è stata comunicata la riduzione del fido è stata sottoscritta dalla ricorrente per accettazione. Sostiene ad ogni modo che, trattandosi di apertura a tempo indeterminato (“a revoca”), rientrava nei diritti della banca quello di ridurre l’importo messo a disposizione. Con riguardo ai presunti danni subìti dalla ricorrente, eccepisce il mancato assolvimento dell’onere della prova con riferimento al nesso causale e ai danni conseguenza. Ancora, sottolinea che i titoli azionari sono stati acquistati dalla ricorrente previo adempimento da parte dell’intermediario degli obblighi informativi su di esso gravanti. Espone di aver messo a disposizione il relativo prospetto informativo, di aver informato la ricorrente dei principali fattori di rischio (in particolare, quello di illiquidità), così come riportati dalla documentazione informativa (anche disponibile sul sito), la quale risulta essere stata consegnata alla ricorrente, come da lei confermato nella scheda di adesione. In sede di repliche, pervenute in data 03/04/2019, parte ricorrente, con riguardo all’eccezione di incompetenza per materia, sottolinea che la domanda ha per oggetto la violazione di obblighi di informazione e trasparenza e non già servizi di investimento. La questione relativa alle azioni emesse dalla resistente “è sollevata al fine di sottolineare l’illegittimità dell’operato” della stessa banca. Quanto alla mancata corrispondenza tra ricorso e reclamo, rappresenta che nei due reclami del 13/02 e 13/06/2018, sono state esposte tutte le questioni poi sollevate con il ricorso, compresa la domanda risarcitoria, la cui quantificazione è indicata in ricorso in quanto “cristallizza i danni subiti fino al momento della presentazione dello stesso”. Con riferimento all’apertura di credito, ribadisce che l’intermediario non solo ha ridotto parzialmente la disponibilità della ricorrente ma ha previsto unilateralmente la scadenza del 31/01/2018, “trasformando” il rapporto a tempo determinato. In ogni caso, richiama l’orientamento dell’Arbitro per cui il diritto di recesso, anche se insindacabile, deve essere esercitato con modalità conformi alla buona fede. In merito ai danni subìti, specifica che essi sono provati dalla documentazione in atti (in particolare, dai contratti stipulati con il terzo intermediario riportanti “costi ben più alti” di quelli applicati dalla resistente). Rispetto alla richiesta di risarcimento delle “maggiori spese di tenuta conto” e per “i danni subiti a seguito del comportamento illegittimo” da quantificarsi “in via equitativa”, espone che il criterio equitativo “deve essere adottato … ogniqualvolta [il danno] sia certo nella sua esistenza ma non nella sua entità”, come nei casi di “estrema tecnicità”. Ad ogni modo, il danno è provato dalla documentazione riportante le condizioni economiche applicate dal terzo intermediario. Con riferimento alle azioni acquistate dall’intermediario, ribadisce che, nonostante le “rassicurazioni fornite dalla banca sulla pronta liquidabilità delle stesse”, esse sono ancora nella propria disponibilità e non sono vendibili, e continuerebbero tra l’altro a generare costi per la tenuta del dossier titoli. Sostiene che l’intermediario avrebbe rispettato gli obblighi informativi solo “in modo meramente formalistico”, non essendo sufficiente la consegna della documentazione, ma un’attività di informazione specifica e idonea a consentire le valutazioni del caso. Ad esempio evidenzia che la “raccomandazione personalizzata” è del 7/9/2015 ore 15.29, mentre l’ordine di acquisto delle azioni è del 7/9/2015 ore 15.32: in soli

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3 minuti non è possibile che la banca abbia potuto spiegare compiutamente l’entità dell’operazione ed i suoi rischi. In sede di controrepliche, pervenute in data 19/04/2019, l’intermediario resistente ribadisce l’eccezione d’incompetenza per materia dell’Arbitro, attenendo le contestazioni sollevate dalla ricorrente anche alla materia dei servizi di investimento. Ribadisce altresì l’eccezione di inammissibilità per mancanza di reclamo.

Premesso di aver soltanto ridotto parzialmente la disponibilità, riferisce che “sono prive di fondamento le eccezioni … circa la modifica unilaterale da contratto a tempo indeterminato a tempo determinato per aver indicato nella nuova comunicazione fidi la durata (31/10/2018)”: ribadisce che la lettera (atto recettizio) è stata debitamente sottoscritta dalla ricorrente. Inoltre, le decisioni richiamate dalla ricorrente in tema di sindacato del recesso ad nutum non sono conferenti al caso di specie, il quale riguarda la riduzione (e non la revoca) dell’importo messo a disposizione con apertura di credito.

Ribadisce la mancanza di prova con riguardo alla domanda risarcitoria, non essendo tra l’altro sufficiente la produzione dei contratti stipulati con il terzo intermediario a dimostrare l’effettivo esborso dei maggiori costi. Manca comunque il nesso di causalità tra il danno asseritamente subito e la presunta condotta scorretta della banca, atteso che rientra nella mera discrezionalità del cliente l’accensione di nuovi finanziamenti con terzi soggetti, tra l’altro, ben un mese prima rispetto alla scadenza del fido.

DIRITTO

Come desumibile dalla narrativa, parte ricorrente accertata la violazione degli obblighi di

“informazione, diligenza, correttezza e trasparenza nonché della disciplina del preavviso”, chiede di condannare la resistente al pagamento di € 850,00, di cui: € 600,00 a titolo di

“costi del mutuo” ed € 250,00 quali “costi per un anno del fido” stipulati con il terzo intermediario. Chiede poi una “somma da determinarsi in via equitativa giustificata dalle maggiori spese di tenuta conto” presso il terzo intermediario nonché “il risarcimento dei danni subiti a seguito del comportamento illegittimo” della resistente. Chiede infine di ordinare alla banca il “riacquisto delle azioni acquistate dalla ricorrente il 7/9/2015 al valore nominale (€5,00*400 azioni = € 2.000) ovvero, in subordine, al valore di mercato ed in mancanza a rifondere alla ricorrente la somma di € 2.000”. Il resistente chiede il rigetto del ricorso. La questione sottoposta all’attenzione del Collegio ha ad oggetto un contratto di apertura di credito in c/c a tempo indeterminato di cui l’intermediario, in assenza di preavviso, avrebbe ridotto parzialmente la disponibilità accordata al cliente e che, inoltre, sarebbe stato unilateralmente trasformato in apertura di credito a tempo determinato.

Prima di esaminare il merito del ricorso, occorre preliminarmente rilevare, per quanto concerne la qualificazione della ricorrente, che sebbene la stessa nel modulo di ricorso si qualifichi come “consumatore”, rappresenta poi di svolgere un’attività commerciale (in particolare, un’attività di ristorazione). Pertanto, va qualificata come “non consumatore”.

Precisato quanto sopra, si può passare ad analizzare le eccezioni di inammissibilità formulate dall’intermediario resistente, da un lato per incompetenza per materia dell’Arbitro e dall’altro per mancanza del preventivo reclamo. Relativamente alla prima eccezione di incompetenza ratione materiae dell’Arbitro con riferimento alla domanda relativa ai titoli azionari, si richiama quanto statuito dal Collegio di Coordinamento, il quale in proposito ha affermato che occorre valutare se con il ricorso vengano censurate condotte dell’intermediario inerenti al rendimento dell’investimento, anche con riferimento al mancato rispetto della specifica normativa di trasparenza prevista dai regolamenti attuativi del TUF, ovvero condotte inerenti al diligente ottemperamento del rapporto contrattuale in seno al quale si collocano funzionalmente i singoli investimenti. La competenza dell’Arbitro bancario finanziario sussisterebbe solo in tale ultimo caso. In particolare, il Collegio di

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Coordinamento ha affermato che la competenza non sussisterebbe se il deficit di diligenza contestato all’intermediario attiene all’adempimento degli obblighi di informazione relativi a

«scelte di conservazione/liquidazione dell’investimento direttamente da parte del cliente»

(v. decisione n. 6673/2014). Nel caso di specie, viene richiesto il “riacquisto delle azioni acquistate dalla ricorrente il 7/9/2015 al valore nominale (€5,00*400 azioni = € 2.000) ovvero, in subordine, al valore di mercato ed in mancanza a rifondere alla [ricorrente] la somma di € 2.000” a causa della violazione degli obblighi di informazione gravanti sull’intermediario (con particolare riferimento, all’informazione circa il rischio di illiquidità dei titoli). Alla luce di quanto sopra esposto, l’eccezione può dirsi fondata con quel che ne consegue in ordine all’inammissibilità della relativa domanda, atteso che l’operazione contestata appare riconducibile al novero dei servizi di investimento e non a quelli bancari e finanziari, rispetto ai quali, come è noto, ai sensi delle Disposizioni ABF (sez. I, par. 4) e della Deliberazione CICR del 28.7.2008, n. 275, l’Arbitro è competente a conoscere sulle relative controversie; mentre restano “escluse le controversie attinenti ai servizi e alle attività di investimento e alle altre fattispecie non assoggettate al titolo VI del TUB ai sensi dell’articolo 23 comma 4 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58” (cfr., in senso conforme, anche Collegio di Bari, n. 13772 del 31/05/2019). Quanto poi all’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza del preventivo reclamo, giova ricordare che l’art.

4 della del Cicr del 29 luglio 2008, n. 275 e il punto 1, sezione VI, delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari della Banca d’Italia prevedono che «Il ricorso all’ABF è preceduto da un reclamo preventivo all’intermediario. Il reclamo è effettuato secondo le modalità previste dalla disciplina di trasparenza dei servizi bancari e finanziari. l ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo;…» (sez. VI, § 1). Secondo le medesime Disposizioni è previsto, altresì, che per reclamo si deve intendere «ogni atto con cui il cliente, chiaramente identificabile, contesti in forma scritta all’intermediario un suo comportamento o un’omissione» (sez. I, § 3). Dette previsioni vincolano il ricorrente a rendere preventivamente edotto l’intermediario della contestazione sollevata, in modo da offrire la possibilità a quest’ultimo di poter interloquire sul punto e, per questa via, di migliorare i rapporti con la clientela, prevenendo, se del caso, una probabile lite. Per costante orientamento dell’Arbitro, ancorché sia generalmente ammesso che il reclamo non debba essere inteso in senso formale, la ratio sottesa a tale formulazione precettiva si raccorda all’esigenza di prevenire l’insorgere di controversie e di risolvere in codesta fase preliminare le situazioni di potenziale insoddisfazione del cliente, assicurando, per tal via, il contenimento dei rischi legali e di reputazione degli intermediari e l’efficiente funzionamento del sistema di definizione stragiudiziale di situazioni contenziose. Da ciò discende che non solo il ricorso deve essere preceduto da reclamo, ma che vi deve essere simmetria tra l’oggetto del reclamo e quello del ricorso, il quale è ammissibile solo se l’intermediario è stato posto preventivamente a conoscenza della lagnanza del cliente e quindi nella possibilità di risolvere bonariamente la questione insorta (cfr., in tal senso, Collegio di Milano, decisione n. 4800 del 2014, Collegio di Bologna, decisione n. 5235 del 12 maggio 2017, Collegio di Bari, decisioni n. 8352/2018 e n. 14858/2017). Il reclamo costituisce, dunque, condizione di procedibilità ai fini del valido esperimento della procedura ABF e la sua mancanza, integrando l’inesistenza di un presupposto dell’azione, può, tra l’altro, essere rilevata anche d’ufficio dal Collegio (cfr. in questo senso Collegio di Coordinamento n. 5304 del 2013). Pertanto, secondo l’orientamento consolidato dell’ABF, si ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile quando, a prescindere dalla genericità degli addebiti in esso contenuti, manchi del tutto la corrispondenza tra il contenuto del ricorso e quello del preventivo reclamo presentato all’intermediario (cfr., in tal senso, Collegio di Roma, decisioni n. 3522/2017 e 4414/15; Collegio di Bari, decisione

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n. 21129/2018). Con specifico riferimento alla richiesta di risarcimento danni, si rammenta altresì che le stesse Disposizioni ABF, sez. VI, par. 1, in punto di domanda risarcitoria, così dispongono: “il cliente può chiedere nel ricorso il risarcimento del danno anche quando tale richiesta non sia stata formulata nel reclamo, qualora il danno lamentato sia conseguenza immediata e diretta della medesima condotta dell’intermediario segnalata nel reclamo”, con conseguente ammissibilità di un’istanza risarcitoria proposta anche per la prima volta solo in sede di ricorso. Ora, per quanto concerne il caso di specie, nei due reclami proposti dalla ricorrente in data 13/02 e 13/06/2018, sono state esposte tutte le questioni poi sollevate con il ricorso, compresa la domanda risarcitoria. Pertanto, la predetta eccezione risulta infondata e non merita accoglimento. Ritenuto quanto sopra, si può ora passare ad analizzare il merito del ricorso, che, come sopra specificato, ha ad oggetto un contratto di apertura di credito in c/c a tempo indeterminato. Si rammenta in proposito che in generale l’art. 1372 c.c. prevede che “il contratto ha forza di legge tra le parti” e “non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”. Da tale norma discenderebbe che il regolamento contrattuale non può essere modificato ad opera del singolo contraente e che il contratto non può essere sciolto unilateralmente (salvo sia diversamente previsto dalla legge o dalle parti: art. 1373 c.c.).

Secondo una prima prospettiva, in assenza di una disciplina sul punto (come, ad es., in tema di recesso: art. 1373 c.c.), è discusso se lo ius variandi - al di fuori naturalmente delle ipotesi legalmente previste (ad es., in tema di appalto, assicurazione e, in materia bancaria, ai sensi dell’art. 118 TUB) - possa essere previsto convenzionalmente (c.d. ius variandi atipico). Per chi lo ammette, tale diritto potestativo deve essere esercitato in conformità dei canoni di buona fede e correttezza e non deve concretare un abuso del diritto, con conseguente diritto in capo alla controparte, in caso contrario, di chiedere il risarcimento dei danni (o, secondo altra impostazione, sollevare una exceptio doli).

Secondo una diversa prospettiva, si è altresì discusso se, in assenza di disciplina positiva sul punto, sia ammissibile un recesso “parziale”. In alcuni precedenti i Collegi ABF, qualificando la riduzione del fido come tale, hanno applicato gli orientamenti in tema di recesso c.d. “brutale”, affermando, altresì, che anche in ipotesi di recesso per giusta causa, la banca è tenuta ad operare secondo buona fede in conformità all’art. 1375 c.c.

(Collegio di Roma, decisioni nn. 4049/2012 e 284/2010). Orbene, nel caso di specie, si rileva che non è agli atti il contratto di c/c e, pertanto, non è possibile verificare se fosse previsto convenzionalmente il diritto di modifica unilaterale/recesso parziale in capo all’intermediario. Ad ogni buon conto, dalla documentazione in atti sembrerebbe peraltro potersi evincere che non sia intervenuta una modifica unilaterale del contratto (in particolare, della sua durata e dell’importo affidato) né un recesso “parziale”, bensì un accordo (novativo) tra le parti, così come risulta dalla firma per accettazione apposta in calce dalla ricorrente, che non risulterebbe averla disconosciuta. Infatti, nella lettera del 4/12/2017, firmata per accettazione dalla ricorrente e prodotta in atti, è indicato espressamente che la stessa “sostituiva a tutti gli effetti” quella precedente del 05/01/2009. Rebus sic stantibus, ritiene il Collegio che non è ravvisabile nella condotta dell’intermediario alcun inadempimento degli obblighi di buona fede e correttezza e dunque nessun profilo di illiceità, con quel che ne consegue in ordine all’infondatezza della domanda risarcitoria avanzata dalla ricorrente, tra l’altro sfornita di qualsiasi supporto probatorio. Relativamente a quest’ultimo profilo, si osserva ad abundantiam che sono in atti i contratti stipulati con un terzo intermediario - che la ricorrente allega di aver contratto per reperire la provvista necessaria a rientrare dal fido entro la nuova scadenza - ma non la documentazione relativa agli esborsi sostenuti.

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P.Q.M.

Il Collegio dichiara il ricorso in parte inammissibile e in parte non lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.

IL PRESIDENTE

firma 1

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