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COLLEGIO DI BOLOGNA. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa degli intermediari.

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COLLEGIO DI BOLOGNA

composto dai signori:

(BO) MARINARI Presidente

(BO) MARTINO Membro designato dalla Banca d'Italia

(BO) LOMBARDI Membro designato dalla Banca d'Italia

(BO) MERUZZI Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(BO) LAMANDINI Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore ETTORE MARIA LOMBARDI

Seduta del 18/04/2019

FATTO

Con ricorso presentato il 7 dicembre 2018, parte ricorrente ha riferito che, essendo titolare di un’attività di agenzia di viaggi, nel mese di agosto 2018, presso il suo ufficio sono stati effettuati acquisti di biglietti aerei e ferroviari da parte di persone identificate mediante documenti regolari, utilizzando carte di credito poi risultate clonate. Poiché, con lettera del 9 novembre 2018, l’intermediario odierno convenuto ha richiesto il pagamento dell’importo di 12.269,31 euro, corrispondente “al totale dei 10 movimenti contestati”, il ricorrente ha affermato di non avere responsabilità per l’accaduto, avendo effettuato correttamente le operazioni di pagamento e ottenuto l’autorizzazione, evidenziata dagli scontrini POS, oltre a fornire all’intermediario tutti i documenti di vendita, come previsto dai contratti di acquiring. Il ricorrente ha così richiesto di “chiudere la posizione debitoria” verso l’intermediario “respingendo la richiesta di bonifico di 12.269,31 euro”, in quanto l’esercente non ha responsabilità dell’accaduto avendo effettuato correttamente le operazioni di pagamento e ottenuto l’autorizzazione, come evidenziato dagli scontrini POS.

La parte resistente ha affermato che nei giorni 7, 8 e 9 agosto 2018, sono state portate a termine, nell’agenzia di viaggi della società ricorrente, quattordici transazioni con cinque carte e che tutte le operazioni sono state concluse con la digitazione manuale dei numeri delle carte di credito sulla tastiera del terminale POS, da parte di due persone che hanno

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dichiarato di essere i collaboratori del titolare delle carte di credito. Benché i pagamenti abbiano fatto scattare degli alert nei sistemi di sicurezza e i suoi operatori abbiano contattato la società esercente il 9 agosto 2018, informandola della natura sospetta delle operazioni, invitandola a non accettare ulteriori pagamenti da parte di quelle persone e chiedendole l’autorizzazione allo storno delle operazioni effettuate, l’esercente non ha acconsentito allo storno, in quanto tutti i biglietti acquistati erano stati già utilizzati. Poiché i legittimi titolari delle carte hanno nel frattempo contestato le operazioni e l’intermediario ha dovuto rimborsare la società emittente delle carte per l’intero importo, l’odierna ricorrente ha respinto ogni tentativo di richiedere il rimborso, costringendo l’intermediario ad aprire una posizione debitoria e a richiedere, in data 9 novembre 2018, una sistemazione contabile. Il resistente ha evidenziato, quindi, che l’esercente ha agito senza rispettare quanto prescritto dai regolamenti sottoscritti all’atto della convenzione con l’intermediario, accettando delle carte in maniera negligente ed eseguendo le operazioni in modo non corretto. Più in particolare, nel caso di specie, non si è realizzata una vendita a distanza, perché due persone si sono presentate personalmente negli uffici dell’agenzia ed hanno effettuato gli acquisti, di modo che le carte avrebbero dovuto essere passate nel POS per la lettura, mentre il personale dell’agenzia ha proceduto con l’inserimento manuale dei dati che gli acquirenti conservavano sui loro telefonini, evitando i controlli che la lettura della carta fisica avrebbe consentito. L’esercente ha sostenuto, a propria difesa, che il presunto titolare della carta avrebbe mandato il proprio documento via e-mail, ma questo assunto è privo di rilievo, in quanto il documento può essere utilizzato per verificare i dati riportati sulla carta, cosa non possibile, nel presente caso, perché quest’ultima non era stata esibita. Il resistente ha evidenziato, quindi, che la società ricorrente non ha sollevato obiezioni sul fatto che due persone volessero fare acquisti con le carte di un terzo soggetto, mentre un esercizio commerciale deve necessariamente sapere che le carte di credito sono personali e in nessun modo cedibili a terzi; che non ha avuto dubbi in merito al fatto che le operazioni venissero fatte su carte emesse tutte a nome della stessa persona, e che gli acquisti avessero importi elevati e fossero stati effettuati tutti nell’arco di tre giorni; che non ha avvertito la necessità di approfondire la situazione, e non ha tenuto in debito conto la comunicazione del 9 agosto 2018 con cui gli esperti del sistema di sicurezza l’hanno avvertita dell’anomalia della situazione che si era venuta a creare.

Nelle repliche, parte ricorrente ha affermato che non ha potuto autorizzare alcuno storno o rimborso, perché le regole di emissione di biglietteria aerea e ferroviaria non glielo consentivano; che non appena contattata dall’intermediario, il 9 agosto 2018, si è allarmata ed ha negato altre operazioni richieste, e che il terminale POS ha regolarmente stampato gli scontrini relativi alle operazioni contestate. La parte resistente ha così richiesto di respingere il ricorso.

DIRITTO

Parte ricorrente ha chiesto al Collegio il ritiro della richiesta di rimborso da parte dell’intermediario convenuto, e, nel Modulo allegato “di chiudere la posizione debitoria”

verso quest’ultimo “respingendo la richiesta di bonifico di 12.269,31 euro”.

Sebbene a un primo sguardo, tale domanda appaia rivolta a ottenere dall’ABF una pronuncia di condanna della parte convenuta a un facere infungibile, che, come noto, risulta preclusa al Collegio alla stregua delle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” che circoscrivono la competenza dell’ABF alle questioni “aventi ad oggetto l’accertamento di

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diritti, obblighi e facoltà” (Sez. I, § 4) (cfr. ad es. Collegio di Bologna, n. 24908 del 2018;

Collegio di Bologna, n. 5237 del 2017 e Collegio di Roma, n. 453 del 2018), a una più attenta valutazione, le doglianze della parte ricorrente riguardano la legittimità della procedura di chargeback effettuata dall’intermediario convenuto (in qualità di acquirer), quale modalità attraverso cui vengono gestiti i movimenti soggetti a contestazioni da parte dei titolari di carte di credito nei circuiti internazionali di carte di pagamento.

Come noto, la procedura tecnica di chargeback, che interessa due parti, ovvero l’issuer (banca emittente) e l’acquirer (banca dell’esercente), fa sì che quando il primo inizi la relativa procedura, la richiesta viene trasmessa elettronicamente al secondo che la esamina e chiede all’esercente di fornire la documentazione relativa alle transazioni contestate. La richiesta e l’esame di tale documentazione è necessaria al fine di assicurare una diligente trattazione della contestazione, ed evitare così che l’esercente (su cui pur grava, in base alle condizioni contrattuali previste dal sistema di pagamento, il rischio ultimo) si veda arbitrariamente stornati pagamenti riferiti a vendite correttamente adempiute, sulla base di comportamenti in ipotesi anche solo pretestuosi da parte del cliente finale o di condotte negligenti da parte delle banche interessate dall’operazione (cfr., sul punto, Collegio di Bologna, n. 4241 del 2019).

Sulla base della documentazione allegata, risulta che, nel caso di specie, la società ricorrente (esercente) ha affermato di aver effettuato correttamente le operazioni di pagamento e di averne ottenuto l’autorizzazione, evidenziata dagli scontrini POS (due dei quali allegati al ricorso), oltre ad aver fornito all’intermediario tutti i documenti di vendita, come previsto dai “contratti di acquiring”. A quest’ultimo riguardo, più in particolare, la ricorrente ha prodotto copia della corrispondenza intercorsa con l’intermediario, datata 30 agosto 2018, nella quale precisa che “il pagamento è avvenuto con la comunicazione di numeri di carte di credito che [i soggetti presentatisi nei locali dell’agenzia] avevano salvato sul loro cellulare che hanno dichiarato essere di proprietà del loro titolare”.

La legittimità di una siffatta modalità di verifica ed accettazione del pagamento da parte dell’esercente deve essere letta nella prospettiva del Regolamento esercenti sottoscritto dalla ricorrente e allegato alle controdeduzioni. A riguardo risulta, per un verso, che l’intermediario convenuto abbia la facoltà, in caso di “contestazione relativa ad una transazione non autorizzata” di “riaddebitare il Conto Corrente dell’Esercente per l’importo relativo alla transazione (…) fatti salvi i casi di dolo o colpa grave [dell’Intermediario]

nell’adempimento degli obblighi di cui al Contratto” (art. 8.3), e, per l’altro, che “la Carta deve essere accettata dall’Esercente, presso tutti i punti vendita convenzionati con la Società (…) a condizione che: (…) non venga presentata da persona diversa dal Titolare, la cui firma (se prevista), e il cui nome e cognome (solo per i prodotti che lo prevedono) risultano dalla Carta stessa” (art. 31 lett. f).

In merito a quest’ultimo profilo, come conferma la corrispondenza prodotta in atti, risulta che le operazioni contestate sono state effettuate mediante inserimento manuale dei dati della carta nel POS da parte dei dipendenti dell’esercente previa esibizione dei soli numeri di carta, conservati sui telefonini degli acquirenti.

Si deve, pertanto, dubitare della legittimità della procedura di charge back effettuata, in quanto il comportamento della società ricorrente non sarebbe stato conforme a quanto previsto dal «Regolamento Esercenti» e quindi allo strumento che, secondo la giurisprudenza costante dell’ABF, deve essere considerato per valutare la legittimità di una siffatta operazione, in quanto integrante il regolamento contrattuale che disciplina il rapporto in essere tra le parti e che contiene “le regole dell’allocazione del rischio in caso di disconoscimento dell’operazione” (cfr. Collegio di Bologna, n. 13915 del 2018 e

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Collegio di Roma, n. 3108 del 2015, n. 7027 del 2015 e n. 6065 del 2017).

Il personale dell’agenzia ha, in effetti, proceduto con l’inserimento manuale dei dati delle carte, evitando così i controlli che l’inserzione fisica dello strumento di pagamento nel POS avrebbe consentito.

Si aggiunga che la ricorrente non ha sollevato alcuna obiezione né sulla circostanza che due persone volessero effettuare acquisti con le carte di un terzo soggetto (dei quali i due acquirenti sarebbero stati “collaboratori”), né sulla circostanza che le operazioni fossero state condotte su carte emesse tutte a nome della stessa persona e per importi elevati.

In termini più in generali, risulta, allora, che il ricorrente non abbia ottemperato agli obblighi di diligenza e di prudenza che su di lui gravano in qualità di esercente, non risultando agli atti che si sia premurato per verificare che gli acquirenti fossero i legittimi titolari delle carte di credito utilizzate per i pagamenti, pur nella palese anomalia delle modalità cui avevano fatto ricorso per comunicare i dati delle carte impiegate per i pagamenti (dati contenuti sui telefonini con conseguente loro inserimento manuale nel POS).

Alla luce di quanto tracciato, si ricava che la condotta dell’esercente ricorrente si ponga in chiaro contrasto tanto con il suindicato art. 31, lett. f) del contratto che vieta di accettare carte presentate da persone diverse dai rispettivi titolari, quanto con gli obblighi di comportamento diligente e prudente gravanti sull’Esercente stesso e condizionanti il suo operato.

A fronte del contegno sicuramente non diligente e prudente tenuto dal ricorrente, si ravvisa una condotta dell’intermediario difficilmente riconducibile al dolo o alla colpa grave, il che consente di superare anche la previsione di nullità della clausola di chargeback ex art. 1229 c.c., che ricorrerebbe, secondo il costante orientamento dell’ABF, quando quest’ultima si traduca nell’esenzione totale e preventiva di qualsivoglia responsabilità dell’intermediario, anche in presenza di una sua grave colpa, nell’esecuzione della prestazione del servizio di pagamento (cfr. Collegio di Coordinamento, n. 3299 del 2012).

Il resistente, in effetti, si è attenuto alle regole di correttezza che si evincono dallo stesso corpo contrattuale, poiché ha immediatamente avvisato parte ricorrente della natura sospetta delle transazioni, chiedendole la documentazione relativa e diffidandola dall’effettuare nuovi pagamenti e dall’accettare ulteriori carte di pagamento dal medesimo soggetto (comunicazione del 9 agosto 2018). Si aggiunga, poi, che parte resistente, in allegato alle controdeduzioni, ha prodotto i moduli di reclamo dei titolari delle carte per ciascuna operazione, da cui si evince la difformità tra la loro identità e quella degli acquirenti, evidenziando ancor più il contegno non diligente tenuto dal ricorrente.

Da quanto precede, si ricava, allora, che nel caso di specie la ricorrente non abbia correttamente rispettato le procedure contrattuali previste nel “Regolamento esercenti” per l’accettazione dello strumento di pagamento. Sulla base delle evidenze istruttorie trova, infatti, conferma dagli scontrini la circostanza dell’inserimento manuale del codice della carta, oltre a risultare effettuati diversi pagamenti di notevole importo e frazionati in sufficientemente rapida successione (cfr. Collegio di Napoli n. 25683 del 2018). Si aggiunga, infine, che il nominativo indicato sulle carte utilizzate per effettuare il pagamento delle prenotazioni presso il ricorrente non risulta coincidere con quello dei soggetti che le hanno effettivamente poste in essere.

Tanto considerato, il Collegio ritiene che il comportamento della ricorrente non sia stato conforme a quanto previsto dal regolamento contrattuale non avendo ottemperato agli

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obblighi di diligenza e di prudenza ivi contemplati.

PER QUESTI MOTIVI Il Collegio non accoglie il ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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