• Non ci sono risultati.

INDICE SOMMARIO CAPITOLO I. Profilo giuridico per l inquadramento del concetto di controllo congiunto.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "INDICE SOMMARIO CAPITOLO I. Profilo giuridico per l inquadramento del concetto di controllo congiunto."

Copied!
159
0
0

Testo completo

(1)

INDICE – SOMMARIO

I N T R O D U Z I O N E

CAPITOLO I

Profilo giuridico per l’inquadramento del concetto di

“controllo congiunto”.

1. Un dibattito sempre aperto

2. La nozione di controllo: «concetto» o «tipo»?

2.1. Una definizione «aperta»

2.2. Controllo di diritto, di fatto e contrattuale

2.3. La nozione di controllo a livello internazionale (cenni)

(2)

3. l controllo congiunto nel «tipo» controllo.

3.1. Generalità

3.2. Definizione: tra controllo solitario e non controllo 3.3. Ammissibilità del “controllo congiunto”

4. Riferimenti normativi: le fonti del “controllo congiunto”.

4.1. Il silenzio dell’art. 2359 cod. civ. e il legame con la legislazione speciale: la specialità reciproca

4.2. Il sorgere del problema: l’art. 4 della l. 416/81 4.3. Le altre fonti fino all’art. 37 del D. Lgs. 127/91

5. I sindacati di voto: quando esiste “controllo congiunto”.

5.1. L’inquadramento del controllo congiunto da sindacato 5.2. Sindacato di controllo e controllo da sindacato

5.3. Categorie e tipologie di patti sindacali

5.4. Una chiave di lettura: influenza dominante e influenza

determinante 5.5. Esiste una disciplina applicabile?

(3)

CAPITOLO II

La Joint Venture come fattispecie più diffusa di “controllo congiunto”.

1. L’istituto della joint venture.

1.1. Generalità

1.2. Una precisazione terminologica

1.3. Dalle definizioni di joint venture ad una classificazione organica 1.4. La natura della collaborazione: joint ventures cooperative e

concentrative 1.5. La joint venture nei principi contabili nazionali e

internazionali (cenni e rinvio)

1.6. Joint venture e “controllo congiunto”

2. Motivazioni alla base della costituzione di una joint venture.

2.1. Panoramica

2.2. Vantaggi e svantaggi

3. La costituzione di una joint venture.

3.1. L’ideazione : l’analisi costi/benefici 3.2. La scelta del partner

3.3. La definizione delle regole del gioco: il contratto di joint venture

(4)

4. Le fasi di sviluppo: il Joint Venture Management.

4.1. Un sistema organizzativo peculiare

4.2. Il CDA e l’articolazione del management 4.3. Sistemi di controllo della joint venture

CAPITOLO III

Il consolidamento delle partecipazioni a “controllo congiunto”:

il metodo Proporzionale.

1. Introduzione.

2. Le joint ventures nell’ottica delle finalità del Bilancio Consolidato.

2.1. Le finalità del Bilancio Consolidato

2.2. «Controllo legale» e «controllo economico»

3. Le scelte legislative in Italia.

3.1. La posizione dell’impresa congiunta nell’area di consolidamento 3.2. La scelta del metodo proporzionale

4. Le joint ventures nei principi contabili.

4.1. Classificazione ai fini contabili

4.2. Il trattamento contabile dell’ente sottoposto a controllo congiunto

(5)

5. Il consolidamento proporzionale.

5.1. La teoria della proprietà (Proprietary theory) 5.2. Procedimento di consolidamento proporzionale 5.3. Le operazioni infragruppo

5.4. Limiti quantitativi e metodo alternativo 5.5. La continuità dei criteri di valutazione 5.6. Indicazioni in Nota Integrativa

5.7. Riepilogo

APPENDICE AL CAPITOLO III

! Esempio di preparazione del bilancio consolidato utilizzando il metodo proporzionale.

B I B L I O G R A F I A

NOTA REDAZIONALE

La presente tesi si compone di 159 pagine

(6)

I N T R O D U Z I O N E

Le partecipazioni a “controllo congiunto” rappresentano un argomento di difficile interpretazione. Esse sono spesso state trascurate sia dagli studiosi, sia dal legislatore stesso, il quale non ne ha mai individuato né una definizione precisa, né una disciplina adeguata.

Il risultato è una quasi totale mancanza di punti di riferimento, soprattutto nell’individuare i casi in cui ricorra il presupposto del “controllo congiunto”.

Questi fattori hanno reso ardua la nostra ricerca. L’obiettivo è stato quello di individuare un percorso logico che possa creare una linea di congiunzione fra i pochi punti fermi della disciplina e l’interpretazione di tutto quanto possa risultare poco chiaro al lettore che si imbatte per la prima volta nell’argomento.

La scintilla che ha avviato questa ricerca è stata l’unico riferimento di legge abbastanza chiaro, soprattutto nell’individuare un’applicazione legata alla ricorrenza del presupposto del “controllo congiunto”; è l’art. 37 del Decreto Legislativo n. 127/91, che disciplina il metodo proporzionale di consolidamento per le partecipazioni in joint ventures.

(7)

Anche quest’ultimo è, però, abbastanza carente dal punto di vista della definizione di “controllo congiunto”.

Per riuscire a capire quale rilevanza si possa attribuire al concetto oggetto della nostra trattazione, abbiamo fatto riferimento a piccole menzioni, nell’ambito soprattutto della legislazione speciale, cercando di estrapolare un concetto di “controllo congiunto” che possa essere collocato nell’ambito della

«tipologia» generale facente capo alla definizione di “controllo” contenuta nell’art. 2359 cod civ.

Le conclusioni cui si perviene non sono mai univoche, soprattutto perché esiste un vivace dibattito tra sostenitori della tesi che il “controllo congiunto” sia, a pieno titolo, sullo stesso piano del “controllo” ex. art. 2359 cod. civ. (anche se da questo non esplicitamente richiamato); e chi invece sostiene, all’opposto, che non esista “controllo congiunto”, poiché nel momento in cui si parla di “controllo”, questo non può altro che essere solitario.

Molte sono le figure che possono trovare il proprio fondamento in una gestione a “controllo congiunto”, ma quella che sicuramente ne rappresenta la forma di emersione più concreta è la joint venture.

È questo uno strumento cui è stata data poca fiducia in Italia, ma che va diventando una forma di alleanza sempre più utilizzato, soprattutto con fini di espansione internazionale.

(8)

La joint venture è rappresentata, giuridicamente, da un contratto atipico, aperto quindi alla libera contrattazione delle parti su qualsiasi punto dell’accordo che si vuole stipulare.

Dopo una presentazione a scopo classificatorio, l’analisi del joint venture management si propone di dimostrare come, a volte, si possano verificare delle situazioni in cui, per ragioni puramente economiche (al di là della percentuale partecipativa detenuta dai partners) si possa riconoscere influenza dominante in testa a più di un soggetto contemporaneamente.

Spesso si sottovaluta, infatti, che i meccanismi di gestione congiunta possono nascondere degli interessi che vanno ben al di là degli equilibri espressi dal livello di partecipazione azionaria detenuto dai singoli partners. Questo aspetto non deve essere sottovalutato nel momento in cui bisogna dare, alle partecipazioni in esame, un’adeguata rappresentazione in bilancio.

Affinché l’informazione contabile sia chiara, completa e corretta, non si può omettere di riflettere in bilancio informazioni di questa importanza.

Fortunatamente, nel momento in cui bisogna rappresentare in bilancio una partecipazione in joint venture, si trova finalmente un riferimento legislativo chiaro.

Nella rappresentazione delle partecipazioni a controllo congiunto nel bilancio consolidato si può (la legge ammette, quindi, una facoltà di consolidamento) procedere al consolidamento secondo il metodo proporzionale.

(9)

La legge sembra, dunque, arrivare alla conclusione che il “controllo congiunto” debba sì essere riflesso in bilancio, posto, però, su un piano applicativo differente rispetto al “controllo” solitario. Non si può applicare il metodo previsto nel caso di partecipazione di “controllo”, bensì un metodo differente che possa mettere in evidenza le finalità che si vogliono raggiungere tramite la detenzione di una partecipazione che comporti una gestione congiunta.

Molti i dubbi sulla disciplina di consolidamento prevista per la nostra impresa congiunta. Il consolidamento proporzionale, garantisce un’informazione adeguata riguardo ad una partecipazione in joint venture? È sufficiente prevedere una mera facoltà di consolidamento proporzionale o sarebbe più opportuna una previsione obbligatoria al pari della disciplina francese? O, ancora, non esistono forse dei casi in cui, per l’importanza di determinate partecipazioni, anche se a “controllo congiunto”, il consolidamento proporzionale non sia comunque in grado di garantire il raggiungimento degli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere con la redazione del consolidato?

(10)

CAPITOLO I

Profilo giuridico per l’inquadramento del concetto di

“controllo congiunto”.

1. Un dibattito sempre aperto.

Il concetto di “controllo congiunto” è sempre stato oggetto di animate discussioni. Alcune correnti di pensiero hanno persino messo in dubbio l’ammissibilità del concetto stesso. Il prolungato silenzio del legislatore ha accentuato la gravità del problema ed i riferimenti sparsi, poco chiari, tra loro non correlati, hanno inasprito il dibattito che non sembra ancora aver raggiunto un accordo su una posizione universalmente accettata.

Ormai indubbia è invece la rilevanza del problema che, prima trascurato perché povero di applicazioni pratiche, è stato ormai portato alla ribalta soprattutto a livello internazionale.

La grande diffusione raggiunta dallo strumento della joint venture, che del “controllo congiunto” rappresenta forse la forma di emersione più concreta, ha fatto sì che non si potesse più sottovalutare la questione.

(11)

Lo IASC ha infatti redatto un documento, lo IAS n. 311, che ha disciplinato il trattamento contabile delle joint ventures, quasi consacrandone la rilevanza.

Non sempre però gli indirizzi legislativi internazionali sono recepiti in maniera tempestiva in Italia. Per questo gli specifici riferimenti al “controllo congiunto” nella legislazione nazionale restano davvero scarni.

Comunque, prima di entrare nel pieno della discussione, cerchiamo di mettere un po’ d’ordine e di individuare una sistemazione teorica per il concetto in esame. Passaggio obbligato per giungere ad una lettura più chiara della nozione di “controllo congiunto” sembra essere un’introduzione del concetto di

“controllo”.

Essendo il “controllo congiunto” fattispecie particolare, infatti, della categoria generale del “controllo”, diventa indispensabile capire quale sia la base di partenza delle nostre argomentazioni.

1 Cfr. IAS n. 31 – Financial reporting of interests in joint ventures – IASC.

(12)

2. La nozione di controllo: concetto o «tipo»?

2.1. Una definizione «aperta».

Nella VII Direttiva Comunitaria, nella legge italiana di attuazione e nella legislazione speciale italiana, la nozione di “controllo” assume una rilevanza particolare soprattutto con finalità di applicazione della disciplina riguardante il gruppo societario.

Poiché non esiste nel nostro Paese, al contrario di quanto avviene in altre realtà europee (come la Germania), una disciplina organica del gruppo societario2, allo stesso modo non esiste una definizione univoca di “controllo”3.

Gli interpreti spaziano da una definizione più ampia comprendente controllo solitario e congiunto, controllo di diritto e di fatto, interno ed esterno a definizioni che limitano l’area di rilevanza ad una singola tipologia.

2 La normativa civilistica riguardante la redazione del bilancio consolidato si riduce praticamente a quella contenuta nel D.Lgs. 127/91, integrata dalla legislazione speciale in materia di gruppi creditizi e finanziari (D.Lgs.

87/92) e in materia di gruppi assicurativi (D.Lgs. 173/97).

3 Un elenco dei provvedimenti più importanti contenenti una definizione speciale di controllo, mette in evidenza come le definizioni di controllo siano ormai più di venti. A proporre definizioni, con continui cambi di rotta, possiamo individuare:

art.1, comma 8 e art.4 della l. 416/81 sull’editoria; art.3 l. 67/87(novella alla disciplina dell’editoria); art. 37 l.

223/90; la 287/90 (normativa antitrust) con addirittura due definizioni differenti nello stesso documento, all’art. 7 e all’art. 27; art. 26 del D.lgs. 356/90 (sul gruppo creditizio); e sono questi solo alcuni dei provvedimenti recanti una definizione di controllo.

(13)

Il riferimento principale per giungere ad una definizione di “controllo” è l’art. 2359 del codice civile che individua le società da considerarsi controllate e collegate4.

Facile immaginare che non immediata sia l’individuazione di un concetto unitario di controllo, una definizione che possa essere considerata

«chiusa».

La grande quantità di definizioni, per lo più frutto delle necessità contingenti (spesso addirittura contrastanti tra loro5!), ha dato vita, infatti, ad un quadro poco preciso della situazione. Questo conduce alla facile conclusione che il “controllo” debba essere considerato «una nozione c.d. relazionale e non di applicazione ed operatività generali6».

Da un certo punto di vista, effettivamente, il concetto di “controllo”

risulta essere troppo vasto per poter essere racchiuso all’interno di un articolo

4 Art. 2359 c.c., Società controllate e società collegate.

Sono considerate società controllate:

1. le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;

2. le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

3. le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell’applicazione dei nn. 1 e 2 del 1° comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto terzi.

Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole.

L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.

5 Vi sono casi in cui persino nell’ambito della stessa legge vengono utilizzate definizioni del rapporto di controllo diverse tra loro, come si riscontra negli artt. 7 e 27 della legge n.287/90, sulla tutela della concorrenza e del mercato.

6 L. A. BIANCHI, La nuova definizione di società “controllate” e “collegate”, in La nuova disciplina dei bilanci di società (commento al D.Lgs. 9 aprile 1991 n. 127), a cura di Mario Bussolotti, Giappichelli, Editore, Torino 1995, pag. 2.

(14)

del codice civile; troppo vasto, comunque, per poterne individuare una definizione in qualche modo unitaria di applicazione universale. D’altro canto, accettare una tale «babele di linguaggi»7 vorrebbe dire, però, lasciare spazio alle necessità di interessi particolari, magari momentanei.

Nel cercare di mettere un po’ d’ordine in questo gran proliferare di definizioni, difficile sembra l’elaborazione di un «concetto» di controllo (che comporterebbe l’individuazione di una definizione “chiusa”)8, mentre più opportuna sembra la riconduzione delle caratteristiche essenziali della nozione stessa entro un «tipo»9 (che, invece, permette di elaborare una definizione

“aperta”). Cercheremo, quindi, di individuare un tratto caratteristico in presenza del quale un soggetto economico può essere considerato in posizione di

“controllo”.

7 MARCHETTI P., Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Rivista delle Società, Milano 1992, pag.12.

8 La nozione di controllo come «tipo» è stata delineata da LAMANDINI M., Il «controllo». Nozioni e «tipo»

nella legislazione economica, Giuffrè, Milano 1995. L’interpretazione dell’autore, a nostro avviso, è molto utile soprattutto dal punto di vista pratico, poiché riesce a dare subito uno spunto per una percezione chiara del

fenomeno del controllo societario. Questa impostazione, però, è stata duramente criticata da SPOLIDORO M. S., Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, in Rivista delle società, Milano 1995, il quale ritiene che «non è contestabile che il controllo, visto come fenomeno generale e generico, possa essere descritto come

«tipo», anziché come un «concetto» (vedi nota n. 9). Occorre però chiedersi se questa descrizione sia (…) legittima (…). Si deve (invece) dubitare che del fenomeno tipologico si possa far uso per orientare a priori, sulla base di un’intuizione soggettiva del fenomeno, l’interpretazione di una definizione legale. Semmai è partendo dalle definizioni che si può cercare, al di là delle stesse, un «tipo» che le abbraccia; è invece un errore metodologico (…) prefigurare il tipo e adattare ad esso la lettura delle norme definitorie».

9 Per G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, in AA.VV., Tipicità e atipicità nei contratti, p. 32, «mentre il concetto si elabora mettendo in evidenza gli elementi comuni a tutti gli individui del gruppo, ed è quindi una somma di elementi caratteristici tutti necessari, il tipo si elabora individuando i dati caratteristici in funzione di un quadro complessivo che si coglie mediante un’intuizione globale: sicché non è necessario che tutti i dati siano presenti in tutti gli individui del gruppo». Per LAMANDINI M., Il «controllo». Nozioni e «tipo» nella legislazione economica, Giuffrè, Milano 1995 «l’appartenenza di determinate fattispecie al “tipo” si realizza in virtù della ricorrenza di un tratto qualificante comune che costituisce il comune denominatore di tali fattispecie».

(15)

Da una lettura delle norme contenenti riferimenti alla nozione di

“controllo” (e principalmente da una lettura dell’art. 2359 cod. civ.), immediata è la conclusione. Il tratto qualificante per eccellenza sembra essere la possibilità, per l’impresa che si assume controllante, di esercitare un’influenza dominante10 sull’attività e sulle decisioni dell’impresa che si assume controllata.

Ma come capire se esiste influenza dominante? È sufficiente un’influenza dominante potenziale? O deve essere effettiva? Per rispondere a questi quesiti ci può essere d’aiuto l’individuazione delle tipologie di controllo contenute nel testo del art. 2359 del codice civile.

10 Dubbio è se si possa parlare alternativamente di influenza dominante o determinante. Dell’idea che i due termini siano alternativi sembra l’art.. 7 della l. n. 287/90 quando precisa che «ai fini del presente titolo si ha controllo nei casi contemplati dall’art. 2359 del codice civile ed inoltre in presenza di diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare un’influenza determinante sull’impresa […]». Il termine determinante sarebbe dunque utilizzato senza una precisa finalità Per un’analisi delle diverse posizioni cfr. M. LAMANDINI, Il «controllo».

Nozioni e «tipo» nella legislazione economica, Milano 1995. In particolare, favorevoli ad una distinzione fra influenza dominante e influenza determinante, DONATIVI V., I confini del «controllo congiunto», in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1996; GHEZZI F., Le nozioni di concentrazione e di impresa comune negli orientamenti della Commissione CEE, in Rivista delle società, Miilano 1995; vedi anche infra, par. 5.3., par. 5.4., Cap. I, dove sarà presa in esame la possibilità che i due termini siano utilizzati con significati diversi.

(16)

2.2. Controllo di diritto, di fatto e contrattuale.

I numeri 1, 2 e 3 del primo comma del 2359 cod. civ. vogliono praticamente individuare le nozioni di controllo di diritto (diretto e indiretto), controllo di fatto e controllo contrattuale. A seconda del tipo di controllo, per verificarne la sussistenza, sarà necessario individuare una accezione diversa di influenza dominante11. Il 2359 è integrato dall’art. 26 del D.Lgs. 127/91, il quale va a completare la nozione di controllo con il fine principale dell’individuazione delle imprese da considerarsi controllate ed essere quindi inserite nell’area di consolidamento.

Una società detiene su di un’altra il controllo di diritto quando dispone della maggioranza dei voti che possono essere esercitati nell’assemblea ordinaria.

Il controllo di diritto può essere diretto o indiretto a seconda che la società detenga il controllo direttamente o tramite controllate, società fiduciarie e persone interposte. In questa ipotesi l’influenza dominante si presume, ma potrebbe anche non esserci in concreto. Esiste una situazione di controllo, quindi, salvo prova contraria12.

11Per le definizioni di controllo di diritto, di fatto e contrattuale cfr. CARATOZZOLO M., Il bilancio consolidato di gruppo – Profili economici e giuridici, Giuffrè, Milano 2002.

12L’uso delle presunzioni, e quindi dell’influenza dominante potenziale, è dovuto al fatto che sia praticamente impossibile accertare su base prognostica se esista influenza effettiva. Cfr. LAMANDINI M., Appunti in materia di controllo congiunto, in Giurisprudenza commerciale, Milano 1993.

(17)

Il controllo di fatto si esercita con la disponibilità, diretta o indiretta, di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria di un’altra società. Per particolari situazioni contingenti quindi, anche una partecipazione minoritaria potrebbe essere sufficiente ad assicurare un controllo di fatto. L’importante è che questa partecipazione sia in grado di assicurare la maggioranza nelle deliberazioni assembleari13 in maniera duratura nel tempo. Si dice pertanto che l’influenza dominante sia, in questo caso, potenziale14.

La situazione di controllo contrattuale si presenta nel momento in cui si è in grado di influire in modo decisivo (l’influenza dominante deve, in questo caso, necessariamente essere effettiva) sulla controllata, non in virtù della disponibilità di voti assembleari, bensì in virtù di vincoli contrattuali che consentano di partecipare in maniera decisiva alla gestione della stessa.

Sempre di influenza dominante si parla anche nell’art. 26 del D.Lgs.

127/91 (Imprese controllate).15

13 Si pensi, come cause possibili, ad un capitale molto frazionato, all’assenteismo di molti soci, che permette di avere una maggioranza assembleare con percentuali di partecipazione ben al di sotto del 50%+1.

14 Esiste un dibattito dottrinale che contrappone due correnti di pensiero diverse circa l’influenza dominante in riferimento all’ art. 2359, n. 2, cod. civ.: parte autorevole ritiene sufficiente parlare di influenza dominante potenziale, ma c’è chi ritiene che sia necessaria un’influenza dominante effettiva. Cfr. CARATOZZOLO M., Il bilancio consolidato di gruppo – Profili economici e giuridici, Giuffrè, Milano 2002.

15 D.Lgs. 127/91, art. 26. (Imprese controllate). - 1. Agli effetti dell’art.25 sono considerate imprese controllate quelle indicate nei numeri 1) e 2) del primo comma dell’art. 2359 del codice civile.

2. Agli stessi effetti sono in ogni caso considerate controllate:

a) le imprese su cui un’altra ha il diritto, in virtù di un contratto o una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole;

b) le imprese in cui un’altra, in base ad accordi con altri soci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto.

3. Ai fini dell’applicazione del comma precedente si considerano anche i diritti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persone interposte; non si considerano quelli spettanti per conto terzi.

(18)

È proprio l’influenza dominante, quindi, a rappresentare il tratto qualificante del «tipo». Essa deve essere intesa comunque in maniera elastica affinché sia suscettibile di applicazioni differenti.

Superfluo sarebbe, in questa sede, addentrarsi in discussioni circa la portata del 2359 cod. civ. basandosi sull’evoluzione dell’articolo stesso nel corso del tempo16. Riteniamo sufficiente fare notare che l’articolo 2359 del codice civile vuole tipizzare alcune categorie ordinanti di carattere generale.

Lascerebbe ampio spazio quindi ad altre nozioni di controllo presenti nell’ordinamento.

È difficile pensare, infatti, che il legislatore volesse individuare in maniera esatta e definitiva, nelle condizioni di continua variabilità economica odierna, una figura così instabile come quella del “controllo”.

Indispensabile è quindi l’individuazione di un carattere accomunante (possibilità di esercitare influenza dominante sulla controllata) le varie definizioni, per creare una linea di congiunzione fra le stesse, e per disegnare un percorso da seguire nell’esplorazione del concetto di “controllo”.

16 Per un analisi del percorso menzionato cfr. LAMANDINI M., Il «controllo». Nozioni e «tipo» nella legislazione economica, Giuffrè, Milano 1995.

(19)

2.3. La nozione di controllo a livello internazionale (cenni).

Il riferimento internazionale principale è, ovviamente, lo IASC. Lo IAS n.27 (Consolidated financial statements and accounting for investments in subsidiaries), nel disciplinare l’area di consolidamento, indica, quali forme di controllo, ipotesi analoghe a quelle previste dall’art. 2359 cod. civ.

Ma, ai fini del nostro studio, crediamo sia importante segnalare un Exposure Draft emanato dal FASB17, che, in merito alla nozione di controllo, stabilisce che esso presenta due fondamentali caratteristiche per la controllante:

a. la capacità autonoma (ossia non condivisa con altri soggetti) di dirigere la gestione della controllata;

b. l’abilità di usare tale potere per incrementare i benefici economici che ad essa derivano e limitare le perdite che essa deve sostenere in conseguenza della gestione della controllata.

La precisazione di cui al punto a. mette in risalto un aspetto molto interessante ai fini della discussione sul “controllo congiunto”. Sembra, infatti, voler escludere la possibilità che si parli di controllo se la facoltà dovesse essere condivisa con altri soggetti.

17 Exposure Draft n. 194-B, emanato dal FASB il 23 febbraio 1999 come versione aggiornata della precedente emanata nell’ottobre del 1995 (Consolidated Financiial Statements : Policy and Procedures).

(20)

Comunque avremo modo di parlare di questo nel prosieguo della nostra trattazione.

3. Il controllo congiunto nel «tipo» controllo.

3.1. Generalità.

La tipologia del problema è in sostanza la stessa per le nozioni di

“controllo” e “controllo congiunto”.

A causa di una disciplina molto incerta e poco coerente (soprattutto riguardo al bilancio consolidato e alla normativa antitrust), le norme afferenti a tale categoria risultano di difficile applicazione perché difficile risulta individuare quando sussista una posizione di “controllo” (e quindi, per esempio, chi debba essere incluso nell’area di consolidamento).

Allo stesso modo, nel momento in cui una norma si definisce applicabile a coloro che detengono il controllo congiuntamente con altri soggetti (ossia titolari di “controllo congiunto”), di altrettanto difficile applicazione risulterà questa norma se prima non si chiarisca cosa si intenda per “controllo congiunto”. Spesso, cioè, esiste una norma, ma è difficile verificarne i presupposti di applicazione.

(21)

Nel caso del controllo congiunto esiste però un’aggravante: se per ciò che riguarda il concetto di “controllo” i dubbi concernono solo l’ampiezza da attribuire allo stesso, per quanto riguarda il problema del “controllo congiunto”, i più scettici arrivano a contestarne perfino la possibilità di configurazione all’interno del nostro ordinamento giuridico.

Questo succede perché esiste, a livello dottrinale, il convincimento secondo cui, per parlare di “controllo”, questo debba necessariamente essere solitario.

La peculiarità del tipo “controllo” è stata, infatti, individuata nell’influenza dominante nei confronti della controllata; chi sostiene questa soluzione interpretativa ritiene che, al concetto di influenza dominante, sia in maniera naturale legato un concetto di “onnipotenza” che solo il controllo solitario può esprimere a pieno. Sembra quasi che l’accostamento dei termini

“controllo” e “congiunto” sia esso stesso un contro senso, vista l’incompatibilità di significati.

Se il “controllo congiunto” non trova spazio nel tipo “controllo” (perché non può essere riconosciuta la ricorrenza del tratto dell’influenza dominante in capo alle società controllanti), verrebbe messa in dubbio la stessa qualificazione della figura del “controllo” come «tipo», poiché non si potrebbe individuare una caratteristica minimale comune a tutte le “varianti definitorie” che si

(22)

accompagnano alla categoria del controllo18.

Per cercare di arrivare ad una soluzione plausibile, punteremo dapprima ad una «chiarificazione della nozione stessa di controllo congiunto, in modo da metterne in risalto i contenuti e approfondirne la collocazione tra gli opposti poli del controllo “solitario” e del “non controllo”»19. Verificheremo quindi l’ammissibilità del “controllo congiunto” e dopo una disamina dei riferimenti legislativi presenti nel nostro ordinamento, riusciremo, forse, a tracciare i confini di questo concetto a geometria variabile ed individuarne, quindi, come tratto ricorrente, la già più volte menzionata possibilità di detenzione di un potere di influenza dominante (in capo alle controllanti congiuntamente la società sottostante).

Questo permetterà di individuare il “controllo congiunto” come fattispecie di “controllo” ammissibile dal nostro ordinamento giuridico.

In caso contrario, nell’impossibilità di riconoscere influenza dominante in capo a più soggetti contemporaneamente, saremo costretti a “declassare” il

“controllo congiunto” e a porlo su un piano diverso rispetto al controllo che potremo definire “a pieno titolo”.

18 Di questo avviso LAMANDINI M., Appunti in tema di controllo congiunto, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1992, pag. 223.

19 LAMANDINI M., Appunti in tema di controllo congiunto, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1993, pag. 219.

(23)

Conseguenza sicura sarà quella di ritenere non applicabili alle situazioni di “controllo congiunto” le norme valide per il “controllo” propriamente detto, in quanto non si potrà considerare il “controllo congiunto” stesso una semplice variante definitoria della nozione di “controllo”.

Si potranno applicare alla figura in esame, dunque, solo le norme che ne fanno apposita menzione.

3.2. Definizione: tra controllo solitario e non controllo.

Una prima definizione di “controllo congiunto” può essere ricavata, in maniera abbastanza immediata, da un’analisi lessicale.

Il «sintagma20» “controllo congiunto” vuole evidentemente individuare una tipologia particolare di controllo societario: vuole individuare il caso in cui una società risulti dominata non da un solo soggetto, bensì da due o più insieme tra loro21.

Subito evidente è che viene meno il ricorrere del carattere dell’influenza dominante in capo ad un solo soggetto, per alcuni autori, come già detto in precedenza, indispensabile caratteristica affinché possa parlarsi genuinamente di

20 L’utilizzo del termine «sintagma» è preso da CARIELLO V., “Controllo congiunto” e accordi parasociali, Giuffrè, Milano 1997.

21 La definizione è utilizzata nella proposizione del problema della configurabilità del controllo congiunto da LAMANDINI M., Appunti in tema di controllo congiunto, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1992.

(24)

“controllo”.

A prima vista, quindi, non sarebbe possibile identificare il “controllo congiunto” come una variante definitoria del tipo “controllo”, alla stregua dei già menzionati controllo di diritto o di fatto, ad esempio.

Questa figura sarebbe da porre su un piano applicativo inferiore, rispetto alla più classica figura del controllo solitario, caratterizzato da quell’influenza dominante che sembra scontato doversi (e, forse, potersi)22 riconoscere in capo ad un solo soggetto. È questa la conclusione che si può ricavare anche riferendosi alla prassi internazionale (vedi par. 2.3., cap. I).

Allo stesso modo si può riconoscere come ci si trovi in una situazione diversa rispetto al cosiddetto “non controllo”. Con quest’ultimo ci vogliamo riferire al caso delle public companies, dove il potere partecipativo è frazionato in modo tale che non esiste alcun soggetto in grado di influire personalmente sulle decisioni assembleari. La creazione di una maggioranza sarà quindi esclusivamente il frutto di situazioni contingenti e casuali, secondo le regole del principio maggioritario.

Il “controllo congiunto” dovrebbe essere posto quindi su un piano intermedio rispetto alle figure del “controllo solitario” e del “non controllo”

appena descritte.

22 Di questa opinione, sicuramente, MARCHETTI P., Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Rivista delle società, Milano 1992; SBISÀ G., Società e imprese controllate nel D.Lgs. 127/91, in Rivista delle società, Milano 1992.

(25)

Fondamentalmente il “controllo congiunto” prevede che il controllo sia esercitato da due o più soggetti tra loro economicamente indipendenti, ma allo stesso tempo vincolati, da accordi particolari, ad un necessario coordinamento sulle decisioni riguardanti la controllata comune.

Aggiungendo una piccola precisazione definitoria, possiamo individuare due tipologie di controllo congiunto23:

- si parla di “controllo congiunto” in senso oggettivo se il potere di influenza dominante è semplicemente il frutto della somma delle partecipazioni dei vari soggetti partecipanti al “controllo congiunto”; si riconosce in questo caso un unico potere di controllo, afferente ad un unico soggetto in base ad un sindacato di voto, per esempio;

- parleremo invece di “controllo congiunto” in senso soggettivo, quando l’imputazione del “controllo” avviene nei confronti di più (o tutti i) soggetti partecipanti all’ “accordo.

E facile capire che ogni forma di “controllo congiunto” in senso soggettivo, lo è anche in senso oggettivo, poiché il potere di controllo riconosciuto a ciascun soggetto è nient’altro che la somma dei poteri derivanti

23 Cfr.: CARIELLO V., “Controllo Congiunto” e accordi parasociali, Giuffrè, Milano 1997.

(26)

dalla detenzione di ciascuna partecipazione da parte di ciascun soggetto

“controllante”. Non vale però il viceversa, chiaramente. Vedremo in che caso ciascuno delle due tipologie verrà in evidenza.

In maniera diversa è presentato invece il discorso dalla disciplina tedesca24. Qui il discorso del “controllo congiunto” è impostato dal punto di vista di chi si trova in posizione passiva, quindi in condizioni di “dipendenza plurima”.

Vogliamo evidenziare come fra le tipologie plausibili di “dipendenza plurima” viene considerato, oltre che il caso dell’impresa sottoposta al controllo di più case madri (caso classico), quello del controllo indiretto25, di dubbia rilevanza in riferimento alla nostra analisi.

3.3. Ammissibilità del “controllo congiunto”.

La chiave di lettura principale, dunque, fa riferimento alla ricorrenza dell’influenza dominante in capo al soggetto controllante.

24 Molto ampia è l’esperienza tedesca in materia. Utili saranno quindi alcuni riferimenti a tale disciplina.. Per uno confronto più approfondito con la disciplina tedesca cfr. DONATIVI V., I confini del controllo congiunto, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1996.

25 Caso, questo, di dubbia rilevanza poiché viene meno il fattore che dovrebbe essere fondamentale, dell’influenza dominante in capo a più soggetti. Infatti a fronte della doppia valenza assunta dal controllo, vi sarebbe un’influenza dominante riconoscibile in capo ad un unico soggetto, in testa, cioè, alla controllante più a monte.

(27)

I sostenitori della tesi secondo la quale non sia possibile riconoscere influenza dominante in capo a più di un soggetto, ritengono che, nel momento in cui il controllo è riconosciuto a più soggetti contemporaneamente, questi non possano far altro che ostacolarsi l’un l’altro nella gestione della controllata comune; nel senso che non possa essere riconosciuta influenza dominante26 a chi è titolare di un mero potere ostativo delle decisioni altrui27.

Chi sostiene l’idea dell’impossibilità di “controllo congiunto” su un’impresa comune, oltre che sull’argomento dell’influenza dominante, ragiona sul fatto (apparentemente decisivo) che il “controllo congiunto” non sia fra le fattispecie di “controllo” previste dal 2359 cod. civ., e afferma che si utilizzi la normativa speciale per introdurre una figura che non esiste28, o che comunque non ha rilevanza giuridica.

Altra corrente di pensiero29 ritiene che l’influenza dominante possa essere riconosciuta in capo a più soggetti per il semplice motivo che i titolari di tale potere saranno costretti a cooperare (e non ad ostacolarsi l’un l’altro) per la

26 Di questo avviso MARCHETTI P., Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Rivista delle società, Milano 1992.

27 Secondo DONATIVI V., I confini del «controllo congiunto», in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1996, sarebbe questo il caso in cui ricorra, anziché la figura del controllo congiunto, quella del controllo concorrente. In particolare, il controllo concorrente ricorre nel momento in cui il potere delle controllanti consista in un mero potere ostativo delle decisioni altrui e non si possa parlare quindi (a dire dell’autore) di influenza dominante, bensì di influenza determinante.

28 In proposito MARCHETTI P. in Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Rivista delle società, Milano 1992, «(…) proprio partendo dalla legislazione speciale, si è costruito il tentativo di introdurre la figura del controllo congiunto e di accreditare quindi la tesi per cui anche a livello di norma generale di diritto comune il controllo possa veder partecipi soggetti tra loro distinti sia sotto il profilo giuridico sia sotto quello economico».

29 Di questa corrente Marco Lamandini è sicuramente il principale esponente.

(28)

gestione della controllata comune. Dovranno, infatti, esercitare i loro poteri in maniera costruttiva, altrimenti si arriverebbe solo allo scioglimento della società; la società controllata stessa cioè, non avrebbe motivo di esistere.

Bisogna verificare però che grado di coordinamento le due (o più) imprese debbano raggiungere affinché possa parlarsi di “controllo congiunto”.

A sostegno della tesi secondo cui l’influenza dominante è configurabile anche in capo a più soggetti contemporaneamente sarebbe anche la dottrina tedesca30. Secondo una disposizione della più recente disciplina antitrust31, se più imprese, sulla base di un accordo o in altro modo, cooperano in modo da poter esercitare congiuntamente un’influenza dominante su un’impresa partecipata, ciascuna di esse è considerata “impresa dominante”.

30 Cfr.: DONATIVI V., I «confini» del controllo congiunto, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1996.

31 GWB, Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen, §23 Abs. 1 Satz 2 Halbs. 2

(29)

4. Riferimenti normativi: le “fonti” del “controllo congiunto”.

4.1. Il silenzio dell’art. 2359 cod. civ. e il legame con la legislazione speciale: la specialità reciproca.

Dopo aver cercato di descrivere il fenomeno in esame facendo riferimento ad alcune opinioni affermate, cerchiamo di puntellare il nostro discorso con dei riferimenti normativi.

L’art. 2359 cod. civ., nel definire la figura del “controllo”, non sembra voler dare rilevanza alla figura del “controllo congiunto”32. Non né fa alcuna menzione, né tanto meno esiste un rinvio a norma speciale o altro.

Un punto fermo nella nostra analisi però è già stato raggiunto: il 2359 cod. civ. rappresenta una definizione “aperta” di controllo poiché arduo sarebbe stato racchiudere tutte le tipologie di controllo in un articolo del codice civile (vedi par. 2.1., cap. I).

Allo stesso tempo arduo è, però, scardinare la convinzione di coloro che sostengono che un mancato riferimento nell’art. 2359 sia significativo, in senso

32 Per una diversa interpretazione, ossia tale da ricomprendere la forma di controllo congiunto tra le fattispecie ex art. 2359 cod. civ., cfr. LAMANDINI M., Appunti in tema di controllo congiunto, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1992., pag. 244,, il quale scrive che l’art. 2359 cod. civ. «può leggersi nel senso che sono considerate società controllate le società rispetto alle quali almeno un’altra dispone dell’influenza dominante.

Credo che l’uso del singolare per riferirsi alla società controllante sia dovuto più al fatto che il legislatore conosceva, come fattispecie tipologicamente normale, il controllo solitario che non ad una effettiva volontà preclusiva o limitativa della portata delle norme codicistiche».

(30)

negativo, sull’ammissibilità del “controllo congiunto”33.

Fatto incontestabile, e quindi a sostegno della tesi di questi ultimi, è che il 2359 cod. civ. individua le figure di controllo in relazione ad un unico soggetto dominante34.

Arguta in proposito mi sembra però l’osservazione di Vincenzo Donativi35. Questi fa notare36 come, spesso, l’uso del singolare in una norma non voglia precludere la possibilità di riferirsi ad un numero maggiore di soggetti. Quella di usare il singolare è solo una diffusa prassi legislativa.

I riferimenti al “controllo congiunto” sono invece numerosi all’interno della legislazione speciale. Di difficile interpretazione è però il rapporto che debba essere instaurato fra queste norme speciali e la cosiddetta clausola generale della definizione di “controllo”, rappresentata dall’art. 2359 cod. civ.

Un’interpretazione naturale sarebbe quella di individuare, fra art. 2359 e legislazione speciale, un rapporto di “specialità reciproca”37. Il contenuto della legislazione speciale sarebbe integralmente derogatorio alle previsioni del 2359 cod. civ., con efficacia meramente settoriale.

33 Di questo avviso MARCHETTI P., Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Rivista delle società, Milano 1992; SBISÀ G., Società e imprese controllate nel D.Lgs. 127/91, in Rivista delle società, Milano 1992; COSTI R., I sindacati di voto nelle leggi più recenti, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1992.

34 Secondo R. COSTI, I sindacati di voto nelle leggi più recenti, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1992, pagg. 29 ss. (che riproduce la relazione del convegno su «Sindacati di voto e di blocco» tenutosi a Portofino i giorni 8 e 9 Giugno 1991), «(…) la nozione di controllo prevista dall’art. 2359 postula sempre la “solitudine”, la unicità del controllante, non prevede in alcun modo ipotesi di controllo congiunto (…)»

35 Cfr.: DONATIVI V., I “confini” del controllo congiunto, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1996.

36 Il riferimento riguarda il testo della legislazione tedesca in materia.

37 Per una posizione più articolata sul punto cfr.: MARCHETTI P., Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Giurisprudenza Commerciale, Giuffrè, Milano 1992.

(31)

Una posizione più articolata sul ruolo della legislazione speciale è quella di Bruno Visentini38. Egli ne vuole sottolineare l’importanza dicendo che questa

«è (sì) spesso frutto di improvvisazioni ed è spesso viziata da approssimazioni e da imprecisioni, (ma) per altro verso, in alcune occasioni, essa deriva da un più diretto contatto con la realtà ed è più sensibile alle esigenze della pratica (…)».

Quindi, a dispetto della loro qualificazione di norme extra codicem, almeno alcune di esse presentano carattere generale39, e non meramente settoriale come altri interpreti hanno affermato.

In linea generale però, possiamo dire che non si possa mai trarre una conclusione unitaria. I riferimenti al “controllo congiunto” all’interno della legislazione speciale sono, infatti, vari e poco omogenei. Vale la pena quindi di analizzare le principali leggi speciali che hanno preso in analisi il fenomeno;

quindi cercare di trarre da ciascuna qualche indicazione utile ai fini della nostra analisi.

38 VISENTINI B., I sindacati di voto: realtà e prospettive, in Rivista delle Società, 1988.

39 È il caso della normativa antitrust che può essere considerata fonte di concetti cardine per la normativa d’impresa e societaria.

(32)

4.2. Il sorgere del problema:l’art. 4 della l. 416/81.

Il tema del controllo congiunto venne alla ribalta in maniera del tutto particolare. L’art. 4 della l. 416/81 poneva il problema dell’individuazione di una eventuale posizione dominante sul relativo mercato, di un’impresa editrice.

Ovviamente, per verificare tale posizione dominante, non ci si poteva che aggrappare alla nozione di controllo. Il menzionato art. 4 non faceva altro che richiamare, per la nozione di controllo, l’art. 2359 del codice civile.

A questo punto iniziavano i problemi interpretativi: chi deve essere considerato controllato (e quindi facente parte del mercato rilevante) da parte di un’impresa editrice? In particolare, vanno considerate controllate dall’impresa editrice anche le imprese controllate congiuntamente con altri?

Il quesito non era di facile soluzione, forse perché legato allo spinoso ambito dei sindacati di voto. Infatti, nel momento in cui un’impresa editrice partecipi ad un sindacato di voto, è sempre considerata controllante dell’azienda sottostante il sindacato?

La risposta è legata ad un altro quesito fondamentale: i partecipanti ad un sindacato di voto, sono tutti considerati controllanti dell’impresa sindacata?

(33)

Come è facile capire, quindi, già dal primo momento in cui la questione venne a galla, i problemi interpretativi principali ruotavano non solo intorno alla configurazione che il “controllo congiunto” assumeva nel nostro ordinamento, ma anche al legame che questa figura instaurava con la disciplina dei sindacati di voto.

I riferimenti principali all’interno della disciplina speciale riguardano, infatti, proprio la figura del controllo derivante da accordi parasociali e sindacati.

Prima di cercare di dare una risposta alle domande proposte (ed entrare quindi nei particolari della disciplina del “controllo congiunto” da sindacato), cerchiamo di esaminare le varie leggi speciali che si sono susseguite nel tempo, e che abbiano riguardato il “controllo congiunto”.

(34)

4.3. Le altre fonti fino all’art. 37, D.Lgs. 127/91.

Dopo i richiami dell’art. 2359 da parte dell’art. 4 della legge 416/81, prima legge sull’editoria, con i problemi connessi al trattamento delle posizioni di “controllo congiunto”, la situazione non è migliorata con la successiva legge di riforma n. 67/1987. In tale testo infatti40, se da un lato si chiarisce la possibilità di ricondurre all’art. 2359 l’ipotesi di controllo da sindacato, allo stesso tempo non precisa una questione ancora più importante.

Non si chiarisce, infatti, se con il controllo da sindacato si voglia fare riferimento al caso di “controllo congiunto” dei partecipanti al sindacato, oppure si voglia solo indicare quale fattispecie rilevante, il caso in cui un solo soggetto, grazie all’”effetto leva” derivante dal patto di sindacato stesso, riesce ad assumere la figura di controllante.

Il problema può essere posto in termini diversi: il controllo da sindacato deve essere considerato controllo congiunto in senso oggettivo o soggettivo?

Nel primo caso sarebbe uno solo il soggetto a beneficiare della partecipazione a controllo congiunto (tramite il menzionato “effetto leva”), nel secondo, invece, ciascun soggetto partecipante al sindacato ne beneficerebbe.

Identico problema di doppia lettura presenta poi l’art. 26 del D.Lgs. 356/9041.

40 In particolare agli artt. 2 e 3 della legge menzionata.

41 Confluito poi nell’art. 23 del TU in materia bancaria.

(35)

Per individuare una posizione chiara circa l’ammissibilità della figura del “controllo congiunto”, bisogna attendere la legge di disciplina del sistema radiotelevisivo n. 223/90.

L’art. 37 di tale legge prevede testualmente, infatti, che «costituiscono controllo e collegamento la sussistenza dei rapporti configurati come tali nell’art. 2359 cod. civ., ancorché tali rapporti siano realizzati congiuntamente con altri soggetti tramite società direttamente o indirettamente controllate o tramite intestazione fiduciaria o mediante accordi parasociali».

Al pregio di introdurre chiaramente la figura del “controllo congiunto”, questa norma, contrappone il difetto di non chiarire il rapporto con l’art. 2359 cod. civ.

Non si capisce, infatti, se il “controllo congiunto” venga introdotto dalla norma stessa, o se questa voglia far notare come lo stesso “controllo congiunto”

sia una delle categorie di controllo previste dal 235942.

Aspetti particolari presenta la normativa antitrust facente capo alla l. n.

287/90. Venuta alla ribalta della critica per la peculiarità (non invidiabile!) di presentare, agli artt. 7 e 27, due differenti definizioni di controllo43, essa contiene indicazioni interessanti in materia di “controllo congiunto”.

42 Cfr.: LAMANDINI M., Appunti in tema di “controllo congiunto”, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1992.

43 La definizione contenuta nell’art. 7 è finalizzata alla disciplina della concentrazione, quella dell’art. 27, invece, ha efficacia limitata al capo quinto relativo alla disciplina della partecipazione agli enti creditizi.

(36)

Gli artt. 5 e 7 della legge antitrust contengono utili indicazioni a sostegno della tesi favorevole alla configurabilità del “controllo congiunto”.

L’art. 5, al 1° comma, lett. b), nel definire, attraverso la nozione di controllo, la più rilevante fra le fattispecie concentrative, menziona «(…) uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un’impresa (…)».

L’art. 7 della stessa legge, al 2° comma, precisa che «(…) il controllo è acquisito dalla persona o dall’impresa o dal gruppo di persone o di imprese (…)». Ovviamente sarebbe davvero difficile sostenere (come alcuni studiosi hanno fatto) la settorialità della legge antitrust, da considerarsi invece uno dei tasselli fondamentali del diritto d’impresa. Dopo questi riferimenti, quindi, credo sia davvero difficile negare l’esistenza della figura del “controllo congiunto”.

Infine, rinviando a trattazioni più specialistiche44 una disamina di tutte le altre norme speciali che hanno preso in esame l’argomento del “controllo congiunto”45, vogliamo ricordare quello che cronologicamente è forse l’ultimo riferimento normativo alla figura oggetto della nostra trattazione.

Ci riferiamo all’art. 37 del D. Lgs. 127/91 che prevede che «possono essere incluse nel bilancio consolidato anche le imprese sulle quali un’impresa

44 Su tutti cfr. MARCHETTI P., Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Rivista delle società, Milano 1992.

45 Cfr.: LAMANDINI M., Appunti in tema di “controllo congiunto”, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1992; MARCHETTI P.,Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Rivista delle Società, Milano 1992; LAMADINI M., Il controllo, Nozioni e «tipo» nella legislazione economica, Giuffrè, Milano 1995.

(37)

inclusa nel consolidamento abbia il controllo congiuntamente con altri soci ed in base ad accordi con essi (…)».

La Relazione al Decreto Legislativo 127/91 fornisce utili indicazioni nel momento in cui si sottolinea che la situazione cui ci riferiamo è fondamentalmente differente da quella prevista dall’art. 26 dello stesso decreto46. Nel caso in questione (la Relazione parla di “filiale comune”), il riferimento alla figura del “controllo congiunto” è chiaro ed inequivocabile, anche se resta aperto il solito quesito. Ci si chiede, cioè, se l’articolo di legge menzionato abbia voluto riferirsi ad una figura già prevista dal 2359 cod. civ.;

oppure se la norma stessa voglia essere un altro esempio di applicazione settoriale, riferita quindi solo alla disciplina del bilancio consolidato.

Il dibattito, comunque, rimane più che mai aperto ed attuale.

Sicuramente utile sarebbe una ridefinizione sul piano normativo che crei le condizioni per mettere un po’ d’ordine nella variegata disciplina in materia, andando ad evitare interpretazioni di comodo e contribuendo ad una maggiore certezza del diritto che troppo spesso viene trascurata.

46 L’art. 26, D.Lgs. 127/91, comma 2, lettera b), considera controllante l’impresa che singolarmente riesce ad avere un’influenza dominante in virtù di accordi conclusi con altri soggetti.

(38)

5. I sindacati di voto: quando esiste “controllo congiunto”.

5.1. L’inquadramento del “controllo congiunto” da sindacato.

Come abbiamo già accennato, le discussioni circa la portata dei riferimenti al “controllo congiunto” nella legislazione speciale, hanno spesso avuto ad oggetto la disciplina dei sindacati di voto.

La figura che si voleva delineare riguardava, infatti, la possibilità di ravvisare una situazione di “controllo congiunto” nel momento in cui il controllo di una società fosse sottoposto alla disciplina di un sindacato di voto. Due divergenti indirizzi legislativi animavano la questione all’inizio degli anni ’90.

Il primo prevedeva, secondo il dettato dell’art. 27, co. 2°, della legge antitrust47, il riconoscimento di “controllo congiunto” in capo a tutti i soggetti partecipanti al sindacato di voto48.

Indipendentemente dalla percentuale di partecipazione posseduta, quindi, ciascun soggetto partecipante al sindacato di voto era considerato controllante.

47 Il riferimento è alla prima versione dell’art. 27, prima che questo fosse novellato dall’art. 16 del D.Lgs.

n.481/92.

48 In base all’art. 27, co. 2°, l. n. 287/90, sia pure soltanto ai fini del titolo recante norme in materia di partecipazione al capitale degli enti creditizi, il rapporto di controllo si considerava esistente, «ai sensi dell’art.

2359 c.c., anche quando (…) più soci attraverso la partecipazione ad un sindacato di voto – nel qual caso ciascuno di essi è considerato controllante – possiedono più di (…)».

(39)

La norma ebbe un certo seguito anche nella legislazione successiva49, ma fu criticata duramente in base al rilievo (a nostro parere ovvio, vedi

”controllo congiunto oggettivo e soggettivo” al par. 3.2., cap. I), che la partecipazione ad un sindacato di voto deliberante a maggioranza, non determina l’assunzione di alcun potere per chi titolare di una partecipazione minoritaria.

Anche nel caso del controllo da sindacato sarebbe, quindi, ravvisabile la valenza solitaria del controllo; grazie all’effetto “leva” del sindacato di voto, infatti, sarebbe possibile, per un soggetto dominante all’interno del sindacato, detenere un’influenza dominante sulla gestione della società sottostante il sindacato stesso.

Queste critiche hanno forse ispirato il successivo art. 16 del D.Lgs.

481/92 con il quale il legislatore ha forse voluto, definitivamente, dirimere i dubbi che questo dibattito aveva sollevato.

L’articolo in esame ha cancellato la presunzione di controllo in capo a tutti i soci aderenti al sindacato di voto, operando, circa la nozione di controllo, l’ennesimo richiamo all’art. 2359 cod. civ.

49 Risultava, infatti, espressamente richiamata dalla legge n. 1/1991 per l’individuazione del cosiddetto gruppo SIM, l’art. 1 della legge n. 77/83 (come novellato dal D.Lgs. n. 83/92). Ad essa sembrava inoltre ricollegarsi, secondo alcune interpretazioni, l’art. 37 del D.Lgs. n. 127/91.

(40)

Per quanto riguarda il controllo da sindacato ha disposto che esso si consideri esistente, salvo prova contraria, «in capo al soggetto che, in base ad accordi con altri soci, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori, ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria».

Ovviamente ciò non esclude la possibilità di configurare “controllo congiunto” in un sindacato di voto. Bisognerà però guardare con attenzione agli equilibri esistenti fra le partecipazioni azionarie dei soci sindacati e alla tipologia del sindacato stesso. Diverse saranno infatti le conseguenze a seconda che il sindacato deliberi a maggioranza o all’unanimità, o se i soci detengano, all’interno del sindacato, posizioni più o meno paritetiche.

Secondo la nostra analisi precedente, quindi, sarà necessario che occorrano le condizioni per un controllo congiunto soggettivo, non solo oggettivo. Bisogna, cioè, che si verifichino i presupposti affinché, all’interno del sindacato, la posizione di influenza sia riconosciuta in capo a più soggetti contemporaneamente.

Anche il “controllo congiunto” da sindacato, ovviamente, non trova espressa menzione nell’art. 2359 cod. civ.

(41)

A queste conclusioni sono giunti sia il tribunale di Milano, chiamato a pronunciarsi circa la possibilità di ravvisare in un sindacato di voto un’ipotesi di controllo, sia pure congiunto50; sia in seguito Renzo Costi51 secondo il quale

«(…) questa conclusione poggia non solo sull’ovvia osservazione che le fattispecie di controllo da sindacato sono previste nelle varie leggi per consentire l’applicazione delle disposizioni previste da quelle stesse leggi e non per rendere applicabili altre norme, e, quindi, neppure quelle dettate dal codice civile; ma anche dal fatto che la fattispecie in questione non è strutturalmente e fenomenicamente riconducibile a quella descritta nell’art. 2359».

50 È la sentenza del Tribunale di Milano, 6 Novembre 1986: «(…) è fatto incontestabile che l’art. 2359 c.c.

individua il controllo in relazione ad un soggetto dominante (…) è ancora più logicamente insostenibile affermare un controllo di diritto da parte di una società ove, da sola, non detenga la maggioranza, ovvero un controllo di fatto, quando la presunta società dominante non sia capace di esprimere la propria influenza se non coagulando intorno a se delle alleanze (…)».

51 Cfr.: COSTI R., I sindacati di voto nelle leggi più recenti, in Giurisprudenza commerciale, Milano 1992, nel quale l’autore ha affrontato con profondità la questione della riconducibilità o meno del controllo congiunto, nella specie da sindacato di voto, entro la fattispecie normativa di cui all’art. 2359 c.c.

(42)

5.2. Sindacato di controllo e controllo da sindacato.

Secondo una definizione pacifica, il sindacato di voto è un accordo parasociale, col quale si regola pattiziamente l’esercizio del diritto di voto inerente alle azioni o alle quote di una determinata società.

Per Vincenzo Donativi52, però, occorre distinguere le nozioni di

“sindacato di controllo” e di “controllo da sindacato”.

Se il controllo da sindacato presuppone l’esistenza di un sindacato di controllo, non sempre vale il contrario.

Infatti, il controllo da sindacato presuppone l’esistenza di uno o più soggetti in testa ai quali si crei il presupposto dell’influenza dominante in base alle partecipazione da essi detenute nell’ambito del sindacato (e quindi presuppone, appunto, l’esistenza di un sindacato di controllo).

Il sindacato di controllo prevede, invece, la possibilità che un sindacato di voto, pur deliberando a maggioranza, risulti imputabile di controllo della società sottostante, anche senza che all’interno di esso esista alcun soggetto a cui afferisca la capacità di dominare la gestione dell’impresa.

Vediamo a quali tipologie di patti sindacali vengono fuori ed in quali di essi è individuabile una potenziale situazione di “controllo congiunto”.

52 Cfr.: DONATIVI V., I confini del controllo congiunto, in Giurisprudenza Commerciale, Milano 1996.

(43)

5.3. Categorie e tipologie di patti sindacali.

Esistono due categorie di tipologie di controllo da sindacato. Una comprende quei sindacati di controllo che non diano luogo a posizioni di

“controllo congiunto” nè concorrente53, bensì di controllo solitario da influenza dominante54.

L’altra categoria riguarda invece le ipotesi in cui un potere di influenza dominante è individuabile in capo a due o più soggetti, dando luogo a posizioni di “controllo congiunto”, o, secondo i casi, concorrente.

La prima categoria conterrebbe le tipologie di patti di “sindacato di controllo” che diano luogo a situazioni di:

- Controllo solitario da influenza dominante;

- Controllo solitario da influenza determinante55;

- Impossibilità di configurare una situazione di controllo stabile.

È evidente come nessuna delle situazioni prospettate possa individuare una situazione di “controllo congiunto”.

53 Per il concetto di controllo concorrente cfr. nota n. 27.

54 Le tipologie afferenti questa categoria sono: il controllo solitario da influenza dominante, assenza di posizione di controllo stabile.

55 Per il significato della distinzione tra influenza dominante e determinante vedi nota n. 10 e par. 5.4., cap. I, in particolare con riferimento alla figura del “controllo concorrente” vedi nota n. 27.

Riferimenti

Documenti correlati

Prefazione alla VI edizione XIII Prefazione alla V edizione XV Prefazione alla IV edizione XVI Prefazione alla III edizione XVII Prefazione alla II edizione XVIII

3.1 Primo vero impatto economico delle concerie sull’economia della zona 3.2 La nascita statuaria del “Comprensorio del Cuoio e della Calzatura”. Storia del “Consorzio Vera

3182/5632 del 21 luglio 1986, relativa alla tutela della vita e della salute delle persone detenute, dove si richiamano esplicitamente gli operatori dei singoli istituti a

L’ELUSIONE TRIBUTARIA E IL PRINCIPIO DEL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO. - L’inesistente confine tra pianificazione, elusione e

Please check the product data sheet on gmrenlights.com GMR ENLIGHTS 17 |

Nexans will continue with business operations on the energy transmission and distribution markets, and open up more extensively to the development of renewable energies

Pertanto, l’esatta qualificazione ed allocazione dei rischi concordata nel contratto di partenariato pubblico privato incide in modo decisivo sull’inquadramento contabile dello

co. 1 «Nell'aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette, previa pubblicazione di un bando o avviso di indizione di gara.