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4. Le fasi di sviluppo: il Joint Venture Management

4.2. Il CDA e l’articolazione del management

L’individuazione e la suddivisione dei poteri del Consiglio d’Amministrazione e del management della joint venture, rappresenta il punto focale della gestione a controllo congiunto. L’esercizio del potere è, infatti, racchiuso proprio nell’organo amministrativo, il quale opererebbe però per tramite dei managers.

Il CDA detiene, di solito, un ruolo principalmente politico, in cui si limita a disegnare le linee d’azione dell’impresa, soprattutto a livello strategico.

123 Vogliamo ricordare come nelle shared joint ventures, la partecipazione paritaria alla gestione deve essere garantita qualitativamente più che quantitativamente. L’equilibrio sarà frutto quindi di un intreccio fra la

partecipazione azionaria nell’impresa congiunta, la partecipazione al CDA e l’influenza che si riesce ad esercitare sul management della venture.

Al management poi il compito di attuare le direttive del Consiglio, con ampia autonomia sull’individuazione delle scelte (tattiche in questo caso) utili a raggiungere gli obiettivi fissati a livello direzionale.

È importante che il Consiglio sia fautore di uno sviluppo continuo della collaborazione, cercando di gestire e di risolvere rapidamente, tutti i conflitti che possono sorgere fra le parti in causa.

È importante, quindi, che nel Consiglio non siano ripetute le stesse discussioni sui dissidi che possono sorgere tra i venturers; il CDA, in poche parole, deve essere l’ago della bilancia, cercando di far emergere quanto di positivo e proficuo lo strumento della joint venture può garantire.

Una partecipazione paritaria nel Consiglio dovrebbe garantire un’eguale partecipazione alla nomina dei managers. Spesso succede, però, che il contratto alla base dell’accordo preveda meccanismi differenti per la nomina del management. In questo caso è importante che anche fra amministratori e dirigenti esista fiducia e collaborazione, affinché questi non giungano ad ostacolarsi reciprocamente.

Ma analizziamo più da vicino sia il CDA che il management di un’impresa congiunta.

Ambiamo ampiamente discusso nel primo capitolo sulle forme in cui il controllo congiunto si manifesti.

Fondamentalmente, affinché si abbia controllo congiunto, è necessario che ciascuno dei partners abbia (almeno) il potere di bloccare (diritto di veto) qualsiasi decisione da lui non condivisa.

Questo potere può scaturire da una partecipazione nell’organo assembleare, ossia in quello amministrativo. In pratica però, è la partecipazione all’organo amministrativo che fa la differenza.

Il procedimento da seguire sembra immediato nel caso di joint venture del tipo fifty-fifty contestualmente ad un numero pari di seggi disponibili:

suddivisione in parti uguali del capitale sociale, dei seggi del Consiglio, e problema risolto.

La situazione si complica nel momento in cui i soci sono più di due e, nella creazione dell’equilibrio, bisogna tenere conto di fattori diversi come gli apporti effettuati, partecipazioni non paritarie; fattori, comunque, difficili da

“tradurre” in seggi nell’ambito del CDA.

Abbiamo dato per scontato che la forma societaria più opportuna nella costituzione di un’impresa congiunta, sia la forma corrispondente alla nostra S.p.A.

Utilizzando lo strumento della società per azioni, quindi, possono esserci esplicite previsioni all’interno dell’atto costitutivo o dello statuto.

Altrimenti l’unico modo per garantire questi equilibri sarà la stipula di accordi

parasociali.

La prassi più diffusa in materia di accordi a margine della costituzione di una joint venture, è quella americana. Gli accordi contrattuali in uso negli Stati Uniti si sono diffusi anche negli altri Paesi, nel rispetto dei limiti della legislazione locale, chiaramente.

Cominciamo col vedere quali siano le più importanti previsioni statutarie che possono essere utilizzate124.

Nell’atto costitutivo o nello statuto della società in comune, può essere inserita una clausola in virtù della quale, per l’elezione degli amministratori, è richiesta una votazione a maggioranza qualificata o addirittura l’unanimità.

Per evitare che tale meccanismo porti a situazioni di deadlock, la pratica statunitense ha approntato un meccanismo alternativo, definito cumulative voting.

Tale meccanismo prevede l’attribuzione a ciascun azionista di un numero di voti pari al numero delle proprie azioni, moltiplicato per il numero di amministratori da eleggere. Questi voti potranno essere concentrati su un unico candidato o distribuiti a piacimento dal votante. Questo meccanismo assicura alla minoranza la possibilità di far eleggere propri rappresentanti in Consiglio.

124 MILONE M., L’impresa in comune – Aspetti economico-aziendali della joint venture enterprise, Cacucci, Bari 1989.

Anche questo metodo è di non facile applicazione pratica.

Si è provato anche a classificare le azioni in più tipologie, di valore differente nella votazione per l’elezione degli amministratori. Avendo avuto, anche questo metodo, poca fortuna, si è pensato di passare all’utilizzo di strumenti extrastatutari.

Questi strumenti vengono definiti pre-incorporation agreements o shareholders’ agreements a seconda che siano adottati prima o dopo la costituzione dell’impresa congiunta; il contenuto, comunque, non cambia da una all’altra tipologia, entrambi cercano di disciplinare il joint control125.

Gli strumenti extrastatutari più utilizzati sono lo shareholders’ voting agreement e il voting trust.

Il primo riguarda un accordo preliminare in cui si dichiara la propria intenzione di voto per l’elezione dei membri del CDA126; in tal modo i partners potranno verificare le condizioni di amministrazione future della costituenda joint venture.

In questo caso però non è facile far sì che tutti gli associati rispettino gli obblighi convenuti. Per questo in alcune JVs, sempre ai fini di una reale predeterminazione dei componenti il Consiglio, i partners si privano del proprio

125 Ampia trattazione circa le metodologie di gestione del joint control sono contenute in BONVICINI D., Le joint ventures: tecnica giuridica e prassi societaria, Giuffrè, Milano 1977.

126 Ammesso dalla giurisprudenza statunitense purché non danneggi gli altri azionisti o non persegua scopi illeciti, cfr. MILONE M., L’impresa in comune – Aspetti economico-aziendali della joint venture enterprise, Cacucci, Bari 1989.

diritto di voto attribuendolo, per mezzo di procura irrevocabile (lo strumento è definito, in questo caso, irrevocable proxy), a uno di loro o anche a un terzo.

Quest’ultimo avrà il compito di esercitare i diritti di voto raccolti secondo le volontà dichiarate in sede di accordo.

Le difficoltà di questo strumento stanno nel fatto che, spesso, il carattere irrevocabile della procura non viene riconosciuto dalle leggi locali.

Più tollerato a livello legislativo è, invece, lo strumento del voting trust.

Questo è un accordo grazie al quale gli azionisti trasferiscono ad un voting trustee la proprietà delle azioni ricevendo in cambio voting trust certificates, trasferibili come i titoli azionari.

Il trustee poi, nelle votazioni relative alla nomina degli amministratori, dovrà rispettare quanto stabilito nel trust agreement sottostante. Non ci sono pericoli di mancato rispetto dell’accordo, quindi.

Anche qui non mancano i problemi applicativi: complessità formale e organizzativa, necessità di registrare l’accordo e di pubblicizzarlo adeguatamente, fanno spesso desistere dall’applicare tale strumento negoziale.

Tutti questi meccanismi non saranno comunque sufficienti a garantire ai venturers il controllo congiunto sulla venture. Fondamentali sono, infatti, non solo i meccanismi di elezione dei membri del Consiglio, ma anche i sistemi di funzionamento e deliberazione dello stesso.

Poiché per gran parte delle deliberazioni nella maggior parte dei Paesi la disciplina richiede solo la maggioranza semplice, per tutelare tutti i partners in una gestione congiunta, bisognerà proporre degli accordi statutari o extrastatutari anche riguardo i quorum costitutivi o deliberativi127.

Molto comune è l’inserimento di clausole statutarie che elevino i quorum deliberativi in maniera tale che ad ogni deliberazione debbano acconsentire quasi tutti i co-venturers. Più difficoltoso è l’innalzamento dei quorum costitutivi che potrebbero creare notevoli rallentamenti all’attività decisionale.

Punto cruciale, infine, è la situazione di sostituzione (per causa di dimissioni, revoca o morte) di un membro del CDA. Questo potrebbe pregiudicare l’equilibrio decisionale tanto faticosamente raggiunto.

Le tendenze più diffuse in questo caso prevedono una clausola statutaria per una delibera consigliare unanime o a maggioranza qualificata; oppure un accordo parasociale che ammetta la cooptazione, ma impegni i membri ancora in carica a rispettare l’equilibrio precedente.

L’autonomia decisionale del CDA è ridimensionata; questo avviene però a favore della particolarità della situazione di gestione congiunta, che come abbiamo più volte voluto mettere in evidenza, è profondamente differente da

127 Altrimenti i venturers possono esercitare concreta influenza congiunta solo se il Consiglio è composto da un numero pari di membri, eletti da ciascuno dei co-venturers, cfr. SCHILLACI C., Profili economico-aziendali della formula joint venture, Giuffrè, Milano 1988.

una gestione ordinaria.

Ovviamente una volta garantito l’equilibrio decisionale a livello di Consiglio d’Amministrazione, sarà semplice far sì che tale equilibrio si ripeta a livello manageriale; sempre che ci troviamo nel caso in cui gli amministratori non rivestano anche il ruolo di managers.

Nel caso in cui i managers non siano di nomina consigliare però, sarà necessario anche qui ponderare le assegnazioni in modo tale da non perdere di vista l’equilibrio della gestione congiunta. Infatti, anche le cariche manageriali possono ampiamente contribuire a rendere più equa una situazione di squilibrio a livello di partecipazione azionaria o di partecipazione nel CDA.

Anche per la nomina dei managers, il punto di riferimento principale saranno gli accordi statutari o extrastatutari, sottoscritti in fase di costituzione, in modo da dare nuovi stimoli a chi (fra i partners) può essere rimasto scontento sotto altri punti di vista.