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Il “danno biologico”: parabola o evoluzione di un progetto di politica del diritto?

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Academic year: 2022

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Il “danno biologico”: parabola o evoluzione di un progetto di politica del diritto?

Prof. Guido Alpa*

1. Il progetto

La vicenda del “danno biologico” è emblematica della sorte di quei concetti che sorgono per conseguire determinate finalità e, strada facendo, perdono i loro connotati originari, sono piegati a realizzare finalità diverse da quelle inizialmente loro assegnate, subiscono in sostanza una sorta di mutazione genetica: sicché l’osservatore che conosce la loro origine stenta a riconoscerli sotto le nuove spoglie. La citazione classica (“quantum mutatus ab illo!”) sembra adattarsi alla bisogna.

Le finalità originarie erano dirette a recuperare il valore costituzionale della salute nell’ambito delle tecniche di risarcimento del danno alla persona; essendo il diritto alla salute una posizione soggettiva garantita a tutti, senza differenze di estrazione sociale e di capacità di produrre reddito, i criteri di liquidazione erano identici per tutti (1); non solo: al “danno biologico” si assegnava anche un compito semplificante, consistente nell’assorbire tutte le sottovoci di danno che la fantasia o le circostanze del caso avevano indotto i giudici a creare, come il danno estetico, il danno alla vita di relazione, il danno derivante dalla compromissione della capacità lavorativa generica, e così via.

Insomma, alla metà degli anni Settanta il panorama del risarcimento del danno alla persona presentava da un lato una sorta di giungla confusa nella quale la sperequazione era la regola, e dall’altro lato lasciava intravedere un nuovo Eden in cui l’ordine e l’eguaglianza potevano essere ripristinati: al danno morale in senso stretto (racchiuso nella formula tralatizia delle sofferenze e dei patemi d’animo) e al danno reddituale derivante dalla compromissione della capacità lavorativa specifica, si affiancava, per merito dell’inventiva dei giudici del Tribunale di Genova, quella nuova voce onnicomprensiva, traducibile in tabelle più moderne rispetto a quelle utilizzate dalla prassi assicurativa e, in quel momento, più generose per le vittime e più penalizzanti per i danneggianti (e quindi per i loro assicuratori). Per significare appunto che questa nuova voce riguardava indistintamente tutti i soggetti ed era correlata alla loro salute venne adottata la formula del danno biologico acquisita dalla scienza medico-legale.

2. L’evoluzione.

L’itinerario del danno biologico costituisce una delle pagine più complesse della cronistoria della responsabilità civile, con corsi e ricorsi, progressi e regressi, interventi della Corte di Cassazione, della Corte costituzionale e con una diramazione tra i diversi tribunali italiani che oggi si può ricostruire schematicamente avendo riguardo alle tabelle di liquidazione del danno che ogni giudice adotta per soddisfare le richieste risarcitorie delle persone lese.

Dopo cinque lustri il panorama rimane ancora variegato. Si sono superati solo alcuni scogli: lo scoglio della definizione, essendo il danno biologico oggi inteso come la lesione psico-fisica della salute, valutata indipendentemente dalla capacità reddituale del soggetto; la sua natura , che attiene alla sfera patrimoniale del soggetto, e comunque si colloca in una posizione affine sia al danno morale sia al danno patrimoniale in senso stretto; la sua risarcibilità , che viene riconosciuta ad ogni soggetto, qualunque età e qualunque ruolo sociale abbia; la sua trasferibilità iure hereditatis in caso di morte non istantanea della vittima.

Sono rimasti aperti altri , rilevanti problemi: se accanto al danno biologico si possano creare nuovi tipi di danno alla persona derivanti dal sinistro in cui essa è coinvolta; se siano legittimati ad ottenere il risarcimento in caso di morte anche i conviventi di fatto; con quali criteri si debba liquidare il danno; se si possa riconoscere il risarcimento del danno biologico anche in caso di infortunio sul lavoro e se possa essere oggetto di rivalsa.

* Professore di diritto, Università La Sapienza - Roma

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La giurisprudenza, afflitta da una eterogeneità di casi, che non si affollano solo nel settore della circolazione stradale o degli infortuni sul lavoro, ma anche nell’ambito di rapporti contrattuali, nell’ambito di rapporti coniugali e di parentela, nell’ambito di rapporti genetici e di responsabilità medica, ha finito per disperdersi in una congerie di regole dettate dal “caso”. In particolare, anziché semplificarsi, le voci di danno risarcibile si sono moltiplicate: oltre al danno estetico e al danno alla vita di relazione, tuttora considerati spesso separatamente dal danno alla salute, si sono inventati il danno da lutto (2), il danno alla serenità della vita familiare (3), il danno da demansionamento (4), il danno da “mobbing” (5), il danno per la perdita del rapporto parentale e del godimento del congiunto, detto anche danno edonistico (6), e non è sicuro che il catalogo possa considerarsi completo. Questo indirizzo, che potrebbe comprendersi (anche se non giustificarsi) se rimanesse confinato nei meandri spesso inconoscibili della giurisprudenza di merito, attesa la peculiarità delle circostanze e la maggior reattività del giudice di fatto alle istanze dei danneggiati o dei congiunti delle vittime, è purtroppo talvolta avallato dalla Suprema Corte, che sembra quindi disattendere il principio che pone il divieto di duplicazione del risarcimento del danno derivante della lesione dell’unico interesse apprezzabile, ormai universalmente identificato con il valore della salute (7).

La proposta semplificante delle origini è seguita solo da uno degli indirizzi ascrivibili alla giurisprudenza Cassazione, l’indirizzo che tiene conto della inconciliabilità concettuale di tutte quelle sottovoci con la nozione ampia assegnata al danno biologico. E’ questo un esempio emblematico anche del fallimento della funzione nomofilattica della Suprema Corte.

Il dilemma teorico e pratico che si pone oggi all’interprete si può esprimere in termini elementari: occorre prendere atto – realisticamente parlando – del diritto “vivente” e dunque piegarsi alla creatività e gettare la spugna, o piuttosto insistere sui propositi originari e invitare all’ordine, non solo per ragioni di logica, ma anche per ragioni di identità di trattamento delle vittime e dei loro congiunti?

Se poi si passa dall’ambito del danno risarcibile ai criteri di risarcimento, ci si trova nuovamente di fronte ad una varietà impressionante di situazioni. Anche qui il modello originario tendeva alla semplificazione e , nei fatti, ad un livellamento (verso il basso) dell’ammontare dei risarcimenti: il

“metodo genovese” proponeva di fare riferimento al triplo della pensione sociale; il “metodo pisano”, costruito parzialmente sul vecchio modello francese, proponeva di fare riferimenti al

“punto” di invalidità; il “metodo equitativo tout court” lasciava libero il giudice di amministrare il danno come meglio si potesse tenendo conto delle peculiari circostanze dedotte in giudizio.

La Suprema Corte, con alcune pronunce di contenuto inequivoco, anzi, drastico, ha escluso che il metodo genovese fosse ammissibile, perché fondato su di un criterio estratto da una normativa non compatibile con quella risarcitoria (8). Forse si è omesso di considerare che l’interprete, anziché spaziare nei meandri della fantasia creativa, può ritenere equo (essendo i criteri equitativi quelli posti dal legislatore come parametro generale, ex art. 2056 cod. civ.) un criterio utilizzato dal legislatore ad altri fini. Non ha invece sindacato gli altri metodi, sicché ogni tribunale costituisce una repubblica a sé, conia le proprie tabelle, o riproduce le tabelle utilizzate da altri tribunali, o le integra e le adatta secondo le opportunità.

Quella invenzione che aveva stupito giuristi provenienti da altre esperienze, ed aveva suscitato – una volta tanto - un’ammirazione tale da far additare la nostra esperienza come la più avanzata in materia (9), ha finito per sgretolarsi di fronte alla “anarchia” risarcitoria.

3. Il disegno di legge presentato al Consiglio dei Ministri il 4 giugno 1999 e il d.l. 28 marzo 2000 n.70.

Ai problemi rimasti aperti ha tentato di dare risposta univoca e definitiva il disegno di legge presentato al (e quindi approvato dal) Consiglio dei Ministri il 4 giugno 1999, costituito da un breve articolato recante la “nuova disciplina in tema di danno alla persona” (10). La cronistoria di questo disegno di legge è anch’essa emblematica di uno dei modi di redazione tecnica delle leggi. L’

iniziativa della redazione di un testo normativo in materia era stata promossa dall’ISVAP in

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collaborazione con il CNR, con l’Università di Pisa e con l’ANIA ; la Commissione (di cui facevo parte insieme con Francesco Busnelli) ha elaborato un testo, a cui si sono poi aggiunte le tabelle relative, affidate alla competenza dei medici legali; il testo, trasmesso al Ministero dell’Industria, è stato rivisto e lievemente modificato dall’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia e quindi consegnato al Consiglio dei Ministri, che lo ha fatto proprio. Offerta una definizione di danno biologico (art.1) nel senso di “lesione alla integrità psicofisica suscettibile di accertamento legale della persona”, risarcibile “indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione del reddito del danneggiato”; riconosciuto il danno anche in caso di morte, non solo ai congiunti ma anche ai conviventi (art.2), il disegno di legge fissa criteri tabellari (art.4) sia per il danno biologico sia per il danno morale (inteso nel senso tradizionale di sofferenze e patemi d’animo), stabilendo la risarcibilità del danno morale a congiunti e conviventi di fatto non solo in caso di decesso della vittima, ma anche in caso di lesione superiore al 50% di invalidità.

Al fine di evitare che la liquidazione obbedisse a meri criteri meccanici, il disegno di legge ha previsto alcune valvole di adattamento dei criteri tabellari: se la lesione subita dal danneggiato è superiore a settanta punti di percentuale invalidante, il risarcimento del danno biologico è liquidato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso e comunque con valori non inferiori a quelli previsti dalle tabelle per la lesione massima (art.3 c.2); negli altri casi, i valori tabellari possono essere aumentati o diminuiti per un quinto, con equo apprezzamento delle eccezionali circostanze del caso; per il danno morale si dovrà tener conto della gravità della lesione e di ogni altro elemento idoneo a provarne l’effettiva incidenza sul danneggiato (art.2 c.1).

Il disegno di legge ha previsto che queste disposizioni siano inserite nel codice civile (con l’addizione degli artt. 2056 bis e 2059 bis). Si tratta di un’opzione davvero significativa, non solo perché si è voluto sottolineare che la disciplina di codice – avente per sua natura tenore generale – riguarda tutti i soggetti, ma perché si è voluto rafforzare il collegamento tra il codice e i valori costituzionali, rappresentati dalla protezione della persona, e dai valori della solidarietà sociale e dell’eguaglianza: in altri termini, nell’intenzione dei proponenti e dello stesso Consiglio dei Ministri (e, si spera, del Parlamento, quando si accingerà a tradurre quel testo in normativa vigente) le disposizioni di codice sono applicabili in ogni caso di lesione che sia luogo a danno biologico.

Il disegno complessivo del progetto ha anche una sua logica interna: non solo riconduce a uniformità le nozioni giuridiche e le voci di danno, ma introduce un sistema binario – fisso per i criteri tabellari ed elastico per i casi eccezionali – con cui si può superare l’anarchia risarcitoria; si stabiliscono quindi precisi limiti alla creatività della giurisprudenza.

Quanto alle lesioni che producono danni di modesta entità (c.d. micropermanenti) le tabelle, ordinate secondo il metodo della valutazione al “punto”, prevedono un abbattimento che non mortifica le istanze dei danneggiati. Si tratta di un livellamento modulato che gli osservatori hanno avuto modo di apprezzare.

Il disegno di legge, presentato al Senato (ove ha preso il numero S 3981), si è affiancato ad altre proposte presentate alla Camera (C 3303) e allo stesso Senato (S 3084) , ed è stato poi seguito da ulteriori proposte (S 4093; C 6817). Le complesse vicende in cui è stato occupato il Parlamento hanno fatto segnare il passo a tutti i testi proposti.

4. La parabola.

Nelle more il Governo ha emanato il decreto legge del 28 marzo 2000 n. 70 recante disposizioni urgenti per il contenimento delle spinte inflazionistiche, in cui, a fronte della limitazione negoziale delle compagnie di assicurazione per alcuni oggetti di alcune categorie di contratti per l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, si sono introdotte alcune disposizioni riguardanti la liquidazione del danno biologico: la definizione di danno biologico, che non differisce, in verità, da quella risultante dal disegno di legge citato (art. 3 c.2), la predisposizione di tabelle dirette alla determinazione dei punti di invalidità permanente (art. 3 c.3), che dovrebbero ricalcare quelle allegate al disegno cit., la definizione di nuovi criteri per il

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risarcimento dei danni alla persona di lieve entità (art.3 c.1), che modificano invece enormemente le tabelle proposte.

Queste ultime disposizioni travolgono il disegno complessivo – di cui impropriamente si lascia intendere che esse sono dirette ad anticiparne pro parte la vigenza con l’inciso “in attesa della riforma della disciplina relativa al danno biologico…” - per una molteplicità di ragioni: sia perché si articolano gli importi relativi alle c.d. lesioni micropermanenti con la previsione di un ammontare drasticamente ridotto rispetto a quello previsto nelle tabelle accluse al disegno di legge (art.3 c.1 lett. a) e b)); sia perché si circoscrive il risarcimento del danno morale al limite massimo di un quarto dell’importo liquidato a titolo di danno biologico (art. 3 c.1 lett. c); sia perché non si prendono in considerazioni i criteri elastici dovuti alle circostanze del caso.

Senza scendere alle valutazioni di opportunità politica o economica in ordine alle misure assunte, alla loro corrispettività delle limitazioni negoziali sopra indicate, o alla loro effettiva resa in termini di contenimento delle spinte inflazionistiche, dal punto di vista tecnico questa anticipazione modificata del testo complessivo crea imbarazzo e non stupisce che il decreto legge sia già stato impugnato dinanzi alla Corte costituzionale .

5. La prima ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale.

Si deve alla tempestività del Tribunale di Genova (11) la prima ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità delle disposizioni del d.l. cit. limitatamente ai criteri di risarcimento del danno; si può presumere che il decreto sarà impugnato – a quanto è stato preannunciato dalle compagnie di assicurazione – anche sotto il profilo della violazione della libertà negoziale; sotto questo profilo, atteso l’orientamento ormai consolidato della Corte sul difetto di copertura costituzionale della libertà contrattuale, l’impugnativa non dovrebbe sortire risultati di sorta, essendo ben più rilevante la questione sotto il profilo comunitario, poiché le direttive vita e non vita (nn. 49 e 96 del 1992) hanno liberalizzato il mercato, ivi comprese le condizioni di polizza e le tariffe. Qualche dubbio potrebbe residuare sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, con riguardo ai contratti in corso, atteso che il decreto legge ha ignorato la situazione transitoria.

Il caso che ha offerto l’occasione al giudice a quo per rimettere la questione alla Corte costituzionale riguarda il risarcimento dei danni psicofisici subiti dal passeggero di un motoveicolo, slittato in una curva e abbattutosi al suolo per colpa del conducente. Nel sinistro il passeggero aveva riportato contusioni alla spalla e a un ginocchio, con postumi invalidanti permanenti accertati dalla consulenza tecnica d’ufficio nella misura del 4%. Accertata la responsabilità del conducente, il giudice aveva predisposto il calcolo della somma da liquidare a titolo risarcitorio, seguendo il metodo del “punto” elaborato dai giudici pisani e corretto dai giudici milanesi. Nel frattempo il Tribunale aveva infatti abbandonato il “metodo genovese” criticato dalla Suprema corte ed ormai considerato non più applicabile. Tuttavia, entrato in vigore il decreto legge cit., il giudice ha ritenuto, in difetto di normativa transitoria, di dover seguire le nuove regole ed ha provveduto a riformulare il calcolo secondo i nuovi criteri, che hanno portato alla decurtazione del 52% dell’importo da liquidare. Questa drastica riduzione è parsa però non satisfattiva delle esigenze di tutela della vittima.

Si tratta di una valutazione che – fondata su argomentazioni formali di cui si dirà – è ancor più comprensibile nella specie perché emersa in un ambiente giurisprudenziale in cui era stata considerata satisfattiva la liquidazione del triplo della pensione sociale nei casi di vittime prive di qualsiasi reddito di lavoro, e pertanto ormai aduso a liquidare somme di modesta entità.

In ogni caso, alla luce delle precisazioni della Corte di Cassazione che aveva ripudiato quel sistema, il giudice rimettente, facendosi scrupolo di ripercorrere le tappe della vicenda del danno biologico, comprensive degli interventi della Corte costituzionale, ha fatto proprio il principio ribadito nella pronuncia n.184 del 1986, con cui la Corte aveva sostenuto che si non si potesse limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico, stante la norma ricavata dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 cod. civ.; ha inoltre espresso apprezzamento per il disegno di

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legge predisposto dal Governo, e quale premessa delle argomentazioni destinate a fondare l’incostituzionalità della nuova disciplina, ha segnalato che la proposta governativa, nella quale il metodo del punto è coniugato con la valutazione equitativa ristretta a casi di eccezione, realizza un sistema equilibrato e univoco di risarcimento del danno alla persona. Ma proprio movendo da queste premesse si è persuaso che il decreto legge è ben lungi dal rispecchiare un sistema equilibrato .

Il ragionamento è limpido: lo scopo di moralizzazione del settore (coniugato, si potrebbe aggiungere, con le finalità inerenti al contenimento dell’inflazione) è stato raggiunto “ con il sacrificio di principi e norme di rango costituzionale”, ignorando altresì il disegno complessivo che sostiene la proposta governativa del 4 giugno 1999.

Le violazioni individuate riguardano:

(a) l’art.32 c.1 Cost., per il fatto che, secondo l’orientamento ormai consolidato della Corte costituzionale, il diritto alla salute deve ricevere una “tutela piena”;

(b) l’art. 32 c.1 Cost.,per il fatto che la liquidazione è perentoriamente identica per tutti i danneggiati, senza possibilità alcuna per il giudice di adattare la somma risarcitoria alle circostanze specifiche del caso; l’equiparazione automatica sacrificherebbe la “valorizzazione soggettiva”, che pure è fatta salva nelle stesse argomentazioni più volte invocate dalla Corte e tenute ben presenti sia nel progetto dell’ISVAP sia nel progetto ministeriale ;

(c) l’art.32 e l’art.3 Cost., per il fatto che le tecniche liquidatorie in atto presso tutti i Tribunali esprimono un andamento progressivo a seconda del progredire delle percentuali di invalidità, mentre nel decreto si fissa un’unica misura per tutte le micropermanenti fino al 5% di invalidità (essendo il punto fissato in lire 800.000) e altra unica misura per le micropermanenti comprese tra il 6 e il 9% di invalidità (essendo il punto fissato in lire 1.500.000); ne risulterebbe quindi un’ulteriore discriminazione, dovuta all’appiattimento delle valutazioni all’interno delle due fasce (da 1 a 5 e da 6 a 9 );

(d) violazione dell’art.3 Cost. con riguardo alla discriminazione del risarcimento operata in funzione dell’età dei danneggiati, dal momento che (come risultata da tutti i metodi applicati e dai progetti ora pendenti in Parlamento) l’ammontare del risarcimento decresce con il crescere dell’età, in correlazione alla qualità della vita del danneggiato;

(e) violazione degli artt. 2 e 32 Cost. per l’abbattimento drastico e uniforme delle somme liquidate a titolo di danno morale, in ciò mortificandosi la dignità morale della persona (secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, ribadito con la sentenza n.10606 del 1996 );

(f) violazione dell’art.3 Cost., per il fatto che la riduzione drastica e uniforme di tutte le valutazioni del danno morale derivante da sinistri occorsi nella circolazione dei veicoli costituisce un regime speciale rispetto alla valutazione (equitativa) del danno morale derivante da reato commesso in altre fattispecie.

A questi profili di illegittimità costituzionale si potrebbero ancora aggiungere altri profili: ad esempio, la violazione degli artt. 2,3 e 32 in quanto il diritto alla salute viene subordinato nel decreto legge alle esigenze del contenimento dell’inflazione, prospettandosi indirettamente la prevalenza di un interesse pubblico di natura economica rispetto alla tutela del diritti fondamentali della persona che esprimono valori di rango superiore rispetto a quelli propri dell’economia nazionale; e pure la violazione di queste disposizioni, per aver subordinato i diritti fondamentali della persona agli interessi economici degli operatori del settore assicurativo, interessi protetti – nei limiti stabiliti dall’art. 41 c.2 Cost. – solo in quanto compatibili con “la dignità, la sicurezza e la salute”.

L’ordinanza, diffusamente e compiutamente argomentata, lascia intendere dunque che il progetto dell’ISVAP, come corretto ed approvato dal Governo, risulterebbe compatibile con i valori costituzionali, perché non sacrificherebbe i valori fondamentali della persona, pur assicurando una maggiore uniformità nella liquidazione del danno biologico; mentre le apparenti anticipazioni

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estratte da quel progetto, con drastiche e meccaniche riduzioni degli importi risarcitori, stravolgono il sistema di valori posti alla base della Carta fondamentale.

Il decreto legge ora Sub Iudice si collega, anche se non incide, con la nuova disciplina del danno biologico in materia di infortuni sul lavoro.

6. Il danno biologico negli infortuni sul lavoro.

L’art.3 del d.l. n.70 del 2000 fa salvo quanto previsto dall’art.13 del d.lgs. 23 febbraio 2000 n.38 (art.3 c.1). Ciò significa che la nuova disciplina del danno biologico in materia di infortuni sul lavoro non è incisa dalle disposizioni del decreto legge; entrambe le discipline rimangono per così dire nel limbo delle determinazioni parlamentari, in attesa di una disciplina organica: una disciplina annunciata sia nel decreto legge, sia nello stesso disposto dell’art.13 del decreto legislativo, il quale fa rinvio alla futura “definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento”.

E’ da notare, innanzitutto, che il d.lgs. n.38/2000 riprende la definizione del disegno di legge ministeriale sopra cit. Se i testi normativi rimarranno inalterati – il testo del decreto legge, ove fosse convertito, e il testo sugli infortuni e il testo recante la novellazione del codice civile – si sarebbero raggiunti due obiettivi fondamentali: la predisposizione di una definizione legislativa di danno biologico e l’unificazione dei criteri di valutazione del danno alla persona, in qualunque fattispecie la lesione alla salute si sia prodotta.

Il primo obiettivo, tenendo conto di quanto sopra accennato, assolve alla funzione di ridurre entro confini più certi una nozione tanto martoriata; la definizione dovrebbe dunque considerarsi vincolante per l’interprete. Ancorché si discuta, dia cultori di teoria generale del diritto, sulla vincolatività delle definizioni legislative (12) e si abbiano numerosi esempi di superamento dei confini del testo definitorio, a cominciare dalle definizioni basilari in campo privatistico, quali quelle dei poteri del proprietario ex art. 832 o della nozione di contratto ex art. 1321 cod. civ. , lo scopo precipuo della definizione di danno biologico consiste proprio nel dare riconoscimento a questo aspetto della personalità dell’individuo , nel dare attuazione all’art.32 Cost. e nell’assicurare parità di trattamento nella liquidazione del danno alla persona a tutti i soggetti ex art.3 Cost. Sicché qualsiasi definizione diversa da quella imposta dal legislatore, ricavata sulla scorta delle manipolazioni interpretative, si porrebbe in contrasto con le disposizioni costituzionali.

Il secondo obiettivo è ancor più pregnante, perché si discosta dalla tradizionale contrapposizione di regole inerenti la responsabilità civile e regole inerenti il sistema previdenziale. Il tema era stato discusso nell’ambito del progetto di revisione della disciplina delle tecniche di valutazione del danno nell’assicurazione degli infortuni predisposto dalla Commissione di esperti istituita dall’INAIL nel 1991, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale nn. 87, 356 e 485 del medesimo anno (13).

Come è noto, successivamente la Corte ha confermato la propria posizione sull’argomento con la sentenza n. 71 del 1993. La Commissione, tenendo conto delle precipue finalità previdenziali della disciplina, e dei principi pubblicistici posti alla sua base, aveva però concluso per la differenziazione delle due normative, ma alcuni componenti (Busnelli, Poletti e chi scrive) si erano dissociati da queste conclusioni, evidenziando la necessità di assegnare alla lesione della salute una configurazione normativa unitaria, autonoma rispetto alle singole fattispecie in cui la lesione si dovesse produrre, e svincolata da qualsiasi connessione al reddito lavorativo. Nel confermare la personalità di questo aspetto del danno, tale da sottrarre il risarcimento all’azione di regresso dell’INAIL, l’opinione dissenziente aveva sottolineato che nel sistema assicurativo sociale i parametri da utilizzare avrebbero dovuto essere uniformi a quelli propri di ogni valutazione del danno alla persona, sub specie di danno biologico, comunque verificatosi (14).

La prospettiva solidaristica, che sarebbe stata svuotata di significato sostituendosi il risarcimento del danno pieno alla liquidazione di un indennizzo commisurato “ai mezzi adeguati alle esigenze di vita” (15), già superata dalle argomentazioni della Corte Costituzionale, è ora

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abbandonata proprio in virtù della unitarietà e autonomia della nozione, cui corrisponde un diritto fondamentale personalissimo, garantito dagli artt. 2,3 e 32 Cost.

La nuova disciplina del danno biologico nel settore degli infortuni è corredata da tabelle, sulle cui voci non è il caso di addentrarsi in queste pagine.

Val la pena però di svolgere un ulteriore commento sollecitato dall’esame per così dire sinottico dei settori considerati.

7. Considerazioni conclusive.

Il progetto di politica del diritto avviato più di venticinque anni fa è ancora lontano dal suo compimento: il decreto legge n. 70 del 2000 – ove fosse convertito senza adeguate modificazioni – finirebbe per svilire gli scopi che lo avevano animato, mantenendo ferma una definizione che non sopporta decurtazioni così drastiche per le modeste lesioni dell’integrità fisio-psichica. Non si tratterebbe di un fallimento pieno, ma piuttosto di una distorsione diretta a mortificare il riconoscimento di un diritto fondamentale che, pur tradotto in formule unificanti e parificanti, finirebbe per conservare trattamenti differenziati eccessivamente sbilanciati rispetto alla concreta lesione della salute.

Di più. Dal punto di vista normativo oggi sono in vigore almeno tre diversi regimi riguardanti il danno alla persona: il regime diretto a contenere i risarcimenti dei danni derivanti dalla circolazione stradale; il regime riguardante il danno biologico occorso negli infortuni sul lavoro; il regime riguardante il danno morale derivante da reati di tipo diverso. Proprio l’obiettivo iniziale, che intendeva rivalutare la persona nella dimensione più grave, la dimensione della morte, della sofferenza, dell’invalidità, appare frantumato non solo con riguardo alle modalità di creazione del danno, non solo con riguardo alle modalità di produzione della lesione, ma anche con riguardo alla graduatoria degli interessi pubblici e privati che risultano prevalere sull’interesse basilare della persona, cardine dell’intero sistema costituzionale.

In sostanza, si è passati dall’anarchia giurisprudenziale alla confusione normativa, senza poter prevedere gli esiti di una vicenda che continua ad essere tormentata e ad essere esposta alla casualità delle esigenze contingenti.

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BIBLIOGRAFIA

(1) Trib. Genova, 25.5. 1974, in Giur.it., 1975, I,2, 53, con nota di M. Bessone e V. Roppo; la sentenza era stata prontamente riformata dalla Corte di Appello di Genova con sentenza del 17.7.1975, resa secondo il metodo tradizionale (ivi, 1976, I,2, 443, con nota mia). Per la ricostruzione dei profili giuridici del danno biologico, v. G. Alpa, Il danno biologico.Percorso di un’idea, 2° ed., Padova, 1993 e ora La responsabilità civile, Milano, 1999, p. 379 ss.; F. D.

Busnelli, I problemi attuali del danno alla salute, in Danno e resp.,1996, p. 665 ss.; C.

Castronovo, Danno biologico. Un itinerario di diritto giurisprudenziale, Milano, 1998; A. Di Majo, L’avventura del danno biologico: considerazioni in punta di penna, in Riv. crit. dir.

priv., 1996, p. 299 ss.; M. Franzoni, Dei fatti illeciti, Bologna-Roma, 1993, p. 910 ss.; G.

Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, 2° ed., Padova, 1999, p. 576 ss.; P. G.

Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998, p. 474 ss.; D. Poletti, Danni alla persona negli “accidenti da lavoro e da automobile”, Torino, 1996; E. Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996.

L’evoluzione della giurisprudenza ligure in argomento è trattata compiutamente da C. Marvasi, Il danno biologico.Rassegna di giurisprudenza sulla liquidazione del danno alla persona, in Nuova giur. ligure, 1999, 1,p.115 ss. e 2, p, 125 ss.

(2) Trib. Orvieto, 7.11.1997, in Arch. circ. Sin.,1997, 1001 (3) Trib. Milano, 18.2.1988, in Resp. civ. prev.,1988,p. 454 (4) Trib. Milano, 26.6.1999, in Lav. nella giur., 1999, p.1075 (5) Trib. Milano, 21.4.1998, Dir.lav.1998, p. 957

(6) Trib. Milano, decisa il 1.4.1999

(7) Il danno estetico è liquidato con poste separate rispetto al danno biologico da Cass.29.9.1999, n.

10762; Cass. 8.5.1998, n. 4677 in Giur. it.,1999, 934 con nota di Arguello, nonché in Danno e resp. civ., 1998, 947, e in Assic., 1998, II, 36 con nota di Rossetti; Cass. 28.4.1997, n. 3635, in Riv. it. med. leg., 1999, 590.

Sull’inclusione del danno estetico e del danno alla vita di relazione nella nozione di danno biologico v. invece Cass. 12.1.1999,n. 256; App. Milano, 23.6.1998, in Foro pad., 1998, I, 359;

Trib. Bologna, 25.10.1994, in Dir. ec. assic., 1995, 577 con nota di Facci

(8) Cass. 23.1.1998, n.668, in Giur. it., 1998, 2039; Cass. 22.5.1998,n. 5135; Cass.

30.10.1998,n. 10897. Il Tribunale di Genova si è uniformato all’indirizzo della Suprema Corte con sentenza del 28.9.1998, in Nuova giur. ligure, 1999, 1, 138

(9) V. Ch. von Bar, Gemeineuropaeisches Delitsrecht, Monaco, 1996, t.I, p. 573 ss.

(10) In Guida al diritto, n.24 del 19.6.1999, p. 100

(11) Ord. del 4.4.2000, in corso di pubbl. su Nuova giur. ligure, 1, 2000 . La stampa (Italia Oggi, 20.4.2000, p.26) ha riportato anche i contenuti dell’ord.del G. P. Roma, 12.4.2000, che avrebbe ritenuto non applicabile il decreto legge ai rapporto processuali pendenti; e l’ord. Trib.

Firenze, 30.3.2000, che avrebbe espresso le medesime obiezioni seguite dal Trib. Genova.

(12) Per tutti v. R. Guastini, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1998, p. 33 s.; G. Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, p. 153 ss; e già A. Belvedere, Il problema delle definizioni nel codice civile, Milano, 1977

(13) Sul punto v. M. Persiani, Tutela previdenziale e danno biologico, in Dir. lav., 1992,p. 232 (14) Danno biologico e infortuni sul lavoro, in Riv. inf. mal. prof., 1993, p. 375

(15) In argomento v. ancora M. Persiani, op. cit., p. 236

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