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Il rapporto salariale nel capitalismo cognitivo……….21 5.1 La produzione cognitiva………22 5.2 La codificazione salariale……….24 2

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Indice

Introduzione………...4

1. DAL CAPITALISMO MATERIALE AL CAPITALISMO IMMATERIALE...5

1. Verso un capitalismo cognitivo………. ...5

1.1 Qual è il ruolo della conoscenza nel capitalismo industriale?...7

2. L’originalità e l’attualità del contributo marxiano………..10

2.1 Sussunzione formale……….10

2.2 Sussunzione reale ………11

2.3 General Intellect ………11

3. L’evoluzione storica della divisione del lavoro ………12

3.1 Il contributo di Young ………...12

3.2 Verso forme di organizzazione più flessibili………..13

4. La divisione internazionale del lavoro……….16

5. Il rapporto salariale nel capitalismo cognitivo……….21

5.1 La produzione cognitiva………22

5.2 La codificazione salariale……….24

2. ECONOMIA DELLA CONOSCENZA ED EFFETTI SULLA PROFESSIONALITÁ………...27

1. Le nuove imprese basate sulla conoscenza……….27

2. Il Konwledge Management……….28

3. Il Capitale Intellettuale……….32

4. La risorsa conoscenza………34

4.1 La prima anomalia del bene-conoscenza………...38

4.2 La seconda anomalia del bene-conoscenza………..39

5. Scienza ,informazione e conoscenza tacita………..39

5.1 Scienza e informazione: due archetipi della conoscenza ………...40

5.2 La conoscenza tacita……….40

6. Due percorsi di apprendimento: evolutivo e logico-razionale………...42

6.1 L’approccio logico-razionale……….42

6.2 L’approccio evolutivo……….43

(2)

6.3 La complementarietà dei due processi di apprendimento………45

7. Le categorie della conoscenza……….46

7.1 Conoscenza e informazione……….46

7.2 Conoscenza esplicita e conoscenza tacita……….47

7.3 I livelli della conoscenza………48

7.4 La conoscenza come leva competitiva………..49

8. L’organizzazione è fatta di persone………..49

8.1 L’intelligenza delle persone ed i legami di rete……….50

8.2 La conoscenza per fronteggiare la complessità………...51

8.3 La transizione verso il Capitalismo delle reti……….52

3. STRATEGIE DI RETENTION DEL PERSONALE COME VANTAGGIO COMPETITIVO……….55

1. Che cos’è la Retention del personale?...55

1.1 L’importanza delle risorse umane………...55

2. I metodi per fare formazione……….56

2.1 Il coaching………...59

3. Professionalità integrale: tre dimensioni del sapere………...60

3.1 Il Sapere………..61

3.2 Il Saper Fare………...61

3.3 Il Saper Essere………..62

3.4 Una quarta dimensione: il voler essere………..63

4. Il Job Design………...64

4.1 La Job Rotation……….65

4.2 Il Job Enrichment………..66

4.3 Il Job Enlargement………66

5. Come trattenere il personale più qualificato?...67

5.1 Quali strategie adottare?...68

6. Work life balance: un approfondimento……….72

6.1 L’evoluzione storica del work life balance………73

4. STRATEGIE DI RETENTION DEL PERSONALE: IL CASO MINICONF SPA………78

1. L’azienda MINICOF………..78

2. I “numeri” del personale aziendale……….78

3. L’importanza delle risorse umane per Miniconf………..79

4. Le strategie di ritenzione del personale attivate dall’azienda………….79

(3)

4.1 Le borse di studio………..79

4.2 Cene aziendali………...80

4.3 Giornata dei bambini in ufficio……….80

4.4 Concorso fotografico interno………...80

4.5 Collaborazione con la Scuola Materna ed Elementare di San Piero………81

4.6 Il progetto “Amanduk nel Casentino”……….82

4.7 Orario flessibile………..83

4.8 Mensa aziendale………...83

4.9 Mantenere le iniziative realizzate………84

4.10 Risultato delle strategie di Retention del personale in Miniconf…………..85

5. IL METODO DELPHI………87

1. Che cos’è il metodo Deplhi?...87

1.1 Storia del metodo Delphi………..87

1.2 Come si applica il metodo Delphi………87

1.3 Vantaggi e svantaggi del metodo Delphi………..88

2. La ricerca sulle strategie di retention del personale……….89

2.1 Risultati………90

2.2 Conclusioni……….94

6. SWOT ANALYSIS……….99

1. Introduzione alla Swot Analysis…..………99

2. In quali casi utilizzare la Swot Analysis………..100

3. Come utilizzare la Swot Analysis……….……….101

4. La Swot Analysis sulle strategie di retention del personale………….103

4.1 Analisi Punti di forza………103

4.2 Analisi Punti debolezza………..103

4.3 Analisi Opportunità………..104

4.4 Analisi Rischi………104

4.5 Definire il piano d’azione………105

Conclusioni………106

Bibliografia………107

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Introduzione

Il presente elaborato è stato realizzato con lo scopo di analizzare l’importanza del capitale cognitivo all’interno delle organizzazioni come vantaggio competitivo e conseguentemente indicare come attivare le migliori strategie di Retention del personale per non perdere i lavoratori più qualificati e con essi la loro conoscenza tacita.

Nei primi capitoli viene dimostrata l’importanza del ruolo del sapere, incorporato nel capitale cognitivo all’interno delle organizzazioni e tramite l’analisi dell’economia della conoscenza si sottolinea l’importanza della sua gestione, poiché per trarne valore è necessario saperla individuare, diffondere e gestire.

La seconda parte dell’elaborato introduce il concetto di Retention del personale, legato all’importanza del mantenere all’interno delle organizzazioni i lavoratori dotati di una professionalità integrale. Si parla di strategie e non di semplici iniziative, perché una volta applicate devono essere portate avanti e mantenute nel tempo.

Nel testo vengono evidenziate le principali strategie di Retention del personale quali: l’introduzione di nuovi piani retributivi, il ridisegno delle mansioni, il rafforzamento dei vincoli sociali, attingere al mercato interno del lavoro ed il work life balance.

L’elaborato riporta il caso di un’azienda che ha promosso e concretizzato iniziative che rientrano in una strategia di work life balance con l’intenzione di aumentare il benessere lavorativo e rafforzare il senso di appartenenza all’azienda e al territorio.

Con lo scopo di ricercare quelle che sono le migliori strategie ritentive del personale e come applicarle è stato somministrato un questionario ad un panel di 12 esperti in Risorse Umane, seguito da una Swot Analysis utilizzando i dati raccolti.

I risultati della ricerca, dimostrano quanto sia importante da parte dell’azienda accrescere la motivazione della popolazione aziendale e prestare attenzione ai loro bisogni e necessità, per poter attivare strategie di Retention diversificate, per tutte le famiglie professionali.

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1. DAL CAPITALISMO MATERIALE AL CAPITALISMO IMMATERIALE

1.Verso un capitalismo cognitivo

In seguito alla crisi del fordismo, il Capitalismo ha subito una trasformazione strutturale con la conseguente modifica delle forme di valorizzazione del capitale e della produzione ed organizzazione del lavoro.

Ruolo fondamentale di questo processo di trasformazione è ricoperto dalla conoscenza, come dimostrano le analisi che nascono dalla rivoluzione informatica e quelle sull’economia fondata sul sapere .

Il ruolo chiave della conoscenza nella crescita e nel progresso tecnologico non deve stupirci, in quanto ha anticipato la prima rivoluzione industriale fino ad arrivare ai giorni nostri, agendo sotto diverse forme. La questione è quindi la seguente: “In quale forma si presenta la conoscenza oggi?”.

Trovare risposta a questo quesito non è cosa semplice, poiché lo stesso concetto di “economia fondata sul sapere” non è ancora ben definito, probabilmente per due motivi principali. Il primo riguarda la tendenza a formulare leggi economiche universali e ad affrontare quindi il tema della conoscenza con modelli generali validi in ogni tempo e spazio, con una separazione tra l’analisi economica e quella dei rapporti sociali. Il secondo ostacolo sta nella visione riduttiva del ruolo della conoscenza che comporta l’incapacità di distinguere tra il concetto di informazione e quello di conoscenza, la quale ha il compito di interpretare e mobilitare l’informazione. La conoscenza senza l’informazione sarebbe quindi una risorsa inutilizzabile.

Il concetto che meglio focalizza il senso delle trasformazioni attuali è quello di capitalismo cognitivo.

Analizzando i due termini che formano il concetto possiamo definire anche quella che è la relazione tra i due.

La parola capitalismo indica la permanenza, nella trasformazione delle variabili di base, del sistema capitalistico, con particolare attenzione al ruolo guida del profitto e del rapporto salariale, vale a dire delle differenti forme di lavoro dipendente della quali viene estratto il plusvalore.

L’aggettivo cognitivo pone l’attenzione sulla nuova natura del lavoro, delle fonti di valorizzazione e della struttura di proprietà sulle quali si fonda il processo di accumulazione e le contraddizioni che ne derivano.

(6)

I differenti modi di regolazioni e regimi di produzione della conoscenza evolvono in relazione alla trasformazione delle forme istituzionali che rappresentano l’intera storia del capitalismo e della sua capacità di riprodursi tramite una costante trasformazione dei rapporti sociali.

Le principali dimensioni che caratterizzano la dinamica della produzione, circolazione, uso e diffusione della conoscenza sono tre.

La prima dimensione riguarda il rapporto salariale, più precisamente il rapporto capitale – lavoro e rimanda ai due aspetti dell’economia della conoscenza: i saperi non incorporati e messi in moto dal lavoro vivo e i saperi incorporati nel capitale sotto forma di capitale materiale o sotto la voce di risorse o beni immateriali come R&S, software, marchi e brevetti.

La seconda dimensione alla condizione storica del bene conoscenza, che parte dal considerare tale bene da un estremo all’altro, cioè partendo da conoscenza come merce, suscettibile di appropriazione privata fino ad arrivare alla conoscenza come bene pubblico, libero e sottratto alla logica di mercato. Quest’analisi ci porta alla questione sui diritti di proprietà intellettuale.

La terza dimensione rinvia al ruolo del sapere come variabile comparativa a livelli micro, macro e mesoeconomico, decisivo nell’analisi storica dell’evoluzione delle forme di concorrenza e della divisione internazionale del lavoro.

Le tre dimensioni sono tra loro collegate e interdipendenti e definiscono l’evolversi della produzione e della regolazione storica della conoscenza secondo due logiche distinte: una riguardante il capitalismo industriale e una relativa alla nascita di un nuovo sistema storico di accumulazione, il sistema di capitalismo cognitivo.

Landes1 analizza come la guerra economica dei saperi influenzò i rapporti internazionali durante il burrascoso periodo di transizione dal capitalismo di mercato al capitalismo industriale, sottolineando che ciò che permise alla Gran Bretagna di essere il Paese che inaugurò tale rivoluzione fu il sapere, prima ancora delle istituzioni, della cultura e del denaro.

Durante l’epoca mercantilistica la suddetta guerra dei saperi si riferisce a due strumenti principali: uno è il ricorso al brevetto che si propaga in epoca Rinascimentale grazie ad una politica decisionista dello Stato che vuole appropriarsi del “saper fare”

ossia delle tecnologie e dei mestieri create e migliorate all’estero piuttosto che incentivare e ricompensare l’innovazione tecnologica; l’altro strumento è lo spionaggio

1 Landes D., The Wealth and Poverty of Nations: Why Some Are So Rich and Some So Poor.

New York, 1998.

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e la ricerca organizzata di operai e tecnici qualificati, accompagnato dalla promulgazione di leggi sempre più severe che ne ostacolano l’emigrazione oltre a limitare il trasferimento delle tecnologie.

In questo periodo storico si era consapevoli che la conoscenza, anche se formalizzata, non aveva valore se separata dal saper fare dei lavoratori e il suddetto saper fare poteva essere acquisito solo attraverso l’esperienza, cioè attraverso quel processo che oggi chiamiamo learning by doing.

Questa politica nella seconda metà del XVIII secolo dovette però scontrarsi con lo sviluppo industriale inglese che comportò l’ampliarsi della specializzazione, della divisione del lavoro in virtù della quale ogni operaio non deteneva che una minima parte della conoscenza necessaria alla produzione.

1.1 Qual è il ruolo della conoscenza nel capitalismo industriale?

Durante quest’era del capitalismo la regolazione dell’economia della conoscenza si basa su tre assi principali, che sono: la separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, la polarizzazione sociale dei saperi e il processo di incorporazione del sapere nel capitale fisico, sottoposto alla logica di accumulazione, possibile grazie alla centralità della grande impresa (Manchesteriana prima e Fordista2 dopo).

Tale centralità era accompagnata da una norma di creazione del valore basata sulla ricerca di riduzioni di tempo del lavoro necessario alla produzione, per tale scopo era infatti stato creato un ufficio di programmazione Tempi e Metodi3.

La ricerca di una maggiore efficienza economica insieme alla ricerca di una minore dipendenza della direzione aziendale dei saperi di produzione degli operai hanno portato ad una dinamica del progresso tecnico che ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo della prima rivoluzione industriale.

Prima di tale rivoluzione erano infatti gli operai, dotati di un sapere artigianale completo ad organizzare la produzione.

2 Il fordismo è un “Sistema di organizzazione e politica industriale, attuato a partire dal 1913 da H. Ford nella sua fabbrica di automobili. Basato sui principi del taylorismo, mirava ad

accrescere l'efficienza produttiva attraverso una rigorosa pianificazione delle singole operazioni e fasi di produzione, l'uso generalizzato della catena di montaggio, un complesso di incentivi alla manodopera (paghe più alte, orari di lavoro ridotti ecc.)”, www.treccani.it, sezione

“Dizionario di economia e Finanza”, voce “Fordismo”.

3 Taylor F., The Principles of Scientific Management, saggio, 1911.

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Per questo lo sviluppo del capitalismo industriale è accompagnato dall’espropriazione progressiva dei saperi operai, i quali venivano mano a mano incorporati in un sistema meccanico sempre più complesso ed ad appannaggio esclusivo della direzione centrale.

Il processo di polarizzazione dei saperi trova la sua massima espressione nel modello fordista, la cui organizzazione scientifica di matrice taylorista ha come obiettivo quello sottrarre la dimensione intellettuale e progettuale durante la fase esecutiva del lavoro e questo è possibile tramite un processo di codificazione della conoscenza.

La transizione dal capitalismo industriale a quello cognitivo si manifesta in tre processi che sono alla base della crisi sociale del rapporto salariale fordista, che precisamente riguardano la contestazione dell’organizzazione scientifica del lavoro, legato quindi al rifiuto della parcellizzazione del lavoro ed il bisogno di maggior autonomia da parte dei lavoratori; l’espansione delle garanzie e dei servizi collettivi del welfare ponendo le fondamenta di un modello di sviluppo fondato, anziché sul primato del mercato, sulla produzione intensiva di conoscenze finalizzate alla produzione dell’uomo sull’uomo, investendo quindi in salute, educazione e ricerca 4; la costituzione di un’intellettualità diffusa come risultato del fenomeno della democratizzazione dell’insegnamento e dell’elevazione del livello generale di formazione che porta all’aumento del lavoro intellettuale e mette in discussione le forme di divisione del lavoro tipiche del capitalismo industriale.

Nel nuovo capitalismo il sapere e l’immateriale vanno a sostituire i criteri di produttività - quantità e del tempo di lavoro come principale risorsa del valore; ne deriva una ricomposizione delle attività progettuali ed esecutive nonché di quelle produttive e innovative.

La diffusione delle funzioni di produzione e di conoscenza, nonché di trattamento dell’informazione interessa tutti i campi economici, compresi quelli a bassa intensità tecnologica 5, è legata all’importanza delle esternalità legate al sapere e ai suoi effetti sull’organizzazione della divisione sociale e tecnica del lavoro.

La fonte della ricchezza delle nazioni si trova sempre più a monte della sfera del lavoro salariato e dell’universo mercantile, principalmente nel sistema di formazione e ricerca. Nasce così il concetto d’impresa che apprende, che punta a superare le barriere tra attività di produzione ed attività di ricerca e di pari passo con questa

4 Aglietta M., Règulation et crises du capitalisme, Calmann-Levy, Parigi, 1976.

5 Elliason G., “Firms objectives, controls and organisation”, Economics of Science, Technology, and Innovation, vol.8, 1996.

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evoluzione procede una nuova divisione internazionale del lavoro basata su processi cognitivi.

La scienza produttiva non è più incapsulata nelle macchine, ma si trova nella reattività della forza lavoro che deve essere capace di condividere le conoscenze generiche e decontestualizzate, le quali possono essere applicate nei campi più disparati.6

La nuova preponderanza dei saperi incorporati nel lavoro fa emergere dei problemi inediti a livello d’inquadramento poiché la cooperazione produttiva dei salariati si può sviluppare in maniera autonoma rispetto alle funzioni di direzione dell’impresa7.

E’ infatti la regolazione della tensione tra sapere e potere che ci spiega perché la strada della precarizzazione e dell’individualizzazione del rapporto salariale è stata privilegiata, il controllo attraverso la prescrizione dei mezzi e delle procedure si sostituisce al controllo attraverso l’obbligo dei risultati; la norma tayloristica del lavoro è rimpiazzata dalla norma della soggettività 8, vale a dire dall’imposizione ai salariati di impegnarsi nel lavoro mettendo la loro creatività al servizio dell’impresa come se fosse un’attività libera e indipendente.

L’accelerazione del ritmo dell’innovazione, ci ha portato ad un regime di innovazione permanente9: la fonte della competitività non risiede più nelle tecnologie incorporate al capitale fisso, ma nella competenze della forza lavoro che deve essere in grado di gestire la dinamica di continuo mutamento.

La divisione tecnica tayloristica è quindi sostituita da una divisione di tipo cognitivo, che si basa cioè sul “frazionamento dei processi di produzione secondo la natura dei blocchi di sapere che sono mobilitati”10 e in questa situazione “la logica di sfruttamento dei vantaggi comparati arretra a favore della detenzione da parte di un territorio, di elementi di monopolio e di vantaggi assoluti su delle competenze specifiche”11.

6 Veltz P., “Entrprises et territoires: une dépendance accrue”, Alternatives économiques, hors- série, n. 43, 2000.

7 Alter N., L’innovation ordinaire, PUF, coll.Sociologia, Parigi, 2000.

8 Clot Y., La fonction psychologique du travail, PUF, Parigi, 2002.

9 Foray D., L’economie de la connaissance, La Découverte, “Repères”, Parigi, 2000.

10 Mouhoud El, M., Changement technique et division International du travail, Economica, Parigi, p.127, 1992.

11 Mouhoud El, M., Changement technique et division International du travail, Economica, Parigi, p.128, 1992.

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2. L’originalità e l’attualità del contributo marxiano

Marx12 pone l'accento sul rapporto conflittuale tra sapere e potere che ha determinato lo sviluppo della divisione capitalistica del lavoro.

Tale rapporto conflittuale viene spiegato e ricostruito attraverso i concetti di sussunzione formale, sussunzione reale, e General Intellect.

Il termine sussunzione indica le forme della subordinazione del lavoro al capitale, mentre il concetto di General Intellect riguarda il cambiamento radicale della sussunzione del lavoro al capitale e designa infatti il terzo stadio della divisione del lavoro. Possiamo infatti identificare questi tre concetti con tre periodi, che caratterizzano un’elaborazione teorica del tempo storico della divisione del lavoro e del ruolo del sapere.

2.1 Sussunzione formale

La prima fase è rappresentata dalla sussunzione formale, la quale si sviluppa tra l’inizio del XVI secolo e la fine del XVIII secolo e si basa sui sistemi produttivi della manifattura accentrata e del putting out system, conosciuto anche come sistema della fabbrica diffusa, il quale si basa sulla figura dell’imprenditore mercantile che organizza la produzione presso operai e artigiani indipendenti.

In questa fase il rapporto il legame tra capitale e lavoro è caratterizzato dal monopolio dei saperi degli operai di mestiere e degli artigiani, nonché dalla prevalenza dei metodi di accumulazione di tipo finanziario e mercantile.

12 Marx K., Miseria della filosofia, Editori Riunini, Roma, 1970. Trad. Frac. Editions Sociales, Parigi, 1972.

- ID. Lavoro salariato e capitale, 1847, in K. Marx – F. Engels, Scritti del primo periodo teorico- pratico: 1843-1852, a cura di E. Fiorani, Ed. Lavoro Liberato, Milano. 1975.

- ID. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, 2 vol. La Nuova Italia, 1968- 70, trad. it. di Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie, 1857-58.

- ID. Il capitale, 3 vol., Editori Riuniti, Roma 1989.

Trad. it. di; Das Kapital.Kritik der politischen Ökonomie, edizioni originali 1867, 1885, 1894, 3 Bände ( Dietz, Berlino 1947-49), Libro I (Band I, 1947) : trad. D. Cantimori, introduzione M.

Dobb. Libro II (Band II, 1948): trad. R. Panzieri. Libro III (Band III, 1949). Trad. M. L. Boggeri.

- ID. Storia dell’economia politica. Teorie sul plusvalore, 3 vol., Editori Riuniti, Roma, 1993. Vol.

I, La teoria del plusvalore da William Petty a Adam Smith; Vol. II, David Ricardo; Vol.III, Da Ricardo all’economia volgare; trad. it. di Theorien über den Mehrwert. Aus dem

nachgelassenen Manuskript “Zur Kritik der politischen Ökonomie” von Karl Marx,

herausgegeben von Karl Kautsky. Die Anfänge der Theorie vom Mehrwert bis Adam Smith, Dietz, Stuttgart, 1905.

- Marx K. e Engels F., L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1972, trad. franc. Editions Sociales, Parigi, 1998.

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2.2 Sussunzione reale

La seconda tappa è quella della sussunzione reale e comincia con la prima rivoluzione industriale.

Un processo di polarizzazione del sapere caratterizza in questo periodo la divisione del lavoro e ciò porta alla parcellizzazione e dequalificazione del lavoro di produzione e alla sovra-qualificazione di una piccola componente della forza lavoro, destinata invece a mansioni di concetto13.

Alla base della legge del valore-lavoro stava la ricerca del risparmio di tempo e la riduzione del lavoro complesso a lavoro semplice, nonché l’incorporazione del sapere nel capitale fisso e nell’organizzazione aziendale.

Infatti il processo di accumulazione del capitale si fonda sulla grande fabbrica, prima manchesteriana e poi fordista, specializzata nella produzione di massa di beni standardizzati.

2.3 General Intellect

La terza ed ultima tappa è quella del capitalismo cognitivo che prende l’avvio con la crisi della divisione smithiana del lavoro accompagnata dalla crisi sociale del fordismo.

Il rapporto tra capitale e lavoro è caratterizzato dalla predominanza dei saperi in possesso di un’intellettualità diffusa e dal ruolo chiave della produzione di conoscenza legata all’anima del lavoro sempre più intellettuale e immateriale.

Nelle mansioni in cui la dimensione cognitiva e immateriale del lavoro è dominante emerge una destabilizzazione di una delle strutture portanti del lavoro salariale e cioè la rinuncia da parte dei lavoratori, in cambio del salario, ad ogni rivendicazione sulla proprietà del prodotto del loro lavoro.

Nel lavoro cognitivo produttore di sapere, il prodotto del lavoro rimane incorporato nella testa del lavoratore e per questo non si può separare dalla sua persona. Questo aiuta a spiegare la pressione che esercitano le imprese per ottenere un consolidamento dei diritti di proprietà intellettuale e isolare in un nuovo meccanismo di accumulazione, i processi sociali alla base della circolazione della conoscenza.

Nel capitalismo del General Intellect e del valore-sapere, il rapporto tra capitale e lavoro si interfaccia con due nuove forme di conflitto:

13 Freyssinet M., La division capitaliste du travail, Savelli, Parigi, 1979.

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a) La prima riguarda la logica di accumulazione del capitale che assume una natura sempre più parassitaria nel tentativo di mantenere la legge del valore, fino a bloccare le origini della diffusione e dell’accumulazione del sapere stesso.

b) La seconda si riferisce alla logica di una nuova figura del lavoro collettivo, all’intellettualità diffusa “nel cui cervello esiste tutto il sapere accumulato nella società”14 e che possiede in maniera esclusiva l’insieme dei saperi di un’autogestione delle finalità sociali e delle condizioni della produzione.

3. L’evoluzione storica della divisione del lavoro

3.1 Il contributo di Young

Adam Smith ha messo in luce tre meccanismi della produttività: gli effetti di apprendimento e la specializzazione, la meccanizzazione, gli effetti di apprendimento e la specializzazione, mostrandone la dipendenza dalla grandezza del mercato15.

Allyn Young ha approfondito quest’analisi16distinguendo due tipi di meccanismi che collegano la divisione tecnica del lavoro nell’impresa alla divisione sociale del lavoro:

a) la razionalizzazione immediata dei processi di produzione descritta da Adam Smith per la fabbrica degli spilli; Babbage e Marx hanno infatti sottolineato che l’importanza del processo descritto da Smith non va ricercato nelle economie immediate che riesce e realizzare ma nel fatto che parcellizzando il lavoro un insieme di processi complessi si trasformano in un insieme di processi più semplici, alcuni dei quali si prestano alla meccanizzazione.

b) La differenziazione dei prodotti e delle officine che deriva dall’allungamento dei cicli di produzione riguardanti questo meccanismo e che generano nuove domande di macchinari, ingegneria, componenti e innovazioni.

14 Lorino P., “Au risque de l’éclatement social”, Le Monde Diplomatique- Manière de Voir, n.18 , p.82, 1993.

15 Smith A., Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776, prima ed. 1817, a cura di E. Cannan, London Methuen.

16 Young A., “Increasing Retourns and Economic Progress”, Economic Journal, volume 38, 1928.

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Di queste nuove domande, quando arrivano ad essere consistenti, si fanno carico imprese specializzate che arrivano a formare una nuova industria.

Questa seconda tappa è per Young più decisiva della prima per quanto concerne la produttività a lungo termine, dato che si svolge all’esterno dell’impresa e comporta la nascita di nuovi settori di attività.

Young fa di questo processo in due tempi di creazione di rendimenti crescenti il motore di un’audace crescita cumulativa che coinvolge: domanda effettiva, divisione del lavoro, rendimenti crescenti, distribuzione dei redditi e allargamento di mercato.

Successivamente a Young, l’economista Nicholas Kaldor17 ha approfondito ulteriormente questa teoria dinamica nella quale da una parte il mercato contribuisce a dare impulsi di produttività ma allo stesso tempo questi impulsi contribuiscono ad aumentare la domanda tramite la formazione dei salari e dei prezzi relativi.

3.2 Verso forme di organizzazione più flessibili

Nel periodo fordista le principali determinanti della produttività a lungo termine erano presenti nella divisione del lavoro, infatti una prima fonte di rendimenti crescenti era formata, all’interno delle imprese, dall’applicazione dei principi tayloristici alla produzione, la quale univa aumenti di razionalizzazione diretta e aumenti che risultavano dalla sostituzione delle macchine al lavoro manuale.

La meccanizzazione, supportata dalla standardizzazione delle attività, stimolava anch’essa la domanda di attrezzature e di componenti che aggiungeva un’ulteriore fonte di rendimenti crescenti tramite la combinazione delle economie di scala e della specializzazione.

L’efficacia globale del modello era dovuta alla corrispondenza tra la produzione di massa organizzata su lunga serie e la domanda di massa retta da una relazione salariale stabile che legava redditi e produttività.

Queste combinazioni garantivano le condizioni per una crescita cumulativa, insieme ai guadagni di produttività che stimolavano la domanda e la nascita di nuovi mercati e nuovi settori.

I limiti di questo modello sono emersi a partire dagli anni Settanta con il rallentamento della crescita della produttività in un contesto nuovo, segnato dalla saturazione della domanda, dall’accrescimento della concorrenza e dalla

17 Kaldor N., Économie et instabilité, Economica, Parigi, 1987.

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globalizzazione dei mercati, nei quali l’accoglimento delle condizioni di lavoro non poteva più essere scambiato con l’accettazione delle rivendicazioni salariali.

Nuove forme di organizzazione, più flessibili e più reattive ai mutamenti del mercato, hanno progressivamente preso il posto all’integrazione verticale, alla razionalizzazione fortemente centralizzata e codificata, nonché alla rigidità qualitativa e quantitativa della produzione che caratterizzavano il metodo scientifico tayloristico.

Questo procedimento si sviluppa in tre canali diversi: l’organizzazione del lavoro nelle imprese, il cambiamento tecnico e le relazioni tra imprese.

La rivoluzione tecnica avvenuta negli anni Sessanta ha portato alla miniaturizzazione, al passaggio al digitale e alla riduzione drastica dei componenti, ha accelerato la ricomposizione delle convergenze tra le esigenze di flessibilità nell’organizzazione e le nuove potenzialità tecniche, grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Uno dei principali meriti delle nuove tecnologie è stato di estendere alle mansioni intellettuali il processo di sostituzione capitale – lavoro, prima limitato al lavoro manuale; grazie al loro carattere reticolare, nonché alla loro capacità di reperire, trasmettere e trattare l’informazione hanno permesso di:

a) Informatizzare e automatizzare quasi tutti i processi produttivi e amministrativi.

b) Introdurre flessibilità sia nel mercato che nei processi di produzione.

c) Decentralizzare i luoghi di decisione e di produzione, sostituendo le precedenti strutture organizzative a gerarchia verticalmente integrate con strutture a rete.

d) Potenziare e moltiplicare possibilità di cooperazione tra imprese e nuove divisioni del lavoro tra strutture e all’interno delle stesse.

Per quanto riguarda la produttività l’effetto dell’utilizzo delle nuove tecnologie non è stato diretto poiché inizialmente furono introdotte nelle imprese come strumenti di controllo dei processi di lavoro ed hanno quindi rafforzato la rigidità dei processi produttivi18, come sottolinea il paradosso di Solow “i computer sono dappertutto, salvo che nelle statistiche di produttività”19.

18 Castells M., The rise of the Network Society, Blackwell, Oxford, 2000.

19 Solow R., “A contribution to the theory of economic growth”, Quarterly Journal of Economics, vol. 70, n.1, pp. 65-94, 1956, Nobel Laureate Lecture, 1987.

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Una prima tendenza di questi cambiamenti tecnici ha spinto a trasformare l’impresa in organizzazione lean and mean20 ed ha infatti contribuito più a ridurre i costi che ad aumentare la flessibilità della grande impresa.

La seconda tendenza, di sostituire la precedente organizzazione gerarchica verticalmente integrata con una nuova organizzazione orizzontale con la conseguente decentralizzazione e aumento di autonomia delle unità ha posto le basi per la diffusione di un funzionamento a rete e quindi di collaborazioni con subfornitori, aumento di piccole e medie imprese e alleanze strategiche tra grandi imprese21.

In questa nuova organizzazione la realizzazione di progetti è scomposta in diversi compiti, tappe, conferite ad unità indipendenti o addirittura ad imprese indipendenti, tramite l’intermediazione di cooperazioni, collaborazioni, alleanze, accordi di subfornitura e acquisizioni di sart-up.

La nuova divisione di compiti porta un processo di specificazione e standardizzazione delle interfacce per far sì che i moduli risultino compatibili ed è fonte potenziale di importanti rendimenti crescenti perché permette di orientare con precisione il lavoro di ricerca, di centralizzare il processo di innovazione riducendo alla stesso tempo il numero di ricercatori e trasferendo così all’esterno una parte dei suoi costi di ricerca e sviluppo.

Questi rendimenti crescenti derivano dalla doppia tendenza alla disgregazione verticale delle aziende e all’incorporazione crescente di produzioni immateriali di informazioni; ciò giustifica dal punto di vista economico la moltiplicazione di attività di servizi alle imprese, la delega di attività industriali terziarie ad aziende altamente specializzate22, nonché l’aumento di imprese a rete e di reti di aziende23.

La nuova dinamica di organizzazione fa sì che, sotto la condizione di una domanda finale sufficiente, si possano unire incrementi collettivi di produttività con economie di scala e vantaggi legali alla specializzazione; questa dinamica inverte l’angolo di analisi di divisione del lavoro perché la tradizionale relazione circolare tra la specializzazione dei lavoratori e la crescita delle diversità dei lavori viene sostituita con

20 “Magra e cattiva”, definita così poiché restringeva al massimo il numero dei suoi dipendenti conservandone solo i tratti più profittevoli della catena di valore.

21 Crochet A., “Globalisation et firmes-réseaux, le modèle american”, Mondalisation et nomination économique, la dynamique anglo-saxonne, Economica, Parigi,1997.

22 Petit P., L’Économie de l’information. Les enseignements des théories économiques, La Découverte, Parigi, 1998.

- ID.“Formes structurelles et regime de croissance de l’après-fordisme”, L’Année de la Regulation, La Dècouverte, Parigi, 1998.

23 Veltz P., “Entreprises et territoires: une dépendance accrue”, Alternatives économiques, hors- série, n.43, “L’Entreprise”, 2000.

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la relazione che associa l’estensione della divisione del lavoro tra le imprese e la loro specializzazione crescente con una riduzione della specializzazione dei lavoratori.

All’interno dell’impresa il principale modo per aumentare la flessibilità e la reattività dei processi di lavoro consiste nel sostituire i compiti individuali, parcellizzati e ripetitivi con una nuova organizzazione del lavoro di squadra, infatti per ridurre al minimo i malfunzionamenti imprevisti, il lavoratore, anziché intervenire come faceva in passato su un posto individuale, deve operare in modo interattivo all’interno di un collettivo di lavoro in modo da poter passare da un compito all’altro..

Grazie alle nuove tecnologie che hanno favorito il rimpiazzo delle catene di montaggio con isole di produzione flessibile, si è passati da una specializzazione rigida, i cui guadagni di produttività risultavano dalle economie di scala realizzate nella produzione di beni standardizzati ad una specializzazione flessibile che si basa sull’adattamento sistematico della produzione ai cambiamenti esterni.

Questo cambiamento ha spostato la figura emblematica dell’operaio verso un nuovo lavoratore multivalente, la cui efficienza non dipende più dall’operazione che effettua nel momento ma dall’interoperabilità tra i differenti processi, gli impieghi non sono più definiti in termini di posti e di saperi particolari, ma in termini di competenze.

La disintegrazione verticale e l’organizzazione orizzontale rafforzano l’importanza dell’apprendimento e della condivisione delle conoscenze che si legano alla formazione di competenze necessarie per trarre profitto dalla divisione del lavoro tra le imprese, il che richiede di saper coordinare ed integrare numerosi input di provenienza differente nonché il saper comunicare e cooperare con i clienti e i subfornitori specializzati definendo e imponendo a questi ultimi standard di alto livello, utilizzando i dati della ricerca esterna.

I nuovi meccanismi di produttività presentano comunque dei limiti poiché i rendimenti crescenti si basano sull’allargamento del mercato , ma la necessità di un allacciamento globale tra organizzazione del lavoro, domanda e produzione, oltre alla necessità di una coerenza tra i differenti elementi del circuito come volume e natura dell’offerta - domanda e distribuzione dei redditi che rendono sempre più importante che il carattere ottimale di ciascun elemento sia preso separatamente, portano a considerare in maniera pessimista l’ampiezza della domanda finale.

4. La divisione internazionale del lavoro

La fase attuale è spesso associata alla globalizzazione degli scambi, dalla quale risulta l’abbassamento dei costi di transazione dato dai progressi nei trasporti e

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nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; le imprese sono infatti più libere di sfruttare i vantaggi di localizzazione. Tuttavia questa dinamica va di pari passo con un processo di polarizzazione.

I cambiamenti strutturali delle economie industriali, nello specifico il loro ingresso nello stadio dell’economia basata sulla conoscenza permettono di spiegare questi processi di polarizzazione delle attività produttive; le mutazioni del sistema produttivo sono infatti testimoni della diffusione di un’economia basata sulla conoscenza accompagnata da un cambiamento della divisione del lavoro a favore di una logica cognitiva e ad un mutamento nelle organizzazioni delle imprese.

Gli economisti si accordano su sei principali fattori degli ultimi decenni:

a) Il cambiamento delle norme di consumo: i bisogni di base legati al consumo di beni materiali e standardizzati subiscono una saturazione e si

Globalizzazione finanziaria e crescita logiche

azionarie nelle strategie

d’impresa

Cambiamenti nei modi di dispiegamento

all’estero

Impatto della diffusione della

tecnologia dell’informazio

ne

Intensificazione della ricerca

delle innovazioni Inasprimento

della concorrenza internazionale Cambiamento

delle norme di consumo

Cause della polarizzazion

e delle attività produttive

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rafforza il consumo immateriale, accompagnato da una più grande sensibilità alla differenziazione dei prodotti e una maggiore versatilità dei comportamenti dei consumatori.

b) L’inasprimento della concorrenza internazionale che caratterizza la globalizzazione economica: questo inasprimento è il risultato di due fatti principali, uno è la saturazione dei bisogni primari delle famiglie dato dall’aumento dei redditi salariali durante l’epoca fordista. La fine del ruolo motore dei mercati domestici dei paesi sviluppati determina la degradazione delle elasticità domanda/prezzo e per questo le imprese tendono a privilegiare la ricerca di sbocchi esterni. Il secondo mutamento principale riguarda il processo con cui le imprese, delocalizzando una parte del loro processo di produzione verso i paesi in via di sviluppo, in particolare in Asia, hanno avvantaggiato il loro emergere come nuovi concorrenti; ciò ha portato alla riduzione delle quote di mercato dei paesi sviluppati e allo stesso tempo all’allargamento della concorrenza su scala mondiale.

c) L’intensificazione della ricerca delle innovazioni: nel nuovo contesto le imprese sviluppano e intensificano nuove strategie di differenziazione dei prodotti, accrescendo così gli investimenti in ricerca e sviluppo, marketing e pubblicità; questo risponde alla necessità di compensare la saturazione dei mercati e l’inasprimento della concorrenza internazionale dei beni industriali. La domanda è flessibile e le aziende si muniscono di nuove tecnologie di produzione altrettanto flessibili per adattarsi ai suoi mutamenti.

d) L’impatto della diffusione di tecnologie dell’informazione su ciascuno degli elementi della catena di valore delle imprese e lo sviluppo di nuovi metodi di organizzazione della produzione: le nuove tecnologie informatiche sono considerate flessibili in opposizione all’automazione taylorista perché permettono di fabbricare un’alta varietà di uno stesso bene senza generare costi non recuperabili, legati alle specificità delle attrezzature per un prodotto omogeneo. Insieme alle nuove tecnologie emergono nuovi metodi di organizzazione della produzione come il just in time24 che risolvono il dilemma

24 Il just in time, spesso abbreviato con JIT è lo “Insieme delle tecniche industriali di derivazione giapponese applicato alla gestione della produzione, delle scorte e della catena di fornitura.

Inizialmente sviluppato dalla Toyota Motor Corporation, il termine JIT è talvolta erroneamente usato per indicare la produzione snella. Nella sua accezione più ristretta, significa produrre solo quanto richiesto dal cliente nei tempi voluti dal cliente; nella versione più estesa, l’applicazione del JIT è finalizzata alla riduzione, nonché all’eliminazione, di tutte le forme di spreco che si realizzano all’interno della fabbrica e nei rapporti di fornitura. Per il JIT, lo spreco si colloca lungo tutto il processo produttivo, includendo sia le fasi a monte con i fornitori, sia quelle a valle

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produttività/flessibilità creato dalle rigide tecnologie tayloriste. Davanti all’incertezza crescente dei mercati e della domanda la flessibilità produttiva ed il rinnovo permanente dei prodotti necessitano una concentrazione di sforzi sui mestieri di base. L’accelerazione del processo tecnico in termini si sostituzione del capitale al lavoro, che porta ad una riduzione dei costi salariali e del costo totale, insieme alle economie delle varietà permettono ai paesi sviluppati di conquistare vantaggi comparati di settore, anche in quelli ad alta intensità di lavoro o comunque tradizionalmente de localizzati nei paesi a bassi salari25. Questi cambiamenti di flessibilità produttiva, quindi nelle condizioni dell’offerta e quelle di maggiore versatilità, quindi nelle condizioni di domanda si realizzano in nuove relazioni tra le imprese e in nuovi tipi di organizzazione all’interno delle fabbriche.

e) Cambiamenti importanti nei modi di dispiegamento all’estero delle imprese multinazionali: la strategia delle grandi imprese si definisce direttamente su scala mondiale generando quattro mutamenti principali. Il primo è l’aumento di investimenti diretti all’estero, anche se una parte resta concentrata nei paesi sviluppati e nelle nuove economie industriali in crescita; il secondo è l’intensificazione di relazioni tra imprese a livello internazionale, come alleanze strategiche, accordi di cooperazione e reti; il terzo cambiamento è la prevalenza delle fusioni e delle acquisizioni a scapito delle forme tradizionali di filiali; l’ultimo è la riduzione drastica dei sub-fornitori e l’attuazione di accordi di cooperazione a lungo termine con fornitori selezionati grazie alla loro complementarietà tecnologica e non più solo per il basso costo.

f) La globalizzazione finanziaria e la crescita delle logiche azionarie nelle strategie delle imprese: la liberazione dei movimenti del capitale, l’espansione dei mercati borsistici le nuove forme di corporate governance26 e i

con i clienti, e comprende tutte le scorte di materie prime, di semilavorati e di prodotti finiti che non sono necessarie per soddisfare la domanda del cliente finale in tempo, nella qualità e quantità desiderate. Alcune delle tecniche più comuni sono la diminuzione dei lotti di

produzione, il contenimento dei tempi del ciclo e il miglioramento dei tempi di riattrezzaggio dei macchinari. I principali risultati derivanti dall’insieme di queste tecniche sono il decremento dei costi di gestione delle scorte, evitando la produzione anticipata, l’ottimizzazione del processo produttivo, che spesso avviene avvicinando le varie fasi e ridimensionando macchinari e lotti di semilavorati, e l’accresciuta affidabilità generata dall’aumento della qualità e del servizio al cliente.” www.treccani.it, sezione “Dizionario di economia e Finanza”, voce “Just in time”.

25 Mohoud El, M., Changement technique et division International du travail, Economica, Parigi, 1992.

26 In italiano governo d'impresao governo societario si riferisce all'insieme di regole, di ogni livello, quindi sia leggi che regolamenti, i quali disciplinano la gestione e la direzione di una società o di un ente, pubblico o privato. Il governo d'impresa include anche le relazioni tra i vari

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conseguenti cambi strutturali insieme all’aumento delle instabilità finanziarie e monetario del decennio che va dal 1980 al 1990, aiutano a rafforzare l’incertezza dei cambiamenti imprevedibili del mercato.27

Questi cambiamenti avvengono all’interno della prospettiva di diffusione di un’economia basata sulla conoscenza, la cui caratteristica principale è quella di passare dal principio di divisione del lavoro a principi con fondamenti cognitivi.

Si può quindi parlare di divisione cognitiva del lavoro, che consiste nel frazionare i processi di produzione sulla base dei blocchi di sapere mobilitati; le imprese ridisegnano il contenuto delle attività basandole su competenze concentrate in un insieme di blocchi del sapere e utilizzano metodi di organizzazione di produzione che puntano alla massimizzazione delle capacità di innovazione e apprendimento.

Eppure l’avvento dell’economia della conoscenza non avviene in modo omogeneo, né in termini di tempo né tantomeno in termini di spazio, infatti alcuni paesi sono più vincolati da scelte adottate in passato, soprattutto nei casi di specializzazione territoriale in un solo prodotto. Possono essere anche le scelte istituzionali a bloccare le economie nei settori poco avvezzi ad orientarsi verso l’economia della conoscenza.

L’economia basata sulla conoscenza porta con sé implicazioni su processi di localizzazione delle attività economiche e sull’evoluzione della specializzazione internazionale delle nazioni e dei territori, infatti le attività si distribuiscono nei territori secondo le conoscenze specifiche di cui dispongono.

La localizzazione delle attività è scelta in base ai risultati della ricerca di elementi favorevoli allo sviluppo delle competenze delle imprese, ad un ambiente che stimoli le capacità di apprendimento.

Secondo questo criterio la localizzazione favorisce la concentrazione delle attività intensive in conoscenza, in particolare nei paesi industrializzati e nei territori che possiedono grandi risorse cognitive specifiche, le quali corrispondono spesso a grandi metropoli.

Per entrare a far parte della divisione internazionale del lavoro fondata sulle conoscenze, le economie nazionali devono essere in possesso di uno stock minimo ed equivalente di risorse cognitive, ciò significa di un livello tecnologico e di capitale

attori coinvolti detti stakeholder, e gli obiettivi per cui l'impresa è amministrata. Gli attori

principali sono gli azionisti (shareholders), il consiglio di amministrazione (board of directors) e il management.

27 Moati P. e El Mouhoud M.,“Information et organisation de la production. Vers une division cognitive du travail”, Economie appliqué, tomo 46, n.1, 1994.

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umano simile alle altre economie nazionali, in modo da poter partecipare agli scambi internazionali di competenze specifiche e di specializzazioni di ogni nazione.

La conoscenza diventa quindi un input di base, la cui produzione e possesso sono regolati da logiche cumulative che provocano disuguaglianze in crescita tra persone e territori28.

Secondo quest’analisi la globalizzazione non corrisponde ad una vera integrazione a livello mondiale dello scambio di beni, capitali e tecnologie ma si realizza in realtà in una dinamica di polarizzazione di tali flussi tra i paesi, nonché all’interno dei paesi emergenti e obbliga quasi tutti i paesi che hanno a disposizione prevalentemente dotazioni naturali ad una sconnessione, lasciando loro come unico vantaggio quello di disporre di risorse naturali o manodopera a basso salario.

Tramite l’accesso alle competenze legate alla divisione cognitiva del lavoro si possono quindi spiegare i fenomeni che sono alla base dell’attuale polarizzazione dell’economia planetaria: la realizzazione di scambi con paesi che possiedono uno scarso livello tecnologico, la quale porta ad un processo di separazione cumulativa tra i paesi industrializzati e quelli che hanno a disposizione prevalentemente dotazioni naturali; l’altro fenomeno è la regolazione degli scambi tra i paesi che fanno parte della Triade29.

5. Il rapporto salariale nel capitalismo cognitivo

Nel nuovo capitalismo l’immateriale ha superato l’economia materiale nella formazione del capitale30; il trattamento dell’informazione e la sua detenzione sotto forma digitale dominano la produzione attraverso computer decentralizzati sempre più potenti e connessi tra loro.

L’innovazione continua ha una fonte privilegiata nei processi cognitivi interattivi di codificazione e standardizzazione del sapere tacito e nella capacità di captarli da parte delle imprese.

28 Krugman P., Geography and trade, MIT Press, Cambridge (Massachussets), 1991.

- Maurel F. e El Mouhoub M., “La géographie économique de la Francer dans l’Europe”, in rapport du Conseil d’analyse éconoque, L’Etat et l’aménagement du territoire, La

Documentation française, Parigi, 2001.

29 Fanno parte della Triade globale i paesi industriali ad alta capacità tecnologica e ricchi in capitale umano: Nord-America, Europa, Sud-est asiatico.

30 Lazzarato M., Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività, Ombre Corte, 1997, Verona.

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Il modello smithiano della divisione del lavoro, perfezionato in seguito dal taylorismo viene superato su tre aspetti:

a) La specializzazione: la riduzione da lavoro complesso a lavoro semplice e la separazione tra attività manuale da attività concettuale non sono più fattori che determinano l’aumento della produttività.

b) La grandezza del mercato: la sua importanza viene rimpiazzata da un’economia di varietà, che subisce una forte incertezza della domanda.

c) L’innovazione: limitata nel modello tayloristico diventa fattore fondamentale nel capitalismo cognitivo31.

Nel modello di divisione del lavoro postsmithiano la dinamica è cognitiva, perché sono proprio le economie d’apprendimento che determinano la differenziazione del mercato e hanno un ruolo fondamentale nella concorrenza capitalistica32, infatti le principali fonti del valore sono caratteristiche come l’autonomia e l’intelligenza come capacità di dare risposte efficienti ed essere reattivi ai mutamenti esterni.

Il consumo diventa una coproduzione, anch’essa just in time, dato che consente di produrre solo quel che è già stato venduto, è infatti il mercato a precedere la produzione, la quale deve integrarsi con esso ed è il consumo da parte dell’utente a fornire l’informazione necessaria alla determinazione del tempo reale per la produzione materiale.

Il declino del concetto di lavoro direttamente produttivo toglie importanza alla performance individuale, che viene sostituita da una globalizzazione della performance che va dall’ambito produttivo all’economia di tutto il paese33.

5.1 La produzione cognitiva

Il tentativo di determinare fattori di efficienza di una performance globale trova difficoltà nell’eterogeneità degli input.

Si possono individuare quattro tipi di input distinti34:

31 Arthur W.B., “Competing technologies, increasing returns and lock-in by historical events”, The Economic Journal, volume 99, n.3., 1989.

32 Petit P. (a cura di), L’Economie de l’information. Les enseignements des théories économiques, La Découverte, Parigi, 1998.

- Petit P. “Formes structurelles et régimes de croissance de l’après-fordisme”, L’Année de la Regulation, La Découverte, Parigi, 1998.

33 Veltz P., Des territoires pour apprendre et innover,Edition de l’Aube, 1994.

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a) Hardware: i materiali, le attrezzature e le macchine necessarie per svolgere il lavoro in stand by.

b) Software: necessario per attuare le attività riguardanti la produzione.

La quantità di software e di applicazioni che permettono di trattare i dati numerici, vengono configurate all’interno della macchina; esse sono illimitate e possono variare.

c) Wetware: è l’attività cerebrale, presente durante tutti i processi produttivi. Più precisamente si tratta dell’attenzione, che Smith definisce come la chiave del lavoro immateriale.

d) Netware: attività della risorsa cognitiva, necessaria all’attenzione dell’attività cerebrale e deve essere virtualmente presente, vale a dire utilizzabile, disponibile in qualsiasi momento.

34Nelson R.R. e Romer P.M., Sciences, economic growth and public policy, in Dale Neef, G.

Anthony Siesfeld e Jacqueline Cefaloa (a cura di), The economic impact of knowledge, Butterworth/Heinemann, Boston, 1998.

- Moulier-Boutang Y. “Capitalismo cognitivo e nuove forme di codificazione del rapporto salariale”, trad. it. Jacopo Mazza, Capitalismo Cognitivo. Conoscenza e Finanza nell’epoca postfordista ,(a cura di ) Carlo Vercellone. Manifestolibri, Roma, 2006.

Netware

Wetware

Software Hardware

Input di produzione cognitiva

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