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L'idea dell'unificazione europea dalla prima alla seconda guerra mondiale. Relazioni tenute al Convegno di studi svoltosi presso la Fondazione Luigi Einaudi (Torino, 25-26 ottobre 1974)

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DELL'UNIFICAZIONE

EUROPEA

DALLA PRIMA ALLA SECONDA

GUERRA MONDIALE

Relazioni tenute al convegno di svoltosi presso la Fondazione Luigi

(Torino, 25-26 ottobre 1974)

studi Einaudi

a cura

SERGIO PISTONE

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« S tu d i »

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EUROPEA

DALLA PRIMA ALLA SECONDA

GUERRA MONDIALE

Relazioni tenute al convegno di studi svoltosi presso la Fondazione Luigi Einaudi

(Torino, 25-26 ottobre 1974)

Contributi di:

Arduino Agnelli, Norberto Bobbio, Dino Cofrancesco, Lucio Levi, Walter Lipgens, Renato Monteleone, Sergio Pistone,

Francesco Rossolillo.

a cura di Sergio Pistone

TORINO - 1975

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Presentazione di Sergio Pi s t o n e...p. 9

Sergio Pist o n e, Le critiche di Einaudi e di Agnelli e Cabiati alla

Società delle Nazioni nel 1 9 1 8... » 25 Arduino Ag n e lli, D a Coudenhove-Kalergi al piano Briand » 39

Francesco Ro s s o l il l o, La scuola federalista inglese . . . » 59

Renato Monteleone, Le ragioni teoriche del rifiuto della parola

d ’ordine degli Stati Uniti d ’Europa nel movimento comunista

i n t e r n a z i o n a l e... » 77 Wa lt er Lip g e n s, L ’idea dell’unità europea nella resistenza in

Germania e in F r a n c i a...» 97 Dino Cofrancesco, Il contributo della resistenza italiana al di­

battito teorico sull’unificazione e u ro p e a... » 123 Sergio Pist o n e, L ’interpretazione dell’imperialismo e del fascismo » 171

L u c io Le v i, Il superamento dei limiti dell’internazionalismo . . » 199

Norberto Bobbio, Il federalismo nel dibattito politico e cultu­

rale della r e s i s t e n z a ...» 221

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Nel panorama degli studi sull’idea dell’unità europea, mentre vi è una relativa abbondanza di trattazioni globali1 che dall’epoca medievale, e anche da oltre, giungono fino al periodo contemporaneo, si può consta­ tare che è appena agli inizi un lavoro di ricerca sistematica e approfon­ dita, condotta con il metodo della storia del pensiero politico, sul periodo che va dalla prima alla seconda guerra mondiale 2. Eppure un lavoro del

1. In questo campo il contributo di più notevole livello della storiografia ita­ liana è certamente quello di C. Curcio, Europa, storia di un’idea, Firenze, 1928, 2 voli. Al di fuori della storiografia italiana vanno segnalati in particolare J. B. Du-

roselle, L ’idée d’Europe dans l’histoire, Paris, 1965; D. de Rougemont, Vingt-

huit Siècles d’Europe. La conscience européenne à travers le textes d’Hésiode à nos jours, Paris, 1961; B. Voyenne, Histoire de l’idée européenne, ultima ed., Paris, 1.964.

2. L ’opera finora più completa, ma comunque estremamente sintetica per il periodo che ci interessa, rimane quella di H. Brugmans, L ’idée européenne 1918-

1965, Bruges, 1965. Oltre a questo lavoro vanno ricordati i seguenti testi, i quali sono però o più sintetici di quello di Brugmans, o dedicati ad un settore particolare all’interno del periodo considerato: C. F. Delzell, The European Federalista Mo­

vement in Italy: firts phase 1918-1947, « The Journal of Modern History », Chicago,

1960, XXXII, pp. 241-250 e Mussolini’s enemies. The italian anti-fascisi résistance, Princeton, 1961, trad. ital. I nemici di Mussolini, Torino, 1966; J. P. Gouzy, Les pionners de l’Europe communautaire, Lausanne, 1968; W. Lipgens, Europäische

Einigungsidee und Briands Europaplan im Urteil der deutschen Akten 1923-30,

« Historische Zeitschrift », CCIII, 1966, pp. 46-89 e 316-363 e Europa-Födera-

tionspläne der Widerstandsbewegung 1940-1945, München, 1968; A. Marc, Hi­

stoire des idées et des mouvements fédéralistes depuis la première guerre mondiale,

in A.A. V.V., Le Fédéralisme, Paris, 1964; C. H. Pegg, Die résistance als Träger

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genere appare quanto mai necessario se si tiene presente che in tale pe­ riodo si registra nella storia dell’idea dell’unità europea un vero e proprio salto qualitativo. Non solo vi si constata un eccezionale aumento quanti­ tativo degli scritti dedicati al tema dell’unità del continente 3, anche di quelli contrari a tale prospettiva, ma sopratutto è chiaramente verificabile una crescita decisiva del loro livello qualitativo. In particolare le giusti­ ficazioni delle proposte di unificazione continentale acquistano negli au­ tori più importanti una solidità e uno spessore teorico che nel periodo precedente erano carenti, con l’eccezione dei pochi e isolati testi classici sull’argomento. D ’altro canto emerge un discreto numero di proposte di unificazione europea formulate in termini precisi e rigorosi, cioè nella forma di veri e propri progetti, sia pure embrionali, di costituzione eu­ ropea 4. Inoltre si verificano le prime azioni politiche concrete a favore dell’unità europea sostenute da un movimento di opinione esprimentesi anche in strutture organizzative con finalità politiche e non solo culturali. Cioè l’idea dell’unità europea si traduce progressivamente in una corrente politica, che comincia ad avere degli agganci con le classi politiche, e che emergerà nettamente come una delle componenti della resistenza europea, la quale rappresenta il momento culminante del periodo considerato.

Non è difficile cogliere la ragione di questa svolta.

Il dato di fondo da tenere presente è che l’idea dell’unità europea trova nel periodo dalla prima alla seconda guerra mondiale per la prima volta un effettivo aggancio con la situazione storica. In effetti la caratte­ ristica preminente di questo periodo storico consiste nel manifestarsi apertamente, attraverso le guerre mondiali e i terribili sconvolgimenti economici, sociali e politici nelPintervallo fra di esse, della crisi del si­ stema degli Stati nazionali sovrani in Europa. Una crisi, che si esprime in particolare nella forma di un tangibile declino economico degli Stati euro­ pei di fronte all’emergere di nuove potenze di dimensioni continentali — in primo luogo degli U.S.A. e più avanti della Russia post-rivoluzio- naria (trovando in tal modo conferma la previsione di Seeley sul futuro

europäischen Staatenbundes in den Jahren 1925-1930, ibid., XV, 1962, pp. 783-790;

Die wachsende Bedeutung der europäischen Einigungsbewegung in den zwanziger Jahren, ibid., XV, 1962, pp. 865-874; L. De Sainte Lorette, Videe d’Union fédé-

rale européenne, Paris, 1955.

3. Cfr., per quanto riguarda l’Italia, la bibliografia su II federalismo europeo compilata da Claudio Pavone, « Libri e riviste », XII, XIII, XIV, 1950.

4. Cfr. Généalogie des grands desseins européens de 1306 a 1961, « Centre Européen de la culture », 6, 1960-61, V ili, e la raccolta dei Projets de Constitution

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ruolo di questi due paesi di dimensioni continentali5 — e nell’incapacità di garantire, se non un ordine pacifico, almeno un livello di conflittualità internazionale compatibile con l’ulteriore sviluppo della società europea e della sua civiltà.

In questa situazione l’idea dell’unità europea cessa di essere essen­ zialmente una petizione di principio, una presa di posizione esclusiva- mente in termini di valori senza addentellati nella prassi politica, e si viene configurando come la risposta (una delle risposte possibili), ad un problema politico concreto, per quanto di dimensioni storiche, come un’al­ ternativa al sistema degli Stati nazionali sovrani che appare sempre più chiaramente incapace di funzionare. Il discorso sull’unità europea acquista perciò (deve acquistare per ottenere credibilità) un nuovo spessore teo­ rico che deriva precisamente dalla necessità di dimostrare l’attitudine di tale ideale tutt’altro che nuovo ad offrire una reale risposta alla crisi con­ temporanea. Dalle giustificazioni teoriche delle proposte di unificazione continentale emerge cioè una visione e una interpretazione della crisi contemporanea che sempre più nettamente, soprattutto negli autori più profondi, acquisisce una sua fisionomia originale e autonoma rispetto alle altre correnti politico-culturali. Di conseguenza il dibattito sull’unità europea di questo periodo offre dei contributi teorici nuovi e originali che la storia del pensiero politico contemporaneo deve recepire in tutte le loro connessioni e valorizzare attraverso, appunto, un lavoro organico di ricerca che resta in gran parte da compiere.

Occorre d’altra parte anche osservare che il periodo indicato ha una sua chiara individualità non solo, per le ragioni indicate, rispetto alle fasi precedenti, ma anche rispetto al periodo successivo, cioè rispetto al secondo dopoguerra. In effetti è chiaro che, se l’argomento relativo all’at­ tualità storica dell’idea dell’unità europea vale anche, e a maggior ragione, in riferimento a questo dopoguerra, non si può d’altro canto trascurare che il 1945 significa una cesura netta. In sostanza con la fine della se­ conda guerra mondiale la crisi del sistema degli Stati nazionali sovrani in Europa, la quale aspetta ancor oggi una soluzione, ha trovato comun­ que uno sbocco in una situazione storica radicalmente nuova, la cui carat­ teristica preminente è costituita dalla fine dell’autonomia delle potenze eu­ ropee, nel contesto della formazione del nuovo sistema mondiale bipolare.

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Il dato nuovo costituito dalla subordinazione dell’Europa all’egemo­ nia delle due superpotenze mondiali, e in particolare delle massime po­ tenze europee all’egemonia americana, ha reso indubbiamente meno viru­ lenta la crisi del sistema degli Stati nazionali europei, facendo diventare praticamente impossibile il ritorno ai conflitti di potenza fra di essi, e ha di conseguenza creato un contesto internazionale in cui, con il con­ corso decisivo delle pressioni americane nella fase iniziale, ha potuto es­ sere avviato il processo di integrazione europea tuttora in corso. Per contro proprio la persistenza nel primo dopoguerra dell’autonomia delle potenze europee e quindi del ruolo egemonico mondiale dell’equilibrio europeo delle potenze, dovuta al transitorio trarsi in disparte dei due futuri protagonisti principali del sistema mondiale, spiega, per quanto attiene ai condizionamenti oggettivi — e ciò ci appare tanto più chiaro alla luce dell’esperienza di questo dopoguerra — , il fatto che in quel periodo un consistente processo di unificazione non potè essere messo in moto. In effetti tale situazione rese in termini oggettivi enormemente difficile, se non impossibile, e comunque di fatto superiore alle capacità soggettive degli statisti di allora, l’avvio di un processo di limitazione della sovranità nazionale, poiché la sovranità a cui si trattava di rinunciare conteneva ancora una posizione autonoma di potere nel mondo, pur con segni chiarissimi di declino6.

La differenza fattuale tra i due periodi storici lascia una chiara im­ pronta anche sullo sviluppo dell’idea dell’unità europea, pur essendo co­ muni ad entrambi i periodi l’orizzonte storico caratterizzato dalla crisi del sistema degli Stati nazionali sovrani in Europa. In effetti nel periodo dalla prima alla seconda guerra mondiale emerge la percezione di tale crisi e l’individuazione dell’unificazione europea come alternativa adeguata ad essa, ma vi è la pratica impossibilità di tradurre nei fatti il nuovo punto di vista. Dal che derivano certo dei limiti nella formulazione del punto di vista stesso, i quali potranno essere superati attraverso gli importanti e decisivi approfondimenti resi possibili in questo dopoguerra anche e so­ prattutto da una situazione pratica più favorevole. Nello stesso tempo si può osservare che nel primo periodo lo sforzo di chiarificazione teorica ha una particolare intensità e produce una serie di opere fondamentali le quali, nel chiarire con uno sforzo di visione globale i termini centrali della

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problematica dell’unità europea tracciano i solchi fondamentali entro i quali si svilupperà, pur introducendo ulteriori e decisivi arricchimenti, la riflessione teorica di questo dopoguerra. In effetti, se manca nel primo periodo la possibilità della realizzazione pratica, una eccezionale concen­ trazione del pensiero è d’altro canto stimolata dalla presenza di una sfida particolarmente intensa rappresentata dalla drammaticità della crisi del sistema degli Stati nazionali sovrani europei, dal fatto che essa, specie nel periodo immediatamente precedente lo scoppio della seconda guerra mondiale e durante la guerra, pone di fronte a tutti la prospettiva con­ creta della fine di ogni libertà e progresso, del crollo totale della civiltà europea. Da questo clima emerge pertanto un insieme di contributi teo­ rici, che è indispensabile richiamare alla luce e studiare con attenzione non solo per il loro intrinseco valore, ma anche perché questo lavoro rap­ presenta una premessa necessaria alla comprensione più in profondità delle tendenze europeistiche e federalistiche di questo dopoguerra, e alla comprensione, in una prospettiva storica più ampia, della stessa proble­ matica dell’integrazione europea attualmente ancora in corso di attuazione.

Queste considerazioni pongono, credo, nella giusta luce l’utilità dei saggi raccolti in questo volume. Essi costituiscono, salvo il saggio di Nor­ berto Bobbio, le relazioni tenute ad un convegno di studi sul tema « L ’idea dell’unificazione europea dalla prima alla seconda guerra mondiale » , or­ ganizzato, nei giorni 25 e 26 ottobre 1974 con il patrocinio del Consiglio Regionale del Piemonte e del Comune di Torino, dalla rivista « Il Pen­ siero Politico » e dal Centro Europeo di Studi ed Informazioni presso la Fondazione Einaudi, la quale, oltre ad aver collaborato all’organizzazione del convegno, mette a disposizione una sua collana per la pubblicazione delle relazioni. Il saggio che Norberto Bobbio ha autorizzato ad inserire in questa raccolta rappresenta invece il testo di una relazione tenuta a Milano il 21 ottobre 1973 in occasione del trentesimo anniversario della fondazione del Movimento Federalista Europeo. Essa si inserisce perfet­ tamente in questo volume, e lo completa, per il tema che tratta, e anche 7

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per il fatto che il suo autore ha partecipato attivamente al convegno, in­ tervenendo più volte nella discussione.

L ’obiettivo che si proponevano gli organizzatori del convegno era pre­ cisamente di contribuire ad un lavoro sistematico di ricerca mirante a recuperare entro il quadro del pensiero politico contemporaneo i contri­ buti più importanti rilevabili nelle giustificazioni teoriche delle proposte di unificazione europea del periodo prescelto. Va per altro subito preci­ sato che, data la vastità del tema e i limiti oggettivi di un convegno di due giornate, si è dovuto rinunciare a prendere in considerazione, salvo qualche accenno, taluni settori indubbiamente importanti, fra i quali in particolare vanno ricordati il dibattito sull’unità europea in Francia e in Germania nel periodo precedente la resistenza, nel Benelux s, in Svizzera 8 9 e nell’Europa orientale 10 nell’intero periodo oggetto del convegno. Si è cioè scelta la strada di concentrare l’attenzione su alcuni settori che non esauriscono certo il periodo prescelto, ma che di esso sono fortemente rappresentativi, e il cui studio può dare una idea sufficientemente ade­ guata delle caratteristiche preminenti del dibattito teorico sull’unità eu­ ropea negli anni dalla prima alla seconda guerra mondiale.

I settori che sono stati oggetto di esame più approfondito e completo sono quelli italiano e inglese, trattati nelle relazioni di Bobbio, Cofran- cesco, Levi, Pistone e Rossolillo. All’interno di questi settori l’attenzione è stata concentrata in modo preminente su tre autori italiani, e cioè su Einaudi, Spinelli e Rossi — ad essi sono stati accostati, per la conver­ genza nell’impostazione e nelle conclusioni di fondo, Agnelli e Cabiati, i quali non possono essere però considerati sullo stesso piano dal momento che il loro libro, per quanto di valore notevolissimo, specie in relazione al momento in cui fu pubblicato, è rimasto un episodio isolato al quale gli autori non hanno fatto più seguire alcuna significativa presa di posi­ 8. L ’autore più valido in tale àmbito è senz’altro H. D. Salinger, De Veder-

geboorte van Europa. De les van dezen Oorlog voor ons Werelddeel, Leiden, 1945 (il testo dattiloscritto in lingua tedesca fu già diffuso nel 1944 negli ambienti della resistenza olandese).

9. Tre opere meritano in particolare di essere ricordate: A. Ga sser, Die

Gemeindefreìheit Rettung Europas, Basel, 1943, ripubblicato in francese, con im­ portanti integrazioni, col titolo E’autonomie communale et la reconstruction de

l’Europe, Neuchâtel, 1946; L. Van Vassenhove, L ’Europe Helvétique. Études sur

les possibilités d’adapter à l’Europe les institutions de la Confédération Suisse,

Neuchâtel, 1943; R. Silva, Au service de la paix. L ’idée fédéraliste, Neuchâtel, 1943. Cfr. in proposito W. Lipgens, Europa-Eôderationsplàne... cit., pp. 338-343 e 356-379.

10. Cfr. in proposito R. Schlesinger, Federalism in Central and Eastern

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zione sul tema europeo — e su due autori inglesi, e cioè su Lord Lothian e Lionel Robbins 11.

Le tesi di questi autori sulla problematica dell’unità europea costitui­ scono, pur nell’individualità dei contributi e dei successivi arricchimenti che ciascuno di essi fornisce, i momenti di un discorso sostanzialmente unitario. In effetti da una parte l’Einaudi degli scritti della fine della prima guerra mondiale e il libro contemporaneo di Agnelli e Cabiati (che risente chiaramente del fecondo scambio di idee intercorrente fra i due autori e l’Einaudi a proposito del tema europeo in quel periodo) appaiono legati in modo esplicito alle correnti di pensiero liberistiche e federali­ stiche del mondo anglosassone, all’interno delle quali emergono negli anni ’30 le tesi sull’unificazione europea di Lord Lothian e Robbins, che in alcuni aspetti importanti i suddetti autori italiani avevano anticipato. Dall’altra parte Spinelli e Rossi e lo stesso Einaudi, che nella resistenza riprende il discorso sull’unità europea interrotto durante la parentesi fa­ scista, si rifanno in termini espliciti alle analisi dei due autori inglesi e portano ulteriormente avanti il loro discorso. Il fatto che questa cor­ rente di pensiero sia stata oggetto dell’analisi più attenta e approfondita è dipeso dalla convinzione degli organizzatori del convegno e dei relatori che l’hanno presa in considerazione che essa costituisca precisamente l’espressione più significativa, e cioè di più elevato livello teorico, del dibattito sull’unità europea nel periodo prescelto. E proprio onde poter fornire un quadro il più possibile organico dei contributi di tale corrente si è adottato il criterio di affiancare agli inquadramenti di carattere pano­ ramico delle analisi centrate su taluni temi di importanza cruciale, quali l’interpretazione dell’imperialismo e del fascismo e il superamento del­ l’internazionalismo. Della ricostruzione di questi contributi proposta nel presente volume mi pare utile ricordare qui i punti salienti al fine di per­ mettere una lettura più agevole dei testi, in grado di cogliere adeguata- mente i collegamenti fra i diversi autori e le comuni premesse.

Volendo individuare nel modo più sintetico la caratteristica centrale in cui si manifesta il collegamento fra le tesi di Einaudi, Rossi, Spinelli, Lord Lothian e Robbins, si può, credo, affermare che in esse emerge, attraverso uno sviluppo per successivi arricchimenti fino a giungere al più alto grado di consapevolezza in Spinelli, la formulazione più organica e sviluppata nel modo più ampio e completo, nel periodo considerato, del 11

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punto di vista secondo il quale la crisi del sistema degli Stati nazionali sovrani in Europa costituisce il filo conduttore dell’epoca delle guerre mondiali e quindi la radice profonda delle sue contraddizioni centrali esprimentisi nelle guerre, nelle spinte imperialistiche che le hanno scate­ nate e nell’affermarsi dei regimi fascisti. Di conseguenza queste tesi forni­ scono all’indicazione della necessità di strutture federali limitanti in modo sostanziale la sovranità degli Stati nazionali europei il supporto di un’argo­ mentazione teorica particolarmente solida e coerente e quindi in grado di reggere seriamente il confronto con le interpretazioni della crisi europea proposte dalle altre correnti politico-culturali.

Alla base del discorso svolto dagli autori sopra menzionati vi è natu­ ralmente un impianto concettuale che, negli elementi fondamentali, è ad essi comune, e che è individuabile in sostanza in una sintesi creativa fra tre principali filoni teorici.

Vi è anzitutto il recupero e la valorizzazione della dottrina hamilto- niana dello Stato federale, la quale, rendendo possibile la distinzione rigo­ rosa fra federazione e confederazione, fornisce il punto di vista teorico indispensabile per evitare ogni confusione fra i fenomeni e le strutture di semplice collaborazione interstatale e le vere e proprie forme di unifica­ zione fra Stati, e per potere di conseguenza assumere un atteggiamento critico nei confronti delle proposte concrete dirette a superare la crisi del sistema degli Stati nazionali sovrani e per potere nello stesso tempo for­ mulare progetti coerenti e rigorosi12.

I contributi di Hamilton all’analisi dei rapporti internazionali e della loro influenza sull’evoluzione delle strutture interne degli Stati vengono d’altro canto decisamente sviluppati e approfonditi attraverso ad un accostamento fecondo agli insegnamenti fondamentali della tradizione di pensiero fondata sulla dottrina della ragion di Stato 13, facendo in parti­ 12. Lo studio e la valorizzazione pratica della dottrina hamiltoniana dello Stato federale in riferimento alla problematica dell’unificazione europea ha per altro potuto fare decisivi progressi in questo dopoguerra per evidenti motivi. Basta qui ricordare K. C. Wheare, Del governo federale, 1946 (trad. ital., Milano, 1949); R. R. Bowie

e C. J. Friedrich, Studi sul federalismo, 1952 (trad. ital., Milano, 1959); La nascita

degli Stati Uniti d’America, a cura di L. Bolis, Milano, 1957; e inoltre la traduzione italiana del Federalist di A. Hamilton, J. Jay, J. Madison, a cura di G. Ambrosini, M. D ’Addio, G. Negri, Pisa, 1955. Quanto agli studi che si riallacciano direttamente al filone italo-inglese di cui si sta parlando, vanno menzionati in particolare A. Ga-

rosci, Il pensiero politico degli autori del «Federalist », Milano, 1954; M. Alber-

tini, Federalismo e Stato federale. Antologia e definizione, Milano, 1963; L. Levi,

A. Hamilton e il federalismo americano, Torino, 1965.

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colare riferimento all’espressione più moderna di questa tradizione, vale a dire alla dottrina tedesca dello Stato-potenza. Si tratta, è chiaro, di un accostamento critico a questo filone culturale, poiché le premesse valuta­ tive dei sostenitori del superamento degli Stati nazionali sovrani non pos­ sono non essere opposte rispetto all’orientamento nazionalistico e di into­ nazione generalmente conservatrice e autoritaria dei teorici tedeschi dello Stato-potenza. Comunque la valorizzazione del nucleo scientifico degli insegnamenti di questa corrente permette agli autori in questione di in­ trodurre importanti perfezionamenti nel loro apparato concettuale.

Il terzo filone è rappresentato infine dalla scuola liberista inglese, le cui tesi basilari, inquadrate negli schemi della dottrina dello Stato fede­ rale e della dottrina della ragion di Stato, offrono un punto di vista ade­ guato a comprendere la problematica relativa alla crescente interdipen­ denza economica e sociale su scala continentale e mondiale prodotta dalla rivoluzione industriale, e quindi alla necessità di dimensioni statali più vaste di quelle degli Stati nazionali europei u.

Partendo da tali premesse teoriche, viene dunque elaborata una inter­ pretazione della crisi europea nella quale risaltano due motivi centrali. Da una parte si sottolinea appunto l’emergere della contraddizione fra le dimensioni degli Stati nazionali europei e il livello di interdipendenza raggiunto dall’evoluzione economica, la quale postula Stati di dimensioni continentali. E proprio in questa contraddizione viene ravvisata la radice più generale e più profonda delle spinte imperialistiche delle potenze eu­ ropee, e quindi della ricerca parossistica dello « spazio vitale » che costi­ tuisce l’obiettivo preminente della politica estera dei regimi fascisti. Dal­ l’altra parte si mette in luce come l’esasperazione della politica di potenza, che ha fatto seguito al consolidarsi e al generalizzarsi della formula dello Stato nazionale, abbia determinato la crisi del sistema di equilibrio fra le potenze europee, che nel corso della storia moderna aveva, se non elimi­ nato le guerre, garantito lunghi periodi di pace e di stabilità e comunque reso compatibili la politica di potenza e le guerre periodiche con il pro­ gresso della civiltà europea e delle singole realtà statali e sociali al suo interno. In questo contesto pertinente vengono ricercate le radici delle guerre mondiali e dei fenomeni, caratteristici dell epoca, della guerra to­ tale e dell’affermarsi di regimi, quali quelli fascisti, strutturalmente orien­ tati alla preparazione e alla conduzione della guerra totale. 14

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Si tratta di una interpretazione della crisi europea che presenta carat­ teristiche assai nette di autonomia e di originalità rispetto alle interpre­ tazioni proposte dalle altre correnti politico-culturali. E precisamente per questa ragione, soprattutto nei sostenitori più consequenziari di tale punto di vista, vale a dire in Spinelli e Rossi, la federazione europea viene indicata come l’obiettivo prioritario e il vero elemento qualificante di un programma politico che voglia essere all’altezza della sfida storica del momento. In sostanza il superamento della sovranità assoluta degli Stati nazionali europei non è più, come per le altre forze politiche (quelle ben inteso che non rifiutano l’obiettivo dell’unità europea), un punto fra gli altri nel capitolo sulla politica estera dei loro programmi, ma diventa il « préalable » rispetto alla realizzazione efficace e duratura delle rifor­ me politiche ed economico-sociali auspicate dalle varie correnti politiche. Di conseguenza per chi sostiene il carattere prioritario dell’obiettivo federale europeo diventa imperativa una nuova linea di divisione fra le forze del progresso e le forze della reazione, la quale si identifica non con « la linea formale della maggiore o minore democrazia del maggiore o minore socialismo da istituire », ma con la linea che discrimina « quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale e che faranno sia pure involonta­ riamente il gioco delle forze reazionarie... e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale » 15. Inol­ tre, in stretta connessione con questo punto di vista, viene respinto teo­ ricamente e praticamente il tradizionale internazionalismo, che, fondan­ dosi su di una visione dei rapporti internazionali derivante dall’impiego delle stesse categorie concettuali con cui vengono inquadrati i fenomeni interni agli Stati, concepisce raffermarsi della solidarietà fra i popoli e della loro unità al di là delle barriere nazionali come una conseguenza pressoché automatica dell’avanzare all’interno degli Stati delle istanze de­ mocratiche, socialiste o comuniste, a seconda dei diversi orientamenti. In altre parole, una volta acquisito il concetto che i rapporti internazio­ nali dipendono più dalla struttura del sistema internazionale, cioè dal­ l ’anarchia internazionale, che non dalle strutture interne agli Stati, le quali sono anzi fortemente influenzate dalla situazione internazionale, la federazione europea deve necessariamente essere concepita come un obiet­ tivo autonomo da perseguirsi con una azione specificamente diretta a tal fine e guidata da un movimento politico che di essa faccia la sua ragion

15. L ’importanza centrale di questa affermazione del « Manifesto di Venta­

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d’essere, e non come un sottoprodotto delle lotte per le riforme nazio­ nali, anche se condotte da partiti collegati in una « internazionale ».

Precisati gli elementi più qualificanti del discorso sull’unità europea svolto dagli autori più rappresentativi del pensiero federalista inglese e italiano nel periodo prescelto, un chiarimento appare indispensabile affin­ ché questo discorso possa essere apprezzato nel suo effettivo valore e per rendersi conto che esso costituisce ancora in questo dopoguerra una ere­ dità vitale e operante nel quadro del dibattito teorico sulla problematica dell’integrazione europea. È indubbiamente riscontrabile nelle tesi di questi autori una insistenza quasi martellante sul tema della guerra e sulla necessità di renderla impossibile attraverso strutture federali euro­ pee limitatrici della sovranità nazionale. Da ciò può nascere l’impressione che si tratti di un’impostazione concettuale non più in grado di permet­ tere una adeguata comprensione della problematica di questo dopo­ guerra, caratterizzata dalla pratica impossibilità, dall’inattualità storica, per le ragioni indicate in precedenza, di scontri bellici fra le ex-potenze europee (pur non essendo ancora stata realizzata la federazione europea) e pure dall’impensabilità di una guerra generale fra le massime potenze mondiali in conseguenza dell’equilibrio del terrore.

A questo riguardo credo che si debba per un verso riconoscere che le tesi in esame sono condizionate, in certe loro unilateralità e accentua­ zioni che oggi ci sembrano superate, da un particolare orizzonte storico del quale i problemi più urgenti e drammatici facevano sentire un peso preminente anche nella riflessione politica. Per un altro verso va sotto- lineato anzitutto che, accanto al tema della guerra fra gli Stati europei, l’attenzione è concentrata dai nostri autori anche, e in maniera altret­ tanto insistente, sulla problematica dell’interdipendenza crescente al di là delle barriere statali, e cioè su di una problematica che è particolarmente attuale nell’Europa di questo dopoguerra, ove tale fenomeno ha messo in moto un processo di integrazione non più ostacolato dalle contrastanti politiche di potenza degli Stati europei, e che è pure attuale in altri con­ testi regionali e, per taluni aspetti, nel mondo intero. Un pensiero poli­ tico che pone al centro del suo interesse l’esigenza di adeguare le strut­ ture statali al fenomeno così attuale dell’interdipendenza crescente non può non essere preso in attenta considerazione da parte di quanti si sfor­ zino di formulare gli schemi concettuali adeguati a comprendere e a gestire praticamente la problematica delle integrazioni regionali e pure dell’organizzazione dell’interdipendenza su scala mondiale 16. In secondo

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luogo occorre osservare che gli stessi schemi concettuali con cui i federa­ listi italiani e inglesi nel periodo considerato affrontano la tematica dei conflitti internazionali e delle guerre in Europa sono utilizzabili con pro­ fitto, purché adeguatamente arricchiti e approfonditi, ai fini della com­ prensione dell’evoluzione internazionale postbellica.

In effetti, se il concetto basilare su cui essi fondano le loro analisi è quello di anarchia internazionale — tale concetto mette in luce le diffe­ renze qualitative esistenti fra le relazioni internazionali e quelle interne agli Stati e chiarisce, a livello di massima astrazione, come i conflitti, che alPinterno degli Stati sono risolti generalmente attraverso procedure giu­ ridiche e politiche escludenti il ricorso alla violenza delle parti in con­ flitto, implicano invece nei rapporti internazionali, ove è assente un po­ tere superiore alle parti, la possibilità della guerra come ultima ratio e quindi, anche in assenza della guerra effettiva, la pace armata e i rapporti di potenza — , al suo interno emerge, oltre ad altre importanti determi­ nazioni, un concetto più penetrante, capace di fornire una visione della problematica internazionale meno approssimata e più precisa nel co­ glierne gli aspetti decisivi. Alludo al concetto di sistema degli Stati, che viene precisandosi nella parte dell’analisi imperniata sull’individuazione del nesso fra la crisi del sistema europeo degli Stati e le contraddizioni centrali del periodo considerato, e che in Lord Lothian soprattutto trova l’esempio di più acuta applicazione in sede di ricerca delle cause pro­ fonde della prima guerra mondiale.

Il fatto di istituire un preciso collegamento fra lo scoppio delle guerre mondiali e la crisi del sistema europeo degli Stati introduce evidente­ mente un discorso più complesso e articolato, nel quale la struttura del sistema degli Stati e la sua evoluzione acquistano, al di là del dato gene­ rale dell’anarchia internazionale, una rilevanza decisiva nel contesto della comprensione della problematica dei conflitti internazionali. Si tratta, ed è qui l’importante, di spunti che, con le necessarie integrazioni, sono suscettibili di essere fecondamente utilizzati precisamente per compren­ dere le ragioni per cui il nuovo sistema mondiale postbellico, nato dalla dissoluzione del sistema europeo, ha fatto perdere di attualità e di ur­ genza al problema della guerra fra gli Stati europei, e pure per capire il funzionamento e l’evoluzione del nuovo sistema mondiale degli Stati 17. seconda guerra mondiale e anche prima e si sviluppa soprattutto in questo dopo­ guerra, cfr., oltre a L. Lev i, L ’integrazione europea cit., pp. lvii segg., C. I. Frie­

drich, Europa-Nation im Werden?, Bonn, 1972.

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Va tenuto presente al riguardo che uno dei settori più importanti della scienza delle relazioni internazionali sviluppatasi in questo dopoguerra è costituito precisamente dalla teoria dei sistemi di S tati18, la quale trova importanti anticipazioni sia nella dottrina tedesca dello Stato-potenza 19, sia nelle analisi degli autori federalisti nel periodo considerato.

Dopo queste precisazioni a proposito della corrente federalista italo- inglese veniamo ora ai temi trattati dalle altre relazioni.

La relazione di Arduino Agnelli è soprattutto dedicata ad un perso­ naggio, Coudenhove-Kalergi, che, come ben mette in luce il relatore, non può certo, per quanto attiene al vigore teorico, essere posto sullo stesso piano degli autori precedentemente ricordati, ma che tuttavia ha avuto un ruolo importante, rispetto al tema che ci interessa, negli anni fra la fine della prima guerra mondiale e l’inizio degli anni ’30. In effetti Cou­ denhove-Kalergi, oltre ad aver creato il primo movimento organizzato a favore dell’unità europea avente un’estensione in quasi tutto il conti­ nente (pur con i limiti indicati dal relatore), ha, con il suo modo un po’ semplicistico e schematico, ma non privo di forza persuasiva e di efficacia propagandistica, di proporre l’esigenza dell’unità paneuropea, influenzato fortemente Briand e isparato il progetto di unione europea che questi presentò alla Società delle Nazioni nel 1929. Il merito di aver contribuito in modo decisivo alPemergere della prima iniziativa ufficiale a favore del­ l’unità europea (che nel progetto di Briand aveva carattere confederale e non federale) segnala peraltro quello che fu il periodo più importante del lavoro teorico e pratico di questo personaggio, che, pur avendo1 operato attivamente fino al 1973, l’anno della sua morte, non ha più esercitato un’influenza importante, né sulla politica di integrazione europea, né al livello dei movimenti europeistici e federalistici operanti in questo dopo­ guerra 20.

La necessità di inserire nel programma del convegno e quindi in que­ sto volume un’analisi delle tesi di fondo sull’unità europea emerse nella resistenza francese e tedesca non richiede evidentemente particolari

giu-potenza e imperialismo. L ’analisi dell’imperialismo alla luce della dottrina della ragion di Stato, Milano, 1973.

18. Cfr., per tutti, R. Aron, Pace e guerra fra le nazioni, 1962, (trad. ital., Milano, 1970).

19. Decisivi al riguardo soprattutto i contributi di O. Hintze, sul quale cfr. il recente ottimo lavoro di P. Schiera, Otto Hintze, Napoli, 1974. Alla dottrina tedesca dello Stato-potenza si riallacciano sopratuttto le analisi di L. Dehio, Equi­

librio o egemonia, 1948 (trad. ital., Brescia, 1954) e La Germania e la politica mon­ diale del X X secolo, 1955 (trad. ital., Milano, 1962).

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stificazioni. Questo compito è stato affidato a Walter Lipgens il quale è certamente uno degli storici più preparati su questo tema soprattutto per aver scritto l’opera più completa che sia apparsa finora sui progetti di federazione europea nella resistenza europea, e di cui è auspicabile al più presto una traduzione italiana. Dalla relazione di Lipgens emerge in parti­ colare un dato estremamente significativo che deve essere qui sottolineato. Pur essendo i contributi della resistenza francese e di quella tedesca al dibattito sull’unità europea di livello indubbiamente inferiore sul piano teorico rispetto a quelli della scuola federalista inglese degli anni ’30 e ’40 e della resistenza italiana, le conclusioni di fondo, riassumibili nel­ l’individuazione di un nesso strutturale fra la crisi del sistema degli Stati nazionali sovrani in Europa e i fenomeni della guerra totale e del fa­ scismo, sono sostanzialmente uguali, benché siano mancati, a parte casi sporadici, dei contatti e un dibattito organizzato fra questi gruppi. Ciò indica che l’espressione « resistenza europea », che assai spesso appare una formula agiografica e propagandistica, oscurante il dato reale della presenza di fortissime componenti nazionalistiche nei vari movimenti di resistenza e dei conflitti a carattere nazionalistico fra di essi, corri­ sponde, per quanto riguarda le componenti europeistiche di tali movi­ menti, ad una realtà, all’effettivo convergere in modo spontaneo verso delle qualificanti posizioni di fondo comuni nell interpretazione della crisi europea. Il che dovrebbe d’altro canto costituire uno stimolo a prendere più attentamente in considerazione questa interpretazione come uno dei contributi significativi della resistenza, della cui conclusione ri­ corre proprio in quest’anno il trentesimo anniversario.

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periodo ed era effettivamente una delle fondamentali alternative rispetto a quella dell’unificazione europea. E si trattava di un’alternativa che, a differenza di quella nazionalista e fascista, nasceva da un terreno politico­ ideologico avente alcuni importanti riferimenti valutativi comuni con l’orientamento favorevole all’unità europea, in particolare l’obiettivo del superamento dei conflitti fra gli Stati, e quindi del nazionalismo, e la soli­ darietà dei popoli al di là delle barriere statal-nazionali.

Dal confronto fra le tesi del movimento comunista internazionale sull’unificazione europea nel periodo considerato (la cui conoscenza è per altro indispensabile per capire l’atteggiamento sovietico in questo dopo­ guerra sull’integrazione europea, e in parte anche quello dei partiti co­ munisti dell’Europa Occidentale, finché sono rimasti strettamente subor­ dinati all’egemonia sovietica21) e quelle degli autori sostenenti la neces­ sità dell’unificazione europea come risposta alla crisi del sistema degli Stati nazionali in Europa emerge nettamente come il punto fondamentale di divergenza teorica rispetto al tema considerato riguardi il problema dell’autonomia delle relazioni internazionali rispetto alle strutture interne degli Stati e non il diverso giudizio sul capitalismo. La base teorica — al di là delle motivazioni tattiche, certo importantissime, ma che qui inte­ ressano di meno — del rifiuto da parte di Lenin della parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa è una teoria dell’imperialismo che in sostanza non riconosce tale autonomia, poiché riconduce le spinte imperialistiche e le guerre dell’epoca delPimperialismo essenzialmente alla tendenza del capitalismo monopolistico a produrre il protezionismo e, conseguente­ mente, l’esigenza di espandere l’area protetta, cioè sottratta al protezio­ nismo altrui, per poter esportare liberamente il capitale eccedente22. Nell’ambito di questa impostazione la limitazione della sovranità asso­ luta come strumento per impedire i conflitti internazionali appare un pro­ blema del tutto irrilevante; e ciò spiega perché Lenin, quando nega la validità della lotta per l’unità europea, non è in realtà in grado di distin­ guere in modo preciso e rigoroso fra federazione e confederazione.

Per contro la tesi degli autori federalisti che nega l’identificazione fra superamento del capitalismo ed eliminazione dell’imperialismo e dei con­ 21. Cfr. in proposito G. Zellentin, Die Kommunisten und die Einigung Eu-

ropas, Frankfurt (M.), 1964; M. Mouskely, Le bloc communiste et la Commu­

nauté Economique Européenne, « Revue d’economie politique », LXXIII, 1963,

pp. 406-438; B. Dutoit, L ’Union Soviétique face a l’integration européenne, Lau­ sanne, 1964.

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flitti internazionali ha la sua premessa nel riconoscere che è anzitutto l’anarchia internazionale, quando non esiste una potenza egemonica ca­ pace di imporre un relativo ordine (come l’Inghilterra per gran parte dell’800 o gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nelle rispettive zone d’in­ fluenza in questo dopoguerra), a produrre il protezionismo, e quindi la tendenza ad espandere l’area protetta, dal momento che le stesse tendenze al monopolio, spingenti al protezionismo, con tutte le sue conseguenze, nei rapporti internazionali, non producono il protezionismo nei rap­ porti fra le diverse regioni all’interno di uno Stato. Si tratta, a ben ve­ dere, di una tesi che, concettualmente, non ha alcun nesso con l’orienta­ mento favorevole alla conservazione del sistema capitalistico proprio di molti degli autori che la formulano nel periodo considerato, proprio per­ ché si fonda sul riconoscimento della relativa autonomia, nei termini descritti, delle relazioni internazionali rispetto alle strutture interne, e appare di conseguenza conciliabile anche con un orientamento favorevole al superamento del capitalismo. Da parte di chi condivide un tale orienta­ mento questa tesi dovrebbe pertanto essere presa attentamente in consi­ derazione ed essere valorizzata, con le necessarie integrazioni, ai fini di una più profonda comprensione dell’esperienza del sistema degli Stati socialisti formatosi in questo dopoguerra, nel quale sistema la problema­ tica dei conflitti internazionali appare tutt’altro che superata.

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LE CRITICHE D I EINAUDI E DI AGNELLI E CABIATI ALLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI N EL 1918

La ragione per cui si è ritenuto opportuno dedicare nel quadro di questo convegno una apposita comunicazione ad un tema in apparenza così delimitato e specifico quale quello delle critiche di Einaudi e di Agnelli e Cabiati alla Società delle Nazioni nel 1918 sta nel fatto che in realtà tali critiche e le connesse argomentazioni costituiscono una svolta nella storia dell’idea dell’unificazione europea in Italia, e forse non solo in Italia. In sostanza vengono qui per la prima volta individuati e chiariti con rigore teorico alcuni aspetti centrali della problematica dell unifica­ zione europea, i quali saranno al centro del successivo dibattito teorico su tale problematica, e viene messo in luce in termini convincenti come la federazione europea rappresenti l’unica adeguata risposta ai problemi di fondo che stanno all’origine della prima guerra mondiale . Non e casuale che questi chiarimenti siano apparsi nel contesto della critica alla S.d.N., allora in fase di progetto. In effetti l’emergere di un simile progetto era da una parte il chiaro sintomo che la prima guerra mondiale, con la sua inaudita distruttività e con il pericolo che essa aveva fatto balenare di un crollo irreparabile della stessa civiltà europea, aveva posto le classi poli­ tiche delle massime potenze non piu soltanto di fronte all esigenza essen­ zialmente morale, ma direttamente di fronte al problema politico (in 1

1. Per ¡’inquadramento degli scritti di Einaudi e di Agnelli e Cabiati, a cui si fa qui riferimento, nella storia dell’idea dell’unità europea cfr. in particolare Carl

H. Pegg, Der Gedanke der europäischen Einigung während des Ersten Weltkrieges

und zu Beginn der zwanziger Jahre, « Europa-Archiv », XVII, 1962, pp. 749-758, e

W. Lipgens, Europäische Einigungsidee 1923-1930 und Briands EuropapLan im

Urteil der deutsche Akten, « Historische Zeitschrift », CH I, 1966, pp. 46-89 e 316- 363 (cfr. in particolare le pp. 46-63). Cfr. inoltre, limitatamente ad Einaudi, M. Al-

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quanto condizionante la sopravvivenza dello stesso sistema europeo degli Stati) di rendere per il futuro impossibili nuove guerre e, quindi, di mu­ tare la struttura dei rapporti internazionali. Dall’altra parte la progettata nuova organizzazione internazionale costituiva una risposta del tutto ina­ deguata come poi l’esperienza storica ha ampiamente dimostrato) a tale problema, perché non eliminava le vere radici della guerra. Ora, proprio la necessità di confrontarsi con una proposta politica concreta e abba­ stanza chiaramente definita permise ai nostri autori non solo di indivi­ duare lucidamente le sue insufficienze strutturali, ma anche di dimostrare in modo non astratto che la federazione europea rappresentava la risposta adeguata ai problemi posti dalla guerra mondiale e quindi di formulare la proposta federale in termini decisamente più precisi e convincenti di quanto non fosse avvenuto fino ad allora.

Di qui l’utilità di illustrare nei termini essenziali tali critiche alla S.d.N. Nel far ciò conviene prendere dapprima in esame il contributo di Einaudi, il quale dedicò alla S.d.N. nell’ultimo anno di guerra due memo- morabili articoli pubblicati sul « Corriere della Sera » 2, il primo dei quali costituisce una delle fonti dirette di ispirazione dell’opera più ampia scritta in quello stesso anno da Agnelli e Cabiati3.

Nel primo articolo, che è anche il più importante, la critica di fondo al progetto della S.d.N. riguarda il mantenimento della sovranità statale assoluta che tutti i governi interessati ponevano come condizione irrinun­ ciabile della realizzazione del progetto stesso. Il giudizio di Einaudi al riguardo è estremamente netto. È del tutto illusorio sperare che sia pos­ sibile conservare durature condizioni di collaborazione pacifica fra gli Stati sulla base di un’organizzazione internazionale che non limiti sostan­ zialmente la sovranità, che non costituisca cioè « un vero super-stato for­ nito di una sovranità diretta sui cittadini di vari Stati, con diritto di sta­ bilire imposte proprie, mantenere un esercito super-nazionale, distinto dagli eserciti nazionali, padrone di un’amministrazione sua diversa dalle amministrazioni nazionali » 4. Contro questa possibilità sta l’insegna­ mento inequivocabile dell’esperienza storica, dalla quale emerge che tutte le forme di « confederazioni di Stati sovrani » (così Einaudi definisce le

2. Si tratta degli articoli intitolati La Società delle Nazioni è un ideale possi­

bile? (5 gennaio 1918) e II dogma della sovranità e l’idea della Società delle Nazioni

(28 dicembre 1918), entrambi ripubblicati in Jun ius, Lettere politiche, Bari, 1920, e successivamente in L. Einaudi, La guerra e l’unità europea, Milano, 19481, 19502, al quale si riferiscono le citazioni.

3. Cfr. G. Agnelli e A. Cabiati, Federazione Europea o Lega delle Nazioni?, Torino, 1918, ove il primo articolo di Einaudi è citato alle pp. 67-70.

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associazioni fra Stati che non limitano sostanzialmente la sovranità), dalla confederazione delle città greche del quinto secolo avanti Cristo fino alla Santa Alleanza e alla Confederazione tedesca del secolo scorso, sono inesorabilmente fallite. Al contrario hanno avuto successo le fusioni di più Stati in un unico Stato unitario e la federazione nordamericana, nata ap­ punto per superare i limiti della confederazione costituita durante la guer­ ra d’indipendenza e che stava per dissolversi. E proprio all’esempio ameri­ cano viene dedicata la maggiore attenzione, in quanto esso propone il modello valido per reailizzare l’unificazione di più Stati nazionali su un’area continentale, preservando il grado di autonomia compatibile con la conservazione dell’unità.

Sulla base di queste considerazioni storiche comparative Einaudi non solo giunge alla conclusione che la progettata S.d.N. è destinata a fallire, ma prevede addirittura che essa finirà per « aumentare ed invelenire le ragioni di discordia e di guerra », poiché alle « cause esistenti di lotta cruenta si aggiungerebbero le gelosie per la ripartizione delle spese co­ muni, le ire contro gli Stati morosi e recalcitranti » 5.

Per apprezzare l’importanza di questa critica e di questa previsione, occorre rendersi conto che in tal modo viene introdotto nel discorso sul­ l’unificazione europea un chiarimento concettuale che a prima vista può sembrare quasi banale, ma che in verità rappresenterà d allora in avanti il fondamentale criterio necessario per discriminare le proposte in grado di risolvere il problema della stabile collaborazione pacifica in Europa dalle soluzioni apparenti di questo problema, e che già allora permette al pensiero federalista di tradursi in punto di vista critico rispetto alla realtà politica, di non essere più semplicemente una delle versioni del pacifismo moralistico. Cioè viene introdotta, in riferimento alla proposta concreta di una nuova organizzazione internazionale, la precisa distinzione concettuale fra la collaborazione fra gli Stati e la loro unificazione, chia­ rendo come l’un concetto sia l’opposto dell’altro. In sostanza la scelta della collaborazione fra Stati sovrani significa la volontà di rimanere di­ visi, pur dovendo risolvere problemi che richiedono l’unificazione, e signi­ fica altresì non voler comprendere che, senza la limitazione dalla sovra­ nità, che è la vera radice della divisione indipendentemente dalla buona o cattiva volontà da parte dei governi di collaborare, la collaborazione, e quindi l’organizzazione internazionale su di essa fondata, fallirà non ap­ pena i contrasti diventeranno rilevanti. Al contrario 1 unificazione, possi­ bile solo con la limitazione della sovranità, è quella situazione che per­

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mette di restare uniti nonostante l’emergere dei contrasti, il che rappre­ senta la normalità nei rapporti fra i gruppi umani.

Alla chiarezza di questa distinzione non corrisponde, si deve ricono­ scere, una netta indicazione a favore di una federazione europea, la quale a Einaudi appare poco realistica, mentre gli sembra più prudente in una prima fase limitarsi ad « immaginare creazioni di Stati latini, germanici, slavi d’ordine più elevato dei piccoli Stati europei, che tutto fa presumere destinati a divenire stelle di seconda o terza grandezza » 6. Ciò non toglie che l’esigenza dell’unità europea costituisca il problema centrale della nostra epoca e che la sua soluzione in positivo od in negativo sia l’oggetto centrale dello scontro bellico in corso: « La guerra presente è la condanna dell’unità europea imposta colla forza da un impero ambizioso ma è anche lo sforzo cruento per elaborare una forma politica d’ordine superiore » 7. Ciò che precisamente intende con quest’ultima affermazione Einaudi lo chiarisce nel secondo articolo, che sviluppa come tema centrale quello della contraddizione esistente fra il dogma della sovranità statale assoluta e la crescente interdipendenza, al di là delle barriere nazionali, dei rap­ porti umani in tutti i campi, ma soprattutto in quello economico, la quale 6. Ibid., p. 21. Einaudi precisò meglio il suo pensiero in proposito nella recensione del libro sopraricordato di Agnelli e Cabiati (pubblicata in « La Riforma Sociale », XXIX, 1918, pp. 661-662, ripubblicata in L. Einaudi, Gli ideali di un

economista, Firenze, 1921, e, successivamente, in « Comuni d’Europa », XXII, 1974, n. 4, pp. 21-23, con un commento di Umberto Serafini), nella quale, contro l’opi­ nione dei due autori nettamente favorevole ad una federazione estendentesi all’in­ tera Europa continentale (nel 1918 la situazione della Russia non era ancora chia­ ramente definita — comunque nel Post scriptum dell’edizione francese, apparsa l’anno successivo a Parigi col titolo Pédération européenne ou ligue des nations? , i due autori, paragonando il programma di Wilson con quello di Lenin, sostengono che l’Europa doveva salvarsi con le sue forze, garantendo, con la federazione, la propria autonomia fra le nuove potenze mondiali) ed escludente l’Inghilterra, che con il suo impero costituiva già una compagine politica di dimensioni più che con­ tinentali, sostiene che tale estensione della progettata federazione è nello stesso tempo troppo ampia, date le eccessive differenze nazionali, e troppo ristretta, perché un’Europa unita senza l’Inghilterra non sarebbe altro in realtà che una Mittel-

europa ingrandita soggetta all’egemonia tedesca. Conclude pertanto che è più pru­ dente limitarsi a proporre come campo concreto di azione per l’immediato la for­ mazione di una specie di Commonwealth latino da organizzarsi su basi federali, e da inquadrarsi assieme alle altre federazioni regionali nella wilsoniana S.d.N. Questa impostazione di Einaudi presenta, nelle conclusioni, alcune analogie con le tesi sostenute da Ettore Ponti in La guerra dei popoli e la futura confederazione

europea, Milano, 1915, un’opera che contiene alcuni spunti interessanti, ma che è fornita di una base teorica (fondata sull’asserzione dell’analogia fra evoluzione sto­ rico-sociale ed evoluzione biologica) troppo rudimentale. Cfr., sull’opera del Ponti, D. Visconti, La concezione unitaria dell’Europa nel Risorgimento, Milano, 1948, pp. 281-284.

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interdipendenza richiede la limitazione ed il coordinamento della sovra­ nità su spazi sempre più vasti e, in prospettiva, a livello del mondo intero. Che si tratti di una contraddizione matura lo dimostra, a suo avviso, nel modo più appariscente proprio l’esempio della politica tedesca, la quale dalla volontà di conservare piena e incondizionata la propria so­ vranità, e di non accettare alcuna limitazione volontaria della stessa è tratta con logica ed inesorabile consequenziarietà a perseguire un disegno di egemonia europea e mondiale. In effetti garantire militarmente con assoluta sicurezza la sovranità di uno Stato europeo è possibile solo di­ struggendo la potenza di tutti gli eventuali avversari; e ciò non si può ottenere se non dominando direttamente o indirettamente l’intero conti­ nente europeo, e facendo di questo dominio la base per un ruolo egemo­ nico mondiale. E d’altra parte poiché l’indipendenza implica l’autosuffi­ cienza economica, cioè il non dover dipendere dalla volontà altrui, soprat­ tutto in termini di risorse alimentari e di materie prime per l’industria, soltanto tramite il dominio su aree di dimensioni continentali e oltre è possibile garantire le basi economiche della sovranità. Da qui appunto gli obiettivi egemonici perseguiti dalla Germania nella guerra, contro la rea­ lizzazione dei quali si deve combattere con tutte le forze materiali e morali, contrapponendo ad essi non però la semplice preservazione o restaurazione dell’indipendenza nazionale, bensì la ricerca di una solu­ zione pacifica e volontaria, cioè federale, del problema reale consistente nell’interdipendenza crescente su scala continentale e mondiale.

Accanto alla chiarificazione concettuale dell’opposizione fra collabo- razione interstatale e unificazione, questo è dunque il secondo contributo decisivo dato da Einaudi negli scritti in esame al chiarimento della pro­ blematica dell’unificazione europea. Si tratta di un punto di vista che d’ora in poi resterà costante, sia pure attraverso successivi approfondi­ menti, nel pensiero federalista di questo autore, e che riemergerà in tutte le più acute prese di posizioni a favore della federazione europea 8.

8. Cfr. L. Einaudi, La guerra e l’unità europea cit., che comprende i suoi scritti federalisti più importanti dal 1918 fino al 1948. Occorre tener presente che, se il discorso sulla necessità di creare grandi spazi statali in conseguenza della cre­ scente interdipendenza economica su scala continentale e mondiale aveva comin­ ciato già dalla fine dell’800 ad essere un tema sempre più ricorrente nel dibattito politico-culturale (cfr. in proposito soprattutto C. H. Pegg, op. cit., anche per quanto concerne la bibliografia sull’argomento), la novità delle tesi einaudiane sta nel fatto che esse inquadrano in termini rigorosi tale discorso nella prospettiva del federalismo europeo. Sullo stesso tema sono da segnalare in quello stesso pe­ riodo gli importanti contributi di Agnelli e Cabiati, op. cit., e di A. Demangeon,

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Rispetto ai contributi di Einaudi alcuni importanti passi in avanti sono già presenti nell’opera contemporanea di Agnelli e Cabiati. Del loro libro, ricco di spunti di notevole interesse 9, ad alcuni dei quali si farà riferimento nelle successive relazioni, vengono qui per altro prese in con­ siderazione soltanto le tesi più chiarificatrici attinenti al tema specifico della S.d.N. A questo proposito i due autori per un verso si riallacciano direttamente al discorso einaudiano facendone proprie le due tesi centrali sopraindicate (e prendendo più nettamente posizione, come si è visto, a favore di una federazione europea), mentre, per l’altro verso, lo integrano con dei contributi originali.

Il più notevole di questi contributi consiste in un’argomentazione più ampia e articolata a sostegno della tesi che la S.d.N. non impedirà nuove guerre, e anzi contribuirà a favorirne lo scatenamento. Nell’approfondire la critica einaudiana, che individua il difetto strutturale del progetto della S.d.N. nell’assenza di una reale limitazione della sovranità, i due autori esaminano dettagliatamente i singoli aspetti del progetto del Presidente Wilson e, tra l’altro, demistificano in modo radicale l’idea, che nel pro­ getto ha un’importanza centrale, del tribunale supremo, davanti ai deli­ berati del quale tutti gli Stati dovrebbero inchinarsi.

Un tribunale arbitrale, come dimostra l’esperienza storica, non è in grado, nei confronti di Stati che conservano, oltre alla sovranità formale, la possibilità effettiva di difenderla militarmente, di far valere le proprie sentenze in tutti i casi in cui i suddetti Stati ritengano lesi da tali sen­ tenze i propri interessi vitali. Né ci si deve illudere di poter superare tale resistenza impiegando la forza coattiva delle nazioni collegate. In effetti, se tale forza coattiva è quella delle armi, allora si cadrebbe nella situa­ zione che la S.d.N. vorrebbe escludere; cioè si sarebbe costretti a conti­ nuare su scala sempre crescente una corsa agli armamenti, destinata fatal­ mente a sboccare in una guerra. Se invece si ritenesse di dar forza coat-9. Per l’inquadramento del contesto politico in cui è nato questo libro ed il chiarimento dell’influenza di Einaudi e di Frassati (allora direttore de « La Stam­ pa ») sull’emergere dell’orientamento federalista del fondatore della FIAT, cfr. V. Castronovo, Giovanni Agnelli, Torino, 1971, pp. 132-135, 159-162, 725 (da tener presenti anche l’articolo di Frassati su « La Stampa » del 29 ott. 1918, inti­ tolato L ’assemblea degli azionisti FIAT. L ’opera della società durante la guerra, e il libro di A.A. V.V., I cinquantanni della FIAT, Milano, 1950, p. 128). Tra le fonti culturali di questo libro ha grande rilievo la letteratura inglese contempo­ ranea, e in particolare quella favorevole alla trasformazione dell’impero inglese in una vera e propria federazione sul modello nordamericano. Tra gli altri, vien fatto riferimento dagli autori a J. R. Seeley (di cui però viene citato solo Introduction

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tiva alle sentenze del tribunale internazionale, minacciando l’esclusione della potenza ribelle dagli accordi economici, tale sanzione sarebbe nei casi decisivi insufficiente: « 1° perché, se la Potenza in questione si pone d’accordo con altri Stati, può costituire una forza tale da resistere al blocco economico per tutta la durata di una lunga guerra; 2° perché que­ sta resistenza può venire facilitata da accaparramenti di materie prime e di commestibili compiuti con la dovuta larghezza nel periodo prebel­ lico » 10. D ’altro canto, l’idea di poter superare tali difficoltà con il disarmo è ancor più fantastica, dal momento che non ci sono mezzi adeguati « per impedire ad uno Stato di preparare almeno potenzialmente una organiz­ zazione militare superiore a quella che appaia esteriormente sulla carta », ed è d’altronde chiaro che « i popoli più industriali e meno democra­ tici... saranno sempre superiori agli altri nella rapida organizzazione di eserciti » ll.

È significativo che i due autori rafforzino queste critiche veramente preveggenti ricorrendo all’autorità di Treitschke, vale a dire di uno dei più noti esponenti di quella dottrina tedesca dello Stato-potenza (Machtstaatsgedanke) che è stata il principale strumento di giustifica­ zione ideologica del nazionalismo e dell’imperialismo tedesco soprattutto nel periodo della prima guerra mondiale 12. Essi evidentemente rifiutano l’orientamento valutativo nazionalistico e imperialistico proprio di questa corrente culturale e vi contrappongono la scelta a favore del superamento, tramite il federalismo, delle radici della politica di potenza, e quindi del nazionalismo e dell’imperialismo; ma ne riconoscono nello stesso tempo la validità dei contributi scientifici, che si collocano nel filone della seco­ lare tradizione di pensiero fondata sulla teoria della ragion di Stato, e l’indispensabilità degli stessi ai fini di una comprensione adeguata della problematica dei rapporti internazionali. Attraverso Treitschke recepi­ scono in sostanza l’insegnamento fondamentale della teoria della ragion di Stato, il quale imputa la politica di potenza e le tendenze bellicose emergenti nei rapporti fra gli Stati in ultima analisi all’anarchia interna­ zionale, cioè alla pura e semplice divisione dell’umanità in Stati sovrani, in conseguenza della quale ogni Stato, indipendentemente dal regime poli­

to. Cfr. G. Agnelli e A. Cabiati, op. cit., p. 88. 11. Ibid., p. 81.

12. Cfr., per un inquadramento generale della dottrina tedesca dello Stato- potenza, F. Meinecke, Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, Mün­ chen, 1924, trad. ital., L'Idea della ragion di Stato nella storia moderna, Firenze, 19702. Il testo di Treitschke citato da Agnelli e Cabiati è Politik. Vorlesungen

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