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P r o b l e m i a p p l i c a t i v i d e l l a l e g g e 7 a g o s t o 1 9 9 0 n . 2 4 1 a l l ’ a t t i v i t à c o n s i l i a r e .

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Problemi applicativi della legge 7 agosto1990 n. 241 all’attività consiliare.

(Risoluzione del 24 marzo 1993)

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del24 marzo 1993, ha deliberato di approvare la seguente risoluzione:

Premessa.

1. Il Consiglio ha esaminato in più riprese i complessi problemi nascenti dalla legge 7 agosto 1990 n. 241 sul procedimento amministrativo, se ed in quanto applicabile all’attività consiliare. In particolare, con risoluzione approvata dal plenum nella seduta del 27 maggio 1992, trasmessa al Ministro di grazia e giustizia con nota del 1°

giugno 1992, ha ritenuto che: a) il dettato normativo di cui alla citata legge 241 è estensibile in via tendenziale all’attività consiliare, ma occorre tener conto delle peculiarità derivanti dalla natura del C.S.M., organo di rilevanza costituzionale, che non è diretto destinatario della normativa in questione; b) la definizione dell’ambito possibile di applicazione della legge 241 all’attività del Consiglio deve farsi carico della concreta formulazione dello strumento normativo, sicché occorre procedere ad una verifica delle singole disposizioni contenute nella legge citata per accertare quali siano applicabili all’attività consiliare attraverso il meccanismo dell’adeguamento regolamentare (art. 20 n. 7 L. 24 marzo 1958 n. 195).

Da ciò consegue che la normativa in questione non può ritenersi applicabile in via diretta e immediata all’attività del Consiglio, appunto perché quella normativa ha come destinatari i soggetti della Pubblica Amministrazione, nel cui novero il Consiglio medesimo non è riconducibile. Occorre procedere ad una verifica in concreto delle singole disposizioni recate dalla legge n. 241/1990, allo scopo di valutarne il grado di adattabilità ai singoli procedimenti e la loro eventuale incompatibilità con la forma data al procedimento deliberativo da leggi o regolamenti, come già posto in luce nella delibera del 25 novembre 1992.

Esame delle disposizioni contenute nella legge 7 agosto 1990 n. 241.

Capo 1- Principi (artt. 1 - 3)

2. Tale capo contiene importanti disposizioni di principio, alcune delle quali sono direttamente applicabili anche all’attività consiliare, senza bisogno di adeguamento regolamentare. Ciò vale per l’intero articolo 1, concernente i fini dell’attività amministrativa e i criteri che devono reggerla, per l’articolo 3 sull’obbligo della motivazione, per l’articolo 2 primo comma circa il dovere di concludere il procedimento mediante adozione di un provvedimento espresso, ove il procedimento stesso consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato di ufficio.

Si tratta di disposizioni che trovano radice nei principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), alle quali deve direttamente informarsi anche l’attività del Consiglio.

Discorso più analitico va svolto per l’art. 2, commi 2°, 3° e 4°, sui termini entro cui ciascun procedimento deve concludersi. Il Consiglio, infatti, affronta - prima tramite le sue commissioni e poi nel plenum - una multiforme tipologia di procedimenti, che vanno da quelli strutturati in forma piuttosto semplice a quelli a struttura molto complessa. Ciò, evidentemente, non può condurre ad escludere la possibilità di regolare anche l’attività del Consiglio secondo termini prefissati. Impone però di esaminare, sia pure per grandi linee, i diversi procedimenti, allo scopo di verificare se e quali termini possano essere ad essi assegnati.

A) Molto diverso è il tipo di procedimenti rientranti nelle competenze della prima Commissione. Si va da quelli destinati a sollecita archiviazione, non essendovi provvedimenti del Consiglio da adottare, a quelli di grande complessità richiedenti accertamenti lunghi ed approfonditi, che a volte coinvolgono anche attribuzioni di altri organi (si pensi ai casi in cui è necessario chiedere indagini all’Ispettorato presso il Ministero di Grazia e Giustizia).

Inoltre la natura di tali procedimenti sovente non consente di prevederne in anticipo gli sviluppi. Si rende dunque necessario indicare termini congrui, che potrebbero esser fissati in mesi sei per la fase istruttoria (per tale intendendosi quella compresa tra la data in cui l’atto iniziale - esposto, rapporto richiesta del Ministro di G. e G. - perviene alla Commissione e la data in cui viene approvata la motivazione della proposta) ed in mesi due per la fase davanti al plenum, con un tempo necessario per la conclusione del procedimento pari a complessivi mesi otto. Dovrebbe esser previsto che il corso di tali termini rimanga sospeso durante il tempo necessario per acquisire atti o informazioni presso altri organi o uffici.

B) - Per i procedimenti rientranti nella competenza della seconda Commissione, pur con la diversa tipologia che li caratterizza, potrebbe apparire adeguato fissare un termine di mesi quattro per la fase davanti alla Commissione e di mesi due per la fase davanti al plenum. ll corso di tali termini dovrebbe rimanere sospeso durante il tempo necessario per acquisire atti o informazioni presso altri organi o uffici.

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C) - Termini e previsioni analoghe sembrano adeguati anche per i procedimenti attribuiti alla terza Commissione, con l’avvertenza, però, che nelle procedure di tipo concorsuale il dies a quo va identificato nel giorno successivo alla scadenza del termine per la presentazione delle domande.

D) - Per i procedimenti attribuiti alla quarta Commissione i termini potrebbero essere fissati in mesi quattro per la fase istruttoria (decorrenti dalla data dell’atto di iniziativa ad opera dello stesso Consiglio, se si tratta di procedimento avviato d’ufficio, o dalla data dell’istanza di parte) e in mesi due per la fase davanti al plenum, con la previsione che il corso di tali termini rimanga sospeso durante il tempo necessario per acquisire atti o informazioni presso altri organi o uffici.

E) - Per i procedimenti di tipo non concorsuale, demandati alla Commissione speciale per il conferimento degli uffici direttivi, potrebbero essere previsti gli stessi termini assegnati alla quarta Commissione, con le relative modalità.

Invece per i procedimenti di tipo concorsuale, che di regola rivestono maggiore complessità e, con la sola eccezione degli uffici pretorili, richiedono il concerto del Ministro di G. e G., sarebbe opportuno prevedere una prima fase di mesi quattro, compresa nell’arco di tempo tra la scadenza del termine per la presentazione delle domande e la formulazione delle conclusioni da sottoporre al Ministro per il concerto. Dopo l’arrivo alla Commissione della risposta del Ministro, ove questo dia il concerto, andrebbe previsto il termine di un mese per la formulazione della proposta al plenum. Qualora invece occorrano ulteriori fasi dialogiche con il Ministro per portare a compimento l’attività di concertazione (secondo lo schema scandito dalla Corte Costituzionale), andrebbe previsto per ciascuna fase il termine di mesi due. Infine per la fase davanti al plenum andrebbe ancora previsto il termine di mesi due.

F) - Per le restanti commissioni potrebbero esser previsti i termini di mesi quattro per la fase istruttoria e di mesi due per la fase davanti al plenum, ferma restando la sospensione del corso di tali termini durante il tempo necessario per acquisire atti o informazioni presso altri organi o uffici.

Qualora la pratica venga rinviata in Commissione dopo il dibattito in plenum, per l’ulteriore fase istruttoria andrebbe previsto il termine di mesi due. Non sono suscettibili di apposizione di termini le pratiche a carattere generale, come quelle per la emanazione di circolari, di risoluzioni e così via.

Per le ipotesi di superamento dei detti termini si potrebbe prevedere un meccanismo di conclusione immediata del procedimento o della fase, attraverso l’azione della Presidenza delle Commissioni e del Consiglio chiamati a fissare in via ultimativa la seduta di definizione della pratica, fatta salva la possibilità - in casi specificamente determinati - di richiedere (al Plenum o al Comitato di Presidenza), motivate proroghe.

Capo II - Responsabile del procedimento (artt. 4-6)

3. Tale parte della legge n. 241 deve ritenersi non applicabile all’attività consiliare. Invero, come emerge dal testuale tenore delle norme de quibus, esse sono concepite per il modello tipico dell’organizzazione amministrativa, caratterizzata da rapporti interni di sovraordinazione o di vera e propria gerarchia tra il dirigente dell’unità organizzativa e i dipendenti alla medesima addetti, tutti peraltro legati alla Pubblica Amministrazione da un rapporto d’impiego. Ben diversi sono invece il tessuto e l’organizzazione del C.S.M.. A parte il rilievo che esso non è riconducibile tra i soggetti della P.A., i componenti partecipano ai lavori e alle deliberazioni del Consiglio stesso in posizione di parità (cfr. art. 8 del R.I.). Il che vale anche per i presidenti delle commissioni, cui competono soltanto poteri di formazione dell’ordine del giorno, di convocazione e di distribuzione del lavoro.

L’attività nell’ambito dei lavori consiliari è, inoltre, sempre di tipo collegiale, non avendo il relatore neppure per gli atti istruttori il potere di adottare determinazioni di sorta. E tutto ciò è in palese contrasto con la figura del responsabile del procedimento, disegnata negli articoli 6-8 della legge n. 241 del 1990.

Capo III - Partecipazione al procedimento amministrativo (artt. 7-13)

4. Nel disegno della legge n. 241 la normativa de qua nella prima parte è finalizzata a rendere edotti dell’avvio del procedimento coloro che possono essere interessati a parteciparvi. Tale esigenza di regola non ricorre, o almeno è molto attenuata, per i procedimenti rientranti nelle attribuzioni del C.S.M.. Infatti per i procedimenti di tipo concorsuale l’avvio coincide con la pubblicazione dei posti messi a concorso, che vengono portati a conoscenza degli interessati, cui è dunque garantita la possibilità di partecipazione. Per i procedimenti che iniziano ad istanza di parte l’obbligo di provvedere mediante adozione di un provvedimento espresso, ricadente sul Consiglio (art. 2, 1° comma, L. n. 241/1990), già rende certo l’interessato della esistenza della procedura e gli consente quindi ogni possibilità di partecipazione. Nel novero dei procedimenti che iniziano di ufficio, alcuni (tra i più importanti) già prevedono, dopo l’espletamento di accertamenti preliminari, l’invio di comunicazione agli interessati. Così avviene,

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ad esempio, per i procedimenti ex artt. 2 e 3 R.D.L. n. 511/1946, rientranti rispettivamente nelle competenze dalla prima e della seconda commissione. Pertanto l’area di riferimento della normativa in esame è senza dubbio ristretta, e codesto dato risulta ancor più evidente ove si ponga mente al fatto che essa è altresì ben circoscritta sia per quanto concerne la natura degli atti appartenenti alle attribuzioni consiliari (profilo oggettivo), sia per quanto riguarda i destinatari (profilo soggettivo).

Comunque, se si ritiene che ciò risponda ad un’esigenza di garanzia sostanziale, può prevedersi in via regolamentare che, nel caso di procedimenti iniziati d’ufficio (per i quali già non sia contemplata un’apposita comunicazione), dell’avvio di essi si dia comunicazione agli interessati, se non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento.

Quanto all’articolo 9 della legge 241, disciplinante la facoltà d’intervenire nel procedimento, non si può escludere in via di principio che ricorrano casi in cui l’intervento di un terzo debba considerarsi ammissibile. È chiaro, tuttavia, che ciò potrà avvenire non già in presenza di un interesse generico, indifferenziato o di mero fatto, bensì quando ricorra un interesse giuridicamente rilevante, ossia una situazione giuridica avente la consistenza di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo. Non si rivela necessaria, comunque, un’apposita previsione regolamentare.

Non sembra, invece, che possa trovare applicazione alla attività consiliare il disposto dell’art. 11 della legge, diretto a regolare gli accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo. Invero - a parte il rilievo che il Consiglio opera generalmente in materia di ordinamento giudiziario coperta da riserva di legge (art. 108 Cost.) - i provvedimenti consiliari, avendo per oggetto di regola lo status professionale dei magistrati o l’amministrazione della giurisdizione, sono a contenuto indisponibile e perciò insuscettibile di essere oggetto di negoziazione.

L’art. 12 afferma il principio che la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.

Nella misura assai limitata in cui tale norma può riguardare l’attività del Consiglio essa va recepita, eventualmente con gli opportuni adeguamenti della vigente normativa regolamentare.

Capo IV - Semplificazione dell’azione amministrativa (artt. 14-21)

5. Si tratta di un complesso di norme dirette ad agevolare la collaborazione tra più soggetti della pubblica amministrazione, allo scopo di rendere più agile - e quindi più tempestiva ed efficiente - l’azione amministrativa, nonché a facilitare i rapporti del cittadino con la stessa Pubblica Amministrazione. Quest’ultima è dunque la destinataria della normativa de qua, la quale perciò non è applicabile in via diretta al Consiglio, non essendo questo soggetto della Pubblica Amministrazione e non essendo riferibili alla attività consiliare, di regola, i moduli di amministrazione per accordi (a parte l’ipotesi tipica ex art. 11 legge n. 195/1958).

Capo V - Accesso ai documenti amministrativi (artt. 22-27)

6. Anche per tali disposizioni vale quanto detto nel capo che precede. Il dato è ancor meglio posto in evidenza nell’art. 23, dove si stabilisce che “il diritto di accesso di cui all’art. 22 si esercita nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ivi compresi le aziende autonome. gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi".

Ciò peraltro certo non esime il Consiglio da un esame attento dell’argomento. Infatti il diritto di accesso è diretto ad assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa ed a favorirne lo svolgimento imparziale. Si tratta di valori di livello costituzionale, che assurgono al rango di principi generali dell’ordinamento giuridico (cfr. l’art. 29 della L. n. 241/1990). In ogni caso, quindi, il Consiglio ha il dovere di conformare ad essi la propria attività e il proprio regolamento interno. Bisogna allora prendere le mosse dallo stato attuale delle disposizioni consiliari in tema di diritto di accesso, per verificare se esse possano dirsi conformi ai principi menzionati.

L’argomento è disciplinato dall’art. 18 R.I. , sotto la rubrica “rilascio di copia degli atti”. Le regole recate da codesta disposizione possono essere enucleate come segue:

1) per le sedute pubbliche del plenum il rilascio di copia dei verbali delle sedute stesse è autorizzato dal Comitato di Presidenza a richiesta di chiunque vi abbia un giustificato motivo;

2) le copie dei verbali delle sedute del Consiglio, quando sia stata esclusa la pubblicità, e delle Commissioni sono rilasciate ai magistrati che, a giudizio della competente Commissione o del Consiglio (in caso di mancata maggioranza sul punto), vi abbiano interesse;

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3) gli atti acquisiti o formati nel corso dei procedimenti consiliari, definiti in seduta pubblica, possono essere rilasciati, a richiesta di chiunque vi abbia giustificato motivo, dal Comitato di Presidenza.

In sostanza, mentre è possibile ottenere copia dei verbali del plenum e delle commissioni (sia pur con le limitazioni di cui al punto 2 che precede), è possibile accedere soltanto agli atti acquisiti o formati nel corso dei procedimenti consiliari definiti in seduta pubblica (che sono peraltro la grande maggioranza dei procedimenti consiliari), con l’implicazione che, prima di ottenere il rilascio della copia dell’atto, bisogna attendere la definizione del procedimento (perché soltanto con la definizione si accerta se esso è stato trattato in seduta pubblica o segreta).

Il sistema così delineato non ha dato luogo finora, a quanto risulta, ad inconvenienti di rilievo. Esso tuttavia contempla alcune importanti limitazioni; in particolare: a) non consente di esercitare il diritto di accesso mediante esame diretto gratuito dei documenti (art. 25, 1° comma, L. n. 241), ma soltanto attraverso l’estrazione di copia; b) esclude la possibilità di accedere agli atti acquisiti o formati nel corso dei procedimenti consiliari definiti in seduta non pubblica; c) restringe ai soli magistrati la facoltà di ottenere in copia i verbali delle sedute del Consiglio, quando sia stata esclusa la pubblicità, nonché i verbali delle sedute delle commissioni (in ogni caso); d) consente di ottenere copia degli atti acquisiti o formati nel corso dei procedimenti consiliari soltanto dopo la loro definizione in seduta pubblica.

Orbene, il differimento al termine della procedura di cui al punto sub d), appare ragionevole, in quanto consente una verifica più adeguata dei presupposti per esercitare il diritto di accesso e una ponderazione più completa dei vari interessi implicati. D’altro canto il detto differimento trova positivo riscontro nello stesso tenore della legge n. 241 che, nell’art. 24, 6° comma, attribuisce appunto ai soggetti della P.A. la facoltà di differire l’accesso ai documenti richiesti sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa. Taluni interventi adeguatori possono invece opportunamente prospettarsi sugli altri punti. Va esaminata la possibilità di consentire l’esercizio del diritto di accesso mediante esame dei documenti, previa autorizzazione del Comitato di Presidenza e indicazione specifica dei documenti da esaminare.

Va considerata la possibilità di consentire l’accesso - a chi vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti - anche agli atti acquisiti o formati nel corso di procedimenti consiliari definiti in seduta non pubblica, sempre in relazione ad atti specifici e non all’intero fascicolo (restando dunque escluse finalità meramente esplorative) e previa verifica da parte del Comitato di Presidenza della inesistenza di ragioni che impongano di tutelare la riservatezza di terzi. Va verificata la possiblità di estendere anche ai non appartenenti all’ordine giudiziario la facoltà di ottenere in copia i verbali delle sedute delle commissioni e del Consiglio (quando di queste ultime sia stata esclusa la pubblicità), ove tali copie siano necessarie per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e sempre previa verifica della inesistenza di ragioni che impongano di salvaguardare la riservatezza di terzi.

Gli atti vanno pertanto trasmessi alla Commissione per il Regolamento affinché, sulla scorta delle considerazioni che precedono, elabori le proposte di modificazioni regolamentari ritenute opportune e le sottoponga al Consiglio.

L’importanza della nuova disciplina, che viene qui prospettata, deve impegnare tutti i centri di riferimento istituzionale in uno sforzo diretto a potenziare le strutture amministrative consiliari, secondo le linee già segnalate con la deliberazione approvata il 25 novembre 1992.

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