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Ārāḍa Kālāma e Udraka Rāmaputra: maestri abbandonati, insegnamenti disattesi Rileggere un caso classico come strategia di disciplinamento delle

Sulla necessità di una storia dell’interpretazione delle biografie sul Buddha

2.2 Ārāḍa Kālāma e Udraka Rāmaputra: maestri abbandonati, insegnamenti disattesi Rileggere un caso classico come strategia di disciplinamento delle

pratiche

All'interno del suo opus magnum sopra citato, André Bareau si è occupato fra gli altri del celebre incontro tra Gautama, dunque colui che ancora non è il Buddha, e gli asceti Ārāḍ a Kālāma (pāli: Āḷ āra Kālāma) e Udraka Rāmaputra (pāli: Uddaka Rāmaputta). Oltre a rilevare le molte differenze e le discontinuità che le fonti mostrano a riguardo di tale episodio,107

l'autore francese accenna anche al portato dottrinale che gli eventi rivelano e comportano. Egli suggerisce, infatti, che dietro queste storie non vi sarebbe la semplice volontà di narrare episodi che rimandano alle fasi precedenti alla ‘realizzazione’, ma vi sarebbe l'esigenza di veicolare determinati tipi di insegnamento e di pratica nei confronti dei fruitori delle vicende.108

Questa intuizione di André Bareau merita una più attenta indagine. Questo perché essa non solo ha conseguenze centrali per l'analisi e la valutazione dei materiali letterari buddhisti, ma anche perché pone questioni nodali per la storia delle idee sviluppate in seno alle varie tradizioni del buddhismo. Solo una lettura più accurata dell'episodio, dunque, può rivelare la pervasività e la cogenza garantita dal narrare la vita del Buddha, vale a dire l'attenzione messa nel sancire e conferire peculiari significati teorici e pratici ai devoti attraverso il ricorso ad un ab initio relativo all'esperienza del fondatore.

All'interno della vita del Buddha, Ārāḍ a Kālāma e Udraka Rāmaputra compaiono come i maestri che egli incontra e ai quali si affida subito dopo l'abbandono della vita di palazzo. Ebbene, la vicenda vuole che dopo un breve periodo di apprendistato presso le comunità ascetiche di cui sono a capo, Gautama, assolutamente insoddisfatto della conoscenza e delle nozioni acquisite, decida di abbandonarli e affrontare da solo la ricerca della ‘realizzazione’.

107 Cfr. Ibidem, pp. 13-27. 108 Cfr. Ibidem, pp. 361-373.

Ora, se questa è la sommaria descrizione degli eventi che si pensano essere accaduti, ciò che si mostra dietro una più attenta lettura dei passi è una precisa strategia testuale adottata per descrivere e, di fatto, prescrivere il giusto modo di intendere la pratica meditativa. Infatti, se ci si rivolge ai sutta che contemplano questi episodi è facile capire che il fulcro della questione non sia tanto rendere note le vicende del passato del Buddha, ma dirimere e fissare alcuni punti fondamentali che riguardano la dottrina e quindi stabilire il giusto modo di intendere la disciplina e la pratica che vuole condurre alla ‘liberazione’.

Ciò risulta ben chiaro se pensiamo che, all'interno degli episodi biografici presi in esame, Ārāḍ a Kālāma e Udraka Rāmaputra non sono semplici personaggi narrativi, ma sono legati a doppio filo a

peculiari modalità, concetti e approdi dell'esercizio di sé e della pratica di riflessione e concentrazione. Si intendono, cioè, i peculiari metodi per ottenere traguardi di ‘realizzazione’ di cui Ārāḍ a Kālāma e Udraka Rāmaputra sono esperti conoscitori e si rendono istruttori nei confronti del futuro Buddha. Infatti, da Ārāḍ a Kālāma Gautama riesce ad apprendere con pieno successo il concetto (e

traguardo) di ākiñcaññāyatana (‘sfera del nulla’), mentre da Udraka Rāmaputra egli acquisisce la padronanza di nevasaññānāsaññāyatana (‘sfera della né cognizione, né non-cognizione’). Insegnamenti e traguardi che, però, Gautama finirà per rifiutare insieme ai maestri che li hanno esposti a causa della loro incompletezza e insufficienza. A tal proposito risultano chiare le parole di insoddisfazione che Gautama esprime alla fine di entrambi gli episodi narrativi: «E io, monaci, avendo trovato questa dottrina insoddisfacente, inappagato da essa, mi allontanai».109

Il fatto che entrambi gli incontri si concludano con il riferimento agli insegnamenti tralasciati più che ai personaggi implicati è emblematico rispetto alla strategia volta a mettere in luce gli aspetti dottrinali presentati dai testi, ovvero le prospettive pratico-teoriche discusse. Ebbene, se ci concentriamo sul rifiuto di queste dottrine e ci rivolgiamo alle dinamiche testuali, è possibile comprendere che l'atteggiamento di rifiuto avuto dal Buddha è in realtà funzionale a dirimere e risolvere un acceso dibattito che sembra raccogliersi proprio attorno alle modalità di esercizio proposte nei testi considerati. Infatti, in molti testi canonici vengono presentate divergenti posizioni e valutazioni a proposito di

109 So kho ahaṃ bhikkhave taṃ dhammaṃ analaṅkari ā as ā ha ā nibbijjâpakkamiṃ (MN 26 in

PTS: MN, I, pp. 165-166). Cfr. anche ahāsa aka-sutta (MN 36 in PTS: MN, I, p. 240), hirā ak āra- sutta (MN 85 in PTS: MN, II, p. 94), Saṅ āra a-sutta (MN 100 in PTS: MN, II, p. 212).

questi stessi concetti. Si intende dire che mentre alcuni sutta contemplano gli insegnamenti dei due maestri come pratiche corrette e da mettere in atto, altre porzioni testuali mostrano i medesimi concetti come futili e fallaci, raggiungimenti da declassare in vista di altri e ben più importanti traguardi.

Così, ad esempio, se M lapariyāya-sutta110 e un'intera sezione come Mahā-vagga111 includono i concetti di ākiñcaññāyatana e nevasaññānāsaññāyatana nei loro percorsi di meditazione e perfezione, un testo come Ariyapariyesanā-sutta112 presenta sì la loro critica attraverso l'episodio biografico del Buddha, ma li innesta e incorpora all'interno delle successive e finali proposte di pratica idonea.113 Al contrario, testi come Mahāsaccaka-sutta,114 Bodhirājakumāra- sutta115 e Saṅ gārava-sutta116 incorporano gli episodi di Ārāḍ a Kālāma e Udraka Rāmaputra senza dare ulteriore spazio ai relativi concetti e ai loro sviluppi pratici, finendo per proporre altre e differenti forme d'esercizio. E ancora, altri testi assai simili come struttura e tematiche coinvolte, come ad esempio il celebre

110 Cfr. MN 1 in PTS: MN, I, pp. 1-6.

111 Cfr. AN 8.11-8.20 in PTS: AN, IV, pp. 410-448. Ad es. si legge: Na a i e bhikkha e an p bba ihārā.

Katame nava […] paṭhamaṃ hānaṃ […] dutiyaṃ hānaṃ […] tatiyaṃ hānaṃ […] catutthaṃ hānaṃ […] ākāsāna āya anaṃ […] i āṇa āya anaṃ […] āki a āya anaṃ […] ne asa ānāsa āya anaṃ […] a ā e ayi anir haṃ pasa pa a ihara i. e kh bhikkha e na a an p bba ihārā i (AN, IV, p. 410).

112 Cfr. M 26 in PTS: MN, I, pp. 160-175, in part. pp. 164-166 (episodio di Āḷāra Kālāma e Uddaka

Rāmaputta), pp. 174-175 (descrizione della pratica da eseguire che include āki a āya ana e ne asa ānāsa āya ana).

113 Sulle importanti discontinuità dell'episodio conservate nelle diverse recensioni pervenute di

Ariyapariyesanā-sutta e nelle molte altre opere che coinvolgono le vicende dei due maestri si veda: Anālayo, Comparative Study of the Majjhima-nikāya (vol. 1), Dharma Drum Publishing Corporation, Taipei, 2011, pp. 174-177. Ne risulta che tale episodio, probabilmente piuttosto antico come redazione, sia stato da subito sottoposto a grande revisione e trasformazione nelle varie recensioni e opere successive che lo hanno incluso. Se ne parla nel dettaglio nel seguito del lavoro.

114 Cfr. MN 36 in PTS: MN, I, pp. 237-251, in part. pp. 240-241 (episodio di Āḷāra Kālāma e Uddaka

Rāmaputta).

115 Cfr. MN 85 in PTS: MN, II, pp. 91-97, in part. pp. 94 (episodio di Āḷāra Kālāma e Uddaka

Rāmaputta).

Sāmaññaphala-sutta,117 non contemplano affatto né le storie a proposito dei due maestri, né le nozioni a loro connesse.118

Insomma, anche da questi pochi riferimenti sembra essere chiaro che, oltre a una considerevole varietà di ‘vie verso la liberazione’ compresenti e riscontrabili nei testi canonici,119 attorno ai concetti

117 Cfr. DN 2 in PTS: DN, I, pp. 47-87.

118 Rupert Gethin, all'interno di una conferenza pubblica presso SOAS London, ha espresso

notevoli considerazioni sulle problematiche poste dall'episodio di Ārāḍa Kālāma e Udraka Rāmaputra e sulla polifonia delle forme di liberazione nel cosiddetto ‘early Buddhism’. Considerazioni a cui chi scrive si ispira e dà pieno riconoscimento. Cfr. R. Gethin, “How nly Buddhists Can Stop Thinking and Get Away ith It: A Theory of ‘The Attainment of Cessation’ (nirodha-sa āpa i) in Early Buddhist Literature”, conferenza tenuta il 12/ 3/2 15 presso S AS London. Medesima conferenza era stata tenuta in forma più ristretta presso: 17th Congress of the IABS (2014), Wien.

119 In uesti precisi termini si era espresso già Louis de La Vallée oussin. Cfr. L. de La Vallée

Poussin, he Way Nir āṇa: Six Lectures on Ancient Buddhism as a Discipline of Salvation, Cambridge University ress, Cambridge, 1917, pp. 139-16 . Inoltre, sulle discontinuità e varietà dei percorsi di liberazione ravvisabili in alcuni testi si veda anche: L. de La Vallée oussin, “Mus la et Nārada: Le Chemin de Nirvāṇa”, in Mélanges chinois et bouddhi ues», Vol. 5, 1936-7, pp. 1 9-222; L. de La Vallée oussin, “Extase et spéculation (dhyāna et prajñā)”, in Indian Studies in Honor of Charles Rockwell Lanman, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), pp. 135-136. Per riflessioni che al contrario vedono continuità e unitarietà degli insegnamenti nei sutta presi in considerazione da Louis de La Vallée oussin si rimanda a: Anālayo, “Brahmavihāra and Awakening: A Study of the D r ha-āgama Parallel to the Tevijja-sutta”, in Asian Literature and Translation», Vol. 3 (4), 2 15, pp. 12-15. Tuttavia, le contro- argomentazioni fornite da Anālayo non sembrano dare sufficiente motivazione sul perché i testi mostrino un così chiara ed esplicita contesa in fatto di prospettive. In particolare, il netto conflitto di posizioni rappresentato da contrapposti gruppi di monaci che praticano da una parte la meditazione ( hāy bhikkhū) e dall'altra lo studio delle scritture ( ha ay ā bhikkhū) presenti in ahā n a-sutta (AN 6.46 in PTS: AN, III, pp. 355-356) può essere letto – almeno –, come la presenza di una duplice tendenza all'interno della compagine buddhista a cui gli autori/redattori del sutta hanno cercato di fornire mediazione e sintesi. L'idea di un'opera di negoziazione rispetto alle differenti posizioni è confermata anche dall'omonimo ahā n a-sutta (AN 10.6 in PTS: AN, V, pp. 41-46) dove colui che sviluppa la ‘conoscenza’ ( āṇa ā aṃ) e colui che pratica ‘l'esercizio’ (bhā anā ā aṃ) vengono invitati a incrementare in pieno la disciplina attraverso il superamento di alcune proprietà negative (lobha / moha / k ha / panāha / akkha / paḷāsa / a hariya / pāpikā). Per questi motivi, le proposte avanzate da Lance Cousins risultano particolarmente efficaci. Se da un lato lo studioso invita alla cautela per quanto

di ākiñcaññāyatana e nevasaññānāsaññāyatana non vi fosse affatto un giudizio concorde a riguardo, ma vi fossero anzi valutazioni discordi e, per certi versi, inconciliabili.

Si deve comprendere, infatti, che le due idee di ākiñcaññāyatana e nevasaññānāsaññāyatana sono componenti specifiche di una delle modalità di liberazione che si possono riscontrare nei testi buddhisti, in particolare quella che ha come scopo ultimo la ‘cessazione di percezione e cognizione’ (saññāvedayitanirodha).120 Un percorso che include e mette in sequenza quelli che (nelle successive sistemazioni teoretiche) sono chiamati i quattro ‘jhāna con forma’ (r pa-jhāna) seguiti dai quattro ‘jhāna senza forma’ (ar pa-jhāna). Tutto ciò all'interno di un processo graduale così scandito:

‘ hāna con forma’ (rūpa- hāna)

i. ‘Primo hāna’ (paṭha a hāna) ii. ‘Secondo hāna’ (d iya hāna) iii. ‘Terzo hāna ’ ( a iya hāna) iv. ‘Quarto hāna’ ( a ha hāna) ‘ hāna senza forma’ (arūpa- hāna)

v. ‘Sfera dello spazio infinito’ (ākāsāna āya ana)

vi. ‘Sfera della coscienza infinita’ ( i āṇāna āya ana)

riguarda l'effettiva presenza di rotture e fazioni rivali all'interno del gruppo buddhista, dall'altro egli riconosce la probabile esistenza di modalità alternative di esercizio: «the suggestion that they were doing so in response to a percieved division is overly literal. It may just as well be a question of presenting the alternatives in a graphic and vivid manner». L.S. Cousins, “Scholar Monks and Meditator Monks Revisited”, in J. owers; C.S. Prebish (a cura di), Des r yin āra re er: Buddhist ethics essays in honor of Damien Keown, Snow Lion, Ithaca, 2009, p. 40. A proposito di posizioni pratico-teoriche differenti entro gli apparati canonici si veda anche: M. Stuart-Fox, “ hāna and Buddhist Scholasticism”, in The Journal of International Association of Buddhist Studies», Vol. 12 (2), 1989, pp. 79-110.

120 A proposito di questa specifica modalità auto-riflessiva riporto qui la ricerca testuale condotta

entro il Canone Theravāda da Nathan McGovern: «Within the four main Nikāyas, this template is found in the following suttas: DN 15, 16, 33, 34; MN 25, 26, 30, 31, 43, 44, 50, 59, 66, 77, 111, 113, 137; SN 1.6.2.5, 2.3.2.1, 2.5.9, 3.7.9, 4.2.2.1, 4.2.2.5, 4.2.2.7, 4.2.2.9, 4.2.2.10, 4.7.6, 5.4.4.10, 4.10.1.8; AN 1.382-493-562, 5.166, 8.66, 8.117-147-626, 9.31-36, 9.38-47, 9.51-2, 9.61, 9.93-113-432, 10.72, 10.85, 10.99. It is also found in certain late texts of the h aka Nikāya, and it is found quite often in the Abhi ha a iṭaka». N.M. McGovern, Buddhists, Brahmans, and Buddhist Brahmans: Negotiating Identities in Indian Antiquity, Ph.D. dissertation, University of California Santa Barbara, 2013, pp. 312-313, nota 618.

vii. ‘Sfera del nulla’ ( )

viii. ‘Sfera della né cognizione, né non-cognizione’ ( ) ‘Cessazione di percezione e cognizione’ (sa ā e ayi anir ha), oppure ‘ottenimento della cessazione’ (nir ha-sa āpa i)

→ conseguimento del ‘discernimento’ (pa ā)

→ ‘esaurimento delle fluttuazioni del pensiero’ (āsa ā parikkh ṇā)

Ebbene, per quanto riguarda questa precisa prassi soteriologica, alcuni degli studiosi specialisti d'area sembrano essere concordi nell'attribuirle una natura ambigua e controversa.121 Un sospetto riferito, in particolare, alla seconda parte del percorso prospettato. Infatti, sembra proprio che attorno ai cosiddetti quattro ‘jhāna senza forma’ (ar pa-jhāna), così come nei confronti del tema della ‘cessazione’ (nirodha), non vi fosse affatto un consenso tra i redattori dei testi e anzi vi fosse una reticenza ad ammetterli come pratiche corrette e appropriate.122 Cosa dimostrata soprattutto dal fatto che altri sutta si siano sviluppati sempre a partire dai quattro jhāna iniziali, i cosiddetti ‘jhāna con forma’ (r pa-jhāna), ma per giungere poi al tema del ‘discernimento’ (sans.: prajñā, pāli: paññā), dunque senza il conseguimento intermedio delle quattro ‘sfere’ e quello conclusivo della ‘cessazione’.123 Tutto ciò ha

121 Lambert Schmithausen l'ha indicata come una delle tre ‘modalità’ (template) di liberazione

riscontrabili nei testi dell'‘early Buddhism’. Cfr. L. Schmithausen, “ n Some Aspects or Theories of ‘Liberating Insight’ and ‘Enlightenment’ in Early Buddhism”, in K. Bruhn; A. ezler (a cura di), Studien zun Jainismus un his s en enks hri r L i A s r , Franz Steiner Verlag, Wiesbaden, 1981, pp. 199-250, in part. pp. 214-219.

122 Tali questioni sono state avanzate da Johannes Bronkhorst nel seminale: J. Bronkhorst,

“Dharma and Abhidharma”, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies», Vol. 48 (2), 1985, pp. 305-320. A riguardo cfr. anche: G. Zafiropulo, L’ ina i n ha De a e a ’Ann n e e ’ ei , Verlag des Instituts für Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck, Innsbruck, 1993, pp. 32-70; T. Vetter, The Ideas and Meditative Practices of Early Buddhism, Brill, Leiden, 1988, pp. 63-71.

123 Secondo Lambert Schmithausen per uanto riguarda il ‘discernimento’ si hanno, nei testi,

addirittura due diverse ‘modalità’ di raggiungimento: una implica l'ottenimento dei quattro stadi hāna e giunge poi al conseguimento del ‘discernimento’; nella seconda, invece, la pratica meditativa sembra pressoché esclusa e il ‘discernimento’ si ottiene unicamente a seguito dell'apprendimento di particolari concetti come ‘impermanenza’ (anicca), ‘dolore’ (dukkha) e ‘assenza di sé’ (ana ā) spesso impartiti dallo stesso Buddha. Cfr. L. Schmithausen, “ n Some Aspects”, op. cit., pp. 219-222; A. Wynne, The Origin of Buddhist Meditation, Routledge, London/New York, 2007, pp. 102-1 . L'opposizione ‘cessazione’ e

persino portato a credere che in realtà questi elementi intermedi fossero di probabile origine non-buddhista, ovvero nozioni e tecniche di meditazione incorporate e sistematizzate in non ben chiari periodi di definizione delle pratiche, ma di fatto avvertiti come elementi estranei e non peculiari della dottrina del Buddha.124

Da questo stato di cose, dunque, si può ben capire il tentativo di delegittimazione compiuto verso tali insegnamenti e messo in atto attraverso il rimando paradigmatico alla vita del Buddha. Un'opera di de-valorizzazione costruita, di fatto, a partire dal racconto che descrive il loro netto rifiuto da parte di Gautama, quindi attraverso il racconto dell'abbandono di Ārāḍ a Kālāma e Udraka Rāmaputra e dei concetti ad essi collegati ad opera di colui che solo successivamente diventerà il Buddha.

E proprio questo abbandono è un aspetto cruciale da intendere. I testi che riportano questi peculiari eventi contemplano Gautama nei primissimi istanti della sua ricerca verso l'‘illuminazione’, vale a dire quando i redattori biografici lo pensano affidarsi senza successo ad altre discipline già riconosciute e fruibili. Questi episodi, quindi, sembrano essere inseriti entro un'architettura testuale che mira proprio a strutturare la tensione e la distanza con quello che accadrà nel seguito: la scoperta di un qualcosa di diverso, di un percorso specifico che contempla il Buddha come unico conoscitore delle reali possibilità e modalità di ‘liberazione’.125 ‘discernimento’ sembra essere una costante riscontrabile anche in altri metodi d'esercizio e pratica diffusi in tutta l'area indo-tibetana. Per una disamina volta a valutare i gradi di commistione tra le diverse tradizioni buddhiste si veda: S.R. Sarbacker, a ā hi he N in s an Cessa i e in n -Tibetan Yoga, SUNY Press, Albany, 2005, in part. pp. 75-109.

124 Cfr. J. Bronkhorst, Buddhist Teaching in India, Wisdom Publications, Boston, 2009, pp. 19-60; J.

Bronkhorst, The Two Traditions of Meditation in Ancient India, Motilal Banarsidass Publishers, Delhi, 1993, pp. 85-88. Di simile avviso è anche: H. Nakamura, Gotama Buddha: A Biography Based on the Most Reliable Texts (Vol. 1), Kosei Publishing Co., Tokyo, 2000, pp. 126-140; G. Zafiropulo, L’ ina i n ha, op. cit., p. 57; T. Vetter, The Ideas and Meditative Practices of Early Buddhism, op. cit., pp. 67-69. Anche Alexander ynne, pur considerando gli episodi di Ārāḍa Kālāma e Udraka Rāmaputra come verità storica, ammette che questi elementi non solo siano extra-buddhisti, ma addirittura pre-buddhisti. Cfr. A. Wynne, The Origin of Buddhist Meditation, op. cit., pp. 24-44.

125 A confermare questa volontà performativa del testo è anche la vicenda che vede il Buddha,

finalmente ‘illuminato’, desideroso di tornare dai suoi vecchi maestri per avvertirli del suo ‘risveglio’ e impartire loro la sua retta dottrina. Tuttavia, l'episodio prevede che nel frattempo essi siano entrambi

Per queste ragioni, la programmatica sistemazione dell'episodio di Ārāḍ a Kālāma e Udraka Rāmaputra prima del ‘risveglio’ diviene una sorta di premessa negativa e fallace che punta in realtà a rimarcare il successo e la specificità che sarà l'esperienza dell'‘illuminazione’. Come ricorda Minoru Hara:

«The successive occurrence of asceticism and enlightenment in his biography naturally puts these two events into contrast. The contrast seems to become more and more striking, as the second, that is his final enlightenment, becomes invested with greater importance. As a result, the asceticism which precedes the enlightenment, the most auspicious event in his life, is destined to be treated negatively and regarded even as inauspicious»126

Anche in questo caso, dunque, il fine didattico e deontico soggiacente al processo biografico sembra essere chiaro e preminente, ovvero sono chiare le finalità istituzionali che il tratto narrativo intende stabilire: narrare l'allontanamento del Buddha da quelli che son stati i suoi primi maestri implica il distanziarsi da precisi insegnamenti e conseguimenti pratico-dottrinali al fine di sminuirne il valore e disapprovarne l'uso. In questo modo, grazie al grado di valutazione offerto dalle vicende del Buddha, la dottrina viene di conseguenza a essere sottoposta a regolamentazione, ovvero viene riportata entro regimi di supposta ‘ortodossia’, mentre la pratica di sé viene indirizzata verso altri obiettivi che si vogliono rendere preferibili e più opportuni.127

deceduti a una settimana di distanza l'uno dall'altro. Un'informazione che però contiene un'evidente discontinuità visto che per Ariyapariyesanā-sutta (MN 26 in TS: MN, I, p. 17 ) Uddaka Rāmaputta è deceduto la notte prima del ‘risveglio’, mentre nella redazione cinese dello stesso testo (MĀ 2 4 in T. 26, p. 777 b01-02) egli è morto ben quattordici giorni prima. Altro elemento che certo non depone a favore della realtà storica di tali episodi.

126 M. Hara, “A Note on the Buddha's Asceticism: The Liu du ji jing (Six āra i ā-sū ra) 53”, in .

Kieffer-Pülz; J.-U. Hartmann (a cura di), a ha i yās hākaraḥ: Studies in Honour of Heinz Bechert on the Occasion of His 65th Birthday (Indica et Tibetica 30), Swisttal-Odendorf, 1997, p. 250. Cfr. anche J.S. alters, “Suttas as History: Four Approaches to the Sermon on the Noble Quest (Ariyapariyesanā-Sutta)”, in «History of Religions», Vol. 38 (3), 1999, pp. 259-272. Sugli eventi e i concetti che regolano la progressione del Buddha verso il risveglio» si veda: Anālayo, The Genesis of Bodhisattva Ideal, Hamburg University Press, Hamburg, 2010, pp. 15-28.

127 A riprova dell'uso funzionale di questi personaggi, in altre parti del Canone Theravāda si fa

Se tutto ciò ha ragione d'essere, è facile capire come i testi forniscano quel piano valutativo e di giudizio in grado di stabilire e separare ciò che è corretto da ciò che non lo è. In altri termini, queste storie del Buddha sembrano aver costituito un cogente piano correttivo capace di distinguere e separare la pratica che non conviene da ciò che va invece creduta essere l'efficace proposta di perfezione buddhista da perseguire e fare propria.

Ora, però, a monte di questa impresa veridittiva compiuta da alcuni testi, come pensare la presenza di altri apparati che includono i concetti e i precetti insegnati da Ārāḍ a Kālāma e Udraka Rāmaputra? Insomma, come leggere la presenza di discontinuità testuali che se da un lato declassano e attaccano alcune nozioni, dall'altro le incorporano e le contemplano?

Come già anticipato sopra, è facile intuire che gli apparati testuali rimandino, in realtà, a un'accesa conflittualità delle posizioni che riguardano ‘il giusto intendimento’, il ‘giusto esercizio’, il ‘corretto uso di sé’.128 Le divergenti alternative condotta anche nei riguardi di altri personaggi. Ad esempio, in ahāparinibbāna-sutta (DN 16 in PTS: DN, II, p. 130) si narra la vicenda del devoto Pukkusa Mallaputta (sans.: Putkasa Mallaputra). Costui, dopo aver in un primo memento ammirato le doti di Āḷāra Kālāma ed esserne diventato seguace, ne