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Home Not-So-Sweet Home: le ragioni dietro gli eventi della ‘rinuncia’

Moti di fuga nell’episodio dell’abbandono della casa del Buddha

5.2 Home Not-So-Sweet Home: le ragioni dietro gli eventi della ‘rinuncia’

È possibile affermare senza paura di smentite che non si ha alcuna certezza su quando e dove il Buddha eseguì la sua ‘rinuncia’. Se ci si concentra sulla già difficile periodizzazione e cronoligia della vita del Buddha,286 la questione che riguarda la sua età al tempo dell'‘abbandono’ risulta ancor più confusa e discontinua. Un testo molto citato a proposito, il Mahāparinibbāna-sutta, afferma che Gautama aveva ventinove anni quando decise di abbandonare la sua dimora.287 D'altro canto, però, numerose fonti cinesi anticipano l'età a diciannove anni,288 così come a quattordici anni,289 mentre altri testi in lingua pāli semplicemente affermano che egli era ‘giovane’

286 Per una breve lettura aggiornata sull'annosa uestione si veda: C.S. rebish, “Cooking the

Buddhist Books: The Implications of the New Dating of the Buddha for the History of Early Indian Buddhism”, in Journal of Buddhist Ethics», Vol. 15, 2 . pp. 1-21.

287 kūna iṃso ayasā s bha a | yaṃ pabbajiṃ kiṃk sa ān es | assāni pa āsa sa ā hikāni | yato

ahaṃ pabbajito subhadda (DN 16 in TS: DN, II, p. 151). Cfr. . von Hin ber, “Everyday Life in an Ancient Indian Buddhist Monastery”, in Annual Report of The International Research Institute for Advanced Buddhology at Soka University”, Vol. 9, 2 6, p. 5.

288 Cfr. H. Nakamura, Gotama Buddha (Vol. 1), op. cit., pp. 418-419, nota 68.

289 Cfr. Vinaya Mah śāsaka in T. 1421, vol. XXII, p. 101 b21-22. Qui si dice che a quattordici anni

egli compì la prima uscita da palazzo (porta est) che lo porterà ai ‘ uattro incontri’ decisivi per la sua scelta della ‘rinuncia’ (至年十四嚴駕遊觀 出東城門).

(dahara) e addirittura ‘nella prima giovinezza’ (paṭ hamena vayasā).290

Se, dunque, non vi è alcuna evidenza sul tempo dell'‘abbandono’,291 permangono dubbi persino sui luoghi dai quali il Buddha affrontò la sua dipartita e le sue prime peregrinazioni. Infatti, sebbene la maggior parte dei testi siano concordi nell'affermare che la residenza di Gautama fosse Kapilavastu, luogo non ancora identificato con precisione da un punto di vista archeologico,292 all'interno di alcuni s tra/sutta che descrivono l'abbandono tale città non si trova affatto menzionata e persino il fiume che egli raggiunge subito dopo la sua dipartita notturna, il fiume Anomā (ma si legge anche Anomyia, Anuvaniya, Anumaniya), nelle fonti è descritto essere anche un luogo di residenza293 ed è posto a distanze differenti e discordanti da Kapilavastu.294 Cosa che ha fatto pensare a una probabile inesistenza del fiume stesso e a un'assonanza col termine anoma che significa ‘supremo’, ‘glorioso’, termine che vorrebbe celebrare l'impresa di Gautama più che dare precisi riferimenti geografici in merito.295

Già da questi pochi riferimenti si può ben intuire quanto inutile e forzata possa risultare una qualsiasi ricostruzione che cerchi di restituire le dinamiche complessive dell'episodio della dipartita da casa del Buddha. Per ovviare a questa impossibilità descrittiva è opportuno quindi procedere selezionando e disponendo in serie singoli testi così da mostrare i vari livelli di accrescimento agiografico coinvolti, così da valutare le intime ragioni e gli scopi precipui che li strutturano e guidano.

Per questo, si può ripartire dalla versione offerta da un testo già discusso e analizzato in questo lavoro, ovvero Ariyapariyesanā-sutta. In questo ‘discorso’, si ricorderà, le vicende biografiche che

290 Vedi infra.

291 Per André Bareau tali datazioni rappresentano una scelta tarda e arbitraria operata dagli

autori e redattori dei testi: A. Bareau, “La jeunesse du Buddha”, op. cit., pp. 21 , 241, 25 .

292 Cfr. R. Coningham; R. Young, The Archaeology of South Asia: From the Indus to Asoka, c. 6500 BCE-200

CE, Cambridge University Press, Cambridge, 2015, pp. 438-440.

293 Nel ahā as (Mvu, II, pp. 164, 189, 207) il nome del luogo (adhiṣṭhānaṃ) è Anomiya e lo si

pone non lontano dall'eremitaggio del saggio Vasiṣṭha.

294 Cfr. Foucher, The Life of the Buddha, op. cit., p. 78.

295 Cfr. G. . Malalasekera, “Anomā”, in Di nary ā i r per Names (Vol. 1, A-Dh), op. cit., pp.

giungono sino all'‘illuminazione’ e al primo insegnamento al ‘gruppo dei cinque monaci’ risultano narrate in prima persona dal Buddha ai monaci raccolti all'eremo di Rammaka e iniziano proprio dagli eventi che narrano l'abbandono della casa. Tali eventi sono così espressi:

Io, monaci, prima della mio completo ‘risveglio’, [mentre ero] in cerca del ‘risveglio’, soggetto a vecchiaia, malattia, morte, dolore e impurità, inseguivo quello che allo stesso modo era soggetto a vecchiaia, malattia, morte, dolore e impurità [...] Avendo [però] compreso il disagio che deriva da vecchiaia, malattia, morte, dolore e impurità [pensai:] è bene che io cerchi ciò che è privo di vecchiaia, malattia, morte, dolore e impurità. È bene che io ambisca alla suprema liberazione dai legami: il nibbāna. Successivamente, monaci, ancora giovane, un ragazzo dai capelli scuri nel pieno della beata gioventù, nella prima giovinezza, benché mio padre e mia madre desiderassero altro e scorressero lacrime sui [loro] visi, io, dopo aver tagliato barba e capelli e aver indossato la veste tinta, lasciai la casa per lo condizione di senza casa».296

Queste poche informazioni in merito all'abbandono del Buddha, riscontrabili con la medesima formula anche in Mahāsaccaka-sutta, Bodhirājakumāra-sutta e San gārava-sutta,297 si ritrovano leggermente accresciute, ad esempio, in Soṇ adaṇ ḍ a-sutta dove si legge:

«Invero, amico, l'asceta Gautama è di buona nascita da parte di madre e di padre, di nobile origine da sette generazioni. Non è da disprezzare né da biasimare a proposito della sua nascita [...] L'asceta Gautama ha abbandonato [casa] lasciando il numeroso gruppo dei suoi familiari. L'asceta Gautama ha abbandonato [casa] rinunciando a molto oro e argento custoditi in terra e in cielo. L'asceta Gautama ancora giovane, un ragazzo dai capelli scuri, nel pieno della beata gioventù, nella prima giovinezza, ha lasciato la casa per lo condizione di senza casa. L'asceta Gautama, benché padre e madre desiderassero altro e piangessero lacrime, dopo aver

296 Ahampi sudaṃ bhikkha e p bbe a sa b hā anabhisa b h b hisa a sa ān a anā

ā i ha [ arā ha / byā hi ha / araṇadhammo / sokadhammo / saṅkilesadhammo] sa ān ā i ha a e a [ arā ha a e a / byā hi ha a e a / araṇadhammaññeva / sokadhammaññeva / saṅkilesadhammaññeva] pariyesā i [...] ā i ha e [ arā ha e / byā hi ha e / araṇadhamme / sokadhamme / saṅkilesadhamme] ā na aṃ i i ā a ā aṃ [ajaraṃ / abyā hiṃ / amataṃ / asokaṃ / asaṅkiliṭṭhaṃ] anuttaraṃ yogakkhemaṃ nibbānaṃ pariyeseyyaṃ. So kho ahaṃ bhikkhave aparena samayena ahar a sa ān s s kāḷakes bha rena y bbanena sa annā a paṭha ena ayasā akā akānaṃ ā āpi ūnnaṃ ass khānaṃ r an ānaṃ kesamassuṃ hāre ā kāsāyāni a hāni a hā e ā a āras ā ana āriyaṃ pabbajiṃ (MN 26 in PTS: MN, I, p. 163).

tagliato barba e capelli e aver indossato la veste tinta, ha lasciato la casa per lo condizione di senza casa […] L'asceta Gautama ha lasciato una nobile famiglia di pura stirpe guerriera (khattiya). L'asceta Gautama ha lasciato una famiglia ricca, sommamente ricca, di grandi possedimenti».298

Le poche informazioni aggiuntive appena lette rivelano la netta abilità di esaltare la figura del Buddha attraverso il rinvio alle origini nobili della sua famiglia. Tali informazioni fornite dal sutta a proposito dell'‘abbandono’ mirano, infatti, a rendere equiparabili per importanza il Buddha e i vari brahmani con i quali egli si confronta e scontra all'interno del testo.299 Oltre a questa preponderante finalità di esaltazione e legittimazione della figura del Buddha, quello che si constata è però una certa omogeneità nella descrizione che ricorda la ‘rinuncia’ del fondatore. A ben vedere, ciò che è possibile rilevare attraverso questi brevi passaggi è la presenza di formule stereotipiche, fisse e ripetute, riguardanti l‘abbandono’ che, lontane dal voler rendere conto dei fatti, intendono fissare precisi contenuti e avanzamenti dottrinali. Ciò che si vuol dire è che questa rappresentazione della ‘rinuncia’ si inserisce nei testi non tanto come un evento, un fatto, un'azione di per sé, ma come una circostanza di partenza, si potrebbe meglio dire come un concetto, un principio primo per avviare alla corretta ricerca della ‘realizzazione’.

Non a caso un aspetto idealizzato dell'‘abbandono’ come quello che si raccoglie attorno ai termini nikkhamma e nekkhamma rimanda a un convergenza di significati tra l'‘andare via da [un luogo]’ e

298 Samaṇ kha bh a bha s ā ā i a pi i a saṃsuddhagahaṇik yā a sa a ā

pi ā ahay ā akkhi an pakk ṭṭh ā i ā ena […] Samaṇo khalu bho gotamo mahantaṃ ā isaṅghaṃ hāya pabbajito. Samaṇ kha bh a pahū aṃ hiraññasuvaṇṇaṃ hāya pabba i bhū i a a a ehāsaṭṭhañca. Samaṇ kha bh a ahar a sa ān y ā s s kāḷakes bha rena y bbanena sa annā a paṭhamena ayasā a āras ā ana āriyaṃ pabbajito. Samaṇ kha bh a akā akānaṃ ā āpi ūnaṃ ass khānaṃ r an ānaṃ kesamassuṃ hāre ā kāsāyāni a hāni a hā e ā a āras ā ana āriyaṃ pabbajito […] Samaṇo kha bh a ā k ā pabba i (ā na-)(abhinna-)kha iyak ā […] Samaṇo khalu bho gotamo a hāk ā pabba i aha hanā ahābh ā (DN 4 in PTS: DN, I, p. 115). Molto simili sono le informazioni presenti in ūṭadanta-sutta (DN 5 in PTS: DN, I, pp. 131-132) e Caṅk -sutta (MN 95 in PTS: MN, II, pp. 166-167).

299 Sul tema dell'esaltazione del Buddha a fini strategici si rimanda a: M. Nichols, “Bowing to the

Buddha: The Relationship between Literary and Social Dialogue in the Nikāyas”, in B. Black; L. Patton (a cura di), Dialogue in Early South Asian Religions: Hindu, Buddhist, and Jain Traditions, Routledge, London/New York, 2016, pp. 173-190.

l'‘abbandonare il desiderio’.300 Questi termini, infatti, si legano ad altri concetti costitutivi della pratica buddhista – come, ad esempio, saddhā, paññā, nibbāna –, in una catena di referenze per cui è inscindibile il ‘muoversi da un luogo’ dall'‘abbandonare’ aspetti del pensiero, dove l'allontanarsi è anche abbandonare il proliferare cognitivo e accedere entro altre sedi esperienziali.301

Inoltre, questo aspetto concettuale della rinuncia della casa lo si capisce bene dal momento che in altri testi l'‘abbandono’ diviene metafora che si lega alla nozione di ‘sé’ che il praticante buddhista deve imparare a trascendere e superare, possiamo dire pure abbandonare in un modo non diverso rispetto a un'abitazione.302 Qui, i concetti di casa e di corpo vengono affiancati al fine di permettere il riconoscimento della loro simile natura artificiale e composita, ovvero fatta di materie aggregate, di elementi impermanenti e disgregabili. L'immaginario architettonico delle varie parti che strutturano una casa viene sfruttato al fine di consegnare la rappresentazione di un corpo costituito da mere parti che solo apparentemente si raccolgono attorno a un'idea di unità e di identità: «Just as when a space is enclosed by timbers, creepers, grass and

300 L'etimologia di nikkhamma rimanda a ni-√kam (sans.: niṣ-√kram, da qui naiṣkra ya): ‘andare

via’, ‘abbandonare’, ‘non procedere pi verso’. Celebri sono i primi versi di a āparibbā an ya s a: «Come dovrebbe un bhikkhu, che ha abbandonato la casa e lasciato il desiderio, peregrinare correttamente nel mondo?» (nikkha a harā pan a kā e, ka haṃ bhikkh sa ā s loke paribbajeyya) (PTS: Sn, p. 62). Mentre per nekkhamma l'etimologia potrebbe derivare dal sans. naiṣkā ya, ‘essere senza desiderio’, ma vi sono affinità anche con naiṣkra ya. Dunque, sembra che la con-fusione tra l'‘abbandonare’ in senso motorio e l'‘abbandonare’ in senso cognitivo sia costitutiva del termine. Cfr. K.R. Norman, “ āli hilology and the Study of Buddhism”, in T. Skorupski (a cura di), The Buddhist Forum, Vol. I, Seminar Papers 1987-1988, SOAS London, London, 1990, pp. 35-36; G.H. Sasaki, Linguistic Approach to Buddhist Thought, Motilal Banarsidass, Delhi, 1986, pp. 1-5.

301 Cfr. G. Giustarini, “Faith and Renunciation in Early Buddhism: a hā and Nekkhamma”, in

Rivista di Studi Sudasiatici”, Vol. 1, 2 6, pp. 161-179. G.H. Sasaki, Linguistic Approach to Buddhist Thought, op. cit. pp. 5-14 (cap. The Significance of Negation in Buddhism: nekkhamma and naiṣkramya)

302 Cfr. ad es.: ā a apha a-sutta (DN 2 in PTS: DN, I, p. 70); Abhi āna-sutta (SN 22.24 in PTS: SN, III.

p. 26); Dukkha-sutta (SN 22.104 in PTS: SN, III, p. 158); Kiṃsukopama-sutta (SN 35.204 in PTS: SN, IV, pp. 194-195). Per altri testi si vedano pp. 257-260 di questo lavoro. Per accurate riflessioni in merito si rimanda a: S. Collins, Selfless Persons: Imagery and Thought in Thera ā a his , Cambridge University Press, Cambridge, 1990 (ed. or. 1982), pp. 165-176 (par. House Imagery).

clay, it is called a “house”, so when a space is enclosed by bones, sinews, flesh and skin, it comes to be called “body”».303 Un paragone che congiungendo in un sol colpo la sfera della persona e la sfera sociale si fa sistemico nel motivare e spingere alla ‘rinuncia’ insieme del sé e delle infrastrutture che permettono di abitare il mondo.304

Allo stesso modo, anche la metafora del fuoco che arde il corpo dell'individuo a causa dell'attività incessante delle facoltà sensoriali – e presente in testi come Āditta-sutta,305 Ādittapariyāya- sutta306 e anche nel Vinaya Theravāda307 –, viene estesa alla dimora abitativa che lo stesso individuo frequenta.308 Così, l'artificio

allegorico del corpo e della casa ‘infuocati’ invitano il praticante ad effettuare un abbandono simultaneo che gli permetta di mettersi al riparo dalla natura corrosiva della propria natura e della quotidianità: da una parte attraverso il controllo delle facoltà sensoriali, dall'altra attraverso l'uscita dall'ambiente domestico.

303 Ibidem, p. 165 (Visuddhimagga, XVIII.28).

304 Va notato che la medesima associazione corpo-casa la si ritrova nella parti che prescrivono i

compiti di colui che accede al quarto e ultimo stadio āśra a, uello di ‘asceta errante’ (yati), all'interno del āna a har aśās ra, testo cardine dell'ambito giurisprudenziale brahmanico. Si legge: «6.76. Eretto con le ossa, issato con i tendini, intonacato con sangue e carne, rivestito di pelle, maleodorante, ricolmo di urina ed escrementi. 6.77. infestato da vecchiaia e sofferenza, ricettacolo di malattie, dolorante, impregnato di passione e impermanente: egli abbandoni questa dimora degli spettri» (6.76. as his hūṇaṃ snāy y aṃ āṃsaś ṇitalepanam | ar ā ana haṃ r an hi pūrṇaṃ ū rap r ṣayoḥ || 6.77. arāś kasa ā iṣṭaṃ r āya ana ā ra | rajasvalam anityaṃ a bhū ā āsa i aṃ tyajet ||). Trad. in F. Squarcini; D. Cuneo, Il Trattato di Manu sulla norma (Mānavadharmaśāstra), Einaudi, Torino, 2 1 , p. 135. Anche qui il testo sembra rimandare a pratiche corporee di contemplazione che pongono in stretta relazione corpo da rifuggire e dimora da abbandonare. Il testo, tuttavia, pochi ś ka dopo (6.87-6.90), ribadisce il fondamentale primato dello status di capofamiglia sugli altri tre ruoli sociali da acquisire nel corso della vita, compreso uello di ‘asceta errante’.

305 Cfr. SN 22.61 in PTS: SN, III, p. 71. 306 Cfr. SN 35.28 in PTS: SN, IV, pp. 19-20. 307 Cfr. ahā a a I, 21 in PTS: Vin, I, pp. 34-35.

308 Cfr. SN 1.41 in PTS: SN, I, pp. 31-32; Visuddhimagga, XXI.94-95. Nelle biografie del Buddha si

ritrova in: Buddhacarita (Bc, 5.37, 9.47); Ni ānaka hā (Jā, I, p. 61); Abhiniṣkramaṇa-sū ra (T. 190, vol. III, p. 750 a07-08, a28-29).

Per queste ragioni, dunque, l'‘abbandono’ della casa è mostrato come una condizione distintiva che avvia il percorso di realizzazione al quale un testo come Ariyapariyesanā-sutta intende orientare, dove tutti i passaggi sono di fatto strutturati ideologicamente in modo sequenziale tale che dall'abhinis kraman a si arrivi all'abhisaṃ bodhana, vale a dire dall'‘uscita’ si giunga all'ingresso definitivo e risolutivo nell'‘illuminazione’.

Quello che conferma ancora di più quest'uso specifico della ‘rinuncia’ quale condizione esperienziale di ‘realizzazione’ è il fatto che essa non sia limitata alle sole narrazioni che contemplano il Buddha, ma diventi, all'interno dei nikāya, una pre-disposizione comune anche per altri individui. E infatti, assai simili e corrispondenti alla ‘rinuncia’ operata del Buddha risultano tutta una serie di descrizioni che narrano delle ‘rinunce’ affrontate o da affrontare per altri e nuovi bhikkh . E per farsi un'idea di ciò basti questo passo tratto da Sāmaññaphala-sutta:

«[Quando] un capofamiglia o il figlio di un capofamiglia o un altro nato nella famiglia ode il dhamma egli acquista fede (saddhaṃ) nel Thatāgata. Così, ac uisita la fede, egli riflette: “Non è facile, per uno che resta a casa, condurre un'esistenza che sia ritirata, perfetta, pura e lucida come una conchiglia. Dunque, che io mi tagli barba e capelli, che indossi la veste tinta ed esca di casa per andare verso lo stato di senza casa. Dopo un po' di tempo, egli lascia i possedimenti, grandi o piccoli, abbandona i parenti, molti o pochi, si taglia barba e capelli, indossa la veste tinta e se ne va da casa per raggiungere la condizione di senza dimora. Così, abbandonata la casa, egli vive sotto le norme del pā i kkha, perfetto nella condotta, evitando il più piccolo errore».309

Qui, l'intento performativo del testo è chiaro dal momento che il sutta organizza il suo peculiare percorso al fine di far ottenere al praticante il summum bonum dell'esercizio, ovvero quei ‘frutti dell'esercizio ascetico’ a cui già il titolo rimanda. Così, anche la

309 Taṃ dhammaṃ suṇā i ahapa i ā ahapa ip ā a a aras iṃ ā k e pa ā ā . aṃ

dhammaṃ s ā a hā a e sa haṃ paṭi abha i. ena sa hāpaṭi ābhena sa annā a i i paṭisaṃcikkhati: “sa bā h harā as ra āpa h , abbh kās pabba ā. Na i aṃ sukaraṃ a āraṃ a hā asa ā ekan aparip ṇṇaṃ ekantaparisuddhaṃ saṃkhalikhitaṃ brahmacariyaṃ carituṃ. Yan nūnāhaṃ kesamassuṃ hāre ā kāsāyāni a hāni a hā e ā a āras ā ana āriyaṃ pabba eyyan i”. aparena sa ayena appaṃ ā bh akkhandhaṃ pahāya ahan aṃ ā bh akkhan haṃ pahāya, appaṃ ā ā ipari aṭṭaṃ pahāya ahan aṃ ā ā ipari aṭṭaṃ pahāya, kesa ass ṃ hāre ā kāsāyāni a hāni a hā e ā a āras ā ana āriyaṃ pabbajati. Evaṃ pabbajito sa ān pā i kkhasaṃvarasaṃ ihara i ā āragocarasampanno aṇ a es a es bhaya assā (DN 2 in PTS: DN, I, pp. 62-63).

‘rinuncia’ viene compresa e ordinata come fase prima e iniziale di questa ‘via’ virtuosa e conveniente che viene posta e proposta.

Ebbene, che quelle lette siano formule precise risulta ancor più esplicito dalla lettura di un brano del tutto simile presente in Chabbisodhana-sutta,310 testo che contiene una sorta di indagine su quale soggetto ritenere pienamente ‘liberato’ e che, di conseguenza, espone anche il percorso di colui che deve essere creduto il bhikkhu ideale. Si legge:

«È bene, o monaci, che un monaco che ha il pensiero libero da ossessione, che risiede nella perfezione, che ha assolto il dovere, che ha abbandonato il peso, che è giunto al bene pi alto, che ha esaurito il desiderio di ‘essere’ e che è liberato per mezzo della discriminazione dia [questa] spiegazione [rispetto alle modalità attraverso le quali ha raggiunto tali risultati]: “Amico, in passato, quando ero un capofamiglia, non vedevo come stavano le cose. [Ma] il Buddha o un suo discepolo mi ha insegnato la dottrina. Avendola ascoltata io ho avuto fede (saddhaṃ) nel Buddha. [Così], dotato di uesta fede, io ho pensato: il vivere in casa è pieno di legami e di impurità, ma la vita lontano da casa è libera [da ueste cose]. Non è facile, per uno che resta a casa, condurre un'esistenza che sia ritirata, perfetta, pura e lucida come una conchiglia. Dunque, che io mi tagli barba e capelli, che indossi la veste tinta ed esca di casa per andare verso lo stato di senza casa”. Invero, amico mio, dopo un po' di tempo, ho lasciato i miei possedimenti, grandi o piccoli, mi son tagliato barba e capelli, ho indossato la veste tinta e me ne sono andato da casa per raggiungere la condizione di senza dimora”».311

Ora, se messi in sinossi, tutti i brani qui presentati mostrano una perfetta affinità testuale. Essi invero sfruttano una medesima

310 Per le lievi divergenza di questo sutta con il parallelo conservato in cinese (MĀ 1 7 in T. 26,

vol. I, pp. 732 a16-734 a27) si veda: Anālayo, Comparative Study of the Majjhima-nikāya (vol. 2), op. cit., pp. 635-639.

311 h ṇāsa assa, bhikkha e, bhikkh n si a a ka akaraṇ yassa hi abhārassa an ppa asa a hassa

parikkh ṇabhavasaṃy anassa sa a a ā i assa aya an ha h i eyyākaraṇāya bbe kh ahaṃ ā s a āriyabh sa ān a i as ah siṃ; assa e a hā a ā a hā a asā ak ā ha aṃ desesi; āhaṃ dhammaṃ s ā a hā a e sa haṃ paṭilabhiṃ; s ena sa hāpaṭi ābhena sa annā a i i paṭisañcikkhiṃ sa bā h hārā ās ra āpa h , abbh kās pabba ā, nayi aṃ sukaraṃ a āraṃ a hā asa ā ekantaparipuṇṇaṃ ekantaparisuddhaṃ saṅkhalikhitaṃ brahmacariyaṃ carituṃ; yannūnāhaṃ kesamassuṃ hāre ā kāsāyāni a hāni a hā e ā a āras ā ana āriyaṃ pabbajeyyan'ti. So kho ahaṃ, ā s , aparena samayena appaṃ ā bh akkhan haṃ pahāya ahan aṃ ā bh akkhan haṃ pahāya, appaṃ ā ā ipari aṭṭaṃ pahāya ahan aṃ ā ā ipari aṭṭaṃ pahāya, kesa ass ṃ hāre ā kāsāyāni a hāni a hā e ā a āras ā ana āriyaṃ pabbajiṃ (MN 112 in PTS: MN, III, p. 33).

pericope che permette di associare e correlare la ‘rinuncia’ compiuta in primis dal Buddha alle motivazioni e alle azioni addotte e prospettate per la ‘rinuncia’ del monaco. Attraverso queste connessioni e questi rimandi speculari tra le vita illustre e la vita ordinaria del bhikkhu, le formule stereotipiche che si ripetono via via entro tutti gli apparati canonici hanno gioco facile nel fondare e nel dare assoluta legittimità all'idealtipo dell'‘abbandono’ così da conformare e uniformare sin dai primi momenti gli scopi, le condotte e le facoltà ideali che i (futuri) monaci devono perseguire. E infatti, al di là della loro origine orale che sembra aver dato il via allo sviluppo e diffusione della prima letteratura buddhista, questi precisi stilemi e queste formule ripetute all'interno dei sutta sembrano avere proprio la funzione di dispositivi linguistici persuasivi, perfomanti e aggreganti tanto per il singolo individuo quanto per l'intera comunità:

«the formal aspects of the āli discourses – the use of pericopes, the occurrence of metrical and sound similarities, the application of the