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Intuizioni e distrazioni: sull'utilità di ripartire da Lamotte, Frauwallner e Bareau

Sulla necessità di una storia dell’interpretazione delle biografie sul Buddha

2.1 Intuizioni e distrazioni: sull'utilità di ripartire da Lamotte, Frauwallner e Bareau

A questo punto, forti delle riflessioni sin qui condotte, diviene opportuno riconsiderare quanto è stato proposto dagli studi specialistici a riguardo della produzione testuale sulla vita del Buddha. È necessario, infatti, ai fini di una più attenta comprensione delle fonti che trattano i materiali agiografici, rileggere con nuovi occhi, o meglio, con nuove lenti metodologiche, i piani di formulazione degli episodi che hanno come soggetto la biografia del fondatore. E fare ciò significa, in prima battuta, ripensare le tassonomie testuali con le quali si è concepito lo strutturarsi cronologico e tematico di questi testi agiografici. Vuol dire, in altre parole, riconsiderare le classificazioni che hanno trascurato e oscurato la funzionalità dei testi a favore di una loro disposizione gerarchica. Classificazioni che, è bene dirlo, son state pensate sin dall'inizio per rivelare un presunto sviluppo lineare e progressivo della narrazione biografica, senza però individuare le ragioni che hanno favorito la loro messa a punto e la loro successiva disposizione.

È innegabile che uno dei contributi storicamente più influenti su tale questione sia giunto dagli studi seminali – ma per certi versi ancora insuperati –, di Étienne Lamotte. Lo studioso francese, infatti, ebbe a proporre una tassonomia relativa allo sviluppo delle vicende del Buddha articolata su cinque livelli:

i. I frammenti biografici incorporati all'interno dei diversi sū ra.

ii. I frammenti biografici inseriti all'interno degli dei diversi apparati normativi e regolativi delle comunità monastiche: i Vinaya (nelle versioni pāli [Theravāda], Mah śāsaka, Dharmaguptaka, Sarvāstivāda e Mahāsāṃghika).

iii. Le biografie autonome ma incomplete elaborate dalle varie correnti buddhiste nei primi secoli d.C. Fra le quali figurerebbero testi importanti come: Lalitavistara, ahā as e altre biografie in redazione cinese.

iv. La biografia completa incorporata nel Vinaya M lasarvastivāda, ma anche opere come, ad esempio, Buddhacarita e Fo pen hing king (T 193). v. Altre biografie tarde come Ni ānaka hā e l'annalistica prodotta in

ambito monastico srilankese.63

63 Cfr. É. Lamotte, is ry n ian his r he ri ins he aka ra, Institut Orientaliste

Louvain-La-Neuve, Louvain, 1988 (ed. or. Bibliothèque du Muséon, Louvain 1958), pp. 648-662. Una tassonomia simile era tuttavia già stata presentata dall'autore in: . Lamotte, “La légende du Buddha”, in «Revue de l'histoire des religions», Vol. 134 (1-3), 1947, pp. 50-71.

In questa serie, oltre alla collocazione ambigua e poco attenta di alcuni testi,64 è l'idea di stadio progressivo che sembra concentrare in sé i limiti e i problemi di interpretazione sui materiali agiografici. La griglia concettuale proposta in modo emblematico come «les étas successifs de la légende du Buddha» non sembra infatti prendere in considerazione i motivi reali posti dietro un tale proliferare biografico.65 In questa prospettiva accumulativa e crescente ciò che non viene messo a tema sono i motivi celati dietro la varietà testuale rilevata, né si prende in considerazione il perché la varianza biografica trovi effettiva sistemazione in differenti porzioni e collezioni testuali. Insomma, nessuno sforzo viene compiuto nel tentativo di individuare gli obiettivi preposti e perseguiti dai redattori di tali apparati.

Non sorprende che tutte queste criticità si palesino in particolare quando lo studioso francese cerca di dar ragione delle discontinuità che riguardano alcuni episodi della vita del Buddha. Proprio qui, infatti, nel tentativo di risolvere la spinosa questione delle discordanze biografiche che si ravvisano nei testi, egli è costretto a ricorrere a una ben poco convincente ‘giustificazione del dettaglio’ così sinteticamente spiegata:

«When a given source is in contradiction with a universally accepted tradition over a point of detail, the old biographers, never at a loss, invented a new story to explain the contradiction».66

È facile riconoscere attraverso queste poche parole che dietro la scelta del termine ‘dettaglio’ si nasconda in realtà il ben più problematico concetto di ‘variante’ precedentemente affrontato. Inoltre, è altrettanto possibile rendersi conto che i cinque stadi

64 Sistemazione che evidentemente risente dei preconcetti e dei fraintendimenti del tempo.

Basti l'esempio del ahā as : trattato come semplice biografia e non come biografia inserita nel contesto normativo del Vinaya Mahāsāṃghika-Lokottaravāda. Sulle letture distorte e i pregiudizi che hanno viziato la ricezione di quest'opera si veda: V. Tournier, “The ahā as and the Vinayapiṭaka of the Mahāsāṃghika-Lokottaravādin”, in «Annual Report of the International Research Institute for Advanced Buddhology», Vol. 15, 2012, pp. 87-104.

65 ‘Les étas successifs de la légende du Buddha’ è il titolo del secondo paragrafo dell'articolo

seminale di Étienne Lamotte, quello che di fatto raccoglie l'analisi progressiva delle opere che hanno costituito la biografia del Buddha. Cfr. “La légende du Buddha”, op. cit., p. 49.

progressivi a cui l'autore si riferisce implichino l'idea di una versione prima, autentica e preminente della vita di Buddha in qualche modo conosciuta dagli «old biographers» e riconosciuta entro una non meglio definita «universally accepted tradition» andata poi gradualmente a trasformarsi e alterarsi nel corso del tempo. Così, sebbene Étienne Lamotte abbia messo a tema l'importante accumulo delle narrazioni biografiche sul fondatore attraverso le sue acute e approfondite indagini testuali, quello che appare essere il vizio di fondo della sua procedura d'analisi è l'aver postulato l'esistenza di una versione originaria della vita del Buddha. In altre parole, il problema sarebbe, ancora, l'aver considerato l'intera questione agiografica alla luce di alcuni episodi ritenuti principali della vita di Gautama; episodi che son andati a ri-articolarsi in varianti più o meno fedeli all'originale, finendo poi per sviluppare una gran varietà di vicende inedite, alcune delle quali ritenute secondarie e di poco conto.67

Queste logiche d'analisi, purtroppo fautrici di sviste e deformazioni interpretative, sembrano essere state la tendenza predominante del tempo. Negli stessi anni, infatti, si collocano gli importanti studi condotti da Erich Frauwallner. L'acume e la sofisticazione raggiunta dalle ricerche dello studioso austriaco hanno senza dubbio segnato il campo complessivo degli studi sul buddhismo dello scorso secolo. D'altro canto, è innegabile che alcune importanti questioni da lui poste rimangano argomenti da affrontare e con i quali confrontarsi, argomenti ancora oggi fulcro di investigazione e di acceso dibattito. Eppure, a ben vedere, le sue radicali prospettive di ricerca hanno anche alimentato tutti quei vizi e storture d'indagine testuale che a lungo hanno accompagnato gli studi specialistici sui materiali testuali buddhisti, anche a proposito della sistemazione dei testi che formulano la biografia del Buddha.

Nello specifico, in uno lavoro che prometteva di risalire alla

67 Simili considerazioni sull'opera di Étienne Lamotte sono state avanzate da Max Deeg nel

tentativo di vagliare le discontinuità agiografiche reperibili nelle fonti in lingua cinese. Cfr. M. Deeg, “Chips from a Biographical orkshop: Early Chinese Biographies of the Buddha”, in L. Covill et al. (a cura di), Lives Lived, Lives Imagined, op. cit., pp. 49-87. Anche John Strong, prendendo le mosse dalla proposta dello studioso francese, riduce a tre i livelli di sviluppo dell'agiografia sul Buddha, senza tuttavia azzardare alcuna datazione e idea di successione dei materiali testuali. Dice l'autore«First, there are biographical fragments found in canonical texts […] Secondly, there are fuller, more autonomous lives of the Buddha […] Finally, there are a host of comparatively late lives of the Buddha, composed in Sri Lanka, Southeast Asia, Tibet, and East Asia». J. Strong, The Buddha, op. cit., pp. 5-6.

genesi e allo sviluppo dei codici normativi buddhisti, i Vinaya, lo studioso austriaco concentrò la sua attenzione su una particolare porzione contenuta all'interno questi: lo Skandhaka.68 Egli propose l'idea di un ‘old Skandhaka’ pensato come versione prototipica dalla quale sarebbero derivati tutti gli Skandhaka riscontrabili nei canoni delle differenti scuole buddhiste. In altre parole, egli intendeva individuare e ricostruire la fonte testuale originaria di questa precisa porzione normativa presente nei diversi Vinaya a noi pervenuti: i Vinaya pāli, Mahī āsaka, Dharmaguptaka, M lasarvāstivāda, Sarvāstivāda e Mahāsāṃ ghika. Una porzione testuale che raccoglie innumerevoli e importanti riferimenti all'attività del Buddha. Per questo motivo, l'operazione condotta da Erich Frauwallner non poteva che prendere in considerazione anche una ricostruzione dell'intero processo agiografico posto alla base dell'esperienza di vita del Buddha.

Ebbene, a inficiare le modalità d'indagine su tale questione sarebbe stata, ancora una volta, l'idea di una versione prima e originale delle vicende del Buddha da cui avrebbero tratto spunto tutte le successive rielaborazioni biografiche. La pervadenza di questa versione unica, stabilita circa cento anni dopo la morte del fondatore, ha rappresentato infatti per lo studioso una vera e propria chiave di volta per leggere l'intera rete testuale delle varie biografie. E per rendersi conto del radicale convincimento dell'autore è sufficiente rivolgersi a queste poche parole contenute nel suo lavoro:

«Whenever else we may start investigating, we come always to the same result. The biography of the Buddha, which forms the framework of the old

Skandhaka text, is not authentic old tradition, but a legendary tale, the work

of the author of the Skandhaka […] this biography is the basis of the most famous later biographies of the Buddha, and authoritative texts such as the

ahāparinir āṇasū ra and the Catuṣpariṣa sū ra are drawn from it».69

Al di là dell'idea condivisibile riguardo alla composizione creativa delle storie biografiche – queste ultime ben lontane, dunque, dall'effettiva storicità dei fatti avvenuti –,70 l'impianto teorico e i

68 Cfr. E. Frauwallner, The Earliest Vinaya and the Beginnings of Buddhist Literature, Is.M.E.O. (Serie

Orientale Roma, volume viii), Roma, 1956.

69 Ibidem, p. 163.

70 Tale dimensione poietica delle vicende del Buddha era stata precedentemente ben

risultati delle sue ricerche sono stati duramente attaccati da parte degli studiosi.71 Allo stesso modo, anche l'idea di radice unica dei testi e, più in generale, il concetto di ur-text, che punta al rinvenimento di una redazione testuale autentica e originale, hanno incontrato chiare opposizioni nel campo degli studi specialistici.72 Ecco, dunque, che da questo modo d'intendere lo sviluppo testuale anche la ricostruzione di una possibile biografia prima del Buddha non poteva che finire soggetta a quel fenomeno di «textual gymnastics» acutamente messo in luce da Shayne Clarke.73 Con questa espressione lo studioso si riferisce alla forzatura d'analisi operata da Erich Frauwallner che ha avuto come risultato leggere in modo distorto le fonti dei Vinaya, o meglio, operare una interpretazione forzata e fraintendimenti presenti in altri studi del passato, parlava, con lessico forse improprio, non di storia, bensì di ‘leggenda’ del Buddha. Cfr. . Lamotte, “La légende du Buddha”, op. cit., pp. 37-49.

71 Tra gli studi che hanno espresso riserve riguardo all'opera di Erich Frauwallner si segnalano:

É. Lamotte, History of Indian Buddhism, op. cit., pp. 176-179; R. Gnoli (a cura di), The Gilgit Manuscript of the Saṅghabhedavastu (Part I), Is.M.E.O., Roma, 1977, pp. xvi-xx; C. rebish, “Theories Concerning the Skandhaka: An Appraisal”, in The Journal of Asian Studies», Vol. 23 (4), 1973, pp. 669–678. Per studi precedenti e improntati su diverse prospettive: E. aldschmidt, “Vergleichende Analyse des Catuṣpariṣats tra”, in Beiträge zur indischen Philologie und Altertumskunde, Festschrift W. Schubring, Hamburg, 1951, in part. pp. 120-122; H. Oldenberg, Vinaya Texts (Part I), The Clarendon Press, Oxford, 1881, pp. xxi-xxiii.

72 Cfr. . Skilling, “Redaction, Recitation, and riting: Transmission of the Buddha's Teaching in

India in the Early eriod”, in S.C. Berkwitz et al. (a cura di), Buddhist Manuscript Cultures: Knowledge, ritual, and art, Routledge, London/New York, 2 9, pp. 53-75, in part. pp. 6 -63; G. Schopen, “ n the Absence of Urtexts and tiose Ācāryas: Buildings, Books, and Lay Buddhist Ritual at Gilgit”, in G. Colas; G. Gerschheimer (a cura di), rire e rans e re en n e assi e, aris, cole fran aise d’Extr me-Orient, 2009, pp. 189–219; D.S. Ruegg, “Aspects of the Investigation of the (earlier) Indian Mahāyāna”, op. cit., pp. 20-24.

73 Le critiche estremamente accurate di Shayne Clarke si limitano a considerare come inesatte le

proposte di Erich Frauwallner circa la formazione del Vinaya Mahāsāṃghika, che non sembra conformarsi pienamente agli altri codici monastici (se non, come propone Shayne Clarke, per la disposizione delle ā ṛikā), mentre esprimono solo velate perplessità nei riguardi dei Vinaya della cosiddetta ‘fazione’ Sthavira. Cfr. S. Clarke, “Vinaya ā ṛikā – Mother of the Monastic Codes, or Just Another Set of Lists? A response to Frauwallner's Handling of the Mahāsāṃghika Vinaya”, in Indo- Iranian Journal», Vol. 47, 2004, pp. 77-120, cit. pp. 95, 114.

forzosa della morfologia e della genesi delle fonti, accordando tutto a una preimposta griglia interpretativa. Un'operazione che, si può ben intuire, ha condotto a una serie di storture ermeneutiche tali da non aver permesso la piena comprensione né della formazione dei molteplici apparati normativi delle varie scuole buddhiste,74 né delle logiche di costruzione delle molte vicende biografiche.75

A ben vedere, questa modalità di pensare il disporsi degli apparati testuali e agiografici sembra essere perfettamente incardinata nella classica rappresentazione ad ‘albero’ del sapere. Una modalità classificatoria assai diffusa e persuasiva – di fatto preponderante nelle metafore impiegate nel linguaggio ordinario –, che spinge a ricercare e a individuare radici, ceppi, rami e diramazioni all'interno dei fenomeni più disparati, finendo di conseguenza per distinguere nettamente tra cause originarie e l'infinita serie di prodotti posteriori ritenuti secondari e di scarso valore storico.76 Tale ordinamento degli eventi ha come conseguenza fatale lo scindere, spesso arbitrariamente, tra motivi primari e questioni accidentali, così da porre in essere una sorta di gerarchia delle istanze che,

74 La proposta Gregory Schopen, di fatto contraria a quella di Erich Frauwallner, vuole che le

somiglianze tra i vari Vinaya siano il risultato di un'operazione di continua e posteriore interferenza tra le varie scuole tale da aver conferito una sorta di omogeneità ai diversi apparati regolativi. Cfr. G. Schopen, “Two roblems in the History of Indian Buddhism: The Layman/Monk Distinction and the Doctrines of the Transference of Merit”, in G. Schopen, Bones, Stones, and Buddhist Monks: Collected Papers on the Archaeology, Epigraphy, and Texts of Monastic Buddhism in India, University of Hawai’i ress, Honolulu, 1997, pp. 23-29. Per alcune critiche alle posizioni di Gregory Schopen, senza per questo avvalorare le conclusioni di Erich Frauwallner, si veda: Anālayo, “The Historical Value of the āli Discourses”, in Indo-Iranian Journal», Vol. 55, 2012, pp. 223-253, in part. pp. 225-233.

75 Simili perplessità sono state sollevate, proprio a riguardo della biografia del Buddha, in: H.

Durt, “Développements récents dans les études sur la légende du Buddha”, in E. Ciurtin (a cura di), n ian Re i i ns an his ies. r ee in s he 6 h A R/ A R pe ia C n eren e ‘Re i i s is ry r pe an Asia’, Bucharest, 20-23 September 2006, Stvdia Asiatica, Vol. 11 (1-2), 2010, pp. 153-171, in part. pp. 162-164; F. Reynolds; C. Hallisey, “Buddha”, in Mircea Eliade (a cura di), The Encyclopedia of Religion, Vol. 2, Macmillan Publishing Company, New York, 1987, in part. pp. 323-325.

76 Sulle capacità delle metafore e delle ‘rappresentazioni del sapere’ di strutturare, indirizzare,

ma anche fuorviare i processi conoscitivi dell'indagine testuale si veda: D. Greetham, The Pleasures of Contamination: Evidence, Text, and Voice in Textual Studies, Indiana University Press, Bloomington, 2010, pp. 152-180.

guarda caso, enfatizza l'essenzialismo, non valuta caso per caso la posta in gioco e le differenti strategie atte a contendersela, e finisce sempre per evocare un'origine ‘pura’ dei fenomeni legata a un passato lontano e autorevole. È purtroppo questa prospettiva di ricostruzione lineare che non solo appare lontana dal reale formarsi e disporsi degli elementi indagati, ma offusca e disperde la trama complessa dei molti attori in gioco, degli scopi vari ed eventuali che essi inseguono e dei molti livelli testuali e sociali che si intersecano e si sovrappongono.77

Per queste ragioni, sia la valutazione in fasi proposta da Étienne Lamotte, sia la ricerca di un'originale biografia del Buddha pensata da Erich Frauwallner sembrano non aver dato ragione completa dell'alto livello di intertestualità e interdiscorsività, così come dei fenomeni di differenziazione e discontinuità che si possono ravvisare nelle molte vicende che hanno dato forma alla vita del Buddha.

Ora, i contributi del pensatore austriaco, va ribadito, non si posso trascurare né minimizzare, infatti, ad una lettura più attenta della sua opera si riscontrano importanti considerazioni che, se meglio approfondite, avrebbero potuto condurre la sua analisi ben oltre la dimensione formale dei testi e al di là della riflessione cronologica attorno alle diverse collezioni testuali dei canoni buddhisti.

Per avere un chiaro esempio di ciò, è bene richiamare il passo in cui Erich Frauwallner si occupa del Bh micāla-s tra (‘Discorso sul terremoto’), un testo sviluppato come dialogo fra Buddha e il suo discepolo Ānanda riguardante le varie cause che possono dare origine a un sisma.78 È bene sapere che tale ‘discorso’ è diffuso negli

77 L'idea di una purità iniziale del buddhismo che corrisponde alle sue origini ascetiche è stata

una deformazione ben presente e protratta negli studi buddhisti. Questa si è accompagnata alla predilezione verso alcuni precisi testi e apparati testuali rispetto ad altri, così da porre in particolare il contesto pāli come la sede privilegiata dove ritrovare informazioni sul buddhismo degli inizi. Tutto ciò ha riguardato naturalmente anche la biografia del Buddha, letta a partire dai sutta e solo in un secondo momento considerata alla luce del Vinaya. Cfr. C. Hallisey, “Roads Taken and Not Taken in the Study of Theravāda Buddhism”, in D.S. Lopez, Jr. (a cura di), Curators of the Buddha: The Study of Buddhism Under Colonialism, University of Chicago Press, 1995, pp. 31-61, in part. pp. 34-38 (par. T.W. Rhys Davids and the Biography of the Buddha). Si veda anche: T. Masuzawa, The Invention of World Religions: Or, How European Universalism Was Preserved in the Language of Pluralism, University of Chicago Press, Chicago, 2005, pp. 121-146, in part. pp. 131-138.

78 Cfr. E. Frauwallner, The Earliest Vinaya, op. cit., pp. 155-163. Per due studi dedicati a questo

apparati testuali delle varie scuole in modo eterogeneo. Esso si trova sia in versione indipendente, ovvero come singolo testo, sia inserito come materiale testuale in altri e più estesi apparati. Ai fini del discorso biografico sul Buddha tale testo è importante dal momento che esso si trova incardinato a metà circa dell'ampio Mahāparinirvāṇ a- s tra (‘Grande discorso sull'estinzione [del Buddha]’),79 ovvero del racconto che narra degli ultimi istanti di vita del fondatore. A proposito, Erich Frauwallner evidenzia la presenza di due diverse linee di trasmissione del testo giunte sino a noi: la prima la si può riscontrare nel cinese Madhyama-āgama80 e, per derivazione, nel

Mahāparinirvāṇ a-s tra di scuola M lasarvastivāda; la seconda, invece, trova posto nelle altre versioni del Mahāparinirvāṇ a-s tra in sanscrito e pāli, così come nel breve Bh micāla-sutta pāli81 e nella sua versione cinese contenuta in Ekottarika-āgama.82 Ebbene, le

differenze sostanziali di queste due linee di trasmissione sono così riassunte:

«[La versione presente in Madhyama-ā a a] mentions, along with the natural powers of an ascetic, only the imminent death of a Buddha as a further cause. The sermon in the ahāparinir āṇasū ra on the other side represents every important event in the life of Buddha as accompanied by an earthquake. The whole narrative in the [Madhyama-ā a a] is also much simpler and more archaic. An earthquake happens and the Buddha explains to Ānanda that it portends his imminent death [...] The story in the

ahāparinir āṇasū ra is quite different. Here the Buddha gives up his living

force out of his own decision and therefore causes the earth uake […] Thus we come to this conclusion: The hū i ā asū ra of the S trapiṭaka represents the old tradition. The account in the ahāparinir āṇasū ra, on the contrary, is a later modification and development».83

Ma lo studioso prosegue ancora:

Buddhist Cosmology and Meditation, with an Appendix on Buddhist Art”, in Stvdia Asiatica», Vol. 1 (1-2), 2009, pp. 59-123, in part. pp. 59-73; E. Ciurtin, “‘Thus Have I Quaked’: The Tempo of the Buddha's Vita and the Earliest Buddhist Fabric of Timelessness (The Buddha's Earth uakes II)”, in D. Boschung; C. Wessels-Mevissen (a cura di), Figurations of time in Asia, Wilhelm Fink, München-Paderborn, 2012, pp. 21-