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Ma quante storie! Molteplicità, discontinuità, normatività, ovvero sui tanti modi di rendere il Buddha (sempre) esemplare.

Sulle logiche di costruzione delle narrazioni circa la vita del Buddha

4.2 Ma quante storie! Molteplicità, discontinuità, normatività, ovvero sui tanti modi di rendere il Buddha (sempre) esemplare.

Nei capitoli precedenti si sono viste alcune proposte classiche di lettura dell'agiografia del Buddha e nuovi modi di leggere alcuni episodi legati alla sua vita. Attraverso le storie prese in considerazione, infatti, si è potuto scorgere il potenziale del macchinario di significazione biografica messo in moto dai molti e differenti testi che trattano della vita del fondatore. Messa al vaglio questa vita si è vista continuamente organizzata e rivista per mezzo del tratto narrativo in grado di orientare verso precise finalità epistemiche e regolative, dottrinali e normative. Tutto ciò interessato ogni fenomeno religioso sviluppato entro qualsiasi società umana, presente e passata, vicina e lontana. A titolo di esempio si invita a considerare, in senso comparativista, la straordinaria somiglianza strutturale ma anche tematica (si pensi solo alla questione del tormentato abbandono della casa paterna) tra la produzione agiografica buddhista e uella francescana in: E. rinzivalli, “Un santo da leggere: Francesco d'Assisi nel percorso delle fonti agiografiche”, in AA.VV., Francesco d'Assisi e il primo secolo di storia francescana, Einaudi, Torino, 1997, pp. 71-116.

256 L. Bossina, “Romanzo, agiografia e ritorno. er una lettura della Narratio del monaco Nilo”, in

M. Catto; I. Gagliardi; R.M. Parrinello (a cura di), Direzione spirituale e agiografia. Dalla biografia classica alle vite dei santi dell'età moderna, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 2008, pp. 160-161.

con l'obiettivo di gestire in modo capillare e continuo i diversi ambiti della vita associata, tanto interni quanto esterni allo specifico spazio monastico.

Giunti a questo punto, però, è necessario fare un passo in avanti e svelare le sedi reali dove avviene l'innesco e il funzionamento di un siffatto macchinario agiografico, dove cioè si mette a punto questo processo di selezione e regolazione normo-narrativa così capitale per gli appartenenti alle ‘comunità testuali’ del buddhismo.

A questo proposito, vi è da riconoscere il richiamo continuo a storie, racconti, singoli eventi ed episodi narrativi contenuti nei molti apparati testuali disposti dalle varie agenzie buddhiste. È infatti il profluvio di vicende che innerva l'intera produzione letteraria buddhista che guida nello specifico sia alla definizione della vita del Buddha, sia alla formulazione dei molti pronunciamenti decisionali che dietro questa si nascondono. Storie, insomma, che si trovano presenti nei testi, ma che si danno anche in forme diverse e che mostrano spesso contenuti alternativi e divergenti; storie che giungono sempre a determinare peculiari imperativi individuali e collettivi.

Proprio per questa ragione che potremmo dire simbiotica, dunque, occuparsi di un testo significa necessariamente prendere in carico l'analisi delle vicende in esso contenute, significa considerare l'onnipresente scenario narrativo che offre lo sfondo a questioni dottrinali, a posizioni filosofiche, a ragioni epistemologiche le quali proprio grazie a questa cornice si fanno sistema, acquisiscono coerenza e omogeneità, trovano cioè quella rappresentazione necessaria alla loro definitiva comprensione, assimilazione e condivisione.257

Ecco perciò che se davvero si vogliono valutare con attenzione le finalità e le più intime intenzioni dei testi buddhisti, i quali si è visto essere attraversati da profondi livelli di connessione e che si è visto far parte di una rete di continue riformulazioni, diviene necessario considerare la serie di istanze e mutazioni che le storie di questi organizzano e presentano. È a partire dalle storie, infatti, che si possono meglio analizzare le discontinuità che i vari testi presentano, le quali, come si è proposto già in apertura del precedente capitolo, rappresentano i punti prediletti dai quali distinguere e vagliare i molteplici propositi e le differenti prospettive istituenti organizzate dai loro autori e redattori.

257 Sull'intreccio inscindibile ma ancora non completamente vagliato tra filosofia e letteratura,

tra concetto e narrazione, si rimanda a: C. Gentili, La filosofia come genere letterario, Pendragon, Bologna, 2003.

Pertanto, prima di passare all'analisi approfondita di altri e nuovi episodi che riguardano la vita del Buddha, è doverosa una breve ma chiara disamina su cosa sia un racconto, su come si organizzi una vicenda narrativa, su quali siano gli esiti e le conseguenze derivate dal continuo processo narrativo. Solo se analizzate entro una corretta prospettiva, infatti, le storie agiografiche possono restituirci tutto il carico di performatività e controllo che esse sanno costruire e diffondere.

Ora, per affrontare il tema della narrazione e mostrarne proprietà, poteri ed effetti, si può iniziare col dire che i termini sin qui impiegati di ‘storia’, di ‘racconto’, di ‘vicenda’ e persino di ‘narrazione’ si mostrano più complessi e articolati di quanto si pensi. Infatti, ad una più attenta riflessione, tutte queste parole si caratterizzano per una interessante ambivalenza lessicale e semantica, un'ambiguità spesso trascurata ma che rivela in realtà il potenziale d'innesco dei significati che proprio tali storie portano e comportano. Se ci si pensa bene, mentre da una parte tali vocaboli denotano il processo di creazione e disposizione di eventi e azioni all'interno di una trama narrativa, dunque la ‘storia’ intesa come la disposizione ordinata e progressiva di enunciati, dall'altra parte questi termini richiamano l'idea di un prodotto finale, essi cioè diventano oggetti omogenei e conclusi, un tutt'uno portatore e datore di significati specifici.258

Ebbene, al di là dell'apparente duplicità di significato appena mostrata, ciò che si rivela in tutta la sua cogenza è l'implicazione fondamentale che sussiste tra queste due caratteristiche compresenti in una qualsiasi storia: il momento del suo svolgimento – il fatto che una storia si debba seguire –, e il conseguente guadagno di conoscenza che essa consente per i suoi fruitori e destinatari ideali – il fatto che una storia, infine, si capisca.

Ecco dunque che seguire e capire una vicenda narrata sono necessariamente azioni legate, sono circostanze che vengono a co- implicarsi dal momento che storie e racconti dispiegano un preciso ordine di eventi che consente di percepire come unitario e logico il succedersi delle cose narrate e, da qui, di intendere come sensate le conclusioni che questi invitano a considerare e fare proprie.259 Dunque,

258 Cfr. D.E. Polkinghorne, Narrative Knowing and the Human Sciences, SUNY Press, Albany, 1988, p.

13.

259 Cfr. N. Carroll, “ n the Narrative Connection” in . Van eer; S. Chatman (a cura di), New

il ‘potere’ che una storia ha di strutturare eventi e azioni come elementi dotati di senso deriva proprio da una sorta di ‘funzione esplicativa’ che l'attività narrativa permette. Si sta parlando della capacità di connettere avvenimenti e azioni all'interno di una trama temporale dove tutti gli accadimenti, le azioni fisiche, ma anche le azioni psicologiche raccontate (ovvero i concetti, le categorie, le preferenze, i giudizi formulati) ricevono una successione, una spiegazione, una motivazione, ma anche un valore e un senso preciso che altro non sono se non il risultato dei vincoli e delle relazioni causali che l'intreccio narrativo assicura.260 E infatti, «[mentre] l'una dopo l'altra è la successione episodica e quindi inverosimile; l'una a causa dell'altra è la connessione causale e quindi verosimile» che la storia formula e dispone al fine di rendere il suo intero contenuto consequenziale, coerente, sensato e, dunque, comprensibile e condivisibile.261

Da questo consegue la nodale capacità posseduta da una storia di orientare e guidare al riconoscimento di quei ruoli, comportamenti, aspettative e traguardi che proprio la stessa trama dispone e che si presentano quindi come adeguati o inadatti, opportuni o errati, perseguibili o sconvenienti per tutti i destinatari ideali che si trovano, da spettatori, a interpretare gli avvenimenti e le vicende raccontate.262 Pertanto, se seguire una storia è di fatto intendere ciò che essa sistema e ‘ordina’, se capire una narrazione significa avanzare nel processo di comprensione delle ragioni e delle istanze che essa organizza e assegna, ciò vuol dire anche immettersi entro una precisa parabola di senso che i produttori di tali costrutti narrativi elaborano e assegnano. Cosicché, comprendere – cioè prendere tutte assieme –, le indicazioni, le prospettive, le conseguenze, in una sola parola, il ‘mondo di senso’ che un artefatto narrativo struttura

260 Cfr. P. Brooks, Reading for the Plot: Design and Intention in Narrative, Harvard University Press,

Cambridge (MA), 1984; N. Frye, Anatomy of Criticism: Four Essays, Princeton University Press, Princeton, 1957, pp. 33-67.

261 Cit. in P. Ricoeur, Tempo e racconto (Volume primo), op. cit., p. 73.

262 Su questo punto, entro una sterminata bibliografia, si possono considerare i recenti: D.

Herman, Storytelling and the Sciences of Mind, MIT Press, Cambridge (MA), 2013; F. Lavocat (a cura di), La Théorie littéraire des mondes possibles, ditions du CNRS, aris, 2 1 ; A. N nning, “Making Events – Making Stories – Making Worlds: Ways of Worldmaking from a Narratological Point of View”, in V. Nünning; A. Nünning; B. Neumann (a cura di), Cultural Ways of Worldmaking: Media and Narratives, Walter de Gruyter, Berlin, 2010, pp. 191-213.

vuol dire anche far propri assetti, disposizioni e vincoli istituiti da terzi, ovvero da agenzie che si propongono di rappresentare e porre in essere quelle istanze narrative che sono anche e soprattuto istanze regolative e veridittive sui destini individuali e collettivi.263

A fronte di queste dinamiche, perciò, quello che si mostra in tutta la sua importanza è la contiguità e l'implicazione continua che esiste tra la mimesis, ovvero l'atto di narrare un'azione, e la praxis, cioè il (giusto) modello d'azione che viene riconosciuto, interpretato e incorporato come possibilità agentiva per l'individuo.264

E tutto questo vale, parimenti e soprattutto, per il cosiddetto ambito religioso. Un ambito di senso, si intende, costantemente interessato da un'ininterrotta produzione di narrazioni e di storie capace di formulare tutti quegli scenari d'aspettativa, di orientamento e d'esperienza fondamentali alla costruzione e definizione identitaria di soggetti e di comunità. Un ambito, in altre parole, dove ciò si rende necessario e anzi prioritario istituire e controllare sono i legami pratici e simbolici dentro il gruppo di praticanti, ma anche verso la collettività più ampia. Tutto ciò costruito e disposto anche grazie alla preponderante e necessaria dimensione mediale, didattica ed edificante, fornita dai racconti.265

Ecco pertanto che una specifica produzione di narrazioni dall'alto valore istituito e istituente si è resa indispensabile anche per le diverse tradizioni intellettuali buddhiste e ha trovato sede e diffusione attraverso quelli che sono venuti ad definirsi come i

263 Cfr. J. Bruner, La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, Laterza, Roma, 2002; C. Linde,

“Narrative in Institutions”, in D. Schiffrin; D. Tannen; H.E. Hamilton (a cura di), The Handbook of Discourse Analysis, Blackwell Publishing, Malden (MA), 2001, pp. 518-535.

264 Un'attività fondamentale quella della mimesis che costantemente impronta la formazione di

individui, di ambienti e di culture e che Paul Ricoeur ha sintetizzato in tre momenti distinti: 1) prefigurazione: il ‘credibile disponibile’ che forma la base semantica dell'azione, uindi termini, concetti, temi e regole convenzionali con le uali si legge e si interpreta il reale; 2) configurazione: l'intreccio offerto dalla trama di un racconto/testo che organizza gli eventi in una totalità intellegibile con agenti, circostanze, risultati, mezzi e fini; 3) rifigurazione: la possibilità offerta da una storia di essere seguita, interiorizzata e ri-eseguita dal suo fruitore e destinatario. Cfr. P. Ricoeur, Tempo e racconto (Volume primo), op. cit., pp. 91-139.

265 Cfr. R. Ruard Ganzevoort et al. (a cura di), Religious Stories We Live By: Narrative Approaches in

Theology and Religious Studies, Brill, Leiden, 2013, pp. 1-71; A.W. Geertz; J.S. Jensen (a cura di), Religious Narrative, Cognition and Culture: Image and Word in the Mind of Narrative, Equinox, Sheffield, 2011, pp. 9-50.

‘generi’ testuali e letterari propri delle varie scuole buddhiste.266 Nei vari testi, infatti, il costante intreccio tra vicende narrate e concetti espressi è stato sempre caratterizzato dall'utilizzo di precise tecniche compositive messe in campo dai vari autori e redattori dei testi ed è stato funzionale alla formazione e trasmissione di quei ‘sistemi di credenza’ che le diverse correnti del buddhismo hanno elaborato e diffuso.267 Tutto ciò entro un processo che naturalmente ha coinvolto e si è ampiamente servito anche delle biografie del Buddha come dispositivi di definizione e orientamento per le identità pratiche e politiche delle varie comunità buddhiste.268

Ebbene, alla luce delle vicende sopra analizzate che riguardano la biografia del Buddha, è facile rendersi conto che l'atto di raccontare una storia di vita – poiché sempre si svolge entro un intrigo

266 Si pensi, ad esempio, alla classificazione delle forme testuali riscontrabili nel ‘Canone pāli’

( ā i ipiṭaka), la uale si articola in ‘nove ripartizioni’ (na āṅ a) e riporta: sutta (‘discorso’), geyya (‘recitazione [mista di prosa e versi]’), eyyākaraṇa (‘esposizione’), ā hā (‘verso’), āna (‘espressione ispirata’), itivuttaka (‘così fu detto’), ā aka (‘storia della vita passata’), abbhutadhamma (‘[racconto di] fenomeni straordinari’) e vedalla (‘analisi’). Si deve convenire che ad accumunare tutti questi vi sia sempre presente un'opera di messa in sequenza di enunciati che diviene poi una precisa struttura testuale nel momento di formalizzazione e riproposizione di uno stile e di un registro peculiare. Discorso che è possibile fare anche per gli altre formule testuali presenti nelle varie tradizioni letterarie sud asiatiche (come ad esempio: ka hā, ākhyāyikā, ahākā ya, nāṭaka e p rāṇa). Sulla ripartizione nel Canone pāli si veda: K.R. Norman, ā i Li era re, Otto Harrassowitz, Wiesbaden, 1983, p. 15. Per ulteriori riflessioni attorno alle culture letterarie sudasiatiche si veda: S. ollock, “Sanskrit Literary Culture from the Inside ut”, in S. ollock (a cura di), Literary Cultures in History, op. cit., pp. 30-13 ; S. Collins, “ hat Is Literature in ali?”, in S. ollock (a cura di), Literary Cultures in History, op. cit., pp. 649-688.

267 Cfr. F. Sferra, “Tecniche di composizione del canone pāli. Trasmissione e costruzione del

sapere nel buddhismo theravāda”, in A. Roselli; R. Velardi, L'insegnamento delle technai nelle culture antiche. Atti del convegno Ercolano, 23-24 marzo 2009, Fabrizio Serra Editore, Pisa, 2011, pp. 95-107.

268 Su questo punto si veda come l'agiografia del Buddha contempli ogni singolo aspetto della vita

‘in comune’ dei devoti e delle istituzioni che li guidano in: . Freiberger, “Die Gr ndung des Saṅgha in buddhistischer Historiographie und Hagiographie”, in . Schalk (a cura di), Geschichten und Geschichte, op. cit., pp. 329-356. Va detto che a fronte di un utilizzo capillare dell'agiografia del Buddha nella regolazione della comunità buddhista, l'autore rileva uno scarso approfondimento dell'evento della fondazione del saṅgha nelle narrazioni biografiche sul Buddha. Sembra tuttavia confermato il costante orientamento dottrinale (pratico e teorico) e normativo offerto da tali apparati narrativi.

narrativo –, rivela allo stesso modo una struttura che non solo rende gli eventi intelligibili e significativi, ma assegna ai soggetti fruitori precise finalità, modalità di pensare al mondo e, quindi, di come pensarsi parte del mondo in senso epistemico e pratico. Cosa che si è già vista ad esempio col caso sopra considerato di Ariyapariyesanā-sutta. Da questo deriva, dunque, che una qualsiasi storia biografica del Buddha – quella che diviene poi un s tra/sutta, un episodio contenuto nei diversi Vinaya, un jātaka o un avadāna, tanto per fare degli esempi –, strutturi accanto alla presa di coscienza di un preciso stato di cose, anche la possibilità potenziale di intervenire nella stessa ‘idea di realtà’ che ha contribuito a definire. A questo punto si può dire che l'agiografia del fondatore, poiché sempre compresa in questo nodale gioco della mimesis, funziona nel momento in cui essa fuoriesce dal contesto prettamente poietico- narrativo sino a plasmare interi apparati semantici, interpretanti di condotta, che danno ordine e disciplina a precise azioni che il singolo ricevente finisce per ritenere praticabili, oppure, nel caso opposto, inopportune. Azioni che naturalmente, proprio come le storie che le contengono, sono sempre calate all'interno di più ampi contesti d'identità di gruppo e di relazione che sono appunto i confini di significato-e-pratica che l'istituzione buddhista si è data, ovvero ha messo per iscritto, nel corso dei secoli. Tutto ciò attraverso un meccanismo stringente come quello del ‘raccontare storie’ che il narratologo David Herman ha così sintetizzato:

stories […] interweave states, events, and actions, with different narrative genres creating different patterns of propositions about states, (intentional) behaviours, and (unintended) occurrences, as well as more or less underspecified representations of actions. In addition, stories depend vitally on sequences of actions. To model these sequences as stories as opposed to mere list of actions, recipiens build action structures anchored in broad cognitive principles and dispostions […] Goals or desires (i.e. target states, actions, or events) and the plans designed to reach them are, in turn, closely connected with partecipants' beliefs about the world. Action structures are what allow listeners, readers, and viewers to connect nonadjacent occurrences and to construe them as elements of an ongoing, coherent narrative».269

Ecco che le storie, articolandosi in una rete di sequenze narrative riconoscibili, interpretabili e tutte insieme costituenti il senso, vengono ad attivarsi come veri e propri dispositivi di

269 D. Herman, Story Logic: Problems and Possibilities of Narrative, University of Nebraska Press,

soggettivazione, giungono così ad essere incorporate come modalità di costruzione dei molteplici scenari legati all'esperienza individuale e collettiva. Narrare storie vuol dire, quindi, erogare e prescrivere prassi d'azione e d'uso, princìpi di valutazione e di giudizio e, più in generale, fondare condotte e forme di relazione che si devono mettere in atto nei contesti e negli scenari pratico-sociali che proprio attraverso la narrazione e testualizzazione vengono ad essere prospettati e giungono pertanto ad essere resi fruibili per tutti e per ognuno.270

Chiarito questo nesso inseparabile fra trama e possibilità d'azione, si deve però valutare attentamente quanto si diceva in apertura: si deve considerare la gran varietà di storie e l'alto numero di testi che includono differenti versioni dei medesimi episodi. Quindi, a fronte di un gran numero di narrazioni così simili nei temi ma così diverse negli intrecci e a fronte di una costante produzione di materiali narrativi di differente origine storico-geografica, serve chiedersi: perché un racconto cambia? Cosa accade se un medesimo episodio muta e presenta una differente disposizione delle sequenze narrative che lo compongono? Quali sono i motivi per cui un racconto, nelle sue differenti versioni, aggiunge o esclude una o più sequenze che danno forma e senso al narrato?

Ebbene, per le ragioni sopra considerate è facile intuire che una seppur minima variazione del racconto inneschi a catena una differente ricomposizione del ‘giudizio euristico’ del destinatario, dunque un cambiamento sul senso accordato e, di conseguenza, del portato epistemico, gnoseologico, teleologico, etico, e pertanto anche nomologico che la storia comporta e assegna ai suoi destinatari ideali.271 Servendoci ancora delle parole di David Herman:

270 Sul portato cognitivo e sugli esiti esperienziali che le sequenze narrative formano e

consegnano si veda: D. Herman, “Narrative Theory and the Intentional Stance”, in artial Answers: Journal of Literature and the History of Ideas», Vol. 6 (2), 2008, pp. 233-260; M. Fludernik, Towards a ‘Na ra ’ Narratology, Routledge, London/New York, 1996, pp. 9-38; R.C. Schank; R.P. Abelson, Scripts, Plans, Goals, and Understanding: An Inquiry Into Human Knowledge Structures, LEA Publishers, Hillsdale, 1977, in part. pp. 150-174.

271 Si consideri questo esempio per valutare le dirompenti conseguenze, soprattutto nel giudizio

pratico sulla ‘cosa giusta da fare’, o meglio, sulla ‘cosa giusta che si invita a fare’, che una minima modifica delle sequenze narrative comporta: «Most speakers of English would agree that the string (S) Tom bought a security system and had his house burgled differs from the string (S1) Tom had his house burgled and bought a security system». D. Herman, “Stories as a Tool for Thinking”, in D. Herman (a

«stories activate scenes, or mental models of situations that blend prototypicality and novelty, with the proportion of familiarity and newness determining how much narrativity a story has. To build and update such narratively activated scenes, interpreters must assign and re- assign roles to the partecipants that figure more or less prominently in the scenes in uestion […] A different telling of the story […] might activate a scene with all the same components but cue readers to zoom in on different components as the most salient ones».272

Da quanto precede, quindi, è possibile comprendere quanto l'invito (e dunque lo scopo) del poema possa mutare e di fatto muti ogni qualvolta si operi una variazione al suo interno, ovvero lo si alteri nelle sue parti narrative, lo si dilati o lo si riduca e se ne ridisponga la sua consequenzialità. Ci si trova perciò di fronte a quel potenziale della variatio spesso dimenticato e trascurato, ma che deve essere valutato attentamente a seguito delle conseguenze epistemiche e pratiche che esso comporta proprio nei momenti di ricezione, valutazione e interiorizzazione delle vicende narrate.273

A seguito di ciò, le storie che si sono già in parte viste e che si vedranno variare e modificare e che hanno riguardato le azioni messe in atto dal Buddha vanno giocoforza intese come differenti modalità di istituire significati e scopi pratici per i loro fruitori. anno cioè intese come le strutture mutevoli dove le sequenze narrative selezionate, composte e coordinate dagli autori – e che tutte insieme diventano i diversi episodi che compongono la vita del Buddha –, son state riassemblate al fine di favorire ulteriori e diversi gradi di