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A RCHETIPI MODERN

1 ADONE: MITO, RITO, TRADIZIONE

1.2 LE TRASFORMAZIONI DEL MITO

1.2.2 A RCHETIPI MODERN

Nel XIX secolo già da tempo Ovidio aveva smesso di fungere da interlocutore di- retto per la maggior parte dei poeti di Adoni e per gli stessi artisti figurativi. La rete dei rifacimenti, dal Medioevo alla prima età moderna, si era fatta semplicemente troppo complessa, e aveva dato spazio a un fenomeno che, se è attestato per tutte le tradizioni, è di importanza capitale per la fortuna del mito di Venere e Adone: l’affermarsi di punti di ulteriore irraggiamento in opere che assumono, in tempi e contesti diversi, il ruolo di veri e propri subarchetipi letterari. Una schematizzazione a grafo, analoga agli stemmata codicum premessi alle edizioni critiche, vedrebbe procedere dall’archetipo ovidiano, con la mediazione di Ronsard e di altri apporti collaterali, i due principali ‘subarchetipi’ dello stemma, Shakespeare e Marino, at- traverso i quali passano tutte le successive riscritture del mito.

Il Venus & Adonis di Shakespeare (1593), ad esempio, divenne a tal punto popo- lare già fra i contemporanei da essere non solo più volte ristampato (del testo sono note sedici edizioni in poco meno di cinquant’anni), ma seguito da una vera e pro- pria selva di imitazioni, compreso un prequel sulla nascita incestuosa del bambino: Myrrha, the Mother of Adonis, di William Barksted (1607). Coinvolta nella cano- nizzazione postuma di Shakespeare, la fortuna del Venus & Adonis si fonde con quella del Bardo, e tende a svilupparsi svincolandosi in tutto o in parte dalla matrice ovidiana e dalle altre fonti antiche. Questa tendenza allo sviluppo autonomo non è riconoscibile soltanto nei casi ovvi in cui la ripresa abbia la forma di un esplicito rapporto intertestuale (ad esempio nell’opera Venus und Adonis di Hans Werner Henze, rappresentata a Monaco nel 1997 su un libretto di Hans-Ulrich Treichel trat- to appunto dal poemetto di Shakespeare) quanto soprattutto nella diffusione delle novità introdotte da Shakespeare nella vicenda, che vengono riprese in trasposizioni più o meno dirette del Venus & Adonis fino a costituire una sorta di nuova vulgata. Se si paragonasse la tradizione letteraria del mito di Adone alla tradizione mano- scritta di un testo, potremmo parlare in questo caso di un ‘errore’, cioè di una dif- formità della copia dal modello che, a partire dal subarchetipo, si trasmette a tutti i suoi discendenti. L’‘errore’ di cui parlo è probabilmente l’arricchimento più signifi- cativo del mito di Adone da Saffo al XX secolo – e cioè il fatto che, contrariamente

al dato tradizionale, l’Adonis di Shakespeare non è innamorato di Venus, ma la sfugge e tenta di sottrarsi in ogni modo alle sue pressanti attenzioni, trasformando la coppia appagata del mito nel modello archetipico di tutti gli amori infelici (vv. 1135 sgg.). Discuteremo meglio a suo tempo (3.5) le ragioni e la portata di un simile ca- povolgimento, con cui Shakespeare modifica il profilo dell’Adone ovidiano portan- dolo a convergere con quello dell’Ippolito euripideo e – soprattutto – senecano, e ri- trovando così, con l’intuizione geniale del poeta, la matrice comune delle due figure (questo aspetto è approfondito oltre in 3.5); per ora basti dire che esso segna moltis- sime riscritture, già rinascimentali e barocche (un elenco lungo ma incompleto in Miles 1999, p. 202) ma anche successive, fino all’età contemporanea: ad esempio il masque di Colley Cibber Venus and Adonis, musicato da Samuel Pepusch per la sta- gione 1714-1715 del Drury Lane, in cui la decisa ritrosia dell’Adonis di Shakespeare è smussata e presentata come la freddezza tipica dell’inesperienza; o la ‘burletta’ mi- tologica The Paphian Bower di James R. Planché (1832), in cui la derivazione sha- kespeariana, già evidente nell’accentuazione della passione di Adonis per la caccia, è sottolineata da numerosi rimandi intertestuali e dalle epigrafi che arricchiscono la versione a stampa («hunting he loves but love he can’t abide», «ama cacciare ma l’amore non lo tollera», p. 99). Anche nell’Adonis di William B. Gill (1884; un grande successo di Broadway in cui gli studiosi di teatro ravvisano il prototipo del successivo musical americano; avremo modo di tornarci sopra ampiamente nel capi- tolo 4) un’evidente presenza di Shakespeare non è documentabile, fatta salva la ca- ratterizzazione di Adonis come giovane irriducibile all’amore: a quasi tre secoli e due oceani di distanza (nato in Canada, Gill si forma in Australia e diviene poi cele- bre come autore di Broadway a New York), la presenza del modello è ormai intera- mente svaporata, ma sopravvive come residuo ereditato dal sentire collettivo: l’invenzione di un autore (che inventando riscopriva peraltro una delle radici più profonde del mito) è ormai disciolta nel luogo comune (lo prova il romanzo di Ann Stafford Reluctant Adonis, 1938, dove il sintagma del titolo è di fatto un pleona- smo).

Avrà forse già colpito l’attenzione del lettore che i nomi testè elencati apparten- gano tutti – almeno fino al XX secolo – alla tradizione poetica e drammatica anglo-

americana.19 Una conferma del fatto che la ricognizione genealogica della fortuna di

un mito va comunque compresa all’interno delle concrete dinamiche della storia let- teraria, dove ad esempio le relazioni di influenza hanno modo di dispiegarsi in primo luogo nel confronto intralinguistico. Lo stemma che stiamo cercando di delineare si complica insomma di un ulteriore parametro, che la visione d’insieme deve pure cercare di tener presente: quello della ‘geografia’ della tradizione. È un parametro tutt’altro che secondario: come per il mondo antico avrebbe senso organizzare l’interpretazione di Adone su base geografica, riconducendo le evidenze documenta- rie alle rispettive aree di pertinenza (secondo l’auspicio di Reed 1995), così in una prospettiva di storia della tradizione le trasformazioni di modelli che, provenendo dall’antichità classica, vengono pensati a priori e agiscono di fatto in senso sovrana- zionale, risultano comunque inseriti in una filiera che li pone di volta in volta in dia- logo con le rispettive tradizioni locali. Non ci stupiremo a questo punto che fuori dall’Inghilterra, in Italia, Francia, Spagna o Germania, fino a tutto l’Ottocento, Ado- ne sia sempre amante cedevole o entusiasta, né che in una tradizione segnata dal cul- to di Shakespeare come quella angloamericana solo di rado vengano invece ripropo- ste versioni coerenti con l’originario modello ovidiano.20

L’altro subarchetipo fondamentale, culmine della tradizione adonia con cui coin- cide, storicamente, l’estrema tappa dell’irraggiamento della poesia italiana in Euro-

19 Fra le poche eccezioni potremmo ricordare, in Italia, il Prologo (cioè il monologo dram-

matico) Venere cerca Adone di Claudio Achillini (1632), in cui la caccia è per Adone (solo evo- cato dalle parole di Venere) un interesse che esclude l’amore per la dea. Un’altra eccezione è l’opera di Henze, che però si colloca non solo a valle di un’inclusione ormai secolare di Shake- speare nel canone della letteratura universale, ma soprattutto nella temperie culturale del secon- do Novecento, largamente segnata dal rifiuto di ogni compartimentazione nazionale del patri- monio artistico e letterario.

20 Fra le possibili eccezioni due componimenti di Robert Greene in appendice alla novella

Perimedes the Blacksmith (1588), in cui l’Adone di turno è «fiered by fond desire» («arso da

intenso desiderio», s.n.p., ma f. 27v) e strumentalizza il mito per giustificare la propria intempe- ranza: «from Adon this I get,/ I am but young and may be wanton yet» («Questo ricavo da Ado- ne, che sono solo un ragazzo e posso ancora essere licenzioso», ibid.).

pa, è L’Adone, il monumentale poema che Giovan Battista Marino pubblica a Parigi, in edizione definitiva, nel 1623. L’influenza del poema di Marino fu immensa già prima del suo completamento: era bastata appunto la prima edizione parziale per da- re il via a una serie di riscritture disseminate in un’area la cui ampiezza dà conto tan- to della statura dell’autore quanto del prestigio della cultura italiana al volgere della sua stagione più felice; 21 e anche dopo il 1623 gli adattatori di Marino vanno dalla

Spagna (Soto de Rojas), all’Italia, naturalmente (la favola boschereccia di Ottavio Tronsarelli La catena di Adone, che drammatizza per la scena, con la musica di Do- menico Mazocchi, il canto 13 del poema, è del 1626; La corona d’Adone di Giulio Antonio Ridolfi del 1633), alla Germania (ad esempio il «Singe-Spiel» Der geliebte Adonis, 1697, su musiche di R. Keiser e testo di Ch.H. Postel, che chiude la sua dot- ta prefazione con una stanza «des allerangenähmsten Poeten der Welt», «del più piacevole poeta del mondo», citando cioè – senza tradurre in tedesco, come invece fa per i testi greci, francesi e inglesi – Adone 8.2) e oltre. Non altrettanto profonda era stata invece la penetrazione dell’Adone in Inghilterra (dove avrebbe dovuto competere con il successo sempre vivo del poemetto shakespeariano) e, sorprenden- temente, in Francia, dove proprio nei primi decenni del Seicento erano giunte a ma- turazione istanze di affrancamento della poesia nazionale da un modello italiano da cui già i poeti della Pléiade, a metà del Cinquecento, si erano sforzati di prendere le distanze. Non sarà un caso, perciò, che la ripresa più significativa del mito di Adone in Francia dopo il 1623, l’epillio Adonis di Jean de La Fontaine (offerto manoscritto a Fouquet nel 1658), non dialoghi tanto col poema di Marino, pure pubblicato a Pa-

21 L’opera di Marino presuppone in realtà una ricca messe di precedenti più o meno signifi-

cativi, nessuno dei quali, peraltro, destinato a risonanza internazionale: da nominare almeno le

Stanze nella Favola d’Adone di Lodovico Dolce (1545); l’Adone di G. Tarcagnota (1550) e la Favola d’Adone di G. Parabosco (1553), tutti in ottava rima e tutti ancora molto vicini

all’impianto narrativo ovidiano. I testi, insieme ad altri del Rinascimento e Barocco italiano, so- no raccolti nell’antologia curata da Andrea Torre (2009). Di elaborazione parallela, ma pubbli- cato comunque con significativo anticipo rispetto alla versione definitiva dell’Adone di Marino, è L’Adone di Cesare Borri, un «Idillio» (vale a dire un epillio in 110 ottave) pubblicato a Milano nel 1614.

rigi e subito incluso nel canone contemporaneo, quanto con l’elegia di Ronsard (A- donis, 1564) di quasi cento anni più antica.