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S EDOTTI E SEDUTTORI : L ’A DONE DI D ETIENNE

1 ADONE: MITO, RITO, TRADIZIONE

1.3 LE INTERPRETAZIONI DEL MITO

1.3.2 S EDOTTI E SEDUTTORI : L ’A DONE DI D ETIENNE

Quando nel 1972 l’antropologo belga Marcel Detienne pubblica Les jardins d’Adonis. La mythologie des aromates en Grèce, la lettura frazeriana di Adone, culmine di una tradizione allegorica risalente almeno a Cornuto, era ormai accettata da studiosi e persone di cultura come un luogo comune. Questo spiega forse la legit- tima foga polemica con cui Detienne argomenta contro la fondatezza scientifica dell’interpretazione di Adone come «dying god»: la sua lettura infatti non si limita ad aggiustare il tiro rispetto alla vulgata frazeriana, ma ne capovolge le prospettive. L’Adone di Detienne viene non solo sottratto alla consueta connotazione agraria, ma reinterpretato come totalmente, strutturalmente antiagrario nella sua sessualità irre- sistibile e intemperante, che lo oppone agli ambiti demetriaci – la cerealicoltura e la procreazione legittima all’interno del corpo civile.

In questa sede non sarebbe possibile, né del resto del tutto pertinente, ripercorrere e discutere in dettaglio gli argomenti di Detienne: la sua tesi riguarda infatti un a- spetto specifico e circoscritto della tradizione adonia, ovvero il particolare significa- to che si può attribuire, in prospettiva strutturalistica, alla figura di Adone e alla sua festa nel quadro della cultura ateniese del V-IV secolo a.C. Il vero spunto di interes- se per il nostro discorso va al di là della progettualità consapevole dell’autore (ambi- to e prospettiva di ricerca, metodo e procedure interpretative), e risiede piuttosto nel- la curiosa, complessa ricezione di cui è oggetto Les jardins d’Adonis. Ricezione che nel caso di uno studio specialistico coincide di norma con il dibattito scientifico che esso suscita. Non così per questo saggio, concepito e diffuso in un contesto che gli permette di godere degli effetti di una serie di tendenze culturali (la voga dello strut- turalismo e in particolare la sua applicazione all’antropologia del mondo antico) che ne amplificano la risonanza ben al di là della ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Les jardins d’Adonis viene così assimilato da classicisti e da generici lettori colti – e questo non solo in Francia, ma in Italia, nel mondo anglosassone e in quello ispani- co, in Romania e in Germania, dove il libro viene, nel giro di relativamente pochi anni (rispettivamente nel 1975, 1976, 1983, 1997, 2000), tradotto e numerose volte ristampato. A tutti gli effetti, per la storia della tradizione adonia il 1972 rappresenta un anno di svolta, a partire dal quale l’influenza frazeriana, così produttiva e centrale per la cultura dell’Europa modernista ma già ormai, dal secondo dopoguerra, molto meno vitale, viene sostituita da un nuovo punto di irraggiamento, da cui proviene lo stimolo a occuparsi di Adone in termini del tutto nuovi. Anche gli studi accademici su Adone si moltiplicano in effetti a partire dal saggio di Detienne, raggiungendo una densità attestata solo nei decenni prima di Frazer, la cui opera era riuscita, con la radicalità del consenso suscitato, a interrompere per diversi decenni il dibattito scientifico sul personaggio.

Cosa può spiegare il grande successo del saggio di Detienne? Forse l’arguta ele- ganza con cui il libro è scritto? O la sottigliezza irrefragabile delle sue argomenta- zioni? O piuttosto lo sguardo originale e penetrante dell’autore su un tema (erotismo e seduzione) tradizionalmente caro alle masse? Senz’altro non è l’evidenza luminosa e incontestabile delle interpretazioni a sospingere questo saggio fra le pietre miliari

di una disciplina: benché io sia personalmente convinto dell’utilità di interpretazioni che per la loro acutezza e eleganza meritano di essere ‘vere’ anche quando non lo sono (e le tesi di Detienne su Adone sono acute e eleganti oltre misura), è un dato di fatto che in quattro decenni questo libro sia riuscito a far tutto fuorché convincere gli specialisti. Da posizioni diverse, più o meno legittime, più o meno pedanti, più o meno articolate, grecisti e studiosi di storia delle religioni hanno rintuzzato in modo quasi unanime le tesi di Detienne mettendone in evidenza i limiti nelle coordinate generali e in singoli dettagli. A un punto tale che già dai primi anni Novanta, quando alcune letture gender oriented delle Adonie denunciano il pregiudizio maschilista su cui Detienne edifica la sua bellissima teoria, l’interesse degli addetti ai lavori per le tesi dello studioso belga appare in sostanza subordinato alla pura ricognizione dos- sografica.

Dunque l’Adone di Detienne è solo un’invenzione particolarmente brillante – ma in ultima analisi una teoria superata fra tante? Assolutamente no: di gran lunga supe- riori alle stroncature, prevenute o motivate, degli addetti ai lavori, gli apprezzamenti di un ben più vasto pubblico di lettori colti hanno reso in breve tempo questo libro un nuovo, significativo punto di irraggiamento nei percorsi della tradizione adonia. Nella mia qualità di cartografo di questi percorsi, non posso sottrarmi perciò almeno alle due questioni essenziali: che cosa, di preciso, e in che modo, viene trasmesso dai Jardins d’Adonis?

Il che cosa è presto detto: viene trasmesso, in buona sostanza, un equivoco. La storia della fortuna, si sa, è per lo più storia di fraintendimenti, e per quanto parados- sale ciò possa apparire, la trasmissione di idee analitiche e ben argomentate non co- stituisce un’eccezione. L’equivoco riguarda la caratterizzazione di Adone come se- duttore, tratto che per Detienne ha un significato affatto specifico all’interno di una originale antropologia dell’eros nell’Atene classica, e che invece viene recepito dai non specialisti come una cifra assoluta del personaggio – sulla linea di un’equivalenza totale fra bellezza e seduttività che permea la cultura popolare e middlebrow: l’abbiamo già incontrata, per fare solo un esempio, nel racconto Adonis di Adolf Wilbrandt (1911), il cui titolo allude alla bellezza irresistibile che sospinge il protagonista verso una condotta immorale con le ragazze; ma potremmo citare e-

sempi che vanno dal Rinascimento al presente: in Auvray 1636 p. 190 «Adonis» è l’epiteto che meglio qualifica «Un galand assez renommé, […] Un enfonceur de pu- celages, […] Un grand embrocheur de pucelles/ Un arrondisseur de mamelles,/ Un reboucheur de trous vivans» («Un donnaiolo assai famoso […] bravo a sfondare vergini, […] infilzare pulzelle, arrotondare seni, tappare buchi viventi»); mentre una versione ironica e degradata della stessa associazione di idee si trova anche nella commedia musicale Gastone di Ettore Petrolini, 1924, il cui protagonista è sì ap- prezzato dalle donne perché, come recita il testo della sua canzone più nota, «sembr[a] proprio un bell’Adone» («Gastone, ho le donne a profusione/ e ne faccio collezione»), ma viene demistificato nei fatti come misero gagà («Bello, non ho niente nel cervello!»).

Secondo la lettura di Detienne, invece, Adone si inscrive nella cultura dell’Atene classica come l’archetipo di un erotismo fuori misura e pertanto negativo, contro il quale la celebrazione festiva mette in guardia la città contrapponendogli implicita- mente l’equilibrio vincente della sessualità istituzionalizzata nel matrimonio e nella procreazione legittima. L’esistenza del giovinetto è invece sospesa fra due estremi di squilibrio amoroso: da un lato l’eccesso erotico (già implicito nell’equiparazione di Adone alla mirra, profumo e unguento amoroso; e confermato soprattutto dalla sua capacità di attrazione irresistibile; su questo aspetto lo studioso tornerà anche nel 1977 con nuovi argomenti), dall’altro l’illanguidimento precoce e irreversibile (la morte e la composizione del corpo su un letto di lattuga, vegetale simbolo di impo- tenza), con cui vengono sanzionate per sempre la sfrenatezza seduttiva e l’improduttività che ad essa immancabilmente si accompagna.

Di questa interpretazione, che, al pari di ogni lettura strutturalistica, andrebbe compresa a livello sistemico come un plesso di opposizioni differenziali, il carattere di Adone come seduttore viene invece estrapolato dal lettore generico di Detienne come una definizione essenziale, e inevitabilmente risemantizzato (ecco perché ha senso parlare di equivoco) nell’accezione vulgata del termine, vitalistica e dongio- vannesca. Adone si trova così trasformato, negli ultimi decenni, in una figura quanto mai lontana dal suo modello mitologico, in un soggetto volitivo e capriccioso, con- sapevole del proprio fascino e indiscriminato nell’approfittarne.

In termini di storia culturale, mi sembra che si possa vedere, nel cambiamento di paradigma che sostituisce Detienne a Frazer come ‘verità ultima’ su Adone, l’emergere di un nuovo assetto di valori e interessi nella mentalità comune: mentre l’Adone di Frazer, come in generale la prospettiva di indagine del Ramo d’oro, sim- boleggia in ultima analisi l’irrimediabile fungibilità degli individui nei confronti del- le culture e delle esigenze dei gruppi, l’Adone di Detienne riconduce la fisionomia del personaggio alla prospettiva in primo luogo di un soggetto individuale: l’essenza di Adone, per lo studioso belga, è l’eros, e con questo vengono assecondate, più o meno consapevolmente, le aspettative di un pubblico formatosi nei cruciali anni del risveglio contestatario: mentre i lettori di Frazer dovranno presto fare i conti con un mondo preda di regimi totalitari fondati su sistemi di pensiero che negano valore all’individuo, i lettori di Detienne hanno alle spalle Eros and Civilization di Marcuse (1955), e il fervido rinnovamento degli anni Sessanta, che mette in primo piano le esigenze emozionali degli individui in contrapposizione alle pressioni liberticide della società («Make love, not war», «Fate l’amore, non la guerra»). Del tutto a pre- scindere dai dettagli tecnici dell’interpretazione di Detienne, è fuor di dubbio a mio parere che la sua impostazione generale sia congruente, perciò, con uno Zeitgeist in cui l’eros torna finalmente ai vertici delle assiologie.

Prove di ciò sono fornite dalla particolare fisionomia che assume la tradizione adonia dopo gli anni Settanta: in Adone del padovano Sandro Zanotto, un romanzo del 1984 che ha lasciato scarse tracce nella storia letteraria, nonostante qualità non trascurabili, la figura del protagonista eponimo si rifà a un’esplicita genealogia ma- riniana (p. 13), ma sembra piuttosto una traduzione narrativa degli input di Detienne: la sua soggettività attiva è sostenuta già a priori da una voce narrante focalizzata sul suo punto di vista, e, nonostante la sua occasionale timidezza, Adone Cogo è un si- curo soggetto di eros: a partire dalle prime pagine, in cui egli appare mosso «da un desiderio pratico, quello di sapere se avrebbe incontrato Venere, oggetto della sua ricerca da qualche tempo» (ibid., corsivo mio), fino alla descrizione delle sue nume- rose avventure erotiche, dove è lui a tenere in mano le redini del rapporto: «Adone manovrava questa emotività [di una sua amante callipigia] con una tecnica di cui si

compiaceva sempre, dato che aveva la stessa funzione della frusta in mano al doma- tore che entra nella gabbia del leone» (p. 222).

Molto più chiaro il riferimento a Detienne in un opuscolo del 1985, con cui il (purtroppo mediocre) pittore Ferdinando Coloretti si propone di presentare un ciclo di sue tavole sul mito di Adone (che però confonde con Attis, giacché sostiene di aver preso ispirazione dalla «storia del “Bel Atys meurtri que Cybèle ranime”, come diceva G. de Nerval», p. 7). Il catalogo si apre con un breve saggio di Emilio Tadini ambiziosamente intitolato Il mito dell’amore e della morte (pp. 8-10), in cui Adone è esplicitamente presentato come una «specie di prefigurazione di Don Giovanni – l’eroe libertino, l’eroe sfrenato, quasi maniacale, dedito solo all’eros sterile, l’eroe negativo che alla fine sceglie di precipitare all’inferno stringendo solo la mano gela- ta di una statua» (p. 9). La parola chiave che ci permette di risalire ai riferimenti dell’autore, anche in assenza di una citazione esplicita, è «sterile», concetto in cui appunto Detienne ravvisa il principale tratto distintivo del suo Adone.

Allo stesso modo la mediazione di Detienne traspare da un romanzo di «quarta dimensione» (secondo l’irritante ma utile definizione di Eco 1973), L’anemone di Adone di Antonio Cannone (1991). Il fatto che il romanzo sia l’opera assai scadente di uno scrittore improvvisato non ne riduce l’interesse in termini di storia della for- tuna: le pp. 59-60 e 64-71, in particolare, testimoniano del guazzabuglio immagina- rio in cui la centralità di un erotismo nuovamente attivo, legato alla connotazione della mirra (di nuovo, un concetto chiave nella lettura di Detienne), si combina con i residui di un Adone ‘orientale’ tuttora agrario e ciclico.

Un ulteriore riflesso della ‘fortuna di Detienne’ si può infine leggere nel fatto che al di là del campo specialistico degli studi su Adone l’interpretazione dello studioso belga venga considerata un’acquisizione indiscutibile: «Non è possibile proporre nuove letture del mito di Adone dopo quella, attualmente definitiva, che ne ha pro- posto Marcel Detienne» (Berrettoni 2007, p. 20). Berrettoni potrebbe, da glottologo e studioso di questioni di genere, aver accesso a interpretazioni successive anche molto convincenti del personaggio, ma la lettura di Adone come seduttore è troppo funzionale al suo modello del maschile come opposizione binaria Adone/Eracle per- ché egli possa anche solo prenderne atto.

Che ad aver determinato questa nuova configurazione di Adone come seduttore sia stato proprio il successo (o meglio il fraintendimento) del libro di Detienne mi sembra fuori questione: nell’interpretazione dello studioso, infatti, l’irrefrenabile at- titudine seduttiva del ragazzo è uno snodo essenziale nel complesso modello dell’erotismo socialmente incontrollato di cui Adone costituirebbe il riferimento an- tonomastico. Una prova ulteriore sta nel fatto che l’accentuazione dei tratti seduttivi è una novità specifica della tesi di Detienne (Menninghaus 2003, pp. 293-296), che evidenzia e enfatizza un aspetto fino a quel momento marginale: che Adone sia as- sociato fin dall’antichità con una qualità estrema di bellezza corporea non deve in- durre a credere, infatti, che la seduzione sia implicita nella fisionomia del personag- gio fin dalle sue fasi più antiche. Né, tantomeno, che seduzione sia mero sinonimo di bellezza: se così fosse, tutti i giovani concupiti da dee e dèi greci formerebbero in- sieme un manipolo di spregiudicati casanova. In ogni caso, prima di Detienne Adone è tutto tranne che un seduttore – qualcuno, cioè, che esercita in modo attivo e consa- pevole il proprio potere di attrazione. Le fonti antiche lo rappresentano come poco più che un pupazzo – un essere tanto bello quanto inerte, capace solo (lungi dal ge- stire con determinazione il proprio ascendente sul desiderio altrui) di lasciarsi gher- mire e possedere senza opporre resistenza (e infatti secondo Fanocle fr. 3.1-2 Adone viene rapito da Dioniso nel suo passaggio a Cipro; mentre Plauto, Menecmi, 144 parla di Venere come sua rapitrice, assimilandola ad Aurora rapitrice di Cefalo e di Titono; la tradizione riproduce poligeneticamente il motivo in L’enlèvement d’Adonis, il primo quadro dell’opéra-ballet Les surprises de l’amour, di P. J. J. Ber- nard su musiche di J. Ph. Rameau; il titolo del quadro nella prima versione, del 1748, era semplicemente Adonis, e la modifica fu introdotta nell’adattamento per la ripresa parigina del 1757. Il ratto di Adone è operato da Cupido, che sottrae il gio- vane cacciatore al seguito di Diana per farne un seguace di Venere). L’Adone antico è un oggetto; quello contemporaneo, dagli anni Settanta del XX secolo in poi, assu-

me invece la consistenza di un soggetto capace di determinare le azioni altrui. Que- sto aspetto fa leva su una visione mitologicamente non del tutto corretta, ma ripetu- tamente attestata nel corso della tradizione, secondo cui la bellezza estrema si tradu- ce in una consapevole spregiudicatezza morale (si pensi solo all’Adonis di A. Wil-

brandt, tanto più rappresentativo quanto meno difforme dal moralismo piccolo- borghese). È sempre alla fortuna del saggio di Detienne che si deve il prevalere compatto di questo Adone seduttore attivo e amorale: il discorso di Detienne assume infatti sempre il punto di vista del maschio, anche quando si tratta di analizzare le dinamiche del desiderio femminile. Già John J. Winkler (1989) aveva osservato quanto poco metodico e naturale sia interpretare il mito dell’amore di una dea per un ragazzo, al centro di una festa a prevalente, se non esclusiva, partecipazione femmi- nile, come la traduzione mitica e rituale di un punto di vista maschile sull’esperienza amorosa (p. 199). Ma certo nel proporre la sua interpretazione Detienne aveva dalla sua l’inerzia potentissima delle categorie culturali, che per millenni, unendo senza soluzione di continuità civiltà per molti altri aspetti incommensurabili, presentano l’esperienza del desiderio e dell’eros come una prerogativa del soggetto maschile. E quelle stesse categorie hanno favorito il fraintendimento e la fortuna delle tesi di De- tienne, sospingendo Adone verso la sua più recente – sicuramente non l’ultima – tra- sformazione.

Se presso il pubblico non specialista l’interpretazione di Detienne ha involonta- riamente avallato la tendenza a concepire Adone come un dongiovanni, nella comu- nità degli studiosi essa ha invece avuto il merito di riaprire un dibattito che il pre- dominio totalizzante della lettura frazeriana sembrava aver definitivamente interrot- to. Fra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento molti studiosi di orientalistica o di storia delle religioni affrontano nuovamente i problemi posti dalla tradizione antica del mito di Adone (Burkert 1979; Baudy 1986; Segal 1991; Reed 1995; Konstan 2002) anche alla luce di nuove acquisizioni documentarie (lo stesso Detienne 1977 o Ribichini 1981). Nessuno di questi studi sembra comunque esser stato letto al di là della cerchia degli addetti ai lavori – e pertanto nessuno meriterebbe a rigore di esse- re preso in esame in questa rassegna. Solo nel caso delle letture di J. J. Winkler (1989) e di R. Segal (1991; ma cfr. anche Segal 2004) sembra essersi realizzata una consonanza fra una lettura specialistica del mito e del culto di Adone nell’antichità greca con forme di pensiero esterne all’ambito più ristretto degli studi classici – vale a dire la psicanalisi junghiana e gli studi di genere. Anche il mio studio della tradi- zione moderna del mito, benché su un piano di maggiore generalità, cercherà di va-

lorizzare appunto queste nuove tendenze, in cui vede, come espliciterò fra poco (2.1), il riemergere di filoni a lungo marginalizzati e latenti della tradizione.

Volendo sintetizzare l’apporto delle interpretazioni specialistiche moderne alla tradizione adonia ci si dovrebbe in ogni caso limitare a una sola netta contrapposi- zione, quella che oppone Frazer a Detienne. Non solo infatti le loro letture del mito sono le più incisive in termini di ricadute culturali, ma in esse la varietà degli ap- procci sembra a bella posta epitomarsi in una netta polarizzazione: l’Adone di Frazer è infatti ancora una figura ‘orientale