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LE RISCRITTURE OVIDIANE

1 ADONE: MITO, RITO, TRADIZIONE

1.2 LE TRASFORMAZIONI DEL MITO

1.2.1 LE RISCRITTURE OVIDIANE

Il tronco principale della tradizione adonia, che è pur sempre una tradizione pre- cipuamente letteraria, si può ridurre in sostanza a un capitolo di fortuna ovidiana: a partire dal Medioevo europeo, che recepisce le Metamorfosi come un antonomastico Libro Mayor, secondo solo alla Bibbia per autorità e rilevanza, l’episodio del X libro del poema costituisce quasi sempre, di prima o di seconda mano, il punto di riferi- mento più immediato per chiunque torni a trattare gli amori di Venere con il bel ra- gazzo cipriota.

Sul piano formale e discorsivo, le riscritture ovidiane si presentano come un fe- nomeno considerevolmente variegato. Al livello più semplice della riscrittura, si tratta di trasposizioni,16 che conservano spesso anche l’originario carattere episodico

dell’ipotesto. Tale è il caso ad esempio del secondo Roman de la rose, dove gli amo- ri di Venere e Adone vengono raccontati mentre si attende che arrivi il soccorso di Venere, chiamata da Cupido (vv. 16323 sgg.). Il testo si pone in stretto rapporto con Ovidio, non solo in termini di fedeltà intertestuale, ma di coerenza poetica di fondo.

16 Qui e in tutto questo studio presuppongo naturalmente le prospettive di analisi e la termi-

nologia di Palimpsestes di G. Genette, il principale studio sistematico sulle pratiche della riela- borazione letteraria (Genette 1982; sulla trasposizione in particolare p. 291 sgg.).

Non è un caso che rispetto alla caratterizzazione tradizionale di Adone nella cultura medievale, dove la storia di Adone è topica come esempio negativo di cedimento al- la lussuria,17 Jean de Meung recuperi l’originaria tendenza ideologica del testo, che

valorizza la prestanza amorosa rispetto ad altre manifestazioni di ardore virile. L’aderenza formale alla struttura ovidiana non è provata, del resto, solo dalla sinto- nia dei contenuti, ma anche dal fatto che nello stesso contesto dell’episodio di Ado- ne Jean de Meung intessa una riscrittura dell’episodio di Pigmalione, che nelle Me- tamorfosi occupa appunto una sezione dello stesso libro X del poema (vv. 243-297; alle consonanze profonde dei miti di Adone e di Pigmalione è dedicato in parte il capitolo 4 di questo studio).

La linea della trasposizione ovidiana va senza soluzioni di continuità dal Medioe- vo fino alla più vicina età contemporanea: ancora nel 1997 il laureate poet e mitolo- go britannico Ted Hughes pubblica una riscrittura selettiva delle Metamorfosi di O- vidio (Tales from Ovid, London, Faber & Faber) estrapolando dal poema una scelta di ventiquattro episodi, che vengono narrati in brevi sequenze sottratte alla concate- nazione originaria. Rispetto ad altri miti, trattati con una certa libertà di rielabora- zione, l’episodio di Venere e Adone è una traduzione piuttosto fedele dell’originale. La vicinanza dell’adattamento al dettato ovidiano non è segno di scarso interesse, ma al contrario di una profonda e significativa sintonia con il punto di vista delle Metamorfosi; del resto la figura di Adone torna anche altrove nell’opera di Hughes, a confermarne la centralità nella riflessione del poeta sulle dinamiche dell’eros e dei rapporti tra i sessi.18

17 E infatti nell’Ovide moralisé 10.3733-3735 la morte di Adone è così commentata: «Li pors

l’ocist; ce fut l’ordure/ De luxure et de lecherie,/ Qu’il demena toute sa vie» («Il cinghiale lo ammazzò; e fu per la sozzura di lussuria e licenziosità che aveva coltivato tutta la vita»); sulla stessa linea l’inclusione di Adone fra gli amanti trasgressivi nel metro V del De planctu naturae di Alano di Lille, da cui il Roman de la rose è fortemente influenzato; questa tradizione ha poi larga diffusione nel tardo Medioevo; cfr. ad esempio John Lydgate, Reson and sensuallyte, vv. 3685 sgg.

18 Mi riferisco in particolare al monumentale saggio Shakespeare and the Goddess of Com-

Le trasposizioni formalmente più fedeli sono peraltro una minoranza rispetto a quelle che adattano l’episodio ovidiano ai tratti di generi contigui (l’epillio in distici di alessandrini, come l’Adonis di Ronsard, 1564, o quello di La Fontaine, stampato – a distanza di anni dalla sua composizione – nel 1669; l’«Idillio» in endecasillabi e settenari sciolti di Ettore Martinengo, 1614, o, nello stesso metro, il Pianto d’Adone di G. B. Marino, pubblicato a Padova contemporaneamente al poema maggiore), poi via via sempre più distanti: il poema epico, come nel caso di Marino, la poesia lirica (in una grande varietà di autori dal Cinque- al Novecento), nelle sue varie forme (dall’epigramma all’ecloga all’epitalamio); fra le trasposizioni intermodali (dal mo- do narrativo al drammatico, sempre secondo Genette 1982, pp. 395 sgg.) il mito ar- riva alla tragedia classica (ad esempio nell’Adonis di Guillaume Le Breton, del 1579); alla tragédie à machines (Les amours de Vénus et d’Adonis di Donneau de Visé, 1670); al balletto (L’enlèvement d’Adonis, primo atto autonomo di Les surpri- ses de l’Amour, su musiche di J.-Ph. Rameau, 1757); fino all’immancabile dramma per musica (dall’Adone di Paolo Vendramin per le musiche di Francesco Manelli, 1639, al Vénus et Adonis di Henry Desmarets, su musiche di J.-B. Rousseau, 1697).

Non mancano naturalmente gli adattamenti in regimi diversi dal serio, come la ri- scrittura delicatamente umoristica di François Habert (Les visions fantastiques du Banni de Liesse, 1541), in cui Venere scambia il poeta per Adone, lo sveglia con un bacio e lo esorta a soddisfare il desiderio di lei: «Esveille toy, & ne reffuse point/ Le fruict heureux qui mon cueur brusle & poingt» («Destati e non rifiutare il frutto gio- ioso che brucia e pungola il mio cuore», p. 75). Si noti en passant che la ‘deforma- zione’ umoristica, per quanto lieve, è conforme alle dinamiche freudiane del comico (mi riferisco ovviamente alla loro applicazione alla teoria letteraria proposta da Or- lando 1971 e 1972): ciò cui il testo del poeta burlesco fa spazio è uno dei contenuti repressi della tradizione seria, vale a dire la linea ‘censurata’ del desiderio assertivo femminile, con evidente rovesciamento dei ruoli (e infatti la Venere di Habert così rimprovera il suo amante assopito: «Ton cueur est il plein de legiereté/ Et le mien est

una struttura primigenia cui Hughes propone di ricondurre la genesi dell’intera opera shakespea- riana.

rempli de fermeté?», «Il tuo cuore è pieno di leggerezza e il mio di fermezza?», p. 75).

Com’è ovvio, le trasposizioni più articolate modificano spesso, e in vari modi, i contenuti narrativi del modello; questo avviene soprattutto per espansione (di conte- nuti in esso meno sviluppati: ad esempio l’innamoramento di Venere per Adone in Marino, dove i pochi versi ovidiani – Met. 10.524-532 – vengono dilatati in una lun- ga narrazione che culmina nell’incontro di 3.16 sgg.) e per estensione (includendo cioè parti del mito omesse nella fonte: la terminologia è sempre quella di Genette 1982, pp. 364 sgg.). La forma più semplice e diffusa di espansione/estensione si ha quando la riscrittura combina e rielabora segmenti narrativi complementari ma atte- stati da fonti diverse. È frequente ad esempio (i casi più illustri in Shakespeare e Ma- rino) la sutura dell’episodio di Adone in Ovidio con [Theoc.] 30, l’anonima anacre- ontica Sul corpo morto di Adone, in cui Afrodite ‘processa’ il cinghiale colpevole dell’omicidio. L’estensione narrativa è del tutto naturale, perché il breve componi- mento tardoantico è concepito già in partenza come un’appendice al mito luttuoso della morte di Adone e del lamento di Afrodite (non a caso la sua inclusione nel corpus Theocriteum è dovuta con ogni probabilità alla contiguità diegematica con l’Epitafio di Adone, immediatamente precedente). Poco importa che lo spirito dell’anonimo e quello delle Metamorfosi siano distanti e per molti aspetti incom- mensurabili – evitare l’impressione di patchwork sghembo e disomogeneo è in ogni caso affare del poeta moderno, come egregiamente dimostra Shakespeare, nel cui Venus & Adonis l’episodio del cinghiale innamorato (vv. 1105-1120) è trasformato in ansiosa ipotesi della stessa Venus, e armonizzato, così, alla semantica profonda del testo (nello specifico: il desiderio del cinghiale innamorato per Adone concretiz- za alla lettera la ‘bestialità’ del desiderio femminile, confermandone a posteriori il carattere dominatore e sinistro. Su questo aspetto torneremo approfonditamente nei capitoli 2 e 3).

L’effetto collage è inevitabilmente più cospicuo nell’Adone di Marino, stante l’approccio totalizzante del poema, che ambisce allo statuto di ‘opera mondo’ (allu- do ovviamente al concetto definito e descritto da Moretti 1994) a partire da una ma- teria mitica di fatto relativamente esile. E così non solo l’episodio ovidiano sarà de-

bitamente prolungato con la sua appendice giudiziaria (il processo al cinghiale è in 18.234-241), ma il contesto e la stessa struttura del poema ovidiano vengono costan- temente presupposti in un tentativo di rinnovata sistematicità enciclopedica, che uti- lizza l’istituto dell’esempio per la narrazione digressiva di numerosi miti paralleli (una lunga sequenza in 3.17-97; un’altra occupa quasi per intero il c. 19). Marino si sforza di combinare l’enciclopedismo delle Metamorfosi con strutture desunte da al- tri testi totalizzanti come la Commedia di Dante (il viaggio di Venere e Adone nei primi tre cieli con la guida di Mercurio, cc. 10-11), l’Hypnerotomachia Poliphili e la tradizione spenseriana dei ‘gardens of Adonis’ (la descrizione dei giardini di Venere nei cc. 6-8, di cui diremo meglio in 1.2.3) o l’epica di Ariosto e Tasso (non solo la collocazione stessa degli amori di Venere e Adone in un giardino incantato, ma la duplicazione contrastiva dell’amore positivo della dea contro quello mendace e dia- bolico della strega Falsirena – quest’ultimo punto verrà approfondito nel capitolo 3).

La necessità di ‘colmare le lacune’, di recuperare il senso dell’intero a partire da un retaggio in ultima analisi frammentario scaturisce del resto da un impulso caratte- ristico della visione del mondo protomoderna, che tende a metabolizzare l’eredità del mondo antico cercando disperatamente di attribuirle i contorni di una figura completa, o comunque leggibile al di là dello stato frammentario dei relitti. In qual- che misura, perciò, la tendenza a combinare le fonti poetiche su Adone, compiute in sé ma selettivamente focalizzate su punti diversi del mito, va letta in parallelo rispet- to all’abitudine, diffusa dal Cinquecento all’Ottocento con grande scandalo del rigo- re ‘filologico’ o comunque storicizzante affermatosi in seguito, di ‘ricostruire’ e ‘in- tegrare’ resti parziali e incompleti, rifacendo nasi sbreccati e braccia monche o com- binando, all’occasione, frammenti antichi in origine eterogenei (teste di statue per- dute su busti decapitati – e simili). Questa esigenza è a tal punto sentita nel Rinasci- mento da costituire, oltre che spunto compositivo per i poeti, un buon criterio edito- riale per le antologie. È quello che succede ad esempio con Laissez la verte couleur, meglio noto come Déploration de Vénus sur la mort du bel Adonis, un carme del 1545 di Mellin de Saint-Gelais che espande l’ultima parte dell’episodio ovidiano, con il breve lamento di Venere sul corpo di Adone, combinandolo con una sensibile e originale riscrittura dell’Epitafio di Adone di Bione di Smirne, il cui testo era tor-

nato da poco disponibile in Occidente (sul carme si veda almeno van Orden 2001, specialmente pp. 803-819, e, per gli aspetti connessi alla dinamica dei generi, Fergu- son 2008, pp. 162 sgg.). La Déploration ebbe subito notevole fortuna, al punto da ispirare a sua volta un componimento di Pernette du Guillet, che traspone il famoso ‘processo al cinghiale’ del carme pseudoteocriteo (n. 30 del corpus) nello stesso me- tro della Déploration (quartine di ‘heptasyllabes’ con schema rimico ABAB), presen-

tandosi esplicitamente come una «suite à ladite fable» (cito il testo dall’appendice a Galand-Hallyn 2003, pp. 334-336, qui p. 334). Nelle edizioni cinquecentesche che contengono entrambi i componimenti, l’attribuzione del secondo è per lo più taciuta, e l’air viene fatto passare per una derivazione da un originale spagnolo, un conde claros (un romance, ovvero una ballata narrativa, generalmente popolare, così de- nominata dal titolo di un esemplare archetipico, l’anonimo Romance del conde Cla- ros de Montalván). In tal modo, nonostante la grande differenza di orizzonti poetici dei due testi (messa bene in evidenza dal solo studio comparativo a me noto, la bella analisi di Galand-Hallyn 2003), il lettore è indotto a pensare a una sequenza omoge- nea: segno che l’esigenza di continuità narrativa prevale sulla compiutezza formale e sull’omogeneità della visione poetica.

Beninteso, a fronte della volontà di ricostruire un intero è copiosamente attestata la prassi opposta, che consiste nel mettere al centro di una composizione autonoma un solo segmento del mito. La selezione può essere effettiva, o solo frutto di uno sbilanciamento di accenti (nell’Adonis di La Fontaine, ad esempio, una trattazione più o meno completa è in realtà largamente focalizzata sugli sviluppi ‘epici’ della caccia). La selezione si può concentrare sugli amori (è il caso di buona parte dei balletti), sulla morte (come nell’Adonis di Le Breton, 1579), sull’incoronazione a re di Cipro (come nel dramma di Giulio Antonio Ridolfi, che nel 1633 traspone in mo- do drammatico la materia dei cc. 15-16 dell’Adone), in una varietà di contesti che, come si vede, dipendono spesso dagli archetipi moderni – Ridolfi o Soto de Rojas (1584-1658) da Marino come molti altri da Shakespeare.

Oltre che in termini di espansione, riduzione o combinazione completiva con altre fonti, la narrazione ovidiana viene trattata spesso in modo anche più disinvolto, co- me base per strutture di invenzione liberamente combinate, come nella commedia

mitologica («tragedia», nel frontespizio della prima edizione) di Lope de Vega Ado- nis, y Venus (datata dagli studiosi fra il 1597 e il 1603, ma pubblicata solo nel 1621). In essa la traccia ovidiana viene mantenuta fedelmente (fino al punto di attribuire al mito di Atalanta e Ippomene uno spazio pari a quello della vicenda principale), ma arricchita con numerosi episodi di invenzione originale. La vera trasposizione con- cerne il modo pastorale, entro cui viene declinata la materia tradizionale. Questo de- termina pertanto una nuova ambientazione (passaggio da Cipro in Arcadia), l’inserimento di Adone in una rete sociale di ninfe e pastori, e soprattutto l’accentuazione dello stato d’animo definitorio della pastorale rinascimentale, ovve- ro la ritrosia ai sentimenti seguita dall’improvvisa scoperta di una passione irresisti- bile.

Un discorso a parte merita invece la tendenza alla ‘correzione’ o ‘razionalizza- zione’ narrativa dell’ipotesto, di cui ogni epoca aspira, in modo più o meno consa- pevole, ad accentuare la conformità alla propria poetica o alla propria visione del mondo. Le tendenze più facilmente riconoscibili in tal senso sono inevitabilmente segnate da esigenze di omologazione: razionalizzazione, moralizzazione, eufemi- smo. La prima e la seconda sono responsabili, ad esempio, di uno dei principali scar- ti della tradizione tardoantica e moderna rispetto alla versione ovidiana. Nelle Me- tamorfosi, infatti, la concatenazione causale della morte di Adone è fortemente in- fluenzata dalla logica narrativa del poema, che tende a istituire corrispondenze fra miti anche non direttamente collegati: come osserva Iser (1976), più un testo è sem- plice, più esso dipende dal repertorio, cioè dal codice di riferimento; viceversa, più un testo è complesso e più può permettersi soluzioni autoreferenziali, che creano un repertorio alternativo capace di veicolare al meglio lo specifico ideologico dell’opera. Le Metamorfosi rivelano anche in questo aspetto il proprio statuto di o- pera mondo, come mostra l’eziologia del tutto idiosincratica con cui viene spiegata la morte di Adone nel poema: stando alle parole di Venere (10.552 sgg.), cacciare le bestie feroci espone all’odio di Atalanta e di Ippomene, trasformati in leoni dalla dea per una mancanza rituale e da quel momento a lei ostili. È chiaro quanto una simile spiegazione sia funzionale all’economia narrativa del poema ovidiano – e quanto poco essa si adatti invece a una narrazione del solo mito di Adone. Infatti, con poche

eccezioni (oltre al dramma di Lope, solo la poesia narrativa più vicina all’impianto delle Metamorfosi, come l’epillio di Lodovico Dolce, 1545), il mito di Atalanta spa- risce dalla tradizione moderna di Adone. Nelle fonti greche più antiche la morte di Adone viene infatti spiegata come vendetta di Artemide per la morte del suo favorito Ippolito (Euripide, Ippolito

Adone si sarebbe attirato l’odio di Zeus per aver deflorato una ragazza concupita dal dio. Anche Diana compare sì occasionalmente come nemica di Adone, soprattutto in contesto pastorale, ma per lo più è alleata della gelosia di Marte (come in Vendra- min o in Le Fevre). È quest’ultima che la tradizione moderna del mito accetta come la ‘vera’ causa della morte di Adone, al punto che anche in una esplicita riscrittura ovidiana come Le metamorfosi d’Ovidio di Giovanni Andrea dell’Anguillara (1561, 10.301.1-4) il ‘traduttore’ preferisce scostarsi da Ovidio, privilegiando una notizia tramandata in oscuri luoghi della tradizione antica (le note di Servio a Eneide 5.72 e Bucoliche 10.18 e altri passi tardoantichi e cristiani raccolti da Atallah 1966, p. 73, n. 1), e prontamente ripresa da Ronsard (1564, vv. 125 sgg.) e poi da una pletora di autori, da Adriano Valerini (1578) a Juan de la Cueva (1582), Ettore Martinengo (1614, vv. 1011 sgg.) e molti altri, passando ovviamente per L’Adone di Marino fino a essere ormai luogo comune nella poesia del Sette- e Ottocento (in una rosa che comprende testi delle forme più varie, dal «Ballo eroico pantomimo» di Giuseppe Fabiani, 1769, alla cantata per soli e coro di C. W. Baur, 1815 ca.). Questa improv- visa novità, poi stabilizzata in modo quasi esclusivo, rivela un tratto interessante del- la trasmissione dei miti: su un piano di dinamiche puramente letterarie, infatti, la ge- losia di Marte è preferibile perché più ‘economica’, in quanto funzionale a una tra- smissione isolata del mito (cioè avulsa da un vero e proprio sistema mitologico, nel quale ogni vicenda si interseca o si concatena con altre anche lontane). L’ostilità di cui è oggetto Venere non deve più riferirsi a episodi irrelati, dal momento che essa si lega a una precedente relazione della dea che proprio l’amore per Adone ha interrot- to. Questo vantaggio soddisfa anche l’esigenza di unità dell’azione che fa di Marte il villain più naturale negli adattamenti drammatici. Sul piano della logica gender, i- noltre, mi sembra che questa razionalizzazione sia un chiaro segno di una volontà di rafforzare il punto di vista maschile così evanescente in questo mito: invece di esse- re un semplice ‘giocattolo’ di Afrodite, che altri dei uccidono come l’SS Karl Gün- ther uccise Bruno Schulz per fare dispetto al suo protettore Feliks Landau («Hai uc- ciso il mio giudeo e io ho ucciso il tuo», citato da Ripellino 1970, p. XIX), Adone

acquista grazie a questa variazione del mito lo statuto di un ‘soggetto amoroso’, fi- nalmente degno di ostilità e di punizione personale. Nelle versioni più antiche del

mito la dea è l’unico vero interlocutore e destinatario della vendetta; in questi adat- tamenti sensibili alla dignità virile del ragazzo, come la tragedia di Donneau de Visé (1670), Adone è invece un rivale quasi paritetico, a un passo dal duellare col dio, e a lui Marte rivolge direttamente il suo odio. La gelosia di Marte rende finalmente A- done un personaggio a sé, implicato in eventi che hanno in lui il loro destinatario: per dirla parafrasando Aristofane (Cavalieri 34), Adone riesce finalmente a esistere perché qualcuno lo odia.

La volontà di addomesticare per eufemismo è invece alla base di quelle correzio- ni che tendono a eliminare dal mito di Venere e Adone tutto quanto sia contrario alle aspettative di mediocre letizia decorativa, come la morte, o paia semplicemente tac- ciabile di «immodest[ia]» (Fattiboni, p. 164) – cioè, verrebbe da dire, tutto quanto c’è di interessante in una storia per tanti versi insulsa e monotona come questa (pro- vate a immaginare Romeo & Juliet senza veroni e senza cripte…). Ed ecco che A- done, semplicemente, non muore più, o perché l’opera seleziona un segmento a fina- le aperto della vicenda (come nella serenata di F. M. Paglia per A. Scarlatti Il giar- dino d’amore, 1706) o perché la possibilità di una fine infausta è esplicitamente e- sclusa, come nell’opéra-ballet di Bernard e Rameau (1757) o nell’Adone in Cipro di G. F. Fattiboni (1790), dove addirittura Adone viene alla fine assunto fra gli immor- tali. Nel «Ballo mitologico» Il ritorno di Adone, o sia Anacreonte fra le Grazie, di Jean Dutarque (1824), come osserva giustamente Tomassini 2010, p. 210, n. 8, la «rimozione del dramma e della morte a favore del ritorno ciclico» sembra prefigura- re il successivo interesse per la dimensione agraria e stagionale della figura di Ado- ne. All’occorrenza, infine, quando non si voglia fare a meno di seguire i manuali e Adone debba quindi essere compianto da Venere, si può sempre ricorrere in ex-