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ADONE FRA MITO E RITUALE

1 ADONE: MITO, RITO, TRADIZIONE

1.2 LE TRASFORMAZIONI DEL MITO

1.2.4 ADONE FRA MITO E RITUALE

Il carattere bifronte delle attestazioni adonie nei testi antichi, sospese fin dalle o- rigini tra narrazione mitica e riferimento agli istituti rituali, tende ad attenuarsi nel corso della tradizione – ovviamente per la progressiva scomparsa (sarebbe meglio dire ‘trasformazione’, visto l’assorbimento sincretistico delle feste di Adone nella ritualità del Mediterraneo cristiano) degli eventi sociali legati a quel culto. Cionon- dimeno, i testi moderni continuano in qualche misura a riflettere la stretta associa- zione di Adone con la festa delle Adonie. Questo avviene da un lato per ragioni le- gate alle stesse forme della trasmissione: la sopravvivenza letteraria del mito di A- done deve infatti moltissimo alle versioni poetiche del lamento funebre, il quale pre- suppone implicitamente sempre un contesto rituale, anche quando si tratta di pura stilizzazione letteraria. D’altro canto, talora sono proprio i riti stessi a essere tema- tizzati, con una varietà che corrisponde alla ricchezza delle testimonianze più o me- no articolate note attraverso le fonti antiche.

Naturalmente le feste di Adone rappresentate nei testi moderni sono in genere to- talmente irrelate rispetto alle Adonie ateniesi o alessandrine, che venivano evocate

dai testi letterari in termini di esperienza diretta della realtà quotidiana. Nel contesto postclassico la festa di Adone non è altro che un nucleo tematico di cui possono es- sere riproposti e variati – esattamente come per gli ipotesti letterari in generale – la referenza o la connotazione, con una casistica piuttosto varia. Quando i poeti parnas- siani Leconte de Lisle (1818-1894) o Heredia (1842-1905) si riferiscono al lamento e alla resurrezione di Adone (riferimenti più precisi ai testi in 4.3.2), essi dipendono, in modo diretto o filtrato da studi moderni, dalle informazioni che le fonti antiche, ad esempio Luciano nel De Syria dea, trasmettono sul culto di Adone nel vicino o- riente antico. È la voga dell’orientalismo che fa sentire i suoi effetti, e che spiega l’evoluzione ottocentesca del gusto e la ricerca progressiva di un ritorno alle origini filologiche della conoscenza del mito (esemplare in tal senso il caso della Mission en Phénicie di Ernest Renan, 1864).

Ma l’orientalismo spiega una tendenza generale del gusto, e una parte, ancorché preponderante, delle attestazioni. Altri possono fare a meno di filologia e erudizione, e limitarsi ad attualizzare classici di ben più facile accesso, come ad esempio Meil- hac e Halévy nel libretto per l’operetta di Offenbach La belle Hélène (1864). In quel dramma la festa di Adone costituisce il contesto di buona parte dell’intrigo, ma il ca- rattere mesto proprio di parte delle antiche celebrazioni è completamente sparito per lasciar spazio all’euforia maliziosa che ne costituiva il contraltare: le Adonie sono presentate come momento essenziale del culto di Venere, e solo in tal senso manten- gono una superficiale continuità di referenza con il loro precedente antico. Natural- mente la tematizzazione è conforme allo statuto ipertestuale della Belle Hélène, che è un travestimento burlesco (Genette 1982, pp. 77 sgg.). Di conseguenza, gli atti propriamente rituali dell’ipotesto sono abbassati in termini connotativi e ridotti a fri- voli giochi di società; il nucleo della celebrazione delle Adonie a Sparta, nella scena

XI dell’atto I, è ad esempio una gara di sciarade («Loch», «homme», «hotte»,

«Yves»; soluzione: «locomotive»!), che il pastore Paride è destinato a vincere, per giunta, per volontà di Venere e con l’aiuto non proprio super partes dell’indovino Calcante, che funge da giudice di gara. La leziosità goliardica dell’abbassamento, che nell’operetta investe gli dei dell’Olimpo facendone borghesi ipocriti e gaudenti, e attribuendo maliziosamente alle donne tratti di furberia e impudenza spregiudicata,

mantiene quindi in qualche misura, contrariamente alle apparenze, un legame di pro- fonda sintonia con i modelli, giacché le Adonie della Belle Hélène si possono senz’altro interpretare come la più coerente riproposizione delle Adonie di Aristofa- ne, quali trapelano nella Lisistrata sullo sfondo del discorso del Commissario (vv. 387-396): ΠΡΟΒΟΥΛΟΣ ῏Αρ’ ἐξέλαµψε τῶν γυναικῶν ἡ τρυϕὴ χὠ τυµπανισµὸς χοἰ πυκνοὶ Σαβάζιοι, ὅ τ’ ’Αδωνιασµὸς οὗτος οὑπὶ τῶν τεγῶν, οὗ ᾽γώ ποτ᾽ ὢν ἤκουον ἐν τἠκκλησίᾳ; ῎Ελεγεν ὁ µὴ ὥρασι µὲν Δηµόστρατος πλεῖν εἰς Σικελίαν, ἡ γυνὴ δ' ὀρχουµένη «Αἰαῖ ῎Αδωνιν» ϕησίν. ῾Ο δὲ Δηµόστρατος ἔλεγεν ὁπλίτας καταλέγειν Ζακυνθίων, ἡ δ’ ὑποπεπωκυῖ’ ἡ γυνὴ ᾽πὶ τοῦ τέγους «Κόπτεσθ’ ῎Αδωνιν» ϕησίν.

COMMISSARIO Ecco che imperversa l’orgia delle donne, i impani, le invocazioni a Sa- bazio, i riti di Adone sui tetti. Tutto come già mi è capitato di sentire una volta in assem- blea: Demostrato (Dio lo fulmini) perorava la spedizione in Sicilia, e la moglie danzava invocando Adone. Lui proponeva di arruolare opliti di Zacinto e lei ubriaca, sul tetto, in- tonava le lamentazioni per Adone. (trad. G. Paduano)

Ciò che dunque determina di fatto la continuità tradizionale, in questo caso, non sono tanto i gesti rituali, di cui nel corso dei secoli si è persa l’esperienza, ma l’identica, metastorica associazione tra festa di Venere e licenza femminile, in base alla quale le Adonie sono il più ovvio contesto per l’erotomania che il pregiudizio sessista attribuisce alle donne.

In testi di maggiore ambizione letteraria, le Adonie possono essere evocate natu- ralmente con l’opportuna serietà, anche se non necessariamente con grande esattezza storico-religiosa. In un macchinoso poema drammatico del 1889, Der Meister von

Palmyra, con cui il prolifico (e prolisso) scrittore-drammaturgo-giornalista Adolf Wilbrandt vinse il premio Grillparzer nel 1890, le Adonie sono emblema della vi- cenda eterna delle generazioni umane e, in termini più generali, del tramonto della cultura pagana di fronte al dilagare del cristianesimo: «Also will’s der ewige Zeus: du musst nun/ Niedersteigen unter die blüh’nde Erde,/ Musst die dunkle Persepho- neia küssen,/ Schöner Adonis» («Così vuole l’eterno Zeus: tu devi ora scendere sot- to la florida terra, devi baciare Persefone tenebrosa, Adone bello», p. 137; il metro, ‘barbarico’, è naturalmente la strofe saffica; la versione del mito è quella dello pseu- do-Apollodoro): il canto intonato già una volta in un mondo ancora pagano (la vi- cenda si svolge per uno spazio di più generazioni a partire dalla persecuzione di Diocleziano fino alla morte di Giuliano l’Apostata) viene ora ripetuto nella sparuta cerchia di nostalgici palmireni come speranza in una «Wiedergeburt der alten Zei- ten» («Rinascita dei tempi antichi», p. 128). E infatti la seconda strofe del breve «Liedlein vom Adonis» («piccolo canto di Adone», p. 156) così recita: «Wenn im Lenz dann wieder die Quellen rauschen,/ Aufwärtssteigen wirst du, beweinter Jün- gling,/ Küssest froh die goldene Aphrodite,/ Schöner Adonis!» («Quando poi in primavera nuovamente mormoreranno i ruscelli, risalirai, giovane compianto, e ba- cerai felice l’aurea Afrodite, o Adone bello!», p. 157). Ma anche a quest’opera posso qui solo accennare, benché essa offra spunti cruciali per la comprensione dell’idea di Adone nell’Europa decadente: il protagonista del dramma è infatti un artista di Pal- mira (cui si deve tra l’altro il progetto del locale tempio di Afrodite) che ottiene per incantesimo di essere risparmiato dalla vecchiaia e dalla morte. Il dramma lo con- durrà, attraverso l’esperienza della perdita dei propri cari, a desiderare di essere

Il fatto che nella tradizione Adone sia l’oggetto di un culto storicamente attestato, oltre e prima ancora che il personaggio di un mito letterario, permette di capire come mai anche le risemantizzazioni del personaggio più originali rispetto ai dati delle fonti antiche continuino ad associarlo a contesti rituali. Un esempio in tal senso è fornito da un dramma del 1935, Adonis-Spiel, dove al rito adonio, recuperato in mo- di vagamente storicizzati (la fonte di riferimento è Brugsch 1852), vengono attribuiti nuovi significati nel quadro dello spiritualismo steineriano. L’autore, Albert Steffen, poliedrico artista-filosofo succeduto nel 1925 a Rudolf Steiner alla guida della So- cietà antroposofica internazionale, presenta il dramma come una Herbstesfeier, ov- vero come una celebrazione della fase autunnale del percorso spirituale dell’umanità, cui deve seguire un nuovo inizio a partire dal cuore dell’inverno (ov- viamente in prospettiva antroposofica: «Wo Weisheit Leiden überwinden wird», «Quando la saggezza prevarrà sul dolore», p. 77). Adone è pensato sì come figura solare (p. 14), con esplicita identificazione sincretistica con Odino («Adonis – Odin: Beide Götter eins», «Adone-Odino: due dei e uno solo!», p. 65), ma il suo tratto es- senziale è l’affinità (evidenziata e diffusa da The Golden Bough) col Cristo che ri- sorge (cfr. in particolare p. 58). Le differenze sono molto interessanti: il giovane ‘di- o’ antico appare al termine di una parabola segnata dal perentorio motto di Nie- tzsche («Denn überall ist Gottes Tod zu finden», «Giacché ovunque si può trovare la morte di Dio», p. 15), e la crisi del rituale adonio segna il distacco dagli antichi dei di un’umanità al tempo stesso bestiale e iperrazionale. La statua che concretizza la presenza di Adone nel testo (anche questa una costante dell’immaginario, analizzata in questo studio nel cap. 4) è dunque esplicitamente associata al carattere obsoleto del rito e della fede che lo ispira, e viene per questo fatta a pezzi dai suoi oppositori – finché la comprensione/accettazione del ruolo salvifico del ‘cristianesimo’ antro- posofico non permetterà di recuperare l’essenza della ciclicità dell’Adone antico, fa- cendone l’insegna di una nuova rinascita. Nelle parole del coro che conclude il dramma, «Ziel des Weltenjahres» («scopo dell’anno del mondo») è appunto appro- priarsi di una nuova terra «die noch lichter als die Sonne ist,/ aber dieses schenkt uns nur der Christ.» («che splende più del Sole; ma questo ce lo dà soltanto il Cristo», p. 78). Solo in quel momento appare oltre la montagna la prima luce del giorno «als

schönes Kind» («in forma di bel bambino») a gridare le ultime parole dell’azione: «Adonis lebt!» («Adone è vivo!», ibid.).

Come ho esplicitato nell’Introduzione, questo studio privilegia la fortuna lettera- ria e iconografica di Adone, aprendosi solo sporadicamente ad ambiti diversi. Ciò non toglie che un’indagine non limitata agli aspetti testuali dell’irraggiamento cultu- rale potrebbe esplorare forme di continuità di straordinario interesse in prospettiva demo-antropologica, estendendo lo studio alle forme del sincretismo religioso che ha portato gli antichi riti di Adone ad assumere una nuova fisionomia nel quadro del cristianesimo mediterraneo. Ancora oggi, ad esempio, gli antichi ‘giardini di Adone’ sono attestati, con gli opportuni aggiornamenti, nel folklore cristiano: l’adattamento predominante sembra aver fatto leva sulla fisionomia ‘agraria’ dell’esistenza di A- done, già dagli antichi pensato come dio della vegetazione che muore e ritorna pe- riodicamente. La dinamica circolare del dying god, il dio della vegetazione che muo- re e risorge, viene letta facilmente, nel nuovo contesto, come un correlato simbolico della resurrezione del Cristo. Ecco perché nella maggior parte dei casi i giardinetti di Adone sono stati assorbiti nel quadro delle celebrazioni della Settimana Santa, men- tre nell’antichità le Adonie avevano luogo al sorgere della costellazione del Cane, cioè subito dopo il solstizio estivo. Un passo dei Viceré di De Roberto testimonia l’uso dei ‘giardini di Adone’ nel convento benedettino di San Nicola a Catania (p. 215):

Viceversa poi, nelle grandi solennità religiose, a Natale, a Pasqua, per la festa del San- to Chiodo, tutti prendevano parte alle cerimonie la cui magnificenza sbalordiva la città. Le prime a cui assistette il principino furono quelle della Settimana Santa. Durante un mese la chiesa fu sossopra, per la costruzione del Sepolcro, in fondo alla navata di sini- stra: chiusa da un grande impalcato, con le finestre sbarrate, tutta adorna di candelabri di cristallo splendenti come blocchi di diamanti, e di vasi col grano lasciato crescere al buio perché non prendesse colore, e popolata di statue rappresentanti la Sacra Famiglia e gli Apostoli, era veramente irriconoscibile.

È degno di nota, peraltro, che in contesti particolarmente isolati e arcaici come la Sardegna i moderni eredi dei giardini di Adone (in sardo: ‘nènniri’) mantengono, anche cristianizzati, la loro antica collocazione solstiziale e compaiono pertanto in-

tegrati nel culto di San Giovanni Battista (interessanti testimonianze in Cinus 1981). Benché tutte le celebrazioni moderne siano ormai viziate da una funzionalizzazione turistica o semplicemente spettacolare (in alcuni luoghi della Sardegna la celebra- zione della festa di San Giovanni viene posposta agli inizi di luglio per consentire un maggiore afflusso di villeggianti!), alcuni elementi di fondo restano leggibili, e addi- rittura – inaspettatamente – illuminanti per chi voglia capire meglio anche il senso del culto antico.

La stessa prospettiva sincretistica fra l’antico culto adonio e il successivo mondo di simboli cristiani si può cogliere del resto anche in un’altra importante convergen- za, che emerge soprattutto a livello iconografico: la pittura profana, infatti, già nel Medioevo e poi per l’intera durata dei suoi sviluppi figurativi, interpreta le situazioni dei miti antichi alla luce delle convenzioni espressive disponibili, e si avvale talora, per la rappresentazione del tema mitico del compianto su Adone, di schemi compo- sitivi in stretta sintonia con la rappresentazione della pietà della Madre sul Cristo morto. Si pensi, per fare un esempio tra i tanti possibili, all’incisione di Johann Ul- rich Kraus (1655-1719) che illustra la morte di Adone in Die Verwandlungen des Ovidii in zweyhundert und sechs und zwanzig Kupffern (Augsburg, Kraus, 1694, p. 89, tavola 173, fig. 1): dietro la composizione e le pose non è difficile riconoscere una linea illustre di Pietà che passa per quella del Rosso Fiorentino al Louvre (fig. 2) e risale, almeno per alcuni aspetti, come il gesto delle braccia allargate per l’espressione del dolore, al magistrale archetipo del Compianto di Giotto nella Cap- pella degli Scrovegni. In modo del tutto involontario, perciò, grazie alla semplice consonanza fra dinamiche emotivamente affini, il linguaggio pittorico moderno ri- porta alla luce la dimensione religiosa e sacrale di una situazione mitologica univo- camente classificata fra i temi ‘profani’ – e al tempo stesso rivela le radici orientali e ‘pagane’ di uno dei momenti chiave dell’immaginario cristiano. Anche questo è un tema troppo complesso per poterlo approfondire ora: ci torneremo sopra nel capitolo 4.