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La “rappresentanza nazionale” e il principio del libero mandato.

LA RAPPRESENTANZA POLITICA IN COSTITUZIONE: LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA PARLAMENTARE

2.1. La rappresentanza politica nella Costituzione italiana.

2.1.2. La “rappresentanza nazionale” e il principio del libero mandato.

L’art. 67 Cost., nel prevedere che “Ogni membro del Parlamento rappresenta

la Nazione” si limita a richiamare – sul piano letterale – la classica formulazione

della rappresentanza nazionale propria dei modelli liberali 225, ma il mutamento

di paradigma costituzionale, evidentemente, ha imposto fin da subito una diversa lettura, che fosse frutto di un’interpretazione sistematica che tenesse conto, anzitutto, del principio di sovranità popolare 226.

Un primo punto su cui la dottrina ha avuto modo di discutere all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione riguarda, pertanto, la portata di tale espressione, se cioè essa faccia riferimento al “corpo elettorale” 227 o alla

225 La formulazione, in effetti, sembra riprendere l’art. 41 dello Statuto Albertino, il quale già

disponeva che “I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti”. L’unica differenza sembra essere quella legata alla preoccupazione di sottolineare la valenza nazionale – e non locale – dell’incarico rappresentativo, giustificata dalla conclusione relativamente recente del processo di unificazione nazionale e del superamento della storica frammentazione politica della penisola italiana. D’altra parte, la nuova Costituzione non si discosta da tale principio, salvo inserire un riferimento – cfr. art. 57 Cost., secondo cui “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale” – alla rappresentanza territoriale legata alle circoscrizioni elettorali.

226 Anche in Assemblea costituente, la discussione sul punto fu alquanto celere – cfr. Seduta

del 3 e del 19 settembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. VII, Roma, 1971, p. 895 ss. – in quanto, pur scegliendosi – senza particolari opposizioni – una formulazione classica del principio di rappresentanza nazionale era chiaro che, una volta data cittadinanza al principio di sovranità popolare in Costituzione, non vi era spazio per forme di rappresentanza politica che non dessero piena e concreta applicazione a tale principio.

227 Configura il corpo elettorale più come “organo” funzionale al meccanismo della

“Nazione” in senso proprio 228, ovvero se coincida con la “rappresentanza del

popolo” 229.

È quest’ultima la lettura poi risultata maggioritaria, ritenendosi pertanto che

sovranità popolare nella Costituzione italiana, in Stato Popolo Governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, 1985, p. 115 - 132: “La costruzione più lineare e più strettamente aderente alle esigenze reali della rappresentanza politica, è precisamente quella che colloca il corpo elettorale esternamente allo Stato-soggetto, quale mezzo tecnico attraverso cui il popolo è abilitato a imprimere direttiva e impulso all’azione dello Stato, costituendone addirittura esso stesso (come appunto nel caso delle elezioni) uno o più organi essenziali”. 228 Sul punto cfr. C. M

ORTATI, Art. 67, in Commentario della Costituzione, a cura di G. BRANCA, II, Bologna-Roma, 1986, p. 179-184 e, in particolare, p. 180, secondo cui il riferimento al concetto di “Nazione” “trova la sua spiegazione nel rigetto che si volle fare della concezione democratica rousseauiana (secondo cui il popolo sovrano non poteva avere rappresentanti ma, se mai, solo nunci) e nell’accoglimento invece di quella c.d. liberale del Montesquieu che, negando al popolo la capacità delle decisioni politiche, gli affidava solo la scelta dei ‘notabili’, e riteneva che a questi dovesse essere rilasciata intera determinazione nella condotta degli affari dello stato, senza alcun vincolo con gli elettori, nell’opinione che altrimenti sarebbe stata turbata la visione obiettiva degli interessi generali quali si appuntavano solo sulla nazione”. Sul punto si v. anche C. DE FIORES, Nazione e costituzione, Torino, 2005.

229 Ritiene che nella Costituzione del 1948 il termine “Nazione” stia per “Popolo” G. A MATO, La sovranità popolare nell’ordinamento italiano, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1962, p. 87; da ultimo, C. BOLOGNA, Art. 67, in Commentario breve alla Costituzione, a cura di S. BARTOLE, e R. BIN, Padova, 2008, p. 619, osserva come “Nell’art. 67 della Costituzione

(…) il termine «Nazione» equivale al termine popolo (…): i membri del Parlamento rappresentano il popolo inteso non come entità astratta ma come «vivente collettività degli appartenenti allo Stato”. Sul punto si veda anche P. RIDOLA, Divieto del mandato imperativo e pluralismo politico, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985, vol. II, p. 679 ss. e, in particolare, p. 692 ss.; sulla distinzione tra “Nazione” e “Popolo”, si veda D. NOCILLA, voce Popolo, in Enciclopedia del diritto., XXXIV, Milano, 1985, p. 382, il quale evidenzia come col termine “popolo” si voglia far riferimento al carattere della “pluralità”, laddove il termine “Nazione” rimanda al carattere dell’unità dell’ordinamento e della comunità sociale. Sul dibattito in dottrina intorno all’art. 67 Cost. si rinvia, da ultimo, a C. DE FIORES, Sulla rappresentazione della Nazione. Brevi note sul divieto di mandato imperativo, in Diritto e società, n. 1/2017, p. 19 ss.; Sul punto si v. D. NOCILLA, Il libero mandato parlamentare, in Il Parlamento. Atti del XV Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Padova, 2001, p. 48; N. ZANON, Il libero mandato parlamentare: saggio critico sull’articolo 67 della Costituzione, Milano, 1991, p. 323; R. MORETTI, Art. 67, in V. CRISAFULLI, L. PALADIN, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, p. 409-419; C. MORTATI, Art. 67, op. ult. cit., p. 179 ss.; M. COTTA, Parlamenti e rappresentanza, in Manuale di scienza della politica, a cura di G. PASQUINO, Bologna, 1986;

nell’art. 67 – a differenza che in altre disposizioni della Costituzione 230

“Nazione stia per popolo” e che “usando la parola Nazione si (sarebbe), tutt’al

più, voluto richiamare l’idea che la rappresentanza politica è rappresentanza generale e non di gruppi e interessi sezionali o locali” 231.

A tale forma di rappresentanza, peraltro, la Costituzione ricollega quelle stesse garanzie – e cioè l’esercizio delle funzioni parlamentari “senza vincolo di

mandato” – che nacquero e si svilupparono nel contesto delle Costituzioni

liberali e che costituiscono il “nucleo duro” – sempre valido – del contenuto precettivo dell’art. 67 Cost., secondo una doppia valenza: da un lato, vi è la componente olistica del divieto di mandato imperativo, posto a garanzia dell’autonomia dell’Assemblea nel suo complesso e del ruolo che il Parlamento riveste nell’ordinamento costituzionale 232; dall’altro lato, rimane il profilo – più

risalente – delle garanzie personali del singolo rappresentante, per cui l’assenza di vincolo di mandato sottolinea e concretizza la funzione di rappresentanza generale del parlamentare 233, il quale – non essendo formalmente vincolato ai

propri elettori – rappresenta effettivamente il popolo nella sua totalità: in questo senso, il divieto di mandato imperativo svolge una funzione di tutela sia rispetto alle istanze provenienti dal corpo sociale – lobbies, gruppi economici, centri di

230 Si vedano gli artt. 9, 11, 49, 87, 98 Cost.

231 Così V. C

RISAFULLI, Stato Popolo Governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, 1985, p. 213.

232 Cfr. M. M

AZZIOTTI DI CELSO, Parlamento: Principi generali e funzioni, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXI, Milano, 1981, p. 757-820; A. SAVIGNANO, Il mandato imperativo, Annali della Facoltà giuridica, Camerino, 1970, p. 275 ss.

233 Sottolinea lo stretto rapporto tra rappresentanza nazionale e libero mandato N. ZANON, op. ult. cit., p. 323 ss., secondo cui è possibile cogliere nel precetto costituzionale anche una componente – per così dire – deontologica, nel senso che in capo al singolo parlamentare grava il “dovere” di rappresentare la generalità dei cittadini, senza cadere in particolarismi legati a interessi particolari, ma sapendo far sintesi di questi per perseguire al meglio l’interesse nazionale.

potere, ordinamenti settoriali, istanze territoriali, etc. 234 – sia rispetto

all’appartenenza politica – in particolare, con riferimento alle direttive di partito – garantendo le condizioni essenziali per svolgere liberamente la propria funzione.

E, tuttavia, il contesto politico e sociale è ormai profondamente mutato rispetto all’epoca in cui tali garanzie furono introdotte per la prima volta, non essendovi più i presupposti per una concezione classica del rapporto rappresentativo di matrice liberale – in cui la rappresentanza politica è prerogativa di un elettorato monoclasse ed elitario, che condivide un comune sostrato culturale, politico, religioso – dovendosi trovare nuove formule per tradurre la complessità sociale e ricondurla all’interno delle istituzioni rappresentative e, al tempo stesso, garantire il libero mandato del rappresentante parlamentare.

Tali considerazioni, infatti, riguardano non solo il sistema rappresentativo nel suo complesso, ma anche il modo di intendere il ruolo del rappresentante parlamentare nello svolgimento del suo incarico.

Nello stabilire che ogni parlamentare “esercita le sue funzioni senza vincolo di

mandato”, infatti, l’art. 67 Cost. non può essere interpretato – in maniera

riduttiva – nel senso di tutelare il singolo rappresentate da ogni influenza esterna perché questi, da sé, possa farsi interprete del “comune sentire della Nazione”

235 richiamando, così, una concezione stretta di “rappresentanza come

situazione”, come tale chiusa ermeticamente alle istanze provenienti dal

234 Si noti, peraltro, che le istanze provenienti da tali soggetti – rappresentativi di interessi

particolari ma, pure, rilevanti nella sintesi politica – sono poste su un piano differente rispetto alle indicazioni politiche provenienti dai partiti, il cui ruolo ha specifica valenza costituzionale ex art. 49 Cost.: questi ultimi, infatti, sono chiamati a “proiettare” i bisogni della collettività nelle sedi rappresentative e pertanto, come si vedrà, entrano direttamente nel circuito della rappresentanza politica. Sul punto si veda G. FISICHELLA, Partiti e gruppi di pressione, Bologna, 1972.

235 E infatti, altro è garantire la formazione del libero convincimento del singolo parlamentare,

altro pretendere che ciò debba tradursi in una chiusura ermetica ad ogni istanza proveniente dalla base politica o dal corpo sociale, ritirandosi in una sorta di “templa serena” di Lucreziana memoria (cfr. De rerum natura, II, v. 8).

processo politico, dal corpo sociale e, in definitiva, dal popolo quale “soggetto rappresentato”.

A tale visione si oppongono almeno due elementi – entrambi inclusi espressamente nel nuovo ordinamento costituzionale agli art. 48 e 49 Cost. – consistenti nell’apertura del sistema politico al suffragio universale e nel ruolo di mediazione politica – che è anche mediazione rappresentativa – dei gruppi intermedi e, in particolare, dei partititi politici 236.

In tale contesto, il divieto di mandato imperativo, pertanto, può “conservare un

reale significato ed armonizzarsi con il ruolo della rappresentanza parlamentare in società solcate da profonde divisioni del tessuto sociale e da antagonismi di classe, solo a condizione di superarne un’interpretazione tutta incentrata su di una dimensione individuale, e di ritenere che il precetto costituzionale non faccia riferimento al mero rapporto bilaterale fra elettore ed eletto, ma ad una relazione più complessa, della quale i partiti, ed in generale le forme nelle quali si organizza la partecipazione politica, rappresentano non solamente lo sfondo, ma i principali punti di riferimento” 237.