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Sul rapporto tra rappresentanza ed elezioni.

LA RAPPRESENTANZA POLITICA IN COSTITUZIONE: LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA PARLAMENTARE

2.1. La rappresentanza politica nella Costituzione italiana.

2.1.3. Sul rapporto tra rappresentanza ed elezioni.

Prima di arrivare ad un esame più specifico del ruolo dei partiti nel circuito rappresentativo delle società pluraliste, tuttavia, è necessario soffermarsi sul punto di svolta fondamentale che ha segnato il passaggio verso tale modello di

236 Cfr. E.W. B

ÖCKENFÖRDE, Democrazia e rappresentanza, in Quaderni costituzionali, n. 5,

1984, p. 227-263, in particolare, p. 257.

237 Così P. R

IDOLA, op. ult. cit., p. 680. Come osserva anche G. AZZARITI, Cittadini, partiti e gruppi parlamentari: esiste ancora il divieto del mandato imperativo?, in Partiti politici e società civile a sessant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione: Atti del XXIII Convegno annuale AIC, Alessandria, 17-18 ottobre 2008, Napoli, 2009, p. 177-238, anche in

www.costituzionalismo.it, “Nel momento della scrittura del testo costituzionale fu generale la

percezione che la “libertà” del parlamentare dovesse porsi in un rapporto dialettico e non conflittuale sia con la “sovranità” del popolo (che non poteva però più essere considerato come un’unità omogenea, ma era invece politicamente e socialmente diviso), sia con il ruolo costituzionale che veniva assegnato ai partiti”.

rappresentanza, ovvero l’apertura al suffragio universale ed il collegamento – ontologico, per così dire – tra rappresentanza politica (in senso stretto) ed elezioni.

Il suffragio universale, infatti, non ha comportato esclusivamente l’allargamento della base democratica – che pure influisce sulle dinamiche della rappresentanza politica – ma ha inciso anche qualitativamente sulla natura del rapporto rappresentativo, in quanto, a sua volta, ha rivoluzionato il modo di intendere il rapporto tra rappresentanza politica ed elezioni.

Negli ordinamenti liberali, come visto – a parte i rilievi relativi alle limitazioni censitarie e di genere già accennate – le elezioni politiche svolgevano il ruolo di “selezione” del migliore rappresentante, sicché a prevalere era una concezione “strumentale” dell’elezione come “pubblica funzione” – cioè come passaggio “forzato” per poter esprimere un governo rappresentativo – tanto più che il collocamento della sovranità nell’entità astratta della Nazione – e non nel popolo – faceva del cittadino-elettore, a sua volta, una sorta di “intermediario” tra la Nazione ed i suoi rappresentanti.

Tale legame tra rappresentanza ed elezione, peraltro, non costituiva una componente ineliminabile della rappresentanza di diritto pubblico, in quanto il concetto di rappresentanza – in senso ampio – poteva riferirsi a tutti i detentori di pubblici poteri, anche a prescindere dalla legittimazione elettorale.

Secondo la teoria della c.d. rappresentanza istituzionale 238, infatti, è possibile

parlare di “rappresentanza pubblicistica” anche in assenza di una diretta legittimazione elettorale, come nel caso degli organi non elettivi dello Stato che, in un certo senso, possono dirsi anch’essi “rappresentativi” della Nazione. D’altra parte, non tutti gli organi elettivi rappresentano i loro elettori – si pensi, per tutti, alla figura del Presidente della Repubblica – sicché non esisterebbe un rapporto biunivoco assoluto tra rappresentanza e designazione elettorale.

238 Sul punto cfr. C. E

SPOSITO, La rappresentanza istituzionale, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, vol. I, Padova, 1940; V. ZANGARA, La rappresentanza istituzionale, Padova, Cedam, 1952, p. 292 ss.

L’accesso alle cariche pubbliche, pertanto, ben potrebbe avvenire secondo modalità alternative, quali la nomina fiduciaria – per meriti insigni o per intuitus

personae – la nomina ereditaria, o per cooptazione, o anche per selezione dei

più meritevoli attraverso un concorso pubblico o perfino, come nell’antichità, attraverso elezione a sorte 239.

È indubbio, però, che già in epoca liberale la forma elettorale fosse progressivamente divenuta la modalità “naturale” di selezione del rappresentante investito dell’esercizio di funzioni di carattere – non solo pubblicistico ma eminentemente – “politico” 240, rispetto alle quali si pone

239 Era questo un metodo di attribuzione delle cariche pubbliche utilizzato in alcune città stato

greche – e nella stessa Atene – e finalizzato non tanto a selezionare il “miglior rappresentante” ma, piuttosto, a garantire l’uguaglianza e l’imparzialità della selezione stessa. Sul punto cfr. B. MANIN, Principi del governo rappresentativo, Bologna, 2010, p. 48: “Il fatto che i governi rappresentativi non abbiano mai usato l’estrazione a sorte per attribuire il potere politico mostra che la differenza fra il sistema rappresentativo e quelli «diretti» ha a che fare con il metodo di selezione piuttosto che con il numero limitato di coloro che sono selezionati. Ciò che rende rappresentativo un sistema non è il fatto che a governare siano i pochi, invece del popolo, ma che i governanti siano selezionati solo attraverso elezioni. In secondo luogo, la selezione per estrazione a sorte non era (contrariamente a ciò che talvolta viene affermato persino oggi) una istituzione marginale nella democrazia ateniese. (…) L’estrazione a sorte garantiva a chiunque aspirasse a una carica un’eguale probabilità di esercitare le funzioni che erano svolte da un numero ristretto di cittadini. Anche se non erano in grado di spiegare perché, i fautori della democrazia intuivano che le elezioni non garantivano la stessa eguaglianza”.

240 In questo senso cfr. A. B

ARBERA, op. ult. cit., p. 853: “La funzione rappresentativa non è mai stata legata interamente alla elezione. (...) il mandato rappresentativo, a sua volta, può essere espressione o di una rappresentanza di interessi generali (così per le Camere basse), o di una rappresentanza di interessi territoriali (così molte seconde Camere, il Senato francese o il Bundesrat tedesco formato dai rappresentanti dei governi dei Länder, della cui natura di organo parlamentare, tuttavia, da tempo si discute), o di una rappresentanza di interessi settoriali (le Camere corporative del primo dopoguerra: ad esempio la Camera dei fasci e delle corporazioni dell’Italia fascista; alcune Camere alte in questo dopoguerra: il Senato della Baviera; e, per una parte, il Senato dell’Irlanda). Ma va da sé che esse non possono essere tutte poste sullo stesso piano per ciò che concerne la possibilità di adempiere a una missione «politica», vale a dire – come vedremo – la rappresentanza di interessi generali. Ed è il riferimento alla «politicità» della rappresentanza che ci porta, altresì, a ritenere superate antiche tesi che individuavano un rapporto rappresentativo in altri organi dello Stato (gli apparati dello Stato stesso, i capi di Stato in governi parlamentari, i giudici che giudicano «in nome del popolo» ecc.)”.

l’esigenza del collegamento tra governanti e governati di modo che “la loro

azione risulti tendenzialmente conforme alle effettive esigenze della collettività popolare” 241. In altre parole, la competizione elettorale si era imposta già da

tempo quale strumento di selezione principale – ancorché non esclusivo – del rappresentante parlamentare proprio in virtù dell’affermazione del principio del fondamento rappresentativo del potere politico, cioè del potere volto alla cura degli interessi generali della comunità 242.

Da qui la distinzione tra i due tipi di rappresentanza di diritto pubblico: la prima, relativa all’esercizio di pubbliche funzioni in senso ampio – che, come tale, non richiederebbe, di per sé, uno stringente collegamento politico-elettorale al soggetto rappresentato; la seconda, invece, specificamente riferita all’esercizio delle funzioni politiche da parte dei rappresentanti parlamentari i quali, pertanto, non potrebbero non avere un collegamento con la volontà degli stessi governati, espressa attraverso la competizione elettorale: è soltanto con riferimento a quest’ultimo rapporto rappresentativo che potrebbe parlarsi, in senso proprio, di rappresentanza politica.

Con la Costituzione del 1948 tale impostazione viene sostanzialmente confermata, ma con alcune differenze fondamentali.

In primo luogo, la partecipazione elettorale non è più vista – esclusivamente – in chiave funzionale, ma costituisce un vero e proprio diritto costituzionale del singolo cittadino 243: l’art. 48 Cost., infatti, nel configurare il voto come un

241 Così T. M

ARTINES, op. ult. cit., p. 222. La rappresentanza parlamentare, peraltro, si troverà

in posizione di “primazia” – per così dire – sulle altre forme di rappresentanza – in senso lato – dei pubblici poteri, i quali, in un’ultima istanza, derivano la loro stessa legittimazione dalla rappresentanza – propriamente – “politica” del Parlamento. Tale primazia trova un parallelismo nell’affermazione del principio di legalità e del principio di preferenza di legge.

242 Cfr. G. SARTORI, Democrazia e definizioni, Bologna, 1968, p. 24 ss.

243 Sottolinea il collegamento al principio di cittadinanza A. B

ARBERA, op. ult. cit., p. 865 per cui “Il punto di riferimento della rappresentanza” diviene “il cittadino, a prescindere dalla sua collocazione cetuale, territoriale, professionale, dalla sua appartenenza di genere, nonché dalla sua condizione sociale, culturale, etnica o religiosa. Il principio di cittadinanza è indissolubilmente legato al costituzionalismo liberaldemocratico.

diritto 244 riconosciuto a “tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto

la maggiore età” – comma 1 – al tempo stesso, specifica che “il suo esercizio è dovere civico” – comma 2 – formula di compromesso che in qualche modo

richiama la concezione “funzionale” dell’elezione 245.

In secondo luogo, muta anche il significato dell’elezione nella sua incidenza sul versante del rapporto rappresentativo: in particolare, il momento elettorale non si esaurisce ad essere soltanto una “parentesi isolata” delle vicende istituzionali – tipica della rappresentanza politica liberale come situazione di potere 246 – ma

tende a divenire il momento iniziale di un vero e proprio rapporto di carattere – non certo giuridico, ma piuttosto – politico. Con il proprio voto, infatti, l’elettore non si limita a designare – o a concorrere a designare – il rappresentante, ma esprime il proprio giudizio e la propria preferenza sulle idee politiche di cui il candidato si fa portatore e sulla sua stessa appartenenza partitica 247.

244 Così espressamente l’art. 48, comma 3, Cost.

245 Il riferimento al voto come “obbligo” è definitivamente venuto meno nel 1993,

provvedendosi a qualificarlo come “un diritto di tutti i cittadini, il cui libero esercizio deve essere garantito e promosso dalla Repubblica” (così art. 4, D.P.R. n. 361/1957). Per la ricostruzione del dibattito sulla configurazione del voto come “diritto-dovere” si rinvia a M. RUBECHI, Il diritto di voto. Profili costituzionali e prospettive evolutive, Torino, 2016.

246 La critica è nota e risalente: così già Rousseau contesta al popolo inglese il fatto di non

essere realmente libero, in quanto “lo è soltanto durante l'elezione dei membri del parlamento. Appena questi sono eletti, esso è schiavo, non è nulla. Nei brevi momenti della sua libertà, l'uso che ne fa giustifica davvero che esso la perda” (così J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, op. cit., p. 322). Ne deriva che “il rapporto tra elettori ed eletti si interrompa, dal punto di vista puramente logico, nel momento immediatamente successivo a quello delle elezioni” (così D. NOCILLA, L. CIAURRO, Rappresentanza politica, op. cit., p. 560).

247 Cfr. L. ROSSI, Rappresentanza politica, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti,

Roma, XXVIII, 1935, p. 842-844, in particolare p. 843: “Il fondamento giuridico della rappresentanza implica certo una scelta; ma, d’altro lato, questa non esclude il carattere rappresentativo, perché non si tratta di una scelta dei migliori in senso assoluto e astratto, ma di quelli che l’elettore ritiene politicamente migliori nel senso che meglio incarnano le sue idee, perché seguono un indirizzo politico cui egli aderisce, anche se tecnicamente essi sono peggiori. L’elettore non si fa giudice del merito sostanziale del candidato, ma della bontà

Sotto tale profilo, l’elezione assume la valenza – in un certo senso – di mandato politico conferito dal popolo ai suoi rappresentati – ed alle rispettive forze partitiche – che scaturisce dal “dialogo politico” tra rappresentante e rappresentato: da un lato, infatti, il voto espresso non guarda solo alla persona del candidato ma anche – e soprattutto – alla sua estrazione politica ed al programma di governo del partito di appartenenza; dall’altro lato, il rappresentante, una volta eletto, non si troverà in una posizione di totale autonomia, ma sarà investito della responsabilità politica di portare avanti – per quanto possibile – il programma per il quale è stato votato, e di orientare il proprio mandato in coerenza con le linee politiche espresse in campagna elettorale 248.

Da tale ricostruzione – pur con i suoi limiti 249 ed approssimazioni 250 – emerge

delle idee politiche da lui sostenute e della sua capacità ad attuarle, tanto che tra due candidati, uno di maggior merito, ma che non segue un dato indirizzo politico da lui preferito, l’altro di merito minore, ma che segue tale indirizzo, l’elettore vota per questo. Tale «idem sentire» tra candidato ed elettore forma una figura concomitante e congiunta, dove non si possono scindere le idee e i desideri dell’uno da quelli dell’altro, come vorrebbe la teoria della pura scelta elettorale”.

248 Come osserva T. M

ARTINES,Diritto costituzionale, op. cit., p. 219 “Nei moderni Stati di partiti la scelta degli elettori viene influenzata, però, non soltanto dalle persone dei candidati ma anche dal loro orientamento politico o, più precisamente, dall’orientamento politico del partito al quale esse sono iscritte; ne consegue che il voto espresso da ogni elettore adempie ad una duplice funzione: di designazione all’ufficio dei candidati e di approvazione del programma politico del partito”.

249 In particolare, un’eccessiva esaltazione della componente del rapporto rappresentativo e la

centralità dell’elezione come “fonte” della rappresentanza rischia di mettere in discussione la stessa autonomia dei rappresentanti parlamentari – cristallizzata nel principio del libero mandato di cui all’art. 67 Cost. – e, paradossalmente, il contenuto politico del mandato rappresentativo, che è tale proprio in quanto il singolo parlamentare si fa portatore di interessi generali dell’intera comunità politica, e non solo del suo elettorato. Come già evidenziato nel precedente capitolo, dunque, quella del rapporto rappresentativo è una componente che non può mai essere disgiunta dalla situazione di autonomia del rappresentante, a meno di non voler porsi al di fuori dello stesso concetto di rappresentanza per rientrare, piuttosto, nello schema negoziale della delegazione.

250 Evidenzia l’ineliminabile approssimazione insita nel voler individuare un vero e proprio

come la complessa struttura del modello rappresentativo-elettorale si configuri quale rapporto sì biunivoco ma non più binario: tra il rappresentante ed il rappresentato, infatti, si inserisce un nuovo elemento fondamentale del circuito rappresentativo, il partito politico.