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Abuso collettivo della posizione dominante

2.2. La posizione dominante

2.2.1 Abuso collettivo della posizione dominante

Finora si è dato per scontato che la posizione dominante fosse detenuta da un’unica impresa. In realtà, la normativa di riferimento, vieta lo sfruttamento della posizione dominante “da parte di una o più imprese”, ammettendo di conseguenza anche la configurabilità di una posizione dominante collettiva164 (di seguito anche PDC).

Sebbene i risultati in termini di inefficienza siano i medesimi, la natura della posizione dominante collettiva appare parzialmente differente rispetto a quella individuale. In effetti, se quest’ultima consiste in una “situazione soggettiva statica”, di per se pienamente lecita, la posizione dominante collettiva si manifesta direttamente attraverso un abuso, sostanziandosi in un “parallelismo consapevole” delle condotte di un insieme di imprese165. L’ambito elettivo della PDC può individuarsi principalmente

163 Cfr. G. OLIVIERI, “L’abuso di posizione dominante”, in AA.VV., “Diritto industriale: proprietà intellettuale e concorrenza”, 2009, pag. 453

164 Preliminarmente bisogna chiarire che non sempre, di fronte alla detenzione di una posizione

dominante da parte di una pluralità di soggetti, può applicarsi la disciplina in esame. In effetti, la pluralità richiesta deve avere natura sostanziale, presupposto carente in determinati assetti societari (c.d. gruppi di imprese) laddove è presente una direzione unitaria delle imprese “controllate” da parte di una impresa “controllante”. In questi casi, la posizione dominante sarà attribuita a quest’ultimo soggetto, qualificando il gruppo come un’unica impresa ai fini del diritto antitrust [Ivi, pag. 454]

165 In particolare, oltre a verificare che non si tratti di un parallelismo puramente occasionale, bisognerà

fornire la prova che la relativa convergenza “non costituisse il frutto di autonome scelte imprenditoriali quanto l’espressione di un vero e proprio equilibrio collusivo” [AGCM, Relazione Annuale, 2008, pag. 181]. Si precisa pure che la collusione in essere, sostanziandosi in comportamenti paralleli, può presentare indubbie analogie con la “pratica concordata”, poiché anche in tal caso avremo una concertazione fra imprese pienamente autonome e indipendenti [A. VANZETTI, V. DI CATALDO,

op. cit.]. Il discrimine fra le due fattispecie potrà individuarsi nel modo in cui le imprese coinvolte si

presentano nel mercato di riferimento, determinando un abuso collettivo nel caso in cui si presentino come un’entità collettiva sotto il profilo economico, in grado di tenersi indifferente rispetto alle dinamiche concorrenziali. In mancanza di tale percezione unitaria, parleremo invece di pratica concordata. La differenza fra le due fattispecie non è meramente scolastica, considerando che l’intesa

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nei mercati oligopolistici, laddove il ristretto numero di imprese e l’elevato potere di mercato detenuto da ciascuna di esse rappresentano la condizione ideale in termini di incentivo a colludere166.

Il concetto di posizione dominante collettiva trova applicazione anche con riferimento alla disciplina delle concentrazioni167, anzi, è proprio con

riferimento al controllo di tali pratiche che la giurisprudenza comunitaria168, ha enucleato i tre elementi costitutivi alla presenza dei quali

sarà possibile individuare una posizione dominante collettiva.

In primo luogo è richiesta una sufficiente trasparenza del mercato, ossia la possibilità, per ciascun membro dell’oligopolio di verificare se gli altri membri adottino o meno la stessa linea di azione. In secondo luogo si deve ricercare la presenza di fattori deterrenti rispetto a eventuali deviazioni

potrebbe venire esentata, evenienza radicalmente esclusa nel caso di abuso collettivo di posizione dominante

166 Non a caso, è considerata condizione fondamentale per la PDC la presenza di forti legami di natura

economica tra le imprese. In particolare i legami possono corrispondere alla condizione di interdipendenza economica, ricorrente soprattutto negli oligopoli ristretti, che si traduce in un forte incentivo ad allineare il comportamento sul mercato, ad esempio contingentando le produzioni, per massimizzare il profitto [P. MARCHETTI, L. C: UBERTAZZI, op. cit., pag. 2585]. La collusione in essere, sostanziandosi in comportamenti paralleli, presenta indubbie analogie con la fattispecie di intese “pratica concordata”, poiché anche in tal caso avremo una concertazione fra imprese pienamente autonome e indipendenti [A. VANZETTI, V. DI CATALDO, op. cit.]. Il discrimine fra le due fattispecie potrà individuarsi nel modo in cui le imprese coinvolte si presentano nel mercato di riferimento, determinando un abuso collettivo nel caso in cui si presentino come un’entità collettiva sotto il profilo economico, in grado di tenersi indifferente rispetto alle dinamiche concorrenziali. In mancanza di tale percezione unitaria, parleremo invece di pratica concordata. La differenza fra le due fattispecie non è meramente scolastica, considerando che l’intesa potrebbe venire esentata, evenienza radicalmente esclusa nel caso di abuso collettivo di posizione dominante

167. Differente è la prospettiva dalla quale si dovranno valutare gli elementi costitutivi della PDC: se

nell’abuso di posizione dominante collettiva questi dovranno valutarsi ex post (in quanto si è già verificata la condotta potenzialmente lesiva della concorrenza), riguardo al controllo delle concentrazione l’esame avverrà ex ante, dovendosi valutare anticipatamente gli effetti che la concentrazione sorbirà in relazione alla successiva possibilità di colludere da parte delle imprese rimaste sul mercato [E. MARCHISIO, “Contro l'abuso... della posizione dominante collettiva”, in “Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle

obbligazioni”, 2012, f. 3, pag. 563 – 565]. Un’ulteriore differenza nella valutazione degli elementi attiene

al margine discrezionalità dell’interprete. Questo appare più ridotto nei casi d’abuso, essendo “necessario il riscontro di elementi di natura storica ed oggettiva (quali, ad esempio, la presenza di stretti legami strutturali tra le imprese)” [AGCM, provv. 17131/2007, A357, Tele2/Tim-Vodafone-Wind].

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dalla comune linea d’azione: fattore chiave nel rendere il coordinamento suscettibile di conservarsi nel tempo169. In fine, si fa riferimento alla c.d.

intangibilità dell’equilibrio oligopolistico, consistente nella provare che la reazione dei concorrenti (effettivi e potenziali) nonché dei consumatori non possa mettere in discussione i risultati attesi dalla comune linea d'azione.