• Non ci sono risultati.

La nozione di impresa e i monopoli legal

2.1 Dimensione nazionale e comunitaria della normativa antimonopolistica italiana

2.1.2 La nozione di impresa e i monopoli legal

La disposizione nazionale in tema di abuso di posizione dominante, al pari dell’art. 102 del Trattato FUE, fa riferimento all’impresa come soggetto attivo della condotta abusiva148. In merito alla natura del soggetto

richiamato, la Corte di Giustizia UE ha manifestato un indirizzo profondamente antiformalistico, individuando, con riferimento all’intera normativa antitrust, una nozione di impresa “che abbraccia qualsiasi entità che svolga un’attività economica indipendentemente dal suo status giuridico e dal suo modo di finanziamento”149.

Da ciò si deduce l’impossibilità di ricondurre entro i più ristretti parametri dell’art. 2082 c.c. la figura in questione, posto che vi rientreranno anche coloro che esercitino una professione intellettuale, nonché i relativi Ordini professionali, le federazioni sportive e, più in generale, qualunque ente che pur non svolgendo attività lucrativa risulti impiegato in un’attività economica150.

L’art. 8 della l. 287/90, afferma espressamente l’applicabilità della normativa alle “imprese pubbliche o a prevalente partecipazione statale”, ribadendo l’indifferenza rispetto alla natura pubblica o privata del soggetto in ossequio alla parità di trattamento sancita dai Trattati comunitari151.

Tuttavia, al fine di operare un bilanciamento rispetto a esigenze di natura

148 Una prima perplessità può sorgere in relazione al richiamo ad una figura oggettiva, quale quella

dell’impresa, in luogo di una figura che nel codice civile viene individuata in senso soggettivo, ossia l’imprenditore ex art. 2082.

149 Cfr. CG, sent. 23 aprile 1991, C-41/90, Hofner/Macroton

150 Così, A. VANZETTI, V. DI CATALDO, “Manuale di diritto antitrust”, 2012, pag. 589 – 590; “[…] a

tale riguardo anche la natura giuridica di ente pubblico […] non osta alla qualificazione della stessa quale soggetto rilevante per la normativa in materia di concorrenza […] può essere considerata impresa in quanto entità che esercita un’attività economica […] [AGCM, provv. 3195/1995, A45, SILB/SIAE].

151 All’art. 106 del Trattato FUE (ex art. 86 TCE) è fatto divieto agli Stati di emanare o mantenere “nei

confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi”.

61

pubblicistica, la medesima disposizione prosegue introducendo un rilevante distinguo in ordine a due ulteriori realtà imprenditoriali: le imprese in posizione di monopolio legale e quelle incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale.

Con riguardo a quest’ultima categoria, si prevede l’esenzione dall’applicazione della normativa “per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati”, lasciando conseguentemente all’enforcement antitrust solo le attività esorbitanti152.

La complessità del tema richiamato non consente, in tal sede, una sua approfondita trattazione. Conseguentemente ci si limita a richiamare una problematica solo indirettamente connessa con le “public utilities”, ma dall’indubbia portata in relazione al verificarsi di condotte di sfruttamento: il c.d. processo di liberalizzazione153.

Si fa riferimento alla tendenza, relativamente recente, di abolizione o ridimensionamento di alcuni diritti di esclusiva, in buona parte coincidenti con l’assegnazione di monopoli legali 154 . Questi ultimi trovano

152 Anche in tal caso si ripropone un principio stabilito dai Trattati comunitari, in particolare il principio

ex art. 106, II par., Trattato FUE, in base al quale “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.”

153 Tale processo rappresenta l’abbandono della secolare tradizione dirigista, portando ad una

controtendenza rispetto allo stesso trend caratterizzante i primi anni del dopoguerra. In effetti, a differenza del periodo di complessiva espansione economica nel quale venne emanato lo Sherman Act, il Trattato di Roma viene concepito in un momento difficile, ancora non troppo distante dalla conclusione della guerra. E’ dunque comprensibile che il principale obiettivo fosse quello di sostenere il processo di ricostruzione e rilancio delle economie europee, anche a costo di tollerare una parziale compressione della “concorrenzialità” in favore, ad esempio, dei c.d. campioni nazionali. Non era comunque raro che lo Stato intervenisse, direttamente o mediante agevolazioni di varia natura, per trainare l’economia nazionale. Una delle esigenze era quella di contrastare i colossi d’oltreoceano, ragion per cui spesso si favorì la concentrazione economica nei c.d. campioni nazionali [G. AMATO, op cit.]

154 Precisiamo che in relazione al monopolista legale sussiste nel nostro ordinamento il c.d. “obbligo a

contrarre” ex art. 2597 c.c. Si tratta di un obbligo che trova la propria fonte nell’esigenza di garantire i destinatari del servizio rispetto ad abusi del monopolista, preservando una condizione quanto più possibile simile a quella del mercato concorrenziale. L’esigenza sottesa a tale norma può ricondursi alla pregressa assenza di una normativa antitrust, e l’emanazione di quest’ultima consente di superare il

62

riconoscimento costituzionale nell’art. 43, laddove si riconosce allo Stato il potere di riservare a soggetti pubblici o privati lo svolgimento di determinate attività economiche “che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

In buona sostanza, l’istituzione di un monopolio comporta un’alterazione del mercato, consistente nella sottrazione di taluni settori alla libera interazione delle forze economiche.

La ratio dell’istituto può ricercarsi nell’esigenza di rispondere ai probabili fallimenti del mercato155; eppure, il ricorso inopportuno che di tale

strumento si fece negli anni, diede luogo a significative inefficienze che si sarebbero potute evitare attraverso il ricorso a interventi di differente natura. Per tali ragioni si è promosso, dietro l’egida delle istituzioni comunitarie, un processo di liberalizzazione finalizzato a restituire alle logiche del libero mercato interi settori. Funzionale a tale obiettivo è la loro sottoposizione al controllo di un’Autorità di “regolazione”, il cui fine è promuoverne l’effettivo mutamento della struttura assicurando che l’ingresso della concorrenza potenziale non sia indebitamente impedito dall’ex monopolista156. Se la regolazione persegue i propri obiettivi

attraverso degli interventi ex ante, il diritto antitrust interviene ex post,

problema circa l’estensibilità o meno del suddetto obbligo al monopolista di fatto [P. MARCHETTI, L. C. UBERTAZZI, “Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza”, 2012, pag. 2056 - 2057]

155 Si fa riferimento ai c.d. market failures [vd. par. 1.3.3] e in particolare alla non remuneratività nello

svolgimento di determinate attività economiche. Il verificarsi di tali situazioni in ambiti ritenuti particolarmente sensibili, in ragione della presenza di interessi di natura pubblicistica, può teoricamente giustificare la sottrazione del settore alle regole del libero mercato.

63

agendo parallelamente agli interventi regolatori per garantire l’effettiva apertura dei mercati157.