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Capitolo I L’evoluzione storica delle assicurazioni

5. Le assicurazioni nel mondo contemporaneo (dal XX al XXI secolo)

5.4. Il contesto competitivo di riferimento

5.4.1. Accenni di diritto comunitario: Solvency 0 e Solvency I

A livello europeo, vi era l’esigenza di fornire una linea guida di disciplina del settore assicurativo, che consentisse di omogeneizzare, per quanto possibile, le diverse regolamentazioni nazionali in materia. Con riferimento al mercato assicurativo europeo, il primo passo veniva compiuto dal regime “Solvency 0” introdotto dalle Direttive europee cosiddette di prima generazione (Direttiva n. 73/239/CEE relativa ai rami non vita e Direttiva n. 79/267/CEE relativa ai rami vita) che avevano l’obiettivo di armonizzare il settore assicurativo all’interno dell’Unione europea, autorizzando le imprese di assicurazione con sede legale in uno Stato membro a operare, mediante proprie succursali, agenzie, filiali, in un

altro Stato membro dell’Unione96. L’attività di vigilanza era regolata secondo il

principio home country control, ossia da parte del Paese di origine.

Inoltre, con il regime Solvency 0, si introduceva per la prima volta il concetto di

margine di solvibilità97. Tale impianto normativo richiedeva uno stesso requisito

95 Per approfondimenti, si veda Quintieri B., L’era della globalizzazione, Università di Tor

Vergata, Roma, 1998.

96 A riguardo, si precisa che le imprese di assicurazione potevano operare in uno Stato membro

anche prima del 1973 ma tale attività era soggetta ad autorizzazione da parte dell’Autorità del Paese ospitante.

97 In particolare, la Direttiva relativa ai rami non vita prevedeva che l’impresa di assicurazione

calcolasse un margine minimo di solvibilità in rapporto all'ammontare annuo dei premi o contributi, oppure in rapporto all'onere medio dei sinistri per i tre ultimi esercizi sociali (articolo 16). Invece, la Direttiva relativa ai rami vita prevedeva un margine di solvibilità almeno pari alla somma di tali fattori: i) il 4 % delle riserve matematiche relative alle operazioni dirette e alle accettazioni in riassicurazione, senza deduzione delle cessioni in riassicurazione, moltiplicato per il rapporto esistente nell'ultimo esercizio tra l'importo delle riserve matematiche, previa detrazione delle cessioni in riassicurazione, e l'importo lordo delle riserve matematiche (tale rapporto non poteva in alcun caso essere inferiore all’85%. Si precisa inoltre che le riserve matematiche erano costituite dagli importi stimati che dovevano essere accantonati dall’impresa di assicurazione per far fronte agli obblighi futuri; ii) per i contratti i cui capitali sotto rischio non erano negativi, il numero che corrispondeva ad un'aliquota dello 0,3 % di tali capitali presi a carico dall'impresa di assicurazione era moltiplicato per il rapporto esistente, per l'ultimo esercizio, tra l'importo dei capitali sotto rischio che rimanevano a carico dell'impresa, dopo aver detratto le cessioni e le retrocessioni in riassicurazione, e l'importo dei capitali sotto rischio, senza detrazione della riassicurazione (tale rapporto non poteva in alcun caso essere inferiore al 50%. Le aliquote cambiavano in base alla tipologia dell’assicurazione vita).

patrimoniale per le imprese operanti negli stessi rami, senza tenere conto delle specificità tipiche di ogni business assicurativo.

Le Direttive di seconda generazione (Direttiva 88/357/CEE per i rami non vita e Direttiva n. 90/619/CEE per i rami vita), invece, miravano a istituire il cosiddetto regime di libera prestazione di servizi, in base al quale un’impresa di assicurazione con sede legale in uno Stato membro poteva liberamente operare in un altro Stato membro anche in assenza di una propria succursale. Il regime di vigilanza veniva diversificato in base alla tipologia di rischio coperto; in particolare, per i grandi rischi industriali il controllo rimaneva di competenza del Paese di origine (home country control) mentre, per i contratti relativi alla responsabilità civile auto, il controllo era affidato al Paese in cui si svolgeva l’attività (host country control).

Questi primi interventi normativi non erano destinati a produrre effetti di lungo periodo, posto che le tariffe e i nuovi prodotti continuavano ad essere assoggettate

all’approvazione dell’Autorità di Vigilanza98 e vigeva il cosiddetto home country

control.

Le Direttive di terza generazione (Direttiva 92/49/CEE per i rami non vita e Direttiva 92/96/CEE per i rami vita) segnavano un importante passo avanti per la regolamentazione del settore assicurativo. In particolare, riconoscevano a un’impresa di assicurazione con sede in uno Stato membro la possibilità di operare in altri mercati dell’Unione europea senza richiedere l’autorizzazione all’Autorità di Vigilanza competente su quel mercato, quindi in regime di libertà

di stabilimento oltre a quello di libertà di prestazione99. La vigilanza sull’impresa

veniva esercitata dall’Autorità di Vigilanza dello Stato membro in cui l’impresa di assicurazione aveva la sede (home country control) che consentiva un decentramento della vigilanza a livello nazionale finalizzato a un conseguente allineamento in risposta alla crescente concorrenza. Veniva infine soppresso il controllo tariffario (deregulation) consentendo alle imprese di assicurazione di stabilire discrezionalmente prezzi e tariffe e di immettere sul mercato prodotti senza richiedere preventiva autorizzazione all’Autorità competente.

Tale processo di integrazione comunitaria faceva cambiare il punto di vista della regolamentazione sul settore assicurativo, dapprima incentrata sulla definizione

98 Il controllo tariffario era ben definito in Italia; in altri Paesi europei, quali la Francia, esisteva

un controllo materiale sulle tariffe ma le imprese di assicurazione godevano di una maggiore libertà di azione. Altri Paesi, invece, come l’Inghilterra e l’Olanda, non erano sottoposti a questo tipo di controllo; le locali Autorità di vigilanza erano maggiormente incentrate sulla stabilità finanziaria delle imprese di assicurazione. Si veda Silvestri A., La pianificazione finanziaria nelle imprese di assicurazione, FrancoAngeli, Milano, 2008, p. 19.

99 Tonelli E., Lo scenario assicurativo italiano, Diritto ed economia dell’assicurazione, 2-3,

1992; Corvese C.G., La nuova disciplina dell’assicurazione vita e danni”, Diritto della banca e del mercato finanziario, 2, 1996.

scrupolosa delle caratteristiche tariffarie e di prodotto, successivamente orientata a una visione più ampia dell’attività assicurativa, del suo assetto patrimoniale e finanziario nonché di un adeguato livello di solvibilità interna.

Il regime Solvency 0, tuttavia, non colmava importanti carenze derivanti da una visione asettica dell’impresa di assicurazione e del settore assicurativo. Agli inizi degli anni Novanta l’Insurance Commitee dell’Organisation for European Economic Cooperation avviava un gruppo di lavoro al fine di analizzare possibili miglioramenti e approcci alternativi della normativa al tempo in vigore in ambito assicurativo europeo. Nel 1997 veniva pubblicato il cosiddetto Rapporto

Muller100, che sarebbe diventato il riferimento delle due successive Direttive in

materia. In particolare, venivano pubblicate le Direttive 2002/13/EC per le imprese di assicurazione operanti nei rami non vita e 2002/83/EC per quelle operante nei rami vita che davano origine al cosiddetto regime di vigilanza prudenziale Solvency I.

Rispetto alle Direttive precedenti, Solvency I rafforzava i poteri dell’Autorità di Vigilanza e modificava i margini minimi richiesti, prevedendo il requisito del capitale dinamico. Veniva quindi richiesta una valutazione continua del capitale durante l’attività di impresa e non solo ai fini della redazione del bilancio. Il nuovo regime prevedeva altresì una valutazione prudente delle riserve tecniche, che dovevano essere sufficienti a far fronte agli impegni assunti nei confronti degli assicurati. Tali riserve dovevano essere coperte da adeguate attività dell’impresa di assicurazione. Inoltre, veniva stabilito un requisito patrimoniale minimo denominato margine minimo di solvibilità.

Tale regime, pur rappresentando una forte innovazione per il settore assicurativo rispetto all’assetto precedente, presentava alcuni limiti non trascurabili. In particolare, non erano considerati né valutati i rischi cui l’impresa era esposta sia con riferimento agli attivi di bilancio, in particolare gli investimenti, sia con riguardo ai passivi di bilancio, ossia le riserve tecniche. Inoltre, non teneva conto dei rischi specifici di ogni singola impresa di assicurazione. Infatti, in base all’approccio Solvency I, due imprese di assicurazione rappresentavano un medesimo livello di rischiosità a parità di premi e di sinistri. Invece, come sarà rappresentato con Solvency II, queste due tipologie di imprese possono portare all’interno del proprio business differenti livelli di rischiosità. Inoltre, il regime introdotto dalle Direttive del 2002 non teneva conto delle interconnessioni fra le regole di valutazione delle riserve tecniche, degli attivi a copertura delle stesse e del margine di solvibilità minimo. Infine, Solvency I era orientato a determinare requisiti di tipo quantitativi, tralasciando previsioni normative attinenti all’ambito

100 Müller H., Report: Solvency of Insurance Undertakings, Conference of Insurance Supervisory

del sistema di governo nonché di controllo interno e gestione dei rischi dell’impresa di assicurazione.

La fase di revisione della disciplina Solvency I che avrebbe portato all’introduzione di un nuovo regime di vigilanza prudenziale Solvency II, in vigore dal 1° gennaio 2016, seguiva i lineamenti definiti nell’ambito della cosiddetta Procedura Lamfalussy. In particolare, tale Procedura – in vigore dal 2005, inizialmente applicata al settore mobiliare e poi anche a quello bancario, assicurativo e dei fondi pensione – prevedeva un’articolazione a quattro passaggi di avanzamento con il coinvolgimento delle Autorità politiche e di vigilanza in

modo integrato e omogeneo101.

101 In particolare, al primo livello della Procedura, venivano definiti principi e regole alla base

delle nuove normative, attraverso un processo che prevedeva il coinvolgimento del Parlamento europeo e del Consiglio. Nell’ambito del secondo livello, venivano stabilite, tramite provvedimenti specifici emanati dalla Commissione europea, con il supporto di Comitati tecnici, le disposizioni operative per rendere attuabili i principi stabiliti al livello precedente. A seguire, al terzo livello, era previsto l’intervento di Comitati esperti dei vari settori che coordinavano l’applicazione delle disposizioni regolamentari derivanti dal primo e secondo livello all’interno della legislazione degli Stati Membri, con il supporto delle Autorità nazionali di settore. Con riferimento al secondo e al terzo livello, vi erano i) per il settore assicurativo, l’European Insurances and Pensions Committee (EIOPC) e il Committee of European Insurance and Occupational Pensions Supervisors (CEIOPS), ii) per il settore bancario, l’European Banking Committee (EBC) e il Committee of European Banking Supervisors (CEBS), iii) per il settore finanziario, l’European Securities Committee (ESC) e il Committee of European Securities Regulators (CESR). Il quarto livello era dedicato all’attività di verifica della Commissione europea sull’effettivo recepimento da parte degli Stati membri della regolamentazione comunitaria adottando, laddove necessario, gli opportuni interventi nei casi di non conformità. L’impianto impostato per l’adozione e l’implementazione della regolamentazione finanziaria europea a livello di Stati membri non risultava efficace specialmente per la difficoltà di creare un sistema di regolamentazione omogeneo a livello europeo e in relazione ai diversi settori finanziari. In particolare, la Procedura lasciava ampio margine di discrezionalità alle Autorità di vigilanza nazionali e non consentiva un’azione efficacie da parte dei Comitati operanti al terzo livello non potendo intervenire sulla normativa dettata al primo livello. Al fine di perseguire obiettivi di stabilizzazione ed omogeneità del corpus normativo degli Stati membri, anche attraverso una maggiore coerenza della regolamentazione internazionale e cooperazione tra le Autorità di vigilanza nazionali, venivano rafforzati i poteri di azione dei Comitati del terzo livello. La nuova architettura di vigilanza era organizzata tramite un’entità centrale per la vigilanza macroprudenziale contro il rischio sistemico, l’European Systemic Risk Board (ESRB), e una rete di supervisori finanziari, European System of Financial Supervisors (ESFS) per la vigilanza micropudenziale. Questi ultimi erano Comitati specialistici di terzo livello, trasformati in Autorità con personalità giuridica – European Banking Authority (EBA), European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA), European Securities and Markets Authority (ESMA) – e Autorità di vigilanza nazionali, cui competeva la supervisione delle entità stabilite in ciascun Stato membro.

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