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L’accordo bonario nel Codice De Lise

Il quadro normativo sin qui descritto rappresentava il frutto di un susseguirsi di interventi del legislatore volti al miglioramento della disciplina. Ciò, però, causava non poche difficoltà di coordinamento per l’interprete, il quale doveva orientarsi tra disposizioni contenute in una pluralità di testi normativi anche di diverso rango.

La razionalizzazione ed omogeneizzazione della disciplina in tema di accordo bonario, venne effettuata con il decreto legislativo 163 del 2006, il quale con i ventidue commi del suo art. 240, sostanzialmente, riprese la formulazione dell’art. 31 bis della legge quadro, come modificata dalla legge Merloni quater, fondendola con le previsioni di cui all’art. 149 del d.P.R. n. 554/1999 (di cui l’art.

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256 del d.lgs 163/2006 disponeva la contestuale abrogazione), che in questo modo assumevano rango di fonte primaria.

In questa tappa dell’evoluzione normativa dell’istituto dell’accordo bonario, il legislatore ha, infatti, voluto fare in modo di lasciare alla fonte regolamentare, ovvero il regolamento che sarebbe stato successivamente emanato con il d.P.R n. 207/2010, la sola disciplina per la tenuta dei documenti contabili e, quindi, della fase dell’iscrizione delle riserve, riservando, invece alla fonte primaria la disciplina relativa alla risoluzione in via stragiudiziale delle stesse105. Da una prospettiva generale, si può sinteticamente affermare che il legislatore delegato ha mantenuto la configurazione dell’istituto dell’accordo bonario in termini di strumento consensuale di risoluzione di controversie, confermando, dunque, l’impianto concettuale del precedente quadro normativo. Allo stesso tempo però ha introdotto delle importanti novità.

Ferma restando la considerazione iniziale, ovvero che il legislatore del 2006 ha sostanzialmente ripreso le disposizioni previgenti in materia di accordo bonario, due sono le novità che

105 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G.

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sembrano meritare un approfondimento. Si tratta dell’estensione dell’applicabilità dell’istituto agli appalti di servizi e forniture e della previsione sulla reiterabilità della procedura di accordo bonario.

Sulla prima questione si deve innanzitutto considerare che, originariamente, la procedura di accordo bonario, proprio perché ideata come meccanismo di risoluzione delle riserve, riguardava i soli contratti pubblici di lavori e limitava, sotto il profilo oggettivo, la sua applicabilità ai soli lavori pubblici nei settori ordinari. Il comma 22 dell’art. 240 del d. lgs 163/2006 ha, invece, esteso l’ambito di applicazione oggettivo dell’istituto ai contratti pubblici di lavori nei settori speciali ed ai contratti pubblici di servizi e forniture tanto relativi ai settori ordinari quanto a quelli speciali, facendo in ogni caso salvi i limiti di compatibilità tra le discipline.

L’introduzione di un preventivo tentativo di definizione in sede amministrativa delle contestazioni dell’appaltatore di servizi e forniture, costituente condizione di procedibilità della relativa domanda arbitrale o giudiziale, suscita qualche perplessità.

Come si è osservato nei precedenti capitoli, infatti, per i contratti pubblici di servizi e forniture il regolamento di cui al d. P.R n. 207/2010 non conteneva una regolamentazione che, in relazione

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alla loro esecuzione, specificasse, dettagliatamente e con rigore, i termini e le condizioni per la verbalizzazione nei documenti contabili delle eventuali contestazioni dell’esecutore, analogamente a quanto succedeva, invece, per i lavori pubblici. Il citato regolamento, in verità, si limitava a stabilire che le contestazioni fossero scritte ed esplicite, mentre nessuna decadenza faceva discendere dalla mancata formulazione di contestazioni nei documenti contabili da parte dell’esecutore del contratto.

Ora, la perplessità riguarda l’effettiva natura di condizione di procedibilità del tentativo di accordo bonario rispetto alle contestazioni dell’appaltatore di servizi e forniture. Infatti, non costituendo l’iscrizione della contestazione nei documenti contabili un onere da assolvere a pena di decadenza ne deriva che solo laddove l’esecutore abbia apposto la contestazione negli atti contabili sarà operante la condizione di procedibilità del previo esperimento del tentativo di accordo bonario, in caso contrario mancherebbe una condizione indispensabile per l’avvio della procedura, ovvero la contestazione. Ciò comporta che in quest’ultima ipotesi l’esecutore sarà libero di proporre direttamente la domanda giudiziale o arbitrale per far valere le sue pretese a maggiori compensi, senza la possibilità

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per la pubblica amministrazione di eccepire l’improcedibilità della domanda o la decadenza dal diritto fatto valere.

Nella vigenza di questa disciplina, a nulla valeva evidenziare come si venisse a determinare una, difficilmente comprensibile, disparità di trattamento tra l’esecutore dei lavori e l’esecutore dei servizi e forniture, perché il principio che le decadenze e le condizioni di procedibilità devono essere predeterminati ex lege era ed è da considerarsi prevalente106.

Per quanto riguarda, invece, la previsione sui limiti alla reiterabilità in corso d’opera della procedura dell’accordo bonario, la novità non risiede tanto nell’averli previsti, dato che la legge n. 166/2002, la Merloni quater, aveva già introdotto nel corpo dell’art. 31 bis la previsione in base alla quale la procedura per la definizione dell’accordo bonario poteva essere reiterata una sola volta, ma, piuttosto, nell’aver posto fine a quei problemi di coordinamento tra

106 Come già visto nei precedenti capitoli, il decreto ministeriale n. 49/2018,

uno dei molteplici atti di esecuzione del nuovo Codice dei contratti pubblici, in relazione agli appalti di servizi e forniture, all’art. 21, rimette alle singole stazioni appaltanti la determinazione mediante i capitolati d’appalto della disciplina sulla gestione di riserve e contestazioni dell’esecutore di servizi e forniture. Pertanto, le considerazioni qui svolte possono valere anche nell’ambito del nuovo contesto normativo, laddove le singole stazioni appaltanti nel disciplinare tali aspetti si rifacciano alla disciplina previgente.

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normativa di rango primario e quella di rango regolamentare, che si poneva nella vigenza del precedente quadro normativo.

La previsione di cui all’art. 31 bis, come modificato dalla legge 166/2002 (la cui ratio consisteva nel limitare la proliferazione delle procedure di accordo bonario, che rappresentavano fonte di rilevanti oneri economici per la pubblica amministrazione, i quali oneri, peraltro, sarebbero aumentati a seguito dell’introduzione della previsione sull’affidamento della redazione della proposta di accordo ad una commissione di tre membri, invece che al solo responsabile del procedimento) mal si conciliava con quella dell’art. 149, 7° comma, del d.P.R n. 554/1999, secondo cui, invece, la procedura di accordo bonario poteva essere attivata tutte le volte che le riserve iscritte dall’esecutore, nuove ed ulteriori rispetto a quelle già esaminate, avessero raggiunto nuovamente l’importo stabilito dalla legge.

A fronte di tale situazione, secondo alcuni107, la previsione di cui all’art. 149, 7° comma del d.P.R n. 554/1999 doveva considerarsi

107 R. De Nictolis, L’accordo bonario, in F. Caringella e G. De Marzo, La

nuova disciplina dei lavori pubblici. Dalla legge quadro alla Merloni quater. Le norme speciali e la nuova potestà regionale, Milano, 2003, p. 1665, il quale tra l’altro, sollevava anche il dubbio sulla possibilità che il limite di una sola reiterazione riguardasse le stesse riserve per le quali si fosse già tentato un

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abrogata dalla nuova formulazione dell’art. 31 bis della legge quadro, che quindi doveva essere letta nel senso che in corso d’opera la procedura di accordo bonario potesse essere attivato solo due volte. Secondo altri108, bisognava operare una lettura delle due norme in combinato disposto, ricavandone che il limite di una sola reiterazione riguardava le stesse riserve per le quali si fosse già tentato un accordo, poi non andato a buon fine, mentre per le riserve nuove ed ulteriori rispetto a quelle già esaminate con il primo tentativo la procedura si sarebbe potuta attivare tutte le volte in cui tali riserve avessero raggiunto il valore del dieci per cento dell’importo contrattuale.

Di fronte a questi dubbi interpretativi, il legislatore del 2006, nell’accorpare ed abrogare le due disposizioni previgenti, ha innanzitutto optato per la prima lettura, ed ha poi utilizzato una formulazione più chiara che non lasciava spazio ad incertezze applicative. Il 2° comma dell’art. 240 del d.lgs 163/2006 prevedeva, infatti che: “tali procedimenti riguardano tutte le riserve iscritte fino

accordo, poi non andato a buon fine, invece che le riserve nuove ed ulteriori rispetto a quelle già esaminate con il primo tentativo.

108 A. Manzi, Commento all’art. 31 bis della legge n. 109 del 1994, in AA.VV.,

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al momento del loro avvio, e possono essere reiterati una sola volta quando le riserve iscritte, ulteriori e diverse rispetto a quelle già esaminate, raggiungano l’importo di cui al comma 1”.

A questo punto, volendo riassumere, il previgente codice dei contratti pubblici, di cui al d. lgs. n. 163/2006, predisponvae una procedura di accordo bonario la cui attivazione era subordinata all’esistenza di una serie di presupposti positivi e negativi. I presupposti positivi erano costituiti in primo luogo, dalla necessità della perdurante vigenza del rapporto contrattuale, dato che la definizione bonaria riguardava soltanto quelle contestazioni aventi la forma delle riserve e non anche le controversie economiche derivanti dalla risoluzione del contratto109. In secondo luogo dalla necessità che il valore economico delle riserve raggiungesse un ammontare pari al dieci per cento dell’importo contrattuale110, fatto salvo il caso

109 La risoluzione del contratto, infatti, come osservato da G. Martini, Le

Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala (a cura di), op. cit., p. 1400, comporta la cessazione delle obbligazioni contrattuali dei

contraenti, e quindi anche dell’onere dell’esecutore di iscrivere riserve a pena di decadenza dal diritto di far valere le sue pretese ad un maggior corrispettivo.

110 Sul punto, sempre G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V.

Domenichelli e G. Sala (a cura di), op. cit., p.1403, evidenzia come tale requisito assumesse una connotazione diversa a seconda che l’appalto concernesse lavori o servizi e forniture. Nel primo caso, infatti, la soglia minima del dieci per cento doveva calcolarsi in base all’importo contrattuale originario, mentre nel secondo caso al valore contrattuale originario andavano

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in cui la procedura dovesse aver luogo dopo le operazioni di collaudo, in quanto in quel caso, ex art. 240, 6° e 14° comma, essa si sarebbe svolta indipendentemente dall’importo economico delle riserve da definirsi.

I presupposti negativi, invece, erano proprio quelli ricavabili dal comma 2 dell’art. 240, ovvero: che la procedura non si fosse già svolta due volte, e che, trattandosi del secondo ed ultimo tentativo possibile di giungere ad un accordo bonario, tale tentativo avesse ad oggetto riserve che, oltre a dover raggiungere l’importo minimo di cui si è già detto, sotto il profilo della causa petendi fossero diverse da quelle già esaminate con il primo procedimento.

4. L’accordo bonario nel nuovo Codice dei contratti pubblici: