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La legge Merloni bis e l’introduzione dell’accordo

Sulla base della ratio sottostante al tentativo di conciliazione, ad un anno dalla sua istituzione, l’art. 9 del d.l. n. 101/1995, convertito con modifiche nella l. n. 216/1995, la cosiddetta legge Merloni bis, introdusse l’art. 31 bis nel corpo della legge quadro sui lavori pubblici. La disposizione disciplinava l’istituto che avrebbe sostituito quello del tentativo di conciliazione, ovvero l’istituto dell’accordo bonario. Nello specifico l’art. 31 bis prevedeva che, qualora, a seguito dell’iscrizione di riserve sui documenti contabili, l’importo economico dell’opera avesse potuto subire una variazione in misura sostanziale ed in ogni caso non inferiore al 10 per cento dell’importo contrattuale, il responsabile del procedimento avrebbe dovuto acquisire immediatamente la relazione riservata del direttore

98 G. Martini, Le riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

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dei lavori e, ove costituito, dell’organo di collaudo e, sentito l’affidatario, formulare all’amministrazione, entro novanta giorni dall’apposizione dell’ultima delle riserve, proposta motivata di accordo bonario. L’amministrazione, entro sessanta giorni dalla proposta, avrebbe dovuto deliberare in merito con provvedimento motivato ed il verbale di accordo bonario avrebbe dovuto essere sottoscritto dall’affidatario.

Similmente a quanto avveniva con la risoluzione in via amministrativa, si costruì una procedura il cui espletamento costituiva condizione per la procedibilità dell’azione giudiziale o arbitrale. Allo stesso tempo, però, il procedimento di accordo bonario si discostava dal precedente istituto per la sua natura di strumento consensuale di definizione delle riserve fondato sul contraddittorio con l’esecutore99. Non, dunque, un procedimento in cui la determinazione veniva assunta in via unilaterale e in cui nessuna voce in capitolo veniva riconosciuta al destinatario di quella determinazione.

99 G. Martini, Le riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

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Analogamente, invece, al tentativo di conciliazione obbligatoria si superava la necessità di attendere l’approvazione del collaudo per la proponibilità delle controversie, ma, a differenza di quanto avveniva con l’art. 32 della l.109/1994, l’art. 31 bis si preoccupava di definire nel dettaglio le modalità di espletamento del procedimento di accordo bonario, in modo tale che questo potesse trovare effettiva applicazione e non dipendere dalla discrezionalità della pubblica amministrazione.

Il novello istituto dell’accordo bonario, però, in questa sua formulazione originaria presentava degli aspetti di criticità più che altro di natura applicativa.

In primo luogo si criticava il fatto che la gestione del procedimento e la formulazione della proposta di accordo venisse affidata ad un soggetto interno della pubblica amministrazione, qual era il responsabile del procedimento, che quindi non poteva soddisfare i requisiti di neutralità e imparzialità che generalmente vengono richiesti al soggetto che gestisce un negoziato.

In secondo luogo, l’aver subordinato l’attivazione della procedura al raggiungimento di una determinata soglia di valore comportava due ordini di problemi. Innanzitutto avrebbe potuto

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indurre i contraenti privati ad eludere il sistema, iscrivendo riserve per importi superiori a quelle affettive affinché, raggiunto il valore minimo richiesto, si attivasse la procedura100.

In secondo luogo, non veniva chiarito cosa sarebbe successo a quelle riserve il cui valore non avesse raggiunto quel dieci per cento dell’importo contrattuale. La soluzione che sul punto venne, in un primo momento, offerta dalla dottrina consisteva nel ricondurre tali ipotesi nel campo applicativo della risoluzione in via amministrativa delle riserve, istituto che non doveva ritenersi implicitamente abrogato dalla nuova normativa, posto che esso non si presentava come radicalmente incompatibile con la nuova disciplina. Anzi si riteneva che i due istituti fossero tra loro legati da un rapporto di alternatività e concorrenza, ovvero sussistendone i presupposti doveva farsi luogo al procedimento di accordo bonario, in caso contrario, alla risoluzione in via amministrativa101.

Tale interpretazione dovette però essere abbandonata con l’emanazione della cosiddetta legge Merloni ter, ovvero la l. n.

100 R. De Nictolis, R. Garofoli e N. Lipari, Commento all’art. 31 bis, in F.

Caringella (a cura di), La nuova legge quadro sui lavori pubblici, Milano, IPSOA, 1998, p. 973 e ss.

101 E. Sticchi Damiani, La definizione consensuale delle riserve, in R. Villata (a

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415/1998, la quale stabilì espressamente l’abrogazione delle disposizioni del capitolato generale di cui al d.P.R. n. 1062/1963102, in cui era contenuta la disciplina della risoluzione in via amministrativa delle riserve. Per queste ultime, a questo punto, qualora non avessero raggiunto la sopracitata soglia minima, si riteneva che l’esecutore avrebbe potuto immediatamente proporre domanda giudiziale o arbitrale.

Un altro aspetto critico era rappresentato dalla mancata specificazione sulla possibilità, da un lato, della pubblica amministrazione di discostarsi dalla proposta di accordo formulata dal responsabile del procedimento, dall’altro lato, dell’appaltatore di rifiutare la determinazione della stazione appaltante, nonostante avesse precedentemente (durante l’audizione dell’esecutore che il responsabile del procedimento doveva effettuare, come espressamente impostogli dall’art. 31 bis) assentito alla proposta formulatagli dal responsabile del procedimento.

102 Tale abrogazione avrebbe cominciato ad operare a partire dall’entrata in

vigore del successivo regolamento che venne effettivamente approvato con il d.P.R. n. 554/1993 recante, appunto, il Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni.

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Con l’emanazione del regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici di cui al d.P.R. n. 554/1999 venne data risposta ad alcuni dei summenzionati aspetti problematici. L’art. 149 di tale regolamento, da un lato, introducendo un preventivo vaglio sull’ammissibilità e non manifesta infondatezza delle riserve, tentava di risolvere il problema della possibile quantificazione elusoria da parte dell’esecutore. Dall’altro lato, la stessa disposizione, prevedendo nel 4° comma che il responsabile del procedimento avrebbe convocato le parti per la sottoscrizione del verbale solo nel caso in cui l’esecutore avesse aderito alla soluzione bonaria avanzata dalla committente, lasciava chiaramente intendere che l’esecutore non avrebbe dovuto considerarsi obbligato ad accettarla neanche qualora avesse assentito alla proposta formulatagli, durante la sua audizione, dal responsabile del procedimento.

Andando avanti nell’esame dell’evoluzione normativa dell’istituto dell’accordo bonario, deve essere evidenziato come con l’approvazione del Capitolato Generale, di cui al decreto ministeriale n. 145/2000, sia stato compiuto una sorta di passo indietro. Il suo art. 32, infatti, ripristinava di fatto l’istituto della risoluzione in via

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amministrativa delle riserve103 non definibili mediante il procedimento di accordo bonario perché di importo inferiore alla soglia minima stabilita ex lege. La procedibilità in sede arbitrale della domanda avente ad oggetto tali riserve venne, infatti, subordinata al previo espletamento di un meccanismo di risoluzione interno alla stazione appaltante che si caratterizzava per il fatto che si sarebbe dovuto svolgere dopo le operazioni di collaudo e per il fatto che la determinazione sarebbe stata assunta unilateralmente dalla pubblica amministrazione.

Altri elementi di novità vennero introdotti nell’art. 31 bis della legge quadro sui lavori pubblici dalla cosiddetta legge Merloni quater, ovvero la l. n. 166/2002.

Innanzitutto con l’art. 7, comma 1, lett. u), si introdusse, al 1° comma dell’art. 31 bis della legge quadro, l’obbligo per il responsabile del procedimento di attivare la procedura di accordo bonario, indipendentemente dall’importo economico delle riserve, al ricevimento del certificato di collaudo o di regolare esecuzione. In

103 In tal senso, G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V.

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questo modo l’istituto non avrebbe operato più soltanto come tentativo di definizione delle riserve in corso d’opera.

In secondo luogo, si diede soluzione alla critica relativa all’affidamento della formulazione della proposta di accordo bonario ad un soggetto, il responsabile del procedimento, che non soddisfaceva i requisiti di neutralità ed imparzialità, trattandosi di un soggetto che, in quanto interno alla pubblica amministrazione, era portatore di interessi di parte. Ebbene, con la Merloni quater la formulazione della proposta di accordo venne affidata ad una apposita commissione che, in base al comma 1 bis del novellato art. 31 bis della legge quadro, sarebbe stata composta da tre componenti in possesso di specifica idoneità, designati, rispettivamente, il primo dal responsabile del procedimento, il secondo dall’impresa appaltatrice ed il terzo, di comune accordo, dai componenti già designati o, mancando l’accordo, dal presidente del tribunale del luogo dove era stato stipulato il contratto. Data la sua particolare composizione, questo organo appariva sicuramente più neutrale del responsabile del procedimento104. Quest’ultimo, però, poiché, ex art.

104 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G.

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31 bis, comma 1 quater della legge quadro come modificata dalla l. 166/2002, per gli appalti di valore inferiore ai dieci milioni di euro la costituzione della commissione era prevista come facoltativa, sarebbe ritornato ad essere il soggetto incaricato a formulare l’ipotesi di accordo nel caso in cui si fosse deciso di non formare la commissione.