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Tempi e modalità di esplicazione delle riserve

Tra i criteri sopra menzionati di individuazione degli atti dell’appalto idonei a ricevere le riserve uno assume una doppia rilevanza, in quanto rileva anche rispetto al tempus di insorgenza dell’onere di iscrizione delle riserve. Si tratta del criterio in base al quale è necessario che dall’atto dell’appalto traspaia il fatto causativo del pregiudizio per l’appaltatore.

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Come si è già anticipato, in base all’art. 191, 2° comma del d.P.R. n. 207/2010, l’esecutore deve iscrivere riserva nel primo atto successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio ed inoltre nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole. Vi è, però, da rilevare come non sempre un fatto pregiudizievole manifesti direttamente la propria portata lesiva, così come non sempre i suoi effetti si esauriscono in un tempo tanto contenuto da potersi, il fatto, dire istantaneo. Si pensi ai fatti continuativi72, come ad esempio la sospensione dei lavori, con i quali la situazione dannosa si protrae nel tempo, rendendo, pertanto, difficoltoso l’individuazione del dies a quo dell’insorgenza dell’onere dell’appaltatore.

Ecco, dunque, che ancora una volta sono il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto e la ratio dell’istituto della riserva ad indurre a ritenere preferibile collegare il momento di insorgenza dell’onere a quello in cui i fatti posti a fondamento della riserva

72 I fatti continuativi vengono definiti come “quei fatti che, prodotti da una causa

costante che si protrae nel tempo o da una serie causale che si ripete con identiche modalità, non esercitano una immediata rilevanza sul costo di esecuzione dei lavori se non in forza della permanenza dei loro effetti o della loro reiterazione”. Cass., sent. 6 aprile 1982, n. 2102, in Arch. Giur. oo. pp., 1982, p. 83.

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manifestano concretamente la loro dannosità, da valutarsi secondo criteri oggettivi e di media diligenza73. Va da sé che affidarsi a clausole di condotta generali quali quelle della buona fede e della diligenza significa lasciare un ampio spazio all’interprete nella soluzione dei singoli casi concreti e, di conseguenza, rinunciare in parte al valore della certezza del diritto.

La soluzione di legare l’insorgere dell’onere di iscrivere riserva al momento in cui si manifesta la portata dannosa del fatto pregiudizievole è stata quella inizialmente accolta da dottrina e giurisprudenza in relazione ai fatti continuativi. In realtà, però, i fatti continuativi non rappresentano un’eccezione al generale onere di riserva, semmai, al contrario, una sua applicazione specifica, quando la fonte del pregiudizio per l’esecutore sia di natura durevole nel tempo74. Ugualmente ad un fatto istantaneo, infatti, anche un fatto continuativo può dirsi sussistente, non tanto ontologicamente, quanto piuttosto in relazione all’onere della riserva, solo quando esso

73 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

(a cura di), op. cit., p. 1354 e 1355; G. Elmosi e M. Rotondi, L’appalto di opere pubbliche, op. cit., p. 642. Secondo questi autori, inoltre, la valutazione sulla tempestività della riserva va condotta ex ante, ovvero in relazione al momento in cui l’esecutore avrebbe potuto avere percezione dell’aumento del costo dei lavori.

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manifesti un pregiudizio obiettivamente apprezzabile per l’esecutore; prima di allora viene a mancare l’incidenza, istantanea o continuativa, sui costi di esecuzione dell’opera da cui dipende il sorgere dell’onere75.

Una volta stabilito in che termini l’esecutore è onerato di apporre le riserve nel primo atto idoneo dell’appalto e nel registro di contabilità, bisogna analizzare la successiva iscrizione delle medesime nel conto finale.

La funzione riassuntiva svolta da questo documento contabile, mediante il quale la stazione appaltante determina il consuntivo del corrispettivo che ritiene sia dovuto all’esecutore, determina la necessità che anche quest’ultimo, al momento della firma del documento, determini il consuntivo di tutte le contestazioni fino a quel momento avanzate. Ecco perché l’art. 201, 2° comma del d.P.R. n. 207/2010 (art. 14, 1° comma lett. e del decreto ministeriae n. 49/2018) gli impone di confermare le riserve apposte al registro di

75 Bisogna precisare che la decadenza, in cui sia incorso l’esecutore per aver

iscritto riserva per un fatto continuativo in un momento successivo rispetto all’emergere del pregiudizio obiettivamente percepibile, colpisce solo le pretese economiche ad un maggior corrispettivo su di esso fondate che si riferiscano al periodo di contabilizzazione anteriore al momento dell’iscrizione della riserva tardiva, mentre la decadenza deve considerarsi evitata dalla data di apposizione della riserva in poi.

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contabilità, le quali, in caso contrario, vengono considerate abbandonate ed il conto finale definitivamente accettato.

Le domande che possono essere iscritte nel conto finale sono solo quelle relative alle riserve già apposte nel registro di contabilità, le quali, essendo stato evitato il primo meccanismo di decadenza, in sede di conto finale possono solo essere aggiornate, mentre è vitata la proposizione di domande per oggetto o per importo diverso da quelle formulate nel registro di contabilità nel corso dei lavori (art. 201). Tuttavia questo divieto, come tradizionalmente affermato, avendo il solo scopo di mantenere ferme le decadenze già maturate, non si estende alla proposizione di ogni altra domanda76. Sul conto finale, infatti, possono trovare spazio anche quelle riserve inerenti a fatti intervenuti dopo la chiusura del registro di contabilità, ovvero risultanti per la prima volta dal conto finale stesso77, il quale quindi rappresenta il primo atto dell’appalto idoneo a riceverle.

Vengono, generalmente, ricondotte a questa categoria di fatti le penali per i ritardi nell’ultimazione dei lavori, le quali, ex art. 145, 6° comma del d.P.R. n. 207/2010, vengono applicate dal RUP in sede

76 A. Cianflone e G. Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, op. cit., p. 1289. 77 A. Cianflone e G. Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, op. cit., p. 1275

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di conto finale. Ecco, dunque, che solo al momento della sottoscrizione del documento in questione l’appaltatore può avere contezza del fatto che l’amministrazione ha intenzione di riconoscergli un corrispettivo inferiore a quello previsto dal contratto, e solo allora, di conseguenza, qualora voglia contestare i presupposti per l’applicazione di tali penali, sorge l’onere di apposizione della riserva.

A questo punto, rimangono da esaminare quelle riserve per le quali il momento di insorgenza dell’onere è quello della sottoscrizione del certificato di collaudo. L’art. 233, 1° comma del d.P.R. n. 207/2010, peraltro ancora in vigore come tutte le norme del titolo sul collaudo, stabilisce che all’atto della sottoscrizione di tale certificato l’appaltatore deve apporre, a pena di decadenza, se ritiene di averne titolo, le richieste che ritiene opportune, rispetto alle operazioni di collaudo.

In linea teorica, la decadenza dovrebbe colpire, nel caso di mancato assolvimento dell’onere di iscrizione, le pretese di maggior corrispettivo che l’appaltatore ritiene dipendenti dalle specifiche risultanze del collaudo, mentre non dovrebbe interessare le domande per le quali siano già state apposte negli atti dell’appalto idonei le

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relative riserve. Sennonché in dottrina78 si sostiene che, dal momento che gli esiti del collaudo possono determinare una modifica alla precedente contabilità, l’appaltatore, a pena di decadenza, sarebbe tenuto, mediante iscrizione di riserva nel certificato di collaudo, a disconoscere la nuova e diversa posizione assunta dalla stazione appaltante in relazione ai dati contabili che egli aveva già contestato apponendo riserva nel registro di contabilità e nel conto finale.

Ciò significa che i meccanismi di iscrizione delle riserve pre e post collaudo sono tra loro in parte autonomi, nel senso che le riserve già iscritte nel registro di contabilità e nel conto finale dovranno essere riconfermate sul certificato di collaudo solo se e nella misura in cui gli esiti del collaudo abbiano modificato le precedenti registrazioni contabili, sulle quali l’appaltatore aveva fondato le sue pretese in corso d’opera79.

Passando, adesso, all’analisi delle modalità di esplicazione delle riserve, l’art. 191, 3° comma del regolamento di cui al d.P.R. n. 207/2010 prevede che queste debbano: “essere formulate in modo

78 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

(a cura di), op. cit., p.1364 e 1365.

79 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

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specifico ed indicare con precisione le ragioni sulle quali esse si fondano” ed inoltre “a pena di inammissibilità la precisa quantificazione delle somme che l’appaltatore ritiene gli siano dovute”; il 4° comma dello stesso articolo aggiunge poi che la quantificazione deve effettuarsi “in via definitiva, senza possibilità di successive integrazioni o incrementi rispetto all’importo scritto”.

Detto in altri termini, la norma impone all’appaltatore di indicare con chiarezza i petita e le cause petendi della riserva, la quale, in quanto dichiarazione negoziale che condiziona l’accettazione implicata dalla sottoscrizione dei documenti contabili da parte dell’esecutore, ha carattere relativo, e cioè “ il disaccordo riguarda i soli fatti contestati, mentre implica accettazione di tutto il resto”80. Dunque, l’esecutore deve, a pena di inammissibilità della riserva e di improponibiltà della eventuale successiva domanda giudiziale o arbitrale, specificare, per ogni pretesa avanzata, le ragioni su cui si fonda la richiesta ed il suo preciso ammontare. Del resto l’art. 205, 2° comma del nuovo Codice di cui al d.lgs 50/2016, che ricalca quanto previsto dall’art. 240 bis, 1° comma del vecchio

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codice81, stabilisce espressamente che: “ le domande che fanno valere pretese già oggetto di riserva non possono essere proposte per importi maggiori rispetto a quelli quantificati nelle riserve stesse”.

Sempre l’art. 205, 2° comma del nuovo Codice stabilisce un ulteriore limite alla proponibilità delle domande che in sede contenziosa fanno valere pretese oggetto di riserva. Si prescrive che: “non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali che sono stati oggetto di verifica ai sensi dell’art. 26.”

Si tratta di una previsione che, seppur finalizzata a contenere la spesa delle Amministrazioni committenti, non può dirsi molto ragionevole. In questo modo, infatti, l’appaltatore, allo scopo di prevenire l’eventuale sua successiva pretesa per i maggiori costi derivanti da carenze dei progetti, è costretto ad operare un’attenta verifica sulla correttezza degli stessi. Insomma, si pone in capo all’esecutore l’onere di effettuare una verifica che, in realtà, spetterebbe alla stazione appaltante. L’art. 26, 1° comma del nuovo

81 Tale disposizione stabiliva un limite quantitativo alla proponibilità in sede

contenziosa delle domande oggetto riserva. Prevedeva infatti che: “l’importo complessivo massimo delle riserve non può in ogni caso essere superiore al venti per cento dell’importo contrattuale. Nel vigente Codice non pare esserci traccia di una limitazione di tal genere che, irragionevolmente ed aprioristicamente, addossava in capo all’esecutore i costi di realizzazione dell’opera che superassero la soglia del venti per cento dell’importo contrattuale.

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Codice, infatti, espressamente stabilisce che: “la stazione appaltante, nei contratti relativi a lavori, verifica la rispondenza degli elaborati progettuali ai documenti di cui all’art. 23, nonché la loro conformità alla normativa vigente”.

In considerazione della possibilità, evidentemente non così remota, che l’esecutore nell’apporre le riserve, nel registro di contabilità o negli altri atti dell’appalto idonei, non si trovi nella condizione di poter contestualmente assolvere l’onere di chiarezza, l’art. 190, 3° comma del d.P.R. n. 207/2010 prevede che, iscritta una riserva generica, l’appaltatore abbia a disposizione un termine di quindici giorni per poterla esplicare, a pena di decadenza.

Sul punto bisogna osservare come, in primo luogo, l’impossibilità di specificazione deve, chiaramente, essere di natura oggettiva, non potendosi trattare di mera difficolta; e come, in secondo luogo, la disposizione non stabilisca il dies a quo del suddetto termine. Su quest’ultimo aspetto, in ossequio al principio di lealtà contrattuale ed in considerazione del fatto che ad impossibilia nemo tenetur, bisogna ammettere che il dies a quo va ricondotto al momento di sopravvenuta possibilità di esplicazione e

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quantificazione della riserva generica, che va individuato in relazione alle caratteristiche del caso concreto82.

Ora, le varie prescrizioni sulle modalità di esplicazione delle riserve fin qui esaminate vengono a rilevare in relazione alle riserve apposte nel primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, sul registro di contabilità o sul certificato di collaudo. Al contrario, non assumono rilevanza quando si tratti di confermare alla stazione appaltante, in sede di sottoscrizione del conto finale, le riserve già apposte e per le quali siano già stati specificati petitum e causa petendi. Infatti, secondo la giurisprudenza83: “la conferma non esige particolari formalità e formule (…), ma richiede soltanto una qualsiasi manifestazione di volontà dell’appaltatore idonea a rendere edotta la stazione appaltante dell’intendimento di non voler abbandonare le pretese già avanzate”.

La non rilevanza delle prescrizioni in tema di modalità di esplicazione delle riserve nel conto finale vale purché queste ultime siano semplicemente da confermare, mentre le stesse prescrizioni ritornano ad essere operative nel caso in cui si tratti di quelle riserve

82 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

(a cura di), op. cit., p. 1369 e 1370.

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che, eccezionalmente, possono essere apposte per la prima volta su tale documento84.