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Le pretese dell’esecutore degli appalti di servizi e

L’istituto della riserva si è tradizionalmente configurato come proprio e caratteristico degli appalti pubblici di lavori. Senonché, a partire dal regolamento previgente, ovvero il regolamento di cui al d.P.R. 207/2010, si assiste alla previsione di una articolata disciplina relativa ai contratti pubblici di forniture e servizi, all’interno della quale si fa espresso riferimento alla possibilità di formulazione di contestazioni da parte dell’esecutore.

Si tratta di un’innovazione che trova la sua ratio nella necessità, prevista dall’art. 240, 22° comma del previgente d.lgs n. 163/2006 e dall’odierno art. 206 del nuovo Codice, di estendere il campo di applicazione del procedimento di accordo bonario85, tradizionalmente finalizzato alla soluzione delle riserve dell’esecutore dei lavori, anche alle eventuali contestazioni

84 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

(a cura di), op. cit., p.1370.

85 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

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dell’appaltatore di servizi e forniture, seppur nei limiti della compatibilità tra le figure.

L’esecuzione degli appalti di servizi e forniture si caratterizza per una notevole varietà di oggetto, il quale può consistere nella realizzazione di prestazioni di varia tipologia o nella somministrazione a vario titolo di una vasta gamma di tipologie di beni. Tale varietà di oggetto ha storicamente reso difficile la predisposizione di una disciplina unitaria della materia, e ciò che si è tentato di fare, a partire dal previgente codice, consiste, appunto, nell’utilizzare l’impianto normativo relativo agli appalti di lavori come modello per dotare di organicità la disciplina in tema i servizi e forniture. Certo è, però, che una parte di disorganicità è destinata a permanere, come dimostra il fatto che, nonostante l’esecuzione degli appalti di servizi e forniture sia amministrata mediante atti di gestione simili a quelli previsti dalla disciplina in tema di lavori, non sono previsti documenti contabili predeterminati, come accade con quelli elencati all’art. 14 del decreto ministeriale n. 49/2018. L’art. 26 di quest’ultimo atto normativo stabilisce, infatti, che la gestione della contabilità relativa a servizi e forniture venga effettuata secondo le modalità dell’ordinamento della singola stazione

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appaltante, la quale, dunque, individuerà discrezionalmente i documenti contabili più idonei in relazione alle caratteristiche del singolo servizio o fornitura oggetto del contratto.

Ora, parallelamente a quanto avviene negli appalti di lavori, è proprio sui documenti contabili e su alcuni atti di gestione che l’esecutore della fornitura o del servizio appone le proprie contestazioni. Però, sul punto è bene fare alcune precisazioni. Osservando il dettato del previgente regolamento 207/2010, che come precedentemente osservato risulta più dettagliato rispetto all’attuale regolamento di cui al decreto ministeriale n. 49/2018, sembrerebbe più corretto parlare di contestazioni invece che di riserve.

Nell’ambito degli appalti pubblici di servizi e forniture le contestazioni dell’esecutore non possono, a rigore, essere considerate riserve per diversi ordini di motivi. In primo luogo perché non sembrano concepite come una dichiarazione di accettazione condizionata del contenuto di un atto, a cui debba necessariamente far seguito l’esplicazione di una precisa domanda. Esse sembrano piuttosto essere delle domande o manifestazioni di dissenso che l’esecutore direttamente rivolge alla stazione appaltante, senza la

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mediazione di una riserva intesa in senso stretto. Ma, non costituiscono riserve, soprattutto perché (ad eccezione delle contestazioni sulla difformità dello stato dei luoghi o dei mezzi o degli strumenti che, ex art. 304, 4° comma del regolamento n. 207/2010, devono essere formulate a pena di decadenza) nessuna norma stabilisce espressamente che la mancata formulazione della contestazione determini una preclusione86.

Non operando alcun meccanismo decadenziale in pregiudizio dell’appaltatore di servizi e forniture che ometta di formulare le proprie contestazioni non può che giungersi alla conclusione che l’istituto in questione non è assimilabile alla riserva dell’appaltatore di lavori.

Certo rimane da capire quale sia il senso di questa differenza di disciplina, posto che anche con riferimento agli appalti di servizi e forniture si dovrebbe porre l’esigenza che sta alla base dell’istituto della riserva, ovvero di comporre il conflitto di interessi tra

86 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

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l’esecutore e la stazione appaltante in merito alle possibili variazioni del corrispettivo contrattualmente convenuto87.

Vi è da considerare però che la conclusione a cui si è giunti è frutto dell’analisi delle previsioni regolamentari previgenti. Nulla esclude che si debba giungere a conclusione diversa laddove, in ossequio a quanto previsto dall’art. 21 del decreto ministeriale n. 49/201888, che parla espressamente di riserve oltre che di contestazioni, le singole stazioni appaltanti prevedano l’iscrizione delle pretese dell’esecutore di servizi e forniture come onere da assolvere a pena di decadenza.

87 G. Martini, Le Riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

(a cura di), op. cit., p.1375 e 1376.

88 L’art. 21 del decreto ministeriale n. 49/2018, in parallelo a quanto stabilito

dall’art. 9, prevede che: “il direttore dell’esecuzione per la gestione delle contestazioni su aspetti tecnici e delle riserve, si attiene alla relativa disciplina prevista dalla stazione appaltante e riportata nel capitolato d’appalto”.

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Capitolo III

LA DEFINIZIONE DELLE RISERVE

1. La compressione del diritto d’azione dell’appaltatore fino alla legge Merloni

Le controversie relative all’esecuzione dei contratti di appalto di lavori pubblici non possono che essere di competenza del giudice ordinario, stante la natura pacificamente privatistica del contratto in questione. Sennonché, la risoluzione delle riserve dell’appaltatore, le quali possono essere considerate sinteticamente delle “avvisaglie di lite”89, nel panorama normativo dei contratti pubblici di lavori è sempre stata affidata ad un sistema condizionante, in misura di volta in volta minore, il diritto costituzionale di agire in giudizio del contraente privato.

In particolare, tale sistema si fonda sulla subordinazione della procedibilità (o ancor prima della proponibilità) della domanda giudiziale o arbitrale dell’appaltatore di lavori pubblici alla necessità di un preventivo esame delle riserve in sede amministrativa.

89 A. Manzi, Commento all’art. 31 bis della l. n. 109 del 1994, in AA.VV.,

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In passato, nel quadro normativo rappresentato dalla Legge generale sui lavori pubblici n. 2248, allegato F del 1865, successivamente dal Capitolato Generale per gli appalti di opere dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici di cui al R.D. n. 350/1895 ed infine dal Capitolato Generale di cui al d.P.R. n. 1062/1963, della questione veniva incaricato l’istituto della risoluzione in via amministrativa delle riserve.

Si trattava, in sostanza, di un procedimento volto a valutare la fondatezza delle pretese economiche dell’imprenditore, le cui note caratteristiche erano costituite da una complessa fase istruttoria in assenza di contraddittorio con l’esecutore e dalla conseguente unilateralità della determinazione della pubblica amministrazione.

L’istruttoria, in particolare, si svolgeva con l’esclusivo intervento di soggetti interni alla pubblica amministrazione (direttore dei lavori, ingegnere capo, collaudatore e componenti degli organi consultivi competenti), i quali apportavano gli elementi ed i pareri per la determinazione finale sulle riserve. L’appaltatore avrebbe potuto proporre la domanda giudiziale o arbitrale solo dopo l’adozione della determinazione della pubblica amministrazione che disconoscesse il suo diritto ad un maggior corrispettivo.

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Ad aggravare la condizione dell’esecutore concorreva inoltre il fatto che l’adozione della determinazione, ex art. 109 del R.D. 350/1895, sarebbe dovuta avvenire contestualmente all’approvazione del collaudo, costringendo così l’esecutore a concludere i lavori e ad attendere tale momento prima di poter adire il giudice o l’arbitro, sprovvisto di qualsiasi strumento per fronteggiare l’eventuale indugio della pubblica amministrazione nell’approvazione del collaudo e nella decisione sulle riserve.

Fu in via giurisprudenziale90 che venne inizialmente trovata una soluzione a quest’ultimo aspetto problematico, ammettendosi la possibilità per l’esecutore di far fissare un termine dal giudice ex art. 1183 c.c. o di stabilire egli stesso e di intimare alla stazione appaltante un congruo termine decorso il quale avrebbe potuto proporre giudizio arbitrale o ordinario91. Successivamente, con l’art. 5 della l. n. 741/198192, si introdusse la previsione di termini per l’espletamento delle operazioni di collaudo, l’approvazione del

90 Cass., Sez. Un., sent. 8 maggio 1969, n. 1563, in Mass. Foro italiano, 1969,

p. 463. Cass., Sez. Un., sent. 27 febbraio 1980, n. 1359, in Mass. Giust. civ., 1980, p. 243.

91 G. Martini, Le riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

(a cura di), op. cit., p. 1378.

92 Legge 10 dicembre 1981, n. 741, recante: “Ulteriori norme per

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relativo certificato e della facoltà dell’appaltatore di intraprendere l’azione giudiziale o arbitrale, una volta trascorsi inutilmente detti termini.

Anche di fronte alla sopravvenienza di nuovi costi causati da eventi verificatisi durante l’esecuzione dell’opera, l’esecutore si trovava costretto a sopportare l’irragionevole sacrificio di dover portare a compimento l’opera per l’originario importo contrattualmente stabilito93. In tale sistema si facevano salve delle ipotesi eccezionali per le quali si consentiva l’instaurazione del giudizio prima del collaudo, ma come osservato dalla dottrina94 si trattava di previsioni, in concreto, poco incisive. L’art. 44 del d. P.R. n. 1063/1962, a tal proposito, contemplava come ipotesi eccezionali le controversie rispetto alle quali le parti sono d’accordo a non differire la risoluzione; quelle la cui natura o rilevanza economica ad avviso di una delle parti non consenta che la loro risoluzione sia differita; infine, le controversie concernenti il compenso spettante per le variazioni ordinate dall’amministrazione in corso d’opera e

93 E. Sticchi Damiani, La definizione consensuale delle riserve, in R. Villata (a

cura di), L’appalto di opere pubbliche, Padova, 2001, p. 844.

94 E. Sticchi Damiani, La definizione consensuale delle riserve, in R. Villata (a

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quelle riguardanti la risoluzione del contratto per ritardo nel pagamento delle rate di acconto. La scarsa incisività dipendeva dal fatto che, come si può osservare, la prima fattispecie, richiedendo l’accordo tra le parti, era subordinata alla volontà dell’amministrazione, portatrice di interessi economici contrari a quelli dell’esecutore; la seconda rimetteva, invece, alla discrezionalità del giudice la valutazione circa l’idoneità della mancata decisione delle riserve a recare notevole pregiudizio, non all’esecutore, ma alla continuazione dei lavori.

Questo sistema, se da un lato si poneva in contrasto con l’art. 24 Cost., avendo la Corte Costituzionale precisato che il diritto alla tutela giurisdizionale può ben essere condizionato al preventivo obbligo di esperimento di strumenti di risoluzione delle controversie alternativi a quello giurisdizionale, ma con il duplice limite che “da un lato l’omissione dia luogo soltanto ad improcedibilità e non ad improponibilità della domanda e dall’altro lo strumento non si risolva in concreto in un mero privilegio dilatorio per il convenuto”95, dall’altro lato non si allineava con il progressivo sviluppo

95 Corte cost., sent. 10 febbraio 1993, n. 40, in Giur. cost., 1993, p. 291. Ma in

senso conforme anche Corte cost., sent. 22 febbraio 1990, n. 67, in Giur. cost, 1990, p. 289; Corte Cost., sent. 13 luglio 2000, n. 276, in www.giurcost.org.

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dell’ordinamento giuridico. Era nel frattempo intervenuta, infatti, la l. n. 241/1990 la quale, introducendo i principi di partecipazione, trasparenza, celerità ed efficacia del procedimento amministrativo, mirava a non lasciare il privato in balia delle scelte e delle inerzie della pubblica amministrazione96.

In questo contesto, l’avvio di un’inversione di rotta nel percorso di riconoscimento di maggiori garanzie a favore della controparte privata, come spesso è avvenuto per altre materie, è dovuto alla necessita di adeguamento dell’ordinamento interno alle istanze provenienti dal legislatore comunitario. Nello specifico, ci si riferisce alle cosiddette direttive ricorsi97 le quali stabilivano, in relazione agli strumenti di risoluzione delle controversie tout court, quindi giudiziali e stragiudiziali, che l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e non discriminazione e (…) occorre, (…), che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione

96 G. Martini, Le riserve, in R. Villata, M. Bartolissi, V. Domenichelli e G. Sala

(a cura di), op. cit., p.1379.

97 Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le

disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative

all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, modificata dalla Direttiva 92/50/CEE

del Consiglio del 18 giugno 1992 che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi.

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del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali di recepimento di tale diritto”.

Nell’adempimento dell’obbligo di matrice comunitaria di recepimento della normativa sovranazionale, il legislatore nazionale approvò, dunque, la cosiddetta legge Merloni, ovvero la legge quadro in materia di lavori pubblici n. 109/1994. L’art. 32 di quest’ultima legge, rubricato “Definizione delle controversie”, stabiliva che: “qualora insorgano controversie relative a lavori pubblici le parti ne danno comunicazione al responsabile del procedimento che propone una conciliazione per l’immediata soluzione della controversia medesima”.

Da un procedimento del tutto unilaterale si passò così ad un tentativo obbligatorio di conciliazione, caratterizzato, dunque, da un meccanismo decisionale su base consensuale; inoltre, imponendo la norma una soluzione immediata delle controversie, non sarebbe più stato necessario attendere l’approvazione del collaudo. Questo passo avanti veniva però poi vanificato dalla mancata previsione di uno specifico termine entro cui il responsabile del procedimento avrebbe dovuto dare avvio a tale procedura, delle attività da compiersi nel corso del tentativo di conciliazione ed infine del momento a partire

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dal quale l’esecutore avrebbe potuto proporre la domanda giudiziale o arbitrale. Questa laconicità di fatto poi si traduceva in una ineffettività della innovazione normativa, poiché la gestione della procedura di conciliazione veniva lasciata alla discrezionalità della pubblica amministrazione98.