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L'actio libera in causa e il tentativo

Per quanto concerne il tentativo nell'actio libera in causa l'interrogativo da cui occorre prendere le mosse è: quid iuris quando l'actio libera in causa si ferma allo stadio del tentativo?

In concreto si possono distinguere due distinte situazioni: 1) o il soggetto, postosi in stato di incapacità, realizza gli estremi del tentativo del reato preordinato; 2) oppure, detto soggetto, postosi in stato di incapacità, non realizza alcun atto idoneo diretto in modo non equivoco a commettere il reato preordinato.

186Cfr.: VENDITTI, (voce) Actio libera in causa, cit., p. 538; ROMANO, GRASSO,

Commentario sistematico al codice penale, cit., vol. II, p. 29. 187Cfr.: VENDITTI, (voce) Actio libera in causa, cit., p. 538.

Secondo la parte di dottrina che considera l'actio libera in causa come una deroga all'art. 85 c.p., e che imputa la condotta tipica tenuta in stato di incapacità, non sorge alcun problema di tentativo. Invero, si ritiene che: nella prima ipotesi si applicano le normali regole sul tentativo (art. 56 c.p.); nella seconda situazione, viceversa, non si possono neppure ravvisare gli estremi del tentativo e quindi la questione non sussiste affatto189.

Al contrario, secondo la parte di dottrina che considera l'actio libera in causa un'applicazione delle regole generali di imputazione del fatto, l'azione di porsi in stato di incapacità costituisce l'inizio della realizzazione della fattispecie tipica; pertanto, già questo fatto dovrebbe integrare gli estremi del tentativo.

Alla luce di tali considerazioni, quindi, si capisce che parlare di problema del tentativo nell'actio libera in causa probabilmente ha senso soltanto con riferimento a coloro che accolgono la seconda impostazione dottrinale richiamata.

In effetti, per quanto concerne questo aspetto, si rivela particolarmente interessante portare all'attenzione il pensiero di un autore che, pur accogliendo la tesi che considera l'actio libera in causa un'applicazione delle regole generali di imputazione del fatto, giunge alla conclusione della insussistenza del tentativo ove il soggetto agente si sia arrestato al porsi in stato di incapacità190.

Secondo Venditti, invero, «l'ordinamento offre un modo di risolvere l'apparente dilemma attraverso una norma che, (...), ha in realtà un'importanza ben maggiore di quanto a prima vista potrebbe 189Così, ad esempio: G. LEONE, Del reato abituale, continuato e permanente, cit., pp.

436-438.

190Così: VENDITTI, (voce) Actio libera in causa, cit., pp. 540 e ss.. Rammentiamo,

inoltre, che questo giurista interpreta l'art. 87 c.p. come norma di carattere generale che, combinandosi con le fattispecie di parte speciale, è in grado di dar vita a nuove e diverse fattispecie.

apparire»191. La norma in questione è l'art. 115 c.p., che, dopo aver

disciplinato il caso dell'accordo criminoso non seguito dalla commissione del reato, prende in considerazione l'ipotesi dell'istigazione e stabilisce che l'istigatore non è punibile per il solo fatto dell'istigazione, quando il reato oggetto dell'istigazione non sia effettivamente integrato.

Ad avviso di detto giurista, questo significa che l'istigazione, pur realizzando l'inizio di una fattispecie di partecipazione, non integra gli estremi del tentativo. Per aversi tentativo, infatti, non è sufficiente la semplice attività dell'istigatore, ma è necessario che l'istigato porti a termine per lo meno un atto idoneo, diretto in modo non equivoco a compiere un reato: il che permeterebbe di configurare la partecipazione dell'istigatore.

In definitiva, per Venditti, se si considera che l'actio libera in causa rappresenta, sul piano monosoggettivo, il corrispettivo di ciò che si realizza in caso di concorso sul piano plurisoggettivo, non sembra esserci alcun ostacolo ad applicare in via analogica l'art. 115 c.p. al caso di incapacità preordinata non seguita dalla commissione del reato preordinato, essendo, infatti, a suo giudizio, un'analogia in bonam partem192.

191Così letteralmente: VENDITTI, ibidem, cit., pp. 540.

192Secondo Venditti, con riferimento a questo profilo, si potrebbe controbattere che, ricorrendo all'art. 115 c.p., dovrebbe essere possibile applicare una misura di sicurezza all'individuo che si è procurato lo stato di incapacità. Tuttavia, ad avviso di detto autore, bisogna tenere a mente che l'art. 115 c.p. prevede due distinte ipotesi di istigazione: 1) istigazione accolta ma non seguita da reato; 2) istigazione non accolta. La prima ipotesi, che, poi, è quella che interessa ai fini del ragionamento, praticamente detta due norme indipendenti: una norma che stabilisce la non punibilità della semplice istigazione; una seconda norma che dispone l'assoggettabilità dell'istigatore e dell'istigato a misura di sicurezza. Tuttavia, nel caso di specie, secondo il giurista citato, il legislatore non ha voluto stabilire un obbligo per il giudice di predisporre una misura di sicurezza, quanto piuttosto lasciargli quella discrezionalità sufficiente per calcolare la giusta repressione, in ragione della effettiva pericolosità sociale del soggetto. Peraltro, a giudizio di Venditti, una volta affermata la non punibilità dell'agente in virtù dell'applicazione analogica della prima norma, non si ha come necessaria conseguenza l'applicazione analogica anche della seconda norma poiché si

Arrivati a questo punto, possiamo considerare conclusa la disamina della disciplina dell'actio libera in causa. Si tratta, ora, di affrontare un argomento che abbiamo incontrato più volte nel corso del presente capitolo e che solleva problematiche in certa misura simili rispetto a quelle finora considerate, vale a dire la disciplina sancita dal nostro codice in tema di ubriachezza od intossicazione da stupefacenti.

tratterebbe di un'analogia in malam partem e quindi vietata. Cfr.: VENDITTI,

C

APITOLO T ERZO

ART. 92: UBRIACHEZZA VOLONTARIA O

COLPOSA

SOMMARIO: 1. Premessa: gli artt. 92 e 93 c.p. in rapporto con l'art. 87 c.p.. - 2. La disciplina dell'ubriachezza. - 3. L'ubriachezza volontaria o colposa: art. 92, 1° comma c.p.. - 4. L'attività in seno alla Commissione parlamentare. - 5. Il fondamento della responsabilità dell'ubriachezza volontaria o colposa. - 6. Problemi di legittimità costituzionale. - 7. Il titolo di imputazione nell'ubriachezza volontaria o colposa. - 7.1. La dottrina più risalente. - 7.1.1. Le tesi minoritarie. - 7.1.2. La tesi maggioritaria. - 7.2. Le posizioni dottrinali più recenti. - 7.2.1. La tesi dell'actio libera in causa colposa. - 7.2.2. La teoria del Mantovani. - 7.2.3. La tesi della precolpevolezza come creazione del rischio di commissione del successivo reato. - 7.2.4. La teoria della precolpevolezza “potenziata”. - 8. Gli orientamenti giurisprudenziali relativi all'art. 92, 1° comma c.p.. - 9. L'art. 92, 1° comma c.p. in una prospettiva de iure condendo. - 9.1. Il Progetto Pagliaro. - 9.2. Il Progetto Riz. - 9.3. Il Progetto Grosso. - 9.4. Il Progetto Nordio. - 9.5. Il Progetto Pisapia.

1. Premessa: gli artt. 92 e 93 c.p. in rapporto con

l'art. 87 c.p..

Gli artt. 92 e 93 c.p. contengono norme che a prima vista sembrerebbero in stretto rapporto con l'art. 87 c.p..

L'art. 92 c.p., invero, stabilisce: «1. L'ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l'imputabilità. 2. Se l'ubriachezza era preordinata al fine di commettere

il reato o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata».

L'art. 93 c.p., viceversa, sancisce: «Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto è stato commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti».

Secondo la parte di dottrina favorevole alla forma colposa dell'actio libera in causa, le ipotesi di cui all'art. 92, 1° comma c.p. sono da ascriversi all'alveo dell'actio libera in causa e per questa via, come abbiamo visto pagine addietro193, ammette, per l'appunto, la

configurabilità nel nostro ordinamento anche della forma colposa dell'istituto.

Secondo la dottrina contraria alla forma colposa dell'actio libera in causa, al contrario, l'art. 92 disciplina due distinti gruppi di situazioni: 1) l'incapacità da ubriachezza volontaria o colposa e l'incapacità da uso volontario o colposo di stupefacenti; 2) l'incapacità preordinata al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusa prodotta da ubriachezza o da stupefazione.

Per il primo gruppo, ad avviso di tale impostazione, è prevista l'assenza di qualsiasi esclusione o diminuzione dell'imputabilità; inoltre, in relazione a queste ipotesi, secondo la ricostruzione al giorno d'oggi prevalente, il legislatore avrebbe predisposto una c.d. fictio di imputabilità194; per il secondo gruppo, invece, è disposto un aumento di

pena, quindi, l'applicazione di un'aggravante.

Dunque, secondo questa parte di dottrina, essendo questo il dato normativo di riferimento, pare evidente che, de iure condito, soltanto l'art. 92, 2° comma c.p. è ascrivibile alle ipotesi di actio libera in causa, perché solo esso richiede il requisito della preordinazione, esattamente come accade nella norma generale di cui all'art. 87 c.p.. 193V. retro, cap. 2 par. 8.2.

In sostanza, ad avviso di detta ricostruzione, mettendo a confronto l'art. 87 c.p. con la lettera dell'art. 92, 1° comma c.p., sembra evidente che l'unico elemento in comune tra le due norme risiede nel fatto che il soggetto agente, nel momento in cui commette il reato, si trova naturalisticamente in uno stato di incapacità. Al di là di questo denominatore comune, però, vi sono diversità enormi: non soltanto per la previsione della fictio di imputabilità di cui all'art. 92, 1° comma c.p., ma altresì per la tecnica di qualificazione del fatto impiegata dal legislatore195.

In altri termini, a giudizio di tale orientamento, mentre nell'actio libera in causa si valorizza il momento in cui il soggetto si pone in stato di incapacità al fine di valutare correttamente la proiezione psicologica dell'agente rispetto al fatto di reato; diversa, invece, è la scelta effettuata dal legislatore per quanto concerne l'ubriachezza volontaria o colposa, in quanto l'art. 92, 1° comma c.p. si limita a ritenere sussistente l'imputabilità, inoltre, perché il titolo della responsabilità deve essere valutato avendo come riferimento il momento in cui il reato viene commesso196.

In definitiva, secondo la dottrina contraria alla forma colposa dell'actio libera in causa, l'ubriachezza (o intossicazione) volontaria o colposa e l'ubriachezza (o intossicazione) preordinata devono essere tenute nettamente distinte, in quanto la prima non rientra nello schema dell'actio libera in causa, mentre la seconda ne costituisce una specificazione che riceve un trattamento sanzionatorio più rigoroso soltanto per ragioni di politica criminale.

195Cfr.: VENDITTI, Op. cit., p. 538.

196Così anche: CRESPI, Il problema della colpevolezza nell'ubriachezza volontaria e